Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2012, n. 49031 - Caduta da un lucernario e ruolo di un RSPP


 

 

Responsabilità del legale rappresentante di una s.r.l. per l'infortunio occorso ad un dipendente che, incaricato dall'imputato di eseguire la pulizia della gronda posta tra una falda all'altra della copertura del deposito aziendale ad un'altezza dal suolo variabile tra m. 7.50 e m. 8.60, cadeva al suolo dopo essersi appoggiato a uno dei lucernari adiacenti il canale e così si provocava una malattia insanabile consistita in un quadro neurologico stabilizzato di paraplegia.

In particolare, veniva contestata all'imputato la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonchè l'inosservanza delle norme di colpa specifica identificata nel
Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 148, comma 2, e articolo 122 per non aver ha apprestato le difese necessarie in prossimità del posto di lavoro che impedissero lo sfondamento, da parte del lavoratore, dei lucernari in uso alla copertura del deposito aziendale, e per non aver realizzato e adottato tutte le misure precauzionali atte a eliminare i pericoli di caduta e i conseguenti rischi per l'incolumità del lavoratore.


Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.

Quanto alla pretesa responsabilità del RSPP, la Corte afferma il principio, già in precedenza dettato, secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

In effetti, dalla normativa di settore emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perchè difettano di un effettivo potere decisionale.

Essi sono dunque soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario.

Da questa prospettiva, deriva che la designazione del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare, non equivale ad alcuna delega di funzioni utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli consentirebbe di trasferirè ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori.




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 4214/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del 19/12/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Viola A.P. che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Fatto



1. - Con sentenza resa in data 19.12.2011, la Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale della stessa città del 25.2.2011, con la quale (Omissis) è stato riconosciuto colpevole del reato contestatogli in relazione all'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 41 c.p., articolo 61 c.p., comma 1, n. 3), articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, in relazione all'articolo 583 c.p., comma 2, n. 1), e in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 148, comma 2, e articolo 122 nonchè in relazione all'articolo 2087 c.c, perchè, nella qualità di legale rappresentante dell'impresa (Omissis) s.r.l., con sede in (Omissis), quale datore di lavoro di (Omissis), avendo incaricato quest'ultimo, assieme ad altri due lavoratori, di eseguire la pulizia della gronda posta tra una falda all'altra della copertura del deposito aziendale posta a un'altezza dal suolo variabile tra m. 7.50 e m. 8.60, causava la caduta di (Omissis), il quale, nel corso della lavorazione sul canale di gronda, si era appoggiato a uno dei lucernari adiacenti il canale, precipitando al suolo e così provocandosi una malattia insanabile consistita in un quadro neurologico stabilizzato di paraplegia.

In particolare, veniva contestata all'imputato la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonchè l'inosservanza delle norme di colpa specifica identificata nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 148, comma 2, e articolo 122 per non aver ha apprestato le difese necessarie in prossimità del posto di lavoro che impedissero lo sfondamento, da parte del lavoratore, dei lucernari in uso alla copertura del deposito aziendale, e per non aver realizzato e adottato tutte le misure precauzionali atte a eliminare i pericoli di caduta e i conseguenti rischi per l'incolumità del lavoratore.

Fatto commesso in (Omissis).

Con la sentenza di primo grado, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 3, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, operata la diminuzione per il rito abbreviato celebrato il (Omissis) è stato condannato alla pena di due mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, affidato a due motivi di impugnazione.

2.1. - Con il primo motivo di ricorso, l'impugnante si duole dell'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 148 in relazione all'articolo 606 c.p.p., lettera b).

In particolare, il ricorrente contesta l'applicazione, operata dai giudici del merito, dell'articolo 148 cit., il quale prevede l'adozione delle precauzioni ivi indicate in relazione all'esecuzione di lavori su lucernari, tetti, etc. e non già, come nel caso di specie, su un suolo adiacente a dette coperture (canale di gronda) assolutamente idoneo al calpestio. La casualità del contratto del lavoratore con il lucernario, pertanto, non costituiva un evento che necessitasse una preventiva verifica della tenuta della superficie, il cui adempimento doveva conseguentemente ritenersi non esigibile dal datore di lavoro.

2.2. - Con il secondo motivo di ricorso, il difensore dell'imputato lamenta l'erronea interpretazione e applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16.

