Cassazione Civile, 29 novembre 2012, n. 21249 - Infortunio in itinere, occasione di lavoro e ipotesi di truffa nei confronti dell'Inail


 

 



Fatto





La Corte d'Appello di Perugia, con la sentenza n. 680 depositata il 14 aprile 2007, rigettava l'appello proposto da C. G. nei confronti dell'INAIL, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Perugia.

Il C. aveva adito il Tribunale esponendo di aver subito in data 18 giugno 1991 un infortunio sul lavoro, a seguito del quale aveva riportato, oltre un periodo di invalidità temporanea, postumi invalidanti permanenti.

2.1. In quel giorno si stava recando dalla propria officina meccanica ai cantieri della società P. srl per eseguire riparazioni meccaniche, ed era trasportato dal proprio fratello, M. C., a bordo del furgone Fiat Daily tg (...), allorché, giunto in località S. O. era rimasto coinvolto in un sinistro stradale con una autovettura Alfa Romeo 164, tg. (...), condotta dal proprietario G. C..

Poiché a seguito del sinistro aveva riportato un trauma cranico occipitale con possibile frattura, aveva chiesto all'INAIL l'indennizzo corrispondente, e l'INAIL aveva liquidato una rendita corrispondente all'11 per cento di inabilità; successivamente l'Istituto però aveva ritenuto insussistente l'infortunio sul lavoro, e aveva proposto querela nei confronti del ricorrente per truffa, avendo questi dolosamente tratto in inganno l'Istituto medesimo circa la natura del sinistro. sospendendo l'erogazione della rendita dall'inizio del 1994.

Il procedimento penale si era concluso con l'affermazione della insussistenza del fatto, ma l'INAIL aveva continuato a rifiutare la prestazione.

2.2. Tanto premesso, il C. chiedeva la costituzione della rendita in proprio favore con corresponsione dei ratei arretrati, oltre interessi e rivalutazione e con la condanna dell'INAIL al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alle gravi accuse di truffa.

3. Costituitosi, tardivamente, l'INAIL, contestava la domanda del C., e rilevava che il processo penale si era concluso con sentenza di patteggiamento.

4. Il Tribunale di Perugia aveva rigettato il ricorso del C..

5. La Corte d'Appello, precisava che il procedimento penale per truffa nei confronti del C., iniziato su querela dell'INAIL per avere l'assistito tratto in inganno l'Istituto falsamente circa il fatto che l'infortunio doveva considerarsi sul lavoro in itinere, si era concluso con assoluzione perché "il fatto non sussiste".

Diversamente il procedimento penale a carico di entrambi i fratelli per danneggiamento, si era conclusa con l'applicazione della pena a richiesta della parte.

Affermava, quindi, di dover accertare se l'infortunio del 16 giugno 1991 era stato o meno infortunio sul lavoro, in itinere; a fronte di risultanze processuali discordanti, la mera risultanza che il C. fosse stato assolto dall'imputazione di truffa comportava solo che era stato accertato con autorità di giudicato che truffa non vi era stata, ma ciò non significava che l'infortunio avesse dovuto considerarsi commesso in occasione di lavoro.

Riteneva la Corte d'Appello che nella fattispecie in esame, premesso che era rimasto accertato che il C. viaggiava, trasportato, a bordo del furgone del fratello, per recarsi a svolgere un lavoro presso la suddetta società, erano intervenuti una serie di fatti, non collegati all'attività lavorativa, che avevano interrotto il nesso di causalità.

Emergeva, infatti, che i conducenti dei due autoveicoli si erano avvistati ben prima dell'incidente e lo scontro era stato cercato. La circostanza che il C. patteggiava l'accusa, tra l'altro, di danneggiamento, pur non costituendo ammissione di responsabilità, era un fatto che poteva essere valutato in senso a lui sfavorevole. Né, affermava la Corte d'Appello, valeva obiettare che il ricorrente era semplicemente un trasportato sull'autovettura del fratello. La condotta posta in essere aveva interrotto il nesso causale fra occasione di lavoro e sinistro, né il ricorrente aveva dimostrato, ma neppure allegato, di avere contrastato e semplicemente non condiviso la condotta del fratello.

Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il C., prospettando due motivi di ricorso, assistiti dal prescritto quesito di diritto.

Resiste l'INAIL con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cpc.


Diritto





1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 420 cpc, dell'art. 437 cpc; omessa motivazione su un profilo decisivo della controversia.

Espone il C. che la Corte d'Appello non avrebbe neppure esaminato il motivo d'impugnazione, proposto da esso ricorrente, relativo alla tardività della produzione documentale dell'INAIL, la quale non poteva essere utilizzata né dal Tribunale, né dal giudice d'appello per formare il proprio convincimento. Ed infatti, la costituzione in giudizio dell'lNAIL avveniva ben oltre il termine di cui all'art. 416 cpc, con la conseguenza decadenza di ogni produzione e richiesta.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Occorre precisare che il vizio di violazione di legge formulato con riguardo agli art. 416, 420 e 437 cpc, è specificato, nell'esplicazione del motivo di ricorso, quale vizio di mancata pronuncia da parte della Corte d'Appello su analoga censura.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare i seguenti principi, di cui ritiene deve farsi applicazione nella fattispecie in esame.

