Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 20 settembre 2012, n. 36274 - Infortunio con un muletto e responsabilità per omessa delimitazione dell'area


 

 

 

Responsabilità dell'amministratore unico di una società per infortunio occorso ad una lavoratrice: quest'ultima, svolgendo funzioni amministrative, si era portata all'interno del magazzino aziendale e si era fermata presso la porta del medesimo al fine di consentire il transito di un muletto condotto da (Omissis) quando questi aveva urtato un altro muletto fermo in manutenzione. Quest'ultimo muletto aveva poi urtato la lavoratrice schiacciandole lo sterno su un tavolo posizionato a fianco e poi facendola cadere a terra. Conseguentemente l'infortunata riportava un trauma contusivo al torace e al cranio nonchè la frattura dello sterno e dell'omero. All'imputato veniva perciò ascritto di non aver delimitato ed impedito l'accesso all'area in cui si era verificato l'infortunio, che si giudicava particolarmente pericolosa per l'incolumità dei lavoratori in quanto costantemente frequentata da carrelli elevatori in movimento.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio ai fini penali la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili.


La Corte afferma che l'intervento del muletto e la spinta data alla lavoratrice non elide il nesso causale rinvenibile tra violazioni prevenzionistiche ascrivibili al datore di lavoro ed evento illecito.

In ordine al presunto carattere di abnormità del comportamento della infortunata, consistente nell'essersi recata nel magazzino non per svolgere le proprie mansioni ma per salutare un collega, il ricorrente evoca non a proposito il concetto di comportamento abnorme, giacchè tal'è quel comportamento che presenta un carattere di eccezionalità che lo pone al di fuori dei poteri di controllo del debitore di sicurezza. Gli spostamenti dei lavoratori nelle aree costituenti o pertinenti l'azienda, anche se non richiesti dallo svolgimento dei compiti affidati e persino se in violazione di espliciti divieti datoriali, costituiscono evenienza del tutto prevedibile, che va raccordata altresì al principio di diritto per il quale il datore di lavoro è costituito garante della sicurezza del lavoratori anche rispetto alle inosservanze cautelari da questi commesse.

 


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo - Presidente

Dott. CIAMPI Frances - Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

Dott. GRASSO Giusepp - Consigliere

Dott. DOVERE Salvato - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 196/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 16/09/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/06/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per estinzione del reato per intervenuta prescrizione;

Udito per la parte civile l'Avv. (Omissis) che conclude per il rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

Udito il difensore Avv. (Omissis) che conclude per l'accoglimento del ricorso.


Fatto



1. Con sentenza del 16 settembre 2011 la Corte di Appello di Brescia riformava la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia nei confronti di (Omissis) limitatamente alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, confermando nel resto la dichiarazione di responsabilità del medesimo per le lesioni colpose cagionate a (Omissis), lavoratrice dipendente della società della quale il (Omissis) era amministratore unico.

La lavoratrice, svolgendo funzioni amministrative, si era portata all'interno del magazzino aziendale e si era fermata presso la porta del medesimo al fine di consentire il transito di un muletto condotto da (Omissis) quando questi aveva urtato un altro muletto fermo in manutenzione.

Ad avviso della Corte di Appello, come già del giudice di primo grado, questo secondo carrello aveva urtato la lavoratrice, che aveva avuto lo sterno schiacciato su un tavolo posizionato a fianco e poi era caduta a terra, riportando un trauma contusivo al torace e al cranio nonchè la frattura dello sterno e dell'omero. La Corte territoriale prendeva in esame anche l'ipotesi, pure emergente dall'istruttoria svoltasi in primo grado, che la (Omissis) fosse stata spinta sul tavolo o a terra da altro lavoratore, a nome (Omissis), per evitare che questa fosse colpita dalle pale del muletto in manutenzione, ma riteneva irrilevante l'alternativa, atteso che il comportamento del (Omissis) non avrebbe potuto costituire in nessun caso fatto del tutto imponderabile ed imprevedibile, causa esclusiva dell'evento lesivo.

All'imputato veniva perciò ascritto di non aver delimitato ed impedito l'accesso all'area in cui si era verificato l'infortunio, che si giudicava particolarmente pericolosa per l'incolumità dei lavoratori in quanto costantemente frequentata da carrelli elevatori in movimento. Infatti essa non presentava adeguate protezioni, esistendo in loco unicamente semplici tracce orizzontali, parzialmente cancellate dall'usura, mentre erano assenti perentori divieti di accesso ai lavoratori. Neppure veniva ritenuto imprevedibile il fatto che la lavoratrice giungesse nel magazzino passando attraverso la zona presse, risultando provato che il transito dall'esterno era impedito dall'ingombro di muletti e bancali e che il passaggio seguito dalla lavoratrice era utilizzato frequentemente anche da altri lavoratori.

Quanto al fatto, evidenziato dalla difesa, che la lavoratrice in quel giorno avrebbe dovuto trovarsi presso altra sede dell'impresa e non nel magazzino, esso veniva ritenuto irrilevante dalla Corte territoriale perchè il comportamento tenuto dalla lavoratrice non era eccedente le mansioni affidategli e perchè era usuale che ella si recasse nel magazzino.