In particolare, il ricorrente contesta che nel caso di specie si fosse trattato di una delega, da parte del datore di lavoro, del controllo sulla sicurezza delle operazioni lavorative, essendosi viceversa trattato dell'ordinaria esplicazione dei poteri di organizzazione dei servizi di prevenzione degli infortuni sul lavoro (di cui agli articoli 31 e 32 del Decreto Legislativo cit.), per la quale non doveva ritenersi necessario il rispetto dei rigorosi requisiti formali richiesti dal cit. art 16.

Nel caso di specie, il (Omissis) aveva correttamente provveduto ad affidare, a un soggetto dotato di sufficiente esperienza, il compito di controllare se le operazioni da eseguire tipizzassero o meno le circostanze di fatto esaminate nei documenti di sicurezza già predisposti, al fine di applicare le già previste misure di prevenzione.

Diritto



3.1. - Il primo motivo di ricorso è infondato.

L'articolo 148 del cit. Decreto Legislativo, di cui il ricorrente censura la violazione da parte della corte distrettuale, dispone che "prima di procedere all'esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva: inciso inserito dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106, articolo 85, comma 1, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta".

Nel caso di specie, la lavorazione oggetto d'esame era stata eseguita, dal lavoratore infortunato, sulla copertura di un edificio, in particolare su una striscia di calpestio ivi esistente della larghezza di circa 50 cm. posta tra due vasti lucernari in vetroresina.

In relazione a siffatta situazione, non appare ragionevolmente revocabile in dubbio che tale contesto ambientale sia esattamente quello individuato dal citato articolo 148, segnatamente nella parte in cui si riferisce a ogni forma di copertura, anche assimilabile a lucernari o tetti, che presentino profili di rischio lavorativo sostanzialmente equiparabili, se non identici tra loro.

Deve pertanto ritenersi solo pretestuosa la pretesa di interpretare l'articolo 148 cit. come riferito alle sole lavorazioni da eseguirsi su lucernari, atteso l'espresso riferimento della norma richiamata all'esecuzione di attività lavorative su coperture simili ai lucernari, ed avuto riguardo alla sostanziale assimilabilità delle caratteristiche proprie dei prevedibili rischi legati all'esecuzione delle attività lavorative su dette coperture, rispetto a quelli cui fu esposto il lavoratore infortunato nell'occasione oggetto dell'odierno esame.

3.2. - Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.

Al riguardo, al di là dell'estraneità delle circostanze di fatto richiamate dal ricorrente alle previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 31 e 32 dallo stesso invocati (relativi all'organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva), vorrà richiamare il principio già in precedenza dettato da questa corte di cassazione, secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessaire iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (cfr. Cass., sez. 4, n. 32357/2010, Rv. 247996).

In proposito, per quanto qui interessa, deve ritenersi indiscutibile che la responsabilità penale diretta del datore di lavoro (e soggetti assimilati: dirigente, preposti) per l'inosservanza delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non è esclusa ex se per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che opera, piuttosto, quale consulente in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

In effetti, dalla normativa di settore (cfr., in particolare, Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 8, commi 3 e 10; ora, Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 31, commi 2 e 5), emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perchè difettano di un effettivo potere decisionale.

Essi sono dunque soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario.

Da questa prospettiva, deriva che la designazione del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare, non equivale ad alcuna delega di funzioni utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli consentirebbe di trasferirè ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori.

Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa.

In altri termini, la designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l'istituto della delega di funzioni (cfr. ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16) e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità del datore di lavoro. Ciò, tenuto conto dei compiti e dei relativi poteri attribuiti al RSPP, tra i quali rientra l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell'ambiente di lavoro: nello svolgimento di tali compiti, peraltro, il RSPP opera per conto del datore di lavoro, svolgendo solo un' attività di consulenza nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente lavorativo, di guisa che i risultati della sua attività sono destinati al datore di lavoro, cui compete, poi, di ottemperare alle indicazioni offertegli rimuovendo le situazioni pericolose (cfr., per utili riflessioni, Cass., sez. 4, n. 6277/2007, Rv. 238750).

Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, dovendosi escludere che possa invocarsi impropriamente l'istituto della delega di funzioni in presenza - ove mai l'odierno ne fosse un caso - della mera nomina del RSPP.

4. - Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dall'imