Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 settembre 2012, n. 15346 - Ricorso di un dirigente scolastico e presunto mobbing


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente -

 

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -

 

Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -

 

Dott. BRONZINI Giuseppe - rel. Consigliere -

 

Dott. TRIA Lucia - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso 968/2010 proposto da:

 

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRCUMVALLAZIONE TRIONFALE 145, presso lo studio dell'avvocato ANGELO BALZANO, rappresentato e difeso dall'avvocato NAPOLITANO Raffaele;

 

- ricorrente -

 

contro

 

MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA, DIRETTORE GENERALE DELL'UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLA CAMPANIA;

 

- intimati -

 

avverso la sentenza n. 2166/2009 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/07/2009 r.g.n. 8946/07;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2012 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

 

udito l'Avvocato MARCELLO BONOTTO per delega RAFFAELE NAPOLITANO;

 

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l'inammissibilità e in subordine rigetto.

 

 

Fatto

 

Con ricorso del 25.1.2006 il Prof. A.G., già in servizio come dirigente scolastico presso l'Istituto liceale Alberini di Nola, premesso di essere cessato dal servizio il 1.9.2003 a seguito di determina del 24.2.2003 per scadenza della proroga D.Lgs. n. 503 del 1992, ex art. 16, pur avendo stipulato un contratto di durata triennale con scadenza 31.8.2005, esponeva di aver proposto ricorso giudiziario ex art. 409 c.p.c., tendente ad ottenere il trattenimento in servizio fino al raggiungimento della massima anzianità contributiva e di aver conseguito in grado di appello il riconoscimento del diritto alla permanenza in servizio fruendo del doppio cumulo dei benefici di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 cit. e al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 409, comma 2, e, quindi, a completamento dell'incarico dirigenziale di cui al contratto del 9.7.2002.

 

Evidenziava come, in esecuzione della sentenza della Corte di appello di Napoli del 5.5.2005, era stato reintegrato con effetto immediato ed assegnato tuttavia in data 16.5.2005 (senza essere stato retribuito per il mese di aprile 2005) presso la Direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per la Campania e non presso l'Istituto di appartenenza e successivamente, per il solo anno 2005- 2006, alla sede (OMISSIS) sino al 31.8.2006, data in cui era stato estromesso dal servizio per raggiunti limiti d'età dal 1.9.2006 con soli 37 anni di anzianità contributiva.

 

Il Prof. A. precisava che detta assegnazione in posto diverso da quello di titolarità era non conforme alla propria professionalità ed in spregio dell'ordine di reintegra, che tale illegittima adibizione si era risolta in un demansionamento e in una lesione del suo status professionale e morale ed aveva recato grave nocumento alle sue condizioni di salute. Inoltre, in virtù delle due proroghe prima precisate, aveva diritto al mantenimento in servizio sino al raggiungimento del massimo di anzianità pensionistica. Chiedeva al Tribunale di Nola il riconoscimento di quest'ultimo diritto con stipula di un contratto biennale con scadenza 1.10.2007 e la condanna del Ministero al pagamento delle retribuzioni maturate dal 1.9.2003 al 15.5.2005, il "risarcimento dei danni alla salute, ovvero da mobbing, alla dignità ed all'onore" e la restituzione della somma di euro 1.090,50 per illegittima trattenuta stipendiale. Il MIUR contestava la fondatezza del ricorso.

 

Il Tribunale di Nola con sentenza del 30.11.2006 rigettava le domanda. L'appello del Prof. A. veniva rigettato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 1.4.2006.

