Tribunale di Napoli, 25 settembre 2012, n. 22735 - Dequalificazione e Mobbing


 

 

 

FattoDiritto


Con ricorso depositato il 7.5.2010 il ricorrente indicato in epigrafe esponeva di essere in possesso del diploma di geometra e di essere stato assunto dalla società convenuta in giudizio con CFL a giugno 1998; che in data 1.6.2000 il rapporto era stato trasformato a tempo indeterminato; di essere stato inquadrato da dicembre 2002 nel IV livello del CCNL richiamato e a decorrere dal 1 dicembre 2004 nel III livello; di essere stato definitivamente assegnato al CPTV di Napoli, Direzione servizi immobiliari da marzo 2004; di prestare servizio da tale anno alla Direzione Acquisti e servizi - Direzione Servizi generali; che, tuttavia, dal dicembre del 1999 al novembre del 2002 aveva avuto in affidamento solo pochi incarichi lavorativi, consistenti nella progettazione di massima di alcune opere, poi realizzate da studi esterni e nell'aggiornamento di planimetrie e tabelle, aggiornamento del materiale, la creazione delle targhe per la segnaletica fuori porta; di essersi occupato dal 2003 al 2008 della contabilizzazione dei lavori di tinteggiatura secondo tariffari convenzionati. Tanto premesso, denunciando il comportamento "mobbizzante", del datore di lavoro, lamentava di aver subito danni di natura professionale, alla salute e alla vita di relazione e di aver presentato all'INAIL in data 24.11.2009 una formale denuncia di malattia professionale, senza alcun esito. Concludeva quindi chiedendo di accertare e dichiarare la illegittimità della dequalificazione subita a decorrere dal 2.1.2000 e per l'effetto ordinare alla S.p.A. di assegnare al ricorrente mansioni equivalenti a quelle svolte fino all'anno 1999 e comunque a quelle di "geometra" di III livello, con la condanna al risarcimento del danno da terminarsi in via equitativa; chiedeva inoltre di accertare e dichiarare che la patologia "disturbo dell'adattamento con umore depresso ed ansia, ad andamento cronico", valutabile nella misura del 15% o in altra da accertare, con la condanna dell'INAIL alla liquidazione del corrispondente danno in capitale; condannarsi la Ra. S.p.A. al pagamento del danno biologico differenziale, in subordine ove accertato un danno biologico tra l'1% e il 5% al risarcimento da quantificare in corso di causa, con vittoria di spese.

Nel resistere alla domanda, la società eccepiva preliminarmente la prescrizione ordinaria e quella quinquennale, facendo rilevare che all'esito del CFL le parti avevano sottoscritto il 30.5.2000 un verbale di conciliazione in sede sindacale, in attuazione del quale il ricorrente era stato assunto con decorrenza dall'1.6.2000 in qualità di geometra III livello classe retributiva 5 ex ccnl 9.5.1990; che la progressione di carriera era stata dall'assunzione in linea con la previsione del nuovo contratto collettivo (ccnl 8.6.2000) che aveva riclassificato il personale in nove livelli; che sia durante il periodo di distacco che dall'assegnazione definitiva al CPVT di Napoli il ricorrente aveva svolto compiti adeguati alla propria professionalità. Faceva inoltre rilevare che il R. si era reso indisponibile a svolgere il proprio lavoro, arrivando spesso in ritardo assentandosi frequentemente. Evidenziano inoltre la carenza di allegazioni fattuali del ricorso e l'esonero di ogni responsabilità in materia di danno biologico, concludeva pertanto per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese di giudizio.

L'INAL eccepiva l'insussistenza della copertura assicurativa e dei comportamenti "mobizzanti" e in particolare di un intento persecutorio, concludendo per il rigetto della domanda.

Con la domanda giudiziale - sia quella proposta nei confronti del datore di lavoro che quella formulata nei confronti dell'istituto assicuratore - si prospetta, in via principale, la asserita sussistenza di una condotta illecita integrante per caratteristiche e durata la fattispecie del cd mobbing ovvero, quanto meno una dequalificazione professionale.

In particolare il ricorrente deduce la potenzialità lesiva di detta condotta, esplicatasi nei fatti descritti nella narrativa dell'atto introduttivo, ritenendola quindi causativa di vari danni, distintamente qualificati e quantificati nelle conclusioni.

