Responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori in un cantiere che, nonostante fosse al corrente delle numerose trasgressioni dell'impresa, trascurò il dovere di sospendere i lavori o di effettuare un immediato controllo prima della ripresa della giornata lavorativa - Sussiste

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. Coco Giovanni Silv - Presidente -
Dott. Campanato Graziana - Consigliere -
Dott. Zecca Gaetanino - Consigliere -
Dott. Colombo Gherardo - Consigliere -
Dott. Bianchi Luisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A  /  O R D I N A N Z A

sul ricorso proposto da:
1) P.D., N. IL (omissis);
avverso sentenza del 24/03/2006 Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. campanato Graziana;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Viglietta Gianfranco;
che ha concluso per il rigetto.

Fatto  e  Diritto

P.D. veniva dichiarato dal Tribunale di Nola con sentenza emessa in data 27.1.05 responsabile del reato di cui agli artt. 113, 589 c.p., commi 1 e 2, per avere cagionato la morte di S. A., dipendente della ditta SO.CO.MET, il quale, mentre eseguiva dei lavori di copertura del magazzino all'interno dello stabilimento Montefibre S.p.A, cadeva dall'alto il giorno (omissis) e per le gravi lesioni riportate decedeva il giorno dopo.
Al P. veniva addebitato la violazione delle norme antinfortunistiche di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, per avere omesso, nella veste di coordinatore della sicurezza, di assicurare l'applicazione di dette disposizioni, pur avendo constatato la mancanza di opere provvisionali per un normale utilizzo della pensilina, nonché di una corda alla quale agganciare le cinture di sicurezza, in violazione D.Lgs. 7 ottobre 1999, art. 5.
Proposto appello, l'imputato deduceva che il primo giudice non aveva considerato che al momento del fatto non ricorreva la situazione di pericolo per l'incolumità dei lavoratori che imponeva la sospensione dei lavori; che egli aveva prescritto alla ditta SO.CO.MET. una serie di disposizioni antinfortunistiche proprio il giorno prima dell'incidente; che era stato nell'impossibilità di effettuare un controllo successivo.
In linea subordinata chiedeva la riduzione della pena e la conversione della medesima nella specie pecuniaria, con revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il P.G., appellava in via incidentale censurando l'inadeguatezza sanzionatoria e chiedeva una pena maggiormente affittiva.
La Corte d'appello di Napoli con sentenza emessa in data 24.3.06 accoglieva solo la richiesta di conversione della pena e confermava nel resto la decisione del primo giudice, affermando che anche se non era chiara la dinamica dell'incidente, era certo che lo S. era caduto dall'alto, ove stava operando in quanto si stavano posizionando i pannelli di copertura del magazzino ed uno di questi cedeva sotto il peso dell'operaio e che l'incidente sarebbe stato evitato se vi fosse stato l'imbragamento del dipendente.
Questo non era stato possibile perché mancavano i cordoli cui ancorare le cinture nelle fasi di movimento sul tetto connesse alla lavorazione, mentre quanto alla disponibilità in cantiere di caschi o cinture, queste non vennero trovate all'atto del sopralluogo dell'Ispettorato del Lavoro, come non era stato trovato il trabatello sul quale asseritamene avrebbero preso posto gli altri operai, ma le deposizioni dei testi erano nel senso di confermare tale presenza.
In particolare quanto al casco lo S. l'avrebbe perduto nella caduta perché non l'aveva correttamente agganciato sotto il mento.
Questi particolari, tuttavia, non venivano ritenuti molto rilevanti per il fatto che l'uso delle cinture era impedito dalla mancanza di cordoli e che tali situazione doveva imporre al P. la sospensione dei lavori.
Questi si era invece limitato ad indirizzare alla T.M.A., ditta appaltatrice, una nota contenente l'indicazione di alcune disposizioni da osservarsi in tema di prevenzione degli infortuni che egli stesso sollecitò fosse trasmessa alla SO.CO.MET, ditta subappaltante.
In data (omissis), vale a dire il giorno prima dell'incidente, l'imputato effettuò un controllo,a seguito della comunicazione della SO.CO.MET in ordine all'inizio dei lavori, in esito al quale riscontrò che la ditta subappaltatrice non aveva ancora predisposto i dispositivi di sicurezza previsti dalle norme e raccomandati con il precedente ordine di servizio, avendo rilevato che "alcuni operai erano privi di scarpe antinfortunistiche, elmetto, guanti e non erano protetti contro le cadute accidentali attraverso i dispositivi previsti dalla normativa".
A seguito di ciò il P. ordinava all'impresa di adeguarsi a tutte le disposizioni e raccomandazioni di cui ai precedenti ordini di servizio, rimandando alla normativa ed alle previsioni contenute nel "Piano di sicurezza del cantiere".
In particolare sollecitava la ditta ad adottare trabatelli realizzabili dal lato inferiore della copertura, debitamente stabilizzati; ad attenersi all'uso dei dispositivi di sicurezza anticaduta, predisponendo adeguati tavolati sopra le orditure e funi di aggancio ancorate alla struttura attraverso paletti di acciaio ai quali poter fissare le cinture di sicurezza.
Sollecitava la ditta destinataria di provvedere ad horas, comunicando che in caso di inadempienza vi sarebbe stata la sospensione dei lavori e la comunicazione al competente Ente di controllo.
Secondo la corte napoletana queste prescrizioni costituiscono la riprova che il P. si era reso conto delle gravi omissioni sotto il profilo della sicurezza esistenti nel cantiere in oggetto, per cui avrebbe dovuto effettuare un immediato controllo che le sue prescrizioni da adempiere ad horas fossero ottemperate e sospendere i lavori,come era suo obbligo a sensi del D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5, trovandosi di fronte ad un pericolo grave ed imminente.
Avverso detta decisione il P. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., e D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5; inoltre mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Spiegava che i lavori erano svolti al di sopra della pensilina dallo S. che provvedeva alla posa dei pannelli, mentre altri operai lavoravano dal disotto, su di un ponteggio (trabatello), sostenendo i pannelli che dovevano essere fissati sui perni. Lo S. era caduto dall'altezza di sei metri dopo avere sfondato una dei pannelli di plastica.
Muoveva due rilievi: il primo di carattere formale in quanto il contestato del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, richiamato e trascritto in sentenza sarebbe stato modificato dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 in vigore dal 18 aprile 2000, vale a dire in epoca successiva al fatto.
La norma nel testo originario, vigente a tale data, prevedeva in seguito alla sospensione non già una verifica ad opera del coordinatore, ma una comunicazione scritta dell'impresa in relazione agli adeguamenti opera. Ciò escludeva l'obbligo di un secondo controllo.
Con il secondo rilievo il ricorrente deduce l'omessa motivazione da parte del giudice d'appello in ordine alla sussistenza dell'obbligo giuridico d'impedire l'evento in violazione dell'art. 40 cpv c.p..
La corte d'Appello ha fondato la pronuncia di condanna sull'assunto che l'immediata sospensione dei lavori avrebbe scongiurato l'evento, ma non avrebbe individuato l'obbligo giuridico che imponeva tale sospensione né avrebbe l'assenza di cause sopravvenute da sole sufficienti a scagionare l'evento.
Sul primo punto la corte non avrebbe spiegato perché riteneva che sugli operai incombesse un "pericolo grave ed imminente" che ingenerava l'obbligo della sospensione dei lavori (lettera f del citato art. 5) e non si versasse invece nella situazione delle "gravi inosservanze" che imponeva solo le prescrizioni (lett. e).
Quanto all'assenza di cordolo cui agganciare le cinture di sicurezza questo contrasterebbe con le dichiarazioni dei testimoni che affermarono che il lavoro veniva effettuato con l'uso delle cinture ancorate alla struttura e che lo S. si divincolò dalla stessa per scendere dalla pensilina, per cui l'assenza dei cordoli sarebbe irrilevante dal momento che lo S. avrebbe dovuto comunque sganciare la cintura.