 

La Corte territoriale in primis rilevava la legittimità del collocamento a riposo al raggiungimento del 70 anno di età dell'appellante stante il chiaro disposto del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 409, comma 2; inoltre il diritto a rimanere in servizio non poteva essere desunto nemmeno dalla precedente decisione della Corte di appello di Napoli che aveva solo statuito sul diritto al doppio beneficio (di proroga) invocato e sul diritto al completamento del rapporto di lavoro pregresso sino al 31.8.2005 con le conseguenze risarcitorie di cui al dispositivo. Pertanto il comportamento dell'Amministrazione era legittimo. Profili di illegittimità non sussistevano neppure in ordine al denunciato demansionamento; la sentenza pregressa della Corte di appello di Napoli non aveva disposto la reintegrazione nel precedente posto di lavoro e l'assegnazione a fine anno in una Istituzione scolastica non avrebbe avuto senso dal punto di vista organizzativo; analogamente appariva legittima la successiva assegnazione come Dirigente scolastico in Istituto sito nel Comune di residenza dell'appellante. Circa il denunciato mobbing, la Corte territoriale-previa un'articolata ricostruzione dell'istituto di natura giurisprudenziale e dei suoi presupposti- rilevava che non era emerso alcun intento persecutorio da parte dell'Amministrazione, stante la legittimità dei provvedimenti prima indicati ed il carattere anche giuridicamente controverso del primo atto di collocamento a riposo. Anzi l'Amministrazione, dopo ia sentenza della Corte di appello di Napoli, aveva dimostrato un certo spirito di collaborazione. Erano state già attribuite le retribuzioni spettanti sia pure a titolo risarcitorio e non sussisteva un diritto alla duplicazione dell'attribuzione (comunque non richiesta nel precedente procedimento), stante l'indubbia comunanza di causa pretendi. La sentenza della Corte di appello nulla aveva statuito in ordine alla spettanza dei contributi 1.9.2003-16.5.2005 e pertanto la questione era coperta da giudicato;

 

circa la ripetizione della somma relativa alla tassazione su quanto corrisposto a titolo di risarcimento del danno (non assoggettabile a tassazione), la Corte rilevava che la questione non era stata proposta in prime cure. Infine la somma di Euro 1.090,00 non era stata richiesta in appello.

 

Ricorre l' A. con più motivi (violazione di legge e carenza motivazionale) articolati su 20 diversi capi di domanda. E'stata depositata memoria difensiva.

 

 

Diritto

 

Il primo motivo riguarda le "reiterate discriminazioni e vessazioni subite e commesse da persona dotata di autorità nell'esercizio di attività lavorativa (mobbing)". Si ricordano le plurime vessazioni e comportamenti discriminatori subiti dal ricorrente; con l'erroneo collocamento a riposo, con il mancato riconoscimento del diritto al cumulo delle due proroghe come stabilito dalla Corte di appello di Napoli con sentenza n. 241/2005; con la tardiva reintegrazione in servizio ma con grave demansionamento, con l'assegnazione ad un Istituto professionale in modo non conforme ai meriti concorsuali ed alla precedente titolarità, con l'assegnazione per gli esami di stato a sede disagiata, con una nuova estromissione per raggiunti limiti d'età. Tali illegittimi comportamenti, unitamente ad ulteriori episodi, avevano causato un grave danno alla salute del ricorrente, arrecando allo stesso sofferenze fisiche e morali con palese violazione di quanto disposto nella sentenza della Corte di appello del 2005. Il comportamento tenuto dall'Amministrazione doveva, quindi, essere configurato come un vero e proprio " mobbing" nei confronti dell' A. prima collocato a riposo, poi riammesso in servizio, ma in modo dequalificante, costretto ad illegittimi trasferimenti rispetto alla sua sede originaria, a lungo tenuto nell'inattività e quindi nuovamente collocato a riposo, nonostante il diritto alla conservazione del posto sino al raggiungimento de massimo di anzianità contributiva in conseguenze delle due proroghe ottenute.