Ciò posto occorre pertanto, in primis, verificare se l'espletata istruttoria orale e l'allegazione documentale, consenta effettivamente di individuare tutti gli elementi connotativi del mobbing.

Come oramai risulta noto, l'istituto in esame può essere identificato con una situazione di aggressione, esclusione ed emarginazione di un lavoratore posto in essere da un capo nei confronti di un sottoposto (mobbing verticale) o dai colleghi (mobbing orizzontale), con lo specifico scopo di isolarlo e costringerlo alle dimissioni. In particolare con l'espressione "mobbing" si intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione, condotto con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile. Il fenomeno può concretizzarsi mediante vane condotte che associno: marginalizzazione dalla attività lavorativa, svuotamento delle mansioni, mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata, mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, ripetuti trasferimenti ingiustificati; prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto; prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, anche in relazione ad eventuali condizioni di handicap psico - fisici; impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie; inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro; esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale; esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo (condizioni di "costruttività organizzativa" tratte da fonti normative e giurisprudenziali).

Per tale ragione occorre far riferimento all'art. 2087 c.c. che, nella sua onnicomprensività ed elasticità, è norma idonea ad assicurare adeguato presidio alla "integrità fisica" ed alla "personalità morale" del prestatore di lavoro. Ed infatti, anche in questo campo, la disposizione codicistica assume un ruolo essenziale, connotando la condotta offensiva non in base al suo contenuto, ma in considerazione del bene protetto, giacché consente di qualificare il fenomeno come inadempimento contrattuale del datore di lavoro, con ogni conseguenza di regime giuridico in punto di prescrizione e di contenuto e ripartizione degli oneri probatori.

Essa consente anche di inquadrare il mobbing verticale come violazione di un obbligo di non fare gravante sul datore e quello orizzontale come inottemperanza del medesimo all'obbligo di fare consistente nella doverosa protezione del dipendente nei confronti della persecuzione, conosciuta o conoscibile dei sottoposti, a loro volta extracontrattualmente responsabili verso il mobbizzato.

Ad ogni modo, la responsabilità contrattuale del datore di lavoro è sempre per fatto proprio, sia nel caso di mobbing discendente, in cui la condotta dei superiori della vittima è direttamente imputabile al datore di lavoro per effetto dell'organizzazione gerarchica e del relativo potere di rappresentanza, sia nel caso di mobbing orizzontale o ascendente, in cui l'obbligo di protezione grava proprio sul datore di lavoro.

L'ampia portata dei precetti riconducibili alla clausola generale in commento impone, tuttavia, una rigorosa delimitazione dei confini concreti della fattispecie astratta, al fine di tutelare adeguatamente la certezza del diritto, la cui finalità è quella di porre i soggetti cui la norma è diretta in grado di valutare, prima di agire, la correttezza dei propri comportamenti.

Sul punto va preliminarmente evidenziato che se l'ordinamento giuridico fosse chiamato a reagire solo a quelle condotte datoriali che si traducono in dimensionamenti, in trasferimenti, in sanzioni disciplinari, in atti discriminatori, in molestie, in licenziamenti illegittimi, non vi sarebbe necessità di enucleare una fattispecie autonoma di mobbing, perché ciascuno di detti comportamenti troverebbe il suo parametro normativo in specifiche norme di protezione del lavoratore.

Senonché l' "integrità psico - fisica" e la "personalità morale" del subordinato possono essere vulnerate, invece, anche da atti del datore di lavoro che non violino alcuna tipizzata disposizione normativa, ma che diventano giuridicamente rilevanti, traducendosi in un inadempimento contrattuale, in ragione della finalità che li anima, ossia la volontà di ledere l'integrità psico - fisica e la personalità morale del lavoratore, tutelati dall'art. 2087 c.c.

In altri termini solo l'elemento soggettivo può attribuire sostanza di illecito a condotte oggettivamente lecite, trasformando singoli atti, che presi singolarmente avrebbero valenza neutra, in una sequenza comportamentale caratterizzata e avvinta dall'unicità del disegno.