Inoltre la conclamata incertezza sulla dinamica del sinistro non consente di escludere che lo S. non abbia posto in essere una condotta assolutamente anomala, come un litigio con un altro operaio che sia valutabile come causa unica dell'incidente.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso la corte territoriale ha indicato le norme violate, le omissioni dell'imputato, responsabile della sicurezza e l'assenza di altre cause, in particolare relative alla condotta della vittima, da ritenersi sopravvenute e da sole incidenti nell'evento.
Lo S. lavorava sul tetto del magazzino secondo le indicazioni impartitegli e cadde per la rottura di una lastra di materiale plastico.
La corte ha preso in esame anche la dinamica dell'incidente e, pur non condividendo la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice e sottolineando l'incertezza delle emergenze in relazione ai movimenti dell'operaio immediatamente precedenti la caduta, è pervenuta ad un giudizio di sicurezza in ordine sia alla sussistenza della colpa che del nesso causale tra le violazioni addebitate e l'evento mortale.
Il giorno prima del fatto lo stesso P. aveva effettuato un sopralluogo in cantiere e riscontrato una serie di inadempienze che non ne assicuravano la sicurezza, per cui sollecitava la ditta destinataria di eseguire ad horas le modifiche necessarie, pena la sospensione dei lavori in difetto del rispetto delle prescrizioni.
Sostiene il ricorrente di non avere avuto l'obbligo di una successiva immediata verifica, né della sospensione dei lavori in quanto la situazione non integrava uno stato di pericolo grave ed imminente, ma solo una serie di gravi inosservanze.
Per altro l'infortunio avvenne a meno di ventiquattro ore dal sopralluogo per cui non vi era stato nemmeno il tempo di un successivo controllo.
Queste contestazioni non scalfiscono il ragionamento della corte secondo la quale il P., nelle sue funzioni di coordinatore della sicurezza, essendo al corrente delle numerose trasgressioni dell'impresa; trasgressioni che aveva espressamente rilevato e sollecitato ad eliminare, trascurò il dovere di sospendere i lavori o di effettuare un immediato controllo prima della ripresa della giornata lavorativa, ben sapendo che gli operai stavano lavorando sul tetto in situazioni di estremo pericolo, mancando sia la predisposizione di misure ambientali, come dispositivi di sicurezza anticaduta, tavolati, funi di aggancio, sia l'uso delle cinture personali che avrebbero consentito un movimento più sicuro sulle lastre di copertura, se ancorate ai cordoli, che mancavano.
Una tale situazione costituiva uno stato di pericolo grave ed imminente e questa valutazione è corretta,tenuto conto delle condizioni di lavoro su di un tetto precario a sei metri di altezza dal suolo.
Secondo il ricorrente il mancato aggancio sarebbe irrilevante perché l'operaio cadde in quanto si era mosso durante dette lavorazioni e si era tolta la cintura per scendere dalla pensilina. Questa ricostruzione dei fatti non si ritrova in nessuna delle due sentenze, perché in entrambe risulta la caduta per la rottura di una lastra e l'incertezza dei movimenti dello S. riguarda solo l'esatta incombenza nella quale l'operaio era impegnato nel momento della caduta, dovendosi escludere che stesse scendendo dalla pensilina.
Pertanto l'assenza dei cordoli cui effettuare l'aggancio della cintura di sicurezza costituisce un elemento determinante della colpa, come affermato dal giudice d'appello.
In ordine all'esclusione di una condotta abnorme da parte del lavoratore, unica modalità che potrebbe interrompere il nesso causale della violazione di legge con l'evento, secondo il principio più volte ribadito da questa Corte, questione che secondo il ricorrente non sarebbe stata analizzata,determinando un vizio di motivazione, la censura è del tutto generica e si limita a prospettare un'ipotesi del tutto astratta, mentre non è contestato che la vittima stesse eseguendo il lavoro cui era addetta con le modalità imposte dall'imprenditore, il che esclude in radice il problema.
Ciò premesso, il ricorso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.  Q.  M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2007