Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2012, n. 23637 - Lesioni ad una mano e responsabilità di un datore di lavoro


 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio di un operaio: quest'ultimo aveva infatti riportato lesioni alla mano destra rimasta schiacciata da un motore che era intento a smontare. L'operaio, al momento dell'infortunio, stava svolgendo la propria attività lavorativa in condizioni di precario equilibrio, ad alcuni metri di altezza dal suolo, stando in piedi sui volani del motore oggetto dell'intervento mantenendosi con una mano ai tiranti e smontando il motore con fa mano destra, senza indossare le cinture di sicurezza e senza l'ausilio di una piattaforma, adottata solo successivamente all'infortunio.

Condannato in primo grado, l'imputato proponeva appello: in presenza della sopravvenuta prescrizione del reato, e quindi ai fini della responsabilità civile dell'imputato, la Corte di merito giungeva alla conclusione che l'infortunio non si sarebbe verificato se l'operaio avesse operato in condizioni di tranquillità, indossando le cinture di sicurezza e con l'ausilio di una piattaforma.

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

Quanto alla pretesa abnormità del comportamento dell'operaio, la suprema Corte afferma che non sono ravvisabili nella condotta del lavoratore profili di tale abnormità da escludere il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, posto che il lavoratore era intento ad eseguire operazioni riconducibili all'espletamento della sue mansioni; inoltre le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati"

 


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere -

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) F.L. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3164/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 26/04/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/04/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Santi Spinaci che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore avv. Brambille Roberto Carlo Giovanni che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto



Con sentenza del Tribunale di Milano in data 7 ottobre 2009, F.L. veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di lesioni colpose in danno di A.M., commesso, secondo la contestazione, per colpa consistita anche nella violazione della normativa antinfortunistica; il F. veniva condannato altresì al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d'Appello di Milano pronunciava declaratoria di prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili pronunciate dal primo giudice. La Corte territoriale, tenendo conto di quanto emerso nell'istruttoria svolta in primo grado, e vagliando specificamente l'attendibilità della deposizione della parte lesa, ricostruiva la dinamica dell'infortunio come segue: l'operaio A., dipendente del F., aveva riportato lesioni alla mano destra rimasta schiacciata da un motore che l' A. stesso era intento a smontare: l'operaio, al momento dell'infortunio, stava svolgendo la propria attività lavorativa in condizioni di precario equilibrio, ad alcuni metri di altezza dal suolo, stando in piedi sui volani del motore oggetto dell'intervento mantenendosi con una mano ai tiranti e smontando il motore con fa mano destra, senza indossare le cinture di sicurezza e senza l'ausilio di una piattaforma, questa adottata solo successivamente all'infortunio. Muovendo dalla dinamica dell'incidente così ricostruita, la Corte territoriale - in presenza della sopravvenuta prescrizione del reato, e quindi ai fini della responsabilità civile dell'imputato - giungeva alla conclusione che l'infortunio non si sarebbe verificato se l' A. avesse operato in condizioni di tranquillità, indossando le cinture di sicurezza e con l'ausilio di una piattaforma.

Ricorre per cassazione l'imputato deducendo censure che possono così riassumersi: a) vi sarebbe stata irrituale costituzione della parte civile per non esservi stato provvedimento del giudice di ammissione di detta costituzione che non era stata poi rinnovata dopo rinvii di udienza disposti per difetto di citazione dell'imputato ed a seguito di contestazione suppletiva all'imputato stesso; b) l'infortunio sarebbe avvenuto solo a causa del mancato uso da parte dell' A. di un apposito attrezzo chiamato "leverino", e la Corte territoriale avrebbe valutato erroneamente le risultanze probatorie, ed, in particolare, avrebbe dato acriticamente credito alle dichiarazioni della parte lesa che invece avrebbero dovuto essere attentamente vagliate con prudenza perchè provenienti da persona portatrice di interesse nel processo.

Diritto


Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

L'eccezione relativa alla costituzione di parte civile è infondata.