In taluni casi, infatti, il datore di lavoro con un insieme di azioni ripetute nel tempo - che possono essere comportamenti conformi a legge, e quindi astrattamente privi di antigiuridicità, e/o condotte socialmente riprovevoli ma prive di una sanzione giuridica e/o atti violativi di norme e già autonomamente sanzionati - può perseguire scopi ulteriori aventi la finalità di ledere la salute e la personalità morale del prestatore. Ne consegue che gli elementi costitutivi ed essenziali dell'illecito contrattuale sono la sequenza di atti e la loro complessiva funzionalizzazione all'obiettivo, che può assumere variabile graduazione e consistenza, spaziando dalla mera intenzione di offendere, alla persecuzione mirata all'emarginazione del lavoratore, sino a giungere alle strategie finalizzate all'espulsione dall'organizzazione.

L'iter argomentativo fin qui percorso è quello sostanzialmente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità che riconduce il mobbing alla violazione degli obblighi contrattuali gravanti sul datore di lavoro, tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., alla salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore (Cass. lav. n. 6326 del 2005; Cass. lav. n. 12445 del 2006).

In altra pronuncia la Suprema Corte parla di "una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall'art. 2087 c.c.; tale illecito ... si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato" (Cass. lav. n. 1774 del 2006).

Nella sentenza la Corte Suprema, nell'avallare la pronuncia di merito che aveva escluso, con congrua motivazione, "la configurabilità di un disegno persecutorio realizzato mediante i vari comportamenti" indicati dal ricorrente, evidenzia che l'intento persecutorio va verificato "considerando l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato".

Da ultimo, significativamente. Cassazione lav. n. 22858 del 2008 definisce il mobbing come la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, c.d. eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente.

Occorre a questo punto precisare che il motivo persecutorio non consiste nell'intento meramente personale o psicologico, conchiuso nella sfera intima dell'agente, ma attiene alla coscienza dell'evento dannoso - la lesione dell'integrità fisica o morale della vittima - che è voluto e perseguito dal danneggiante.

Copiosa è la giurisprudenza di legittimità in tema della repressione delle condotte datoriali che, pur formalmente adottate nell'esercizio di poteri e facoltà riconosciuti dall'ordinamento, risultino in realtà sviate dalla causa tipica, perché animate da motivi illeciti. La casistica più numerosa si riscontra nel campo dei licenziamenti discriminatori che costituiscono specificazione della più ampia fattispecie del licenziamento viziato da motivo illecito, riconducibile alla generale previsione codicistica dell'atto unilaterale nullo ai sensi dell'art. 1345 c.c. (Cass. lav. n. 14982/2000; n. 6362/1999; n. 4543/1999; n. 3837/97; n. 4747/1995; n. 2642/1990).

Il lavoratore, gravato dell'onere di provare l'esistenza del motivo illecito, può avvalersi di un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti (Cass. lav. n. 11487/2000; n. 14753/2000; n. 3837/1997; n. 7768/1996; n. 2335/1996; n. 310/1996; n. 12759/1995; n. 8237/1994; n. 1902/1994; n. 662/1994; n. 12915/1993; n. 7656/1992).

Allo stesso modo, anche nelle ipotesi di mobbing ricadrà su parte attrice l'onere di provare l'esistenza dell'intento persecutorio con un complesso di fatti e circostanze dalla cui trarre fondato convincimento circa l'ordito psicologico dell'atto, per giungere all'illiceità del motivo posto alla sua base.

Pertanto nel mobbing discendente - in questa sede prospettato - consistente nella violazione di un divieto, grava sul dipendente dedurre e provare la persecuzione da parte del datore di lavoro e/o dei superiori gerarchici, così come avviene per i divieti di discriminazione e degli atti a motivo illecito.

Infine va evidenziato che la condotta asseritamente illecita è tale solo ove oggettivamente persecutoria, così che funge da limite esterno alla fattispecie la circostanza che gli atti mobbizzanti siano percepiti e vissuti solo dalla vittima come tali.

In tal caso, pur potendo configurarsi un danno rappresentato da una patologia in nesso causale con gli accadimenti lavorativi, non vi può essere responsabilità, giacché difetta l'inadempimento, rappresentato dal compimento di una sequela di atti aventi oggettiva efficacia lesiva ed animati dall'intento di nuocere. Esulano pertanto dal mobbing le situazioni di malessere o disagio, riferibili esclusivamente alla sfera delle condizioni e delle componenti caratteriali del lavoratore, rilevando piuttosto la sensibilità media dell'uomo comune; di modo che non qualsiasi screzio, o inurbanità, o scortesia, o persino qualsiasi maleducazione o offesa, vengono attratte nell'ambito delle tutele risarcitone, riservandosi la valutazione di illiceità alle situazioni più gravi della patologia dell'organizzazione lavorativa, depurate delle ipersensibilità soggettive.