 

Con il secondo motivo si allega "il nesso di causalità tra fatti illeciti ed eventi traumatici". La Corte territoriale non aveva attribuito il dovuto rilievo probatorio all'imponente documentazione medica prodotta che chiaramente collegava la malattia psichica sofferta al comportamento subito dal ricorrente ad opera dell'Amministrazione con gli indebiti comportamenti tenuti nei suoi confronti, gravemente lesivi della sua professionalità e dignità;

 

non si era neppure ritenuto necessario disporre una consulenza medica di ufficio onde valutare la documentazione prodotta.

 

I primi due motivi vanno esaminati insieme in quanto concernono il rigetto della domanda di risarcimento per il preteso "mobbing" subito dal ricorrente ed appaiono infondati. La Corte territoriale ha correttamente ricostruito gli elementi costitutivi dell'istituto di origine giurisprudenziale (che pur mantiene una stretta correlazione con norme basilari del codice civile come l'art. 2043 e il 2087) denominato "mobbing" (che talvolta viene intrecciato con altre definizioni e fenomeni, dal "bossing" al "bullying") attraverso il quale si cerca di configurare un insieme di comportamenti vessatori, discriminatori, offensivi della capacità professionali del soggetto ed anche del suo senso di integrità psico-fisica che può provocare, alterando l'equilibrio della persona (destinataria di tali continui atti di umiliazione) ed il suo senso di autostima, gravissimi1 danni, talvolta irreversibili (cfr. Cass. n. 8438/2004; Cass. n. 19053/2005, Cass. n. 22858/2008). Ora nei due motivi certamente non si dubita della pregevole ricostruzione dell'evoluzione dell'istituto del "mobbing" offerta dalla Corte territoriale, ma si ribadisce il carattere discriminatorio e gravemente vessatorio degli episodi in concreto subiti dal ricorrente e spiegabili solo unitariamente, come sintomi di un fumus persecutionis perseguito ai suoi danni dall'Amministrazione che ha - alla fine- condotto l' A. in una situazione di prostrazione e di umiliazione, con gravi ripercussioni anche dal punto di vista psico-fisico. La Corte territoriale ha però attentamente valutato i più importanti aspetti della vicenda escludendo che l' A. abbia subito un complessivo disegno persecutorio posto in essere dall'Amministrazione e dai suoi superiori gerarchici. In primo luogo la Corte ha messo in rilievo come il provvedimento definitivo di collocazione a riposo del ricorrente fosse atto dovuto alla luce del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 509, per cui " il personale in servizio, che debba essere collocato a riposo per limiti d'età e che non abbia raggiunto il numero di anni di servizio richiesti per il massimo della pensione, può essere trattenuto in servizio sino al conseguimento della pensione nella misura massima e non oltre il settantesimo anno d'età". L'avvenuta cancellazione dei limiti d'età per la partecipazione ai pubblici concorsi (salvo deroghe tassative) incontra l'ovvio limite dell'avvenuto superamento dell'età stabilita dalla legge, come nel caso in esame, come ampiamente sottolineato nella sentenza impugnata (in specifico sul tema per quanto riguarda il settore scolastico cfr. Cass. n. 4355/2005; sul piano più generale cfr. Cass. n. 14628/2010.

 

Entrambe le decisioni richiamano l'art. 97 Cost., in ordine all'estinzione automatica del rapporto di lavoro pubblico con il compimento dell'età massima prevista per legge). La Corte territoriale ha anche osservato che il diritto vantato dall' A. di proseguire oltre il 70^ anno di età, in realtà non derivava neppure dalla pregressa sentenza della Corte di appello di Napoli che aveva solo stabilito il diritto del ricorrente ad usufruire delle due proroghe richieste sino al completamento alla scadenza prefissata del 31.8.2005 del contratto stipulato il 9.7.2002 ma nulla aveva statuito in ordine al proseguimento del rapporto oltre il 70 anno di età. La collocazione a riposo dell' A. in relazione al compimento del 70 anno di età non può, quindi, dirsi illegittima o discriminatoria ;