Ed invero, non vi è alcuna disposizione che preveda il formale provvedimento di ammissione della costituzione di parte civile (cfr. Sez. 3, n. 12423 del 06/02/2008 Cc. - dep. 20/03/2008 - Rv. 239335);

il giudice è tenuto a pronunciarsi in ordine ad una eventuale richiesta di esclusione della parte civile ( art. 80 c.p.p.):
richiesta che neanche il ricorrente assume esservi stata nel caso in esame. Inoltre, come si rileva dalla sentenza impugnata (pag. 6), all'imputato fu anche notificato il verbale di udienza dal quale risultava la costituzione di parte civile. A ciò aggiungasi che le eccezioni relative alla costituzione di parte civile rientrano tra le questioni preliminari che, a norma dell'art. 491 c.p.p., restano precluse se non dedotte subito dopo l'accertamento, per la prima volta, della costituzione delle parti, come ribadito più volte da questa Corte: "La tempestiva costituzione di parte civile, che non abbia dato luogo ad opposizione "in limine" e che sia stata mantenuta nel giudizio di primo grado, impedisce la successiva proposizione di questioni relative alla "legitimatio ad processum", che non siano state dedotte nei termini, rendendo - conseguente mente-stabile il rapporto civilistico instauratosi tra le parti. Pertanto i provvedimenti, anche impliciti,di ammissione e di esclusione della parte civile, assunti in primo grado (e relativi alla titolarità del diritto alla rappresentanza dell'avente diritto ed alle finalità della costituzione stessa), per il principio di tassatività dei mezzi di gravame, non sono impugnabili, neppure con la sentenza" (in termini, "Sez. 5, n. 2911 del 22/12/1998 Ud. -dep. 03/03/1999 - imp. Lo Presti, Rv. 212617; conf., Sez. 5, n. 11657 dei 22/09/1997 Ud. - dep. 16/12/1997 - Rv. 209260).

Le ulteriori censure del ricorrente - finalizzate a contestare l'affermazione di responsabilità, pronunciata dal primo giudice e poi dalla Corte distrettuale ribadita sia pure ai limitati fini civili essendo nel frattempo intervenuta la prescrizione del reato - sono generiche ed assertive e tendono sostanzialmente ad una rivalutazione delle risultanze processuali, non consentita in sede di legittimità, sia sulla dinamica dell'incidente che sulla condotta del lavoratore asseritamente abnorme perchè, secondo la prospettazione del ricorrente, l' A. non avrebbe adoperato l'attrezzo adeguato (cd. "leverino") ed avrebbe dato una scossa al motore con la mano ferendosi. Avuto riguardo al testo della sentenza impugnata, si rileva che la Corte distrettuale - attraverso un percorso motivazionale ancorato alle risultanze probatorie acquisite (ivi compresa le deposizione della parte lesa, dai giudici di merito puntualmente vagliata e ritenuta dettagliata e precisa, priva di animosità e non oggetto di contestazioni specifiche in sede di controesame circa un diverso accadimento dei fatti: pag. 7 della sentenza della Corte d'Appello) - ha analizzato, secondo i canoni prescritti, gli aspetti concernenti le problematiche relative alla sussistenza della condotta colposa contestata all'imputato e del nesso causale tra la condotta stessa, quale descritta nell'imputazione, e l'evento; nè sono ravvisabili nella condotta dell' A. profili di tale abnormità da escludere il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, posto che il lavoratore era intento ad eseguire operazioni riconducibili all'espletamento della sue mansioni: giova poi precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre 1984, n. 11043).

Conclusivamente: le considerazioni svolte dai giudici di seconda istanza, consentono non solo di escludere che potesse ritenersi acquisita la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, ma anche di escludere, pur all'esito dell'esame delle risultanze processuali svolto dalla Corte distrettuale ai fini civilistici ex art. 578 c.p.p., che possa parlarsi di motivazione inadeguata ai fini della ritenuta responsabilità agli effetti civili.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.