Fatta questa necessaria premessa, nel caso di specie l'azione di responsabilità postula, avuto riguardo alle stesse allegazioni attoree, quale elemento costitutivo della domanda, il fatto che le condotte datoriali denunciate si siano tradotte in atteggiamenti vessatori preordinati alla sistematica persecuzione del ricorrente. Senonché, da un lato, dalla lettura dell'atto introduttivo del giudizio risulta di meridiana evidenza che i (pochi) fatti indicati come "episodi mobizzanti" sono stati allegati in maniera del tutto generica, peraltro senza alcun riferimento all'inquadramento temporale degli stessi ed alla loro eventuale reiterazione (cfr. pagg. vL e 12 del ricorso), nonché indifferentemente riferiti ai due superiori gerarchici, senza ulteriore specificazione.

Inoltre, all'esito dell'istruttoria espletata, deve ritenersi che il quadro probatorio indiziario emerso risulta privo dei necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza, per poter dedurre la sussistenza dell'animus nocendi.

Con specifico riferimento ai singoli episodi allegati in ricorso, essi non si sono rivelati utilizzabili perché non supportati da idoneo riscontro probatorio ovvero perché del tutto confutati (così il mancato riconoscimento di premi in denaro, la negazione di progressione contrattuale - cfr. docum. nella prod. R. - la privazione dell'uso del Plotter, cfr. test in atti).

Deve in conclusione ritenersi negativo l'esito della indagine circa la configurabilità di un intento vessatorio mediante i comportamenti denunciati nel ricorso, in molti casi riconducibili alle ordinarie dinamiche conflittuali che possono insorgere in ogni luogo di lavoro, e delle quali peraltro non sempre è agevole comprendere chi ne sia stato la causa scatenante e chi ne abbia subito l'effetto - cfr. scambio di mail in atti.

Pertanto in difetto di tutti gli altri presupposti, detta conflittualità non è automaticamente qualificabile come mobbing, anche se gli episodi denunciati vengano così vissuti e interpretati dal lavoratore.

Esclusa l'ipotesi del "mobbing", nei termini anzidetti, occorre procedere all'accertamento dell'asserito mutamento in pejus delle mansioni.

Nel caso di specie il ricorrente - assunto prima con contratto di formazione e lavoro e, alla scadenza, con contratto a tempo indeterminato con decorrenza giugno 2000 - lamenta, in particolare, di avere svolto da tale momento compiti dequalificanti ovvero di essere stato finanche privato delle mansioni svolte fino al momento della novazione del rapporto.

Senonché l'assunto attoreo non può non essere esaminato avuto riguardo alle peculiarità della vicenda lavorativa che ne occupa. Ed infatti, in primis, non può non rilevarsi che il raffronto effettuato nel ricorso tra le mansioni svolte durante il CFL e quelle successivamente disimpegnate, determina non poche perplessità, se si ha riguardo alla natura ed alla finalità del primo tipo di contratto (CFL). In altri termini, il ricorrente nel descrive le varie attività che avrebbe svolto fino all'assunzione in Ra. a tempo indeterminato, omette del tutto di considerare che le stesse sono state eseguite in regime di affiancamento e, comunque, in un periodo lavorativo finalizzato essenzialmente all'acquisizione delle necessarie competenze professionali dello specifico settore lavorativo. Ed infatti, nella descrizione di detta attività nulla è detto in merito all'ampiezza in termini qualitativi e quantitativi dell'autonomia decisionale e/o operativa, nonché della relativa assunzione di responsabilità per il lavoro eseguito.

D'altro canto non può ragionevolmente ipotizzarsi che possano essere stati affidati ad un neoassunto che, seppure munito di diploma di geometra, era privo di specifiche esperienze lavorative, al punto da richiedere un periodo di formazione (CFL), compiti di progettazione edile ed architettonica nonché di direzione dei lavori, peraltro per la manutenzione di locali di un'impresa di ampissime dimensioni come R. S.p.A.