 

sul punto la motivazione della decisione appare corretta alla luce delle norme in materia. Parimenti la Corte ha escluso che vi sia stato in conseguenza della riammissione in servizio alcun demansionamento: la Corte di appello di Napoli non aveva stabilito il diritto alla reintegrazione nella sede di titolarità; inoltre la riammissione era avvenuta nella fase finale dell'anno scolastico e quindi era stata disposta presso la USR Campania per evidenti, oggettive ed innegabili ragioni di continuità didattica; le medesime ragioni avevano indotto anche alla successiva assegnazione del ricorrente come Dirigente scolastico presso la Ipia "Leone di Nola, Istituto scolastico insistente nel Comune di residenza dell' A..

 

Pertanto i comportamenti successivi al provvedimento di riammissione in servizio, dopo che si era accertata l'originaria non correttezza del primo provvedimento di collocamento a riposo (giudicato illegittimo ma - ha osservato la sentenza impugnata - che ha comportato da parte dei Giudici di merito nel precedente giudizio l'esame di questioni giuridiche di una certa complessità) non possono essere ritenuti vessatori o discriminatori, nè appare possibile leggerli unitariamente come la manifestazione di un disegno persecutorio nei confronti del ricorrente. La Corte territoriale ha anche ricordato la disponibilità dimostrata dal Direttore regionale B.A. per cercare risolvere il problema dei contributi omessi, non ricompresi nell'accertamento emesso dalla Corte di appello di Napoli del 2005 come ulteriore elemento che attestava la collaborazione dell'Amministrazione per ripristinare la situazione lavorativa e personale del ricorrente. Circa i certificati medici prodotti dal ricorrente la Corte territoriale ha sottolineato come da un lato mancassero elementi certi per ricondurre alla condotta datoriale la situazione medica attestata e dall'altro lato che, comunque, a monte si doveva escludere il carattere vessatorio e discriminatorio degli episodi evidenziati dall' A. ed un suo demansionamento; la decisione di non ammettere una consulenza medico legale appare coerente e consequenziale a tali valutazioni, posto che la Corte territoriale ha escluso in radice che siano stati commessi atti di "mobbing" nei confronti del ricorrente e che quindi possa sussistere una responsabilità del datore di lavoro nell'aver causato danni di ordine psico-fisico o morale al ricorrente. Conclusivamente la motivazione sul punto appare congrua, logicamente coerente, con un richiamo puntuale ai fatti processuali ed un esame scrupoloso e rigoroso degli episodi denunciati dal ricorrente che sono stati ricostruiti in modo persuasivo; mentre le censure appaiono in realtà mirare ad una rivalutazione del fatto, inammissibile in questa sede.

 

Con il terzo motivo si rileva che la reintegrazione era stata ritardata e qualificante.

 

Sul punto si è già detto: la sentenza della Corte di appello di Napoli del 2005 nulla aveva statuito in ordine al luogo di lavoro ove riammettere l' A.; vista l'epoca in cui la riammissione fu disposta per evidenti ragioni di ordine organizzativo anche relativi alla continuità didattica non fu disposta la destinazione in una Istituzione scolastica, ma presso l'URS Campania e successivamente come Dirigente scolastico presso la sede (OMISSIS) nel comune di residenza del ricorrente. Tenuto conto delle ricordate esigenze organizzative la Corte territoriale ha valutato una corretta esecuzione della sentenza del 2005 con l'affidamento di compiti coerenti con il curriculum e la qualifica del ricorrente e in luoghi di lavoro a ragionevole distanza dalla sua abitazione. La motivazione appare corretta e logicamente coerente posto che occorre valutare se, dopo la sentenza del 2005, l'Amministrazione abbia ottemperato nella sostanza a quanto stabilito dalla detta decisione, certamente rispettando anche gli interessi di ordine pubblico ad un corretto funzionamento del servizio scolastico. Emerge dalla sentenza impugnata che, comunque, nell'anno scolastico l' A. fu effettivamente nominato come Dirigente scolastico (qualifica di appartenenza) in un Istituto nel suo Comune di residenza.