2. Con ricorso sottoscritto personalmente dall'imputato, si denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, in relazione agli articoli 40, 41 e 45 cod. pen., nonchè manifesta illogicità e contradditorietà della motivazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

2.1. Ad avviso del ricorrente, la Corte ha dato atto dell'esistenza di due ipotesi alternative per la ricostruzione dell'accaduto ma ha al contempo ritenuto tale incertezza irrilevante, mentre - all'inverso - l'intervento del (Omissis) e la spinta data alla (Omissis) integrerebbe una causa da sola sufficiente a determinare l'evento. In ogni caso non può ritenersi provato che senza la spinta del (Omissis) l'infortunio si sarebbe ugualmente verificato e con gli effetti che si sono registrati.

Inoltre la motivazione della Corte territoriale, ad avviso del ricorrente, incorre in contraddizione laddove dapprima indica nella spinta del (Omissis) un fatto non del tutto imponderabile ed imprevedibile e poi lo qualifica come fatto per nulla al di fuori della normale prevedibilità.

Ancora, si lamenta che la sentenza non ha correttamente valutato il fatto che la (Omissis) si era recata nel magazzino non per svolgere le proprie mansioni ma per salutare un collega, di tal che questa aveva tenuto una condotta scriteriata ed abnorme, che aveva avuto decisiva efficienza causale nel determinare l'evento.

2.2. Con un secondo cumulativo motivo si deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 43 cod. pen., e all'articolo 522 cod. proc. pen. nonchè la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) e articolo 597 cod. proc. pen., ed infine la mancata assunzione di una prova decisiva. Ad avviso dell'esponente, il motivo di appello relativo alla carenza del requisito della causalità del profilo di colpa contestato e pertanto dell'elemento psicologico del reato non ha formato oggetto di motivazione della Corte di Appello.

Inoltre era stata negata la escussione del teste (Omissis), che avrebbe potuto dare utili e determinanti informazioni in ordine alla idoneità, capacità ed esperienza del (Omissis) nella movimentazione dei carrelli elevatori.

Sotto altro profilo si assume che la violazione contestata, avente ad oggetto l'omessa previsione di un percorso riservato ai pedoni, non avrebbe alcun rilievo causale In quanto "appare del tutto verosimile che, anche se vi fossero state delimitazioni dedicate ..." la (Omissis) non le avrebbe rispettate perchè non in transito ma motivata dalla volontà di salutare un collega.

2.3. Con un ultimo motivo si chiede la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, essendo stato quello commesso il (Omissis) ed essendo quindi decorso il termine di prescrizione con lo spirare del 2.10.2011.

Diritto



3. In via preliminare deve essere esplicitato che il reato ascritto al (Omissis) è prescritto. Il reato risulta commesso il (Omissis) ed il termine massimo di prescrizione è pari ad anni sette e mesi sei, sia per il regime vigente prima dell'entrata in vigore della Legge n. 251 del 2005 che per quello instaurato da quest'ultima. Quel termine è quindi decorso con lo spirare del 2.10.2011, non risultando sospensioni dello stesso.

3.1. Si deve ricordare, sulla scia di un orientamento consolidato, che in presenza di una causa estintiva del reato (come, nella specie, la prescrizione), il giudice deve pronunciare l'assoluzione nel merito solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale o la non commissione da parte dell'imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile, tanto che la valutazione da compiere in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". Ciò in quanto il concetto di "evidenza", richiesto dall'articolo 129 cod. proc. pen., comma 2 presuppone la manifestazione di una verità processuale così palese da rendere superflua ogni dimostrazione, concretandosi in una pronuncia liberatoria sottratta ad un particolare impegno motivazionale (ex pluribus, Cass., Sez. 5, 11 novembre 2003, Marcenaro; Sez. 3, 30 aprile 2003, proc. gen. App. Bari in proc. Mascolo).

Coerente con questa impostazione è l'uniforme giurisprudenza di legittimità che, fondandosi anche sull'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all'annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimità che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato ( v., di recente, Cass., Sez. 4, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri, ed i riferimenti In essa contenuti).

3.2. La declaratoria di estinzione del reato, a fronte della pronuncia di condanna in primo e secondo grado, non esime però il giudice dell'impugnazione, in ossequio al disposto dell'articolo 578 cod. proc. pen., dal decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili e, per tale decisione, è necessario ovviamente esaminare e valutare i motivi della impugnazione proposta dall'imputato (in tal senso, ex plurimis, Cass., Sez 5, 4 febbraio 1997, Coltro). In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve interamente verificare l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunciata dal primo giudice (o dal giudice di appello nel caso in cui l'estinzione del reato venga pronunziata dalla Corte di cassazione).

è infatti principio inderogabile del processo penale quello secondo cui la condanna al risarcimento o alle restituzioni può essere pronunziata solo se il giudice penale ritenga accertata la responsabilità penale dell'imputato; anche se l'estinzione del reato non gli consente di pronunziare condanna penale (v., in tal senso, la citata sentenza, Sez. 4, Pedone ed altri; Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).