In secundis - ma non in ordine di importanza - la prospettazione in fatto e in diritto del ricorso trascura del tutto di considerare la sottoscrizione di un verbale di conciliazione in sede sindacale, in cui il R., nell'abdicate espressamente e consapevolmente in via definitiva ad ogni eventuale pretesa di qualsiasi natura, che potesse fondarsi sulla pregressa esperienza lavorativa con CFL, ha accettato la proposta di assunzione a tempo indeterminato in R., contenuta nel medesimo verbale di accordo, che ha un'evidente e dichiarata efficacia novativa del rapporto (cfr. copia in atti).

Entro questi termini va quindi delimitato il campo d'indagine circa la denunciata violazione dell'art. 2103 c.c. che impone al datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni equivalente a quelle per cui è stato assunto. Nel caso di specie il R. è stato assunto come "geometra" livello 3.

Senonché dallo stralcio dei Contratti Collettivi Nazionali versati agli atti dalle parti processuali (nessuno dei quali tuttavia vigente all'epoca della sottoscrizione del verbale di conciliazione, dal momento che il CCNL 2000 risulta redatto come ipotesi d'accordo alla successiva data dell'8 giugno 2000) non è incluso tra i profili elencati quello di "geometra" che invece è indicato sia tra quelli del superiore II livello che tra quelli del IV e del V livello.

Sulla base del materiale allegatorio e probatorio di cui si dispone, è possibile pertanto effettuare il richiesto giudizio di comparazione unicamente con la declaratoria del III livello di cui ai contratti collettivi in vigore successivamente all'assunzione.

Essa così recita: "Appartengono a questo livello i lavoratori che con capacità ideative, creative e/o innovative, con elevata autonomia operativa, decisionale e di iniziativa, svolgono mansioni per le quali sono richieste notevoli capacità professionali acquisite mediante significative esperienze ed espletate con ampia autonomia nelle attività specifiche e/o compiti di coordinamento e conduzione del rispettivo reparto o settore (cfr. ccnl in atti).

Ciò posto, nel segnalare la evidente contiguità tra gli elementi connotativi del III livello e quelli contenuti nelle declaratorie dei livelli IV e V del medesimo CCNL, come comprovato anche dai comuni profili esemplificativi, è possibile ritenere, già solo dalla descrizione degli incarichi pacificamente svolti a seguito dell'assunzione a tempo indeterminato, che essi siano agevolmente riconducibili alla declaratoria riportata (cfr. ricorso da pag. 6 a pag. 10).

Nel ricorso infatti si parla di "rilievi esecutivi necessari ad una progettazione di massima per la riqualificazione del CPTV di Napoli"; redazione del relativo "progetto di massima" "con varianti successive", "progettazione preliminare" del trovarobato e della nuova falegnameria, previo studio di "tutte le componenti necessarie alla fattibilità dell'opera". Il ricorrente inoltre ha dedotto di essere stato incaricato del riordino" di tutte le planimetrie del Centro" (CPTV di Napoli), dell'assegnazione ad ogni vano di detto Centro di una numerazione, provvedendo, man mano che i dati venivano aggiornati, a trasmettere i grafici e i database alla S. (Ing. M.C. ed al sig. F.), ed all'aggiornamento ulteriore dei dati da trasmettere a Roma negli anni successivi; di aver ricevuto e svolto l'incarico di creare le targhe per "la segnaletica fuori porta", nonché "dal 2003 al 2008" di essersi occupato della contabilizzazione dei lavori di tinteggiatura, secondo tariffari convenzionati.

A ben vedere pertanto il R. lamenta di non aver potuto partecipare alla fase di progettazione esecutiva e alla esecuzione delle opere (ossia, presumibilmente, alla direzione dei lavori) che tuttavia non rientrano tra i compiti di un III livello; nonché di essere stato in alcuni periodi inoperoso o poco operoso, al pari del restante personale del settore edile e manutenzioni, per la scelta della società di ricorrere a ditte esterne per l'affidamento in appalto dei lavori. Tuttavia queste ultime circostanze, anche per l'assenza dei dati tecnici e contabili necessari a comprendere se i lavori di cui si parla nel ricorso potessero essere eseguiti anche con personale e mezzi di R. S.p.A. da un lato, sono espressione dell'autonomia economico - gestionale dell'azienda, dall'altro, si presentano alquanto equivoche, potendo essere, ad esempio, conseguenza della ridondanza di alcune figure professionali rispetto alle reali esigenze dell'azienda.