L'onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), qualunque sia il tipo di errore ("in procedendo" o "in iudicando") per cui è proposto, non può essere assolto "per relationem" con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass., n. 11984 del 2011).

Perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell'art. 112 cpc, è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, "in primis", la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cpc, riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di "errar in procedendo" per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio "per relationem" agli atti della fase di merito, dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (Cass., n. 6361 del 2007, Cass. n. 978 del 2007).

Ritiene questa Corte che il motivo di ricorso, formulato senza specifico riferimento alla doglianza che si assume prospettata in appello, e con riferimento generica alla documentazione prodotta dall'INAIL, è inammissibile, in quanto non supera il vaglio di autosufficienza e non consente di verificare la decisività della questione prospettata.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell'arti e dell'art. 2 del dPR n. 1124 del 1965, nonché dell'art. 444 cpp e degli artt. 115 e 116 cpc. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Deduce il ricorrente che la sentenza di patteggiamento pronunciata ai sensi dell'art. 444 cpp non poteva assumere rilievo ai fini della definizione di un processo civile e ricorda l'intervenuta assoluzione con formula piena dall'imputazione di truffa. Prospetta che era onere dell'INAIL dimostrare che il C. aveva condiviso o incentivato la condotta del fratello che guidava l'automezzo, concorrendo alla causazione dell'incidente, la cui ricostruzione non poteva condividersi tenuto conto che lo stesso si verificava per colpa concorrente dei rispettivi conducenti dei veicoli.

2.1. Il motivo è fondato e deve essere accolto, per le ragioni di seguito esposte.

La sentenza impugnata dà atto che il C. era stato assolto, per non avere commesso il fatto, dall'imputazione di truffa (per avere tratto in inganno l'Istituto circa il fatto che falsamente l'infortunio doveva considerarsi sul lavoro in itinere).

Ciò quindi, escludeva una autonoma valutazione del fatto, sotto tutti i profili, nel relativo procedimento civile. Ed infatti, in virtù degli artt. 652 e 654 cpp, il giudicato penale di assoluzione (rispettivamente nell'ambito del giudizio civile di danni - nel caso dell'art. 652 cpp - e nell'ambito degli altri giudizi civili nell'ipotesi di cui all'art. 654 cpp) ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato (Cass., n. 22883 del 2007).

Tanto premesso, la Corte d' Appello, affermava di dovere accertare se l'incidente era avvenuto in itinere, se cioè sussistesse l'occasione di lavoro.

Questa Corte ha affermato, condivisibilmente, che in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l'entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000, è indennizzabile l'infortunio occorso al lavoratore "in itinere" ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell'assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell'attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo (Cass., n. 11545 del 2012, n. 3776 del 2008).

Il requisito della "occasione di lavoro" implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, in relazione al quale il lavoro assuma il ruolo di fattore occasionale, mentre il limite della copertura assicurativa è costituito esclusivamente dal "rischio elettivo", intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento (Cass., n. 2642 del 2012, Cass., n. 17655 del 2009).

La Corte di appello ha ritenuto di poter ravvisare nella fattispecie gli estremi del c.d. rischio elettivo - nel senso sopra precisato - affermando che la condotta dell'attuale ricorrente aveva interrotto il nesso causale. La decisione si fonda sulla ricostruzione degli eventi relativi alla dinamica dell'incidente, compiuta sulla base delle deposizioni dei testi C. e M.: peraltro queste risultanze non forniscono alcun elemento in ordine alla condotta di G. C., che era trasportato sull'autoveicolo guidato dal fratello M..

Nella specie, non sono in contestazione i presupposti dell'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, che attengono sia alla sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito e attività lavorativa, sia alla necessità dell'uso del veicolo privato per raggiungere il luogo della prestazione. Dunque, l'accertamento di una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento richiedeva una specifica indagine sulla condotta personale del soggetto trasportato sull'autoveicolo al fine di stabilire l'esistenza o meno di un rapporto di causalità tra la condotta stessa e il sinistro.

Tale indagine non è stata compiuta dal giudice dell'appello, e la sentenza risulta quindi affetta dal denunciato vizio di motivazione, che si traduce in violazione dei principi di diritto richiamati.

In accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza deve essere quindi cassata con rinvio al giudice designato come in dispositivo, affinché accerti, sulla base delle risultanze acquisite al giudizio, e tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati, se nella specie la condotta del sig. G. C., contribuendo al verificarsi del sinistro, abbia determinato l'interruzione del nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata.

2.2. Il ricorso, quindi deve essere accolto con riguardo al secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in ordine motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Perugia in diversa composizione.



P.Q.M.





Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo di ricorso. Cassa in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Perugia in diversa composizione.