4. La Corte territoriale ha effettivamente dato atto che dai materiali di prova si profilavano due ipotesi alternative per la ricostruzione dell'accaduto, dando in ogni caso preferenza ad una sola di esse (cfr. pg. 7). A siffatto giudizio non può essere sovrapposta una diversa ricostruzione del giudice di legittimità, posto che ci si trova in presenza di una motivazione analitica, puntuale, che regge ampiamente al vaglio di legittimità.

In ogni caso, correttamente la Corte territoriale ha giudicato irrilevante l'opzione per l'una o l'altra ipotesi, giacchè l'intervento del (Omissis) e la spinta data alla (Omissis) non elide il nesso causale rinvenibile tra violazioni prevenzionistiche ascrivibili al datore di lavoro ed evento illecito.

L'affermazione secondo la quale il comportamento del (Omissis) non costituisce causa che da sola possa aver determinato le lesioni patite dalla parte lesa è del tutto coerente con i principi che disciplinano il concorso di cause indipendenti convergenti verso la produzione dell'evento illecito (articolo 41 cod. pen.). L'attitudine eziologica di ciascuna causa è premessa della regola dell'equivalenza causale (altrimenti neppure si potrebbe parlare di causa); e a mitigare la rigorosità di questa viene la norma posta dall'articolo 41 c.p., comma 2. Detto in altri termini, perchè possa ritenersi interrotto il nesso condizionalistico tra condotta del trasgressore ed evento è necessario che il fattore interferente assorba per intero il processo causale. è quanto si esprime comunemente con l'affermazione per la quale la condotta del trasgressore degrada, da causa, ad occasione dell'evento. è quanto si pretende con la richiesta dei necessario carattere di eccezionalità della causa sopravvenuta (ma anche precedente o concomitante: articolo 41 c.p., comma 3). Quando invece il fattore interferente si innesti nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore conducendo al medesimo risultato che avrebbe prodotto questa o aggravandolo, il nesso causale non risulta reciso e la concorrenza causale di condotte di altri dal reo assume valore solo sul piano sanzionatorio: "sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l'evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato, sicchè non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato" (Cass. sez. 5, sent. n. 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv. 246549; Cass. sez. 5, sent. n. 15220 del 26/01/2011, Trabeisi e altri, Rv. 249967).

La Corte territoriale ha compiutamente individuato l'inosservanza di regole cautelari ascrivibile al (Omissis) (pg. 8), rispetto alle quali il comportamento del (Omissis) si pone al più quale causa concorrente dell'evento.

Resta solo da rilevare che già nella prospettazione del ricorrente non vi è alcuna contraddizione nelle affermazioni operate in successione dal giudice di secondo grado, circa il carattere "non del tutto imponderabile ed imprevedibile" della spinta data dal (Omissis), poi qualificata come fatto "per nulla al di fuori della normale prevedibilità".


In ordine al presunto carattere di abnormità del comportamento della (Omissis), consistente nell'essersi recata nel magazzino non per svolgere le proprie mansioni ma per salutare un collega, il ricorrente evoca non a proposito il concetto di comportamento abnorme, giacchè tal'è quel comportamento che presenta un carattere di eccezionalità che lo pone al di fuori dei poteri di controllo del debitore di sicurezza. Gli spostamenti dei lavoratori nelle aree costituenti o pertinenti l'azienda, anche se non richiesti dallo svolgimento dei compiti affidati e persino se in violazione di espliciti divieti datoriali, costituiscono evenienza del tutto prevedibile, che va raccordata altresì al principio di diritto per il quale il datore di lavoro è costituito garante della sicurezza del lavoratori anche rispetto alle inosservanze cautelari da questi commesse.

5. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso. Vale premettere che sussiste il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall'interessato con i motivi d'appello e dotate del requisito della decisività.

La censura secondo la quale la Corte territoriale non avrebbe dato risposta ai motivi di appello che contestavano sussistere la colpa datoriale identificata nell'aver consentito l'utilizzo del carrello elevatore ad un operaio non adeguatamente formato non ha carattere di decisività. Il principio per il quale nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione (Cass. Sez. 4, sent. n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313) importa che l'eventuale venir meno di un particolare profilo di colpa non è in grado di sovvertire il giudizio di responsabilità che risulti fondato, come nel caso che occupa, anche su ulteriori violazioni cautelari.

Altrettanto deve ritenersi per la lamentata mancata assunzione di una prova decisiva (l'escussione del teste (Omissis)), che proprio perchè avente ad oggetto l'idoneità, capacità ed esperienza del (Omissis) nella movimentazione dei carrelli elevatori non può dirsi realmente tale.

6. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio ai fini penali perchè il reato è estinto per prescrizione.

Il ricorso proposto dal (Omissis) va rigettato ai fini civili ed il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile che si liquidano in complessivi euro 2000, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.



annulla senza rinvio ai fini penali la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2000, oltre accessori come per legge.