D'altro canto non è dato comprendere - né è stata astrattamente prospettata dalla parte alcuna verosimile argomentazione - la ragione del distacco lavorativo del R. dalla sede di assunzione (Roma) il Centro Produzione R. dal 1 dicembre 2001 al 31 maggio 2002, prorogato di sei mesi fino al 30 novembre 2002, nonché della successiva richiesta di assegnazione definitiva, inoltrata da C.C., funzionario e suo superiore gerarchico, agli uffici romani, per poi - per come assento dal ricorrente - lasciare di fatto inutilizzata la risorsa umana che non apparteneva originariamente all'organico del Centro (cfr. mail in atti).

In conclusione, le mansioni eseguite dal R., assunto come geometra della R., risultano conformi alla declaratoria del livello professionale impiegatizio, con profilo di tecnico - amministrativo sicuramente di essenziale supporto (rilievi, computi metrici, contabilizzazione dei lavori, progettazione di massima, stesure di bozze e planimetrie con autocad ecc.) ai suoi superiori gerarchici ed alle ditte cui i lavori venivano commissionati.

Inoltre non può non considerarsi che, durante il periodo lavorativo preso in esame, al R. è stata riconosciuta la progressione di carriera prevista dal CCNL di settore ad ogni biennio, che - diversamente da quanto dichiarato dal ricorrente nel libero interrogatorio (cfr. in atti) - è per contratto subordinata ad una valutazione periodica delle capacità professionali del promuovendo (cfr. CCNL assegnazione di livello dei laureati e diplomati nella prd ric.), che evidentemente nel caso di specie non è mancata, stante la pacifica e documentata progressione.

Né risulta compatibile con l'asserita inattività il riconoscimento, anche retributivo, dello svolgimento di lavoro straordinario (cfr. docum. 12 prod. Conv.), né l'erogazione di una "gratifica straordinaria" di Euro 2.100,00 in "segno di tangibile apprezzamento per l'attività da Lei svolta" (cfr. docum. 14 nella prod. conv.).

L'iter argomentativo fin qui sviluppato sulla base delle risultanze documentali appare ampiamente confermato anche dalla prova orale, espletata mediante l'escussione di quattro testimoni.

G.A., dipendente di una ditta di manutenzione presso il Centro R., ha dichiarato di aver conosciuto il ricorrente nel 2001, ma di aver avuto dei contatti lavorativi con lo stesso solo dal 2008. In particolare il teste ha chiarito che il R. da tale ultima data dà alla piccola squadra, di cui il G. fa parte (due operai), le direttive sul dove e come effettuare l'intervento, controllandone l'esito, ed ha precisato altresì che, se non è presente il ricorrente, il referente sul lavoro da svolgere è il M.

Per il periodo pregresso invece, il G. ha dichiarato di aver visto il R. girare in R. e fare dei rilevi con la collaborazione dell'operaio della ditta P., addetta alla tinteggiatura, confermando così quanto dedotto nel ricorso in relazione agli anni 2003/2008 (contabilizzazione dei lavori di tinteggiatura commissionati alla ditta in questione, sottoposti poi alla firma del superiore).

Sentito l'operaio della ditta P., C.M., questi ha precisato il ruolo del ricorrente (computo del lavoro e relativa contabilizzazione per il pagamento) confermando ancora una volta che, in questo arco temporale, tale era il compito principale del ricorrente, che successivamente invece ha assunto il ruolo di coordinatore degli operai, in luogo del M. ("... mi rapportavo al ricorrente come prima facevo con il M. ..." cfr. test in atti).

Infine, anche i testi C. e M., hanno riferito circostanze che escludono sicuramente l'asserita inattività e allo stesso tempo confermano sufficientemente il ruolo di supporto tecnico - amministrativo svolto dal geometra presso l'area Tecnologica della azienda.

Accertata l'insussistenza del dedotto inadempimento contrattuale, sia sotto il profilo del comportamento mobbizzante che del demansionamento denunciati, si appalesa ultronea ogni ulteriore considerazione e valutazione del danno lamentato. La complessità della vicenda e della interpretazione degli istituti richiamati giustifica l'integrale compensazione delle spese di giudizio.


P.Q.M.



a) rigetta il ricorso

b) compensa interamente le spese di giudizio.