 

Con il successivo motivo si deduce che era stato mutato l'incarico originario, come tale immutabile, con passaggio a settore formativo diverso da quello di appartenenza.

 

Anche tale punto è già stato esaminato; l' A. non vantava un diritto in virtù della sentenza della Corte di appello di Napoli del 2005 alla reintegrazione del posto di lavoro precedentemente occupato; emerge essere stato riammesso in servizio e nominato all'inizio dell'anno scolastico 2005/2006 come Dirigente scolastico (che era la sua qualifica) nell'Istituto prima ricordato, in esecuzione della citata sentenza. La motivazione appare congrua e logicamente coerente.

 

Al quinto ed al sesto motivo (da esaminarsi congiuntamente ponendo la medesima questione) si contesta il rigetto della domanda concernente il diritto dell' A. a rimanere in servizio sino al raggiungimento del livello pensionistico massimo. Il motivo appare infondato per le ragioni già dette supra: l' A. non poteva proseguire l'attività lavorativa oltre il 70^ anno di età e pertanto il suo collocamento a riposo dell'1.9.2006 appare doveroso. Sul punto la Corte di appello di Napoli non aveva statuito nulla in senso contrario.

 

Nel settimo motivo si allega un danno alla professionalità in conseguenza dell'illegittima e non corretta riammissione in servizio.

 

Anche tale profilo è già stato affrontato; le mansioni affidate al ricorrente appaiono coerenti con il decisum da parte della Corte di appello di Napoli; la Corte territoriale ha motivato in modo persuasivo e logicamente coerente sul punto, mentre le censure appaiono generiche in quanto, a parte lo spostamento di Istituto, non mostrano in alcun modo il carattere dequalificante delle mansioni affidate dopo il 2005.

 

Con l'ottavo motivo si allega il danno morale per lesione all'onore, decoro e dignità; con i successivo il danno all'identità ed all'immagine, con il decimo motivo il danno alla dignità ed al buon nome ed onore, con l'undicesimo si allega il (denegato) diritto alla riservatezza, serenità di vita e buona vecchiaia.

 

I motivi, da esaminarsi insieme in quanto strettamente connessi, appaiono infondati in quanto si fondano su pretesi comportamenti vessatori e discriminatori che vanno, viceversa, esclusi, per quanto prima osservato nell'esame dei precedenti motivi (soprattutto il primo ed il secondo).

 

Con il dodicesimo motivo il ricorrente lamenta il mancato accoglimento del diritto al raggiungimento del livello massimo di pensione e con il tredicesimo si deduce l'esistenza di un danno per interruzione della continuità pensionistica. Con il quattordicesimo motivo si insiste sul diritto alla prosecuzione del rapporto, anche perchè lo stesso era stato illegittimamente interrotto una prima volta. Su tale profili si è già detto: il ricorrente non poteva proseguire l'attività lavorativa oltre il 70^ anno e pertanto correttamente è stato collocato a riposo. Il diritto a continuare a lavorare oltre tale data non sussisteva neppure alla luce della sentenza del 2005 che si era limitata stabilire il diritto dell' A. alle chieste proroghe (ma certamente entro i limiti di ordine generale alla prosecuzione del rapporto di lavoro pubblico).

 

Con il quindicesimo motivo si contesta la negazione dei ratei stipendiali e dei contributi previdenziali non percepiti per l'illegittima sospensione del rapporto.

 

Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha già osservato che la sentenza del 2005 ha condannato il Miur a pagare all' A., dovendosi il rapporto considerare "in atto", a titolo di risarcimento del danno una somma pari alle retribuzioni non percepite dalla data di collocamento in quiescenza alla data della sentenza, somme effettivamente corrisposte. Per la Corte di appello la richiesta delle retribuzioni (oltre a quanto percepito come risarcimento) costituirebbe un'indebita duplicazione di quanto già corrisposto a titolo di risarcimento del danno stante l'indubbia comunanza di causa petendi; inoltre le retribuzioni dovevano essere richieste nell'originario ricorso del precedente procedimento e non in questo processo nel quale l' A. deduce l'inesatta esecuzione della sentenza de 2005 passata in cosa giudicata. Quanto sin qui detto vale anche per il problema dei contributi sui quali la sentenza della Corte di appello di Napoli del 2005 nulla ha statuito e che non è stata impugnata. La motivazione appare corretta apparendo infondata la pretesa dell' A. di agire per la corretta esecuzione di una sentenza passata in cosa giudicata, ma al tempo stesso di pretendere solo in questa sede una sostanziale duplicazione delle richieste per le retribuzioni non percepite, peraltro neppure avanzata nel giudizio precedente. Anche la questione della spettanza dei contributi appare coperta da giudicato non avendo impugnato l' A. la decisione della Corte di appello del 2005 che non contempla questa voce.

 

Con il sedicesimo motivo si reclama il negato diritto al recupero di somma indebitamente trattenuta dall'Amministrazione convenuta.

 

La Corte di appello nella sentenza impugnata ha già osservato che la questione della trattenuta IRPEF operata dall'Amministrazione su somma che invece era a titolo di risarcimento del danno non era stata posta con il ricorso originario. Il motivo è infondato non avendo parte ricorrente dimostrato neppure con la riproduzione al motivo del relativo capo del ricorso originario che la richiesta sia stata effettivamente avanzata in primo grado e pertanto l'esame della fondatezza della domanda appare superflua.

 

Con il diciassettesimo motivo si allega la legittimità dell'indennità risarcitoria dovuta nonchè del coevo, autonomo, distinto e contestuale diritto alla corresponsione delle retribuzioni mensili; con il successivo motivo si allega la legittimità del diritto ai contributi previdenziali relativi a rapporto di lavoro interrotto.

 

I motivi sono infondati alla luce di quanto prima esposto in relazione al quindicesimo motivo: per la voce relativa agli stipendi si tratta di un' indebita duplicazione di somme richieste in relazione ad una medesima causa petendi e per entrambe le domande comunque sussiste un giudicato stabilito dalla decisione del 2005 che, per lo meno sul problema contributi, l' A. avrebbe dovuto impugnare.

 

Con il diciannovesimo motivo si lamenta il denegato rimborso della trattenuta pari ad Euro 1.090,50.

 

Il motivo appare infondato in quanto tale capo della domanda non è stato formulato nella conclusioni dell'atto di appello, come osservato nella sentenza impugnata. La Corte ha anche aggiunto che si tratta di una richiesta generica, ma trattandosi di una motivazione fondata su due rationes decidendi la prima non risulta impugnata ed appare sufficiente per il rigetto del motivo.

 

Nell'ultimo motivo si insiste sulla richiesta di danni da "mobbing":

 

in particolare si sottolinea che la disponibilità dell'Amministrazione segnalata nella sentenza impugnata a trovare una soluzione al problema dei contributi era stata solo formale non avendo portato a nulla di concreto.

 

Il motivo appare infondato in quanto, anche ad ammettere che sui contributi la disponibilità mostrata dell'Amministrazione non sia stata autentica e sostanziale, certamente l'episodio, tenuto conto anche del fatto che la decisione del 2005 non contemplava il pagamento dei contributi, è del tutto inidoneo a dimostrare un disegno persecutorio ai danni dell' A.. Gli altri episodi pretesamene vessatori e discriminatori addotti dal ricorrente sono già stati esaminati supra nell'esame dei primi due motivi di ricorso. Va, quindi, rigettato il ricorso. Nulla sulle spese.


P.Q.M.

 

La Corte:

 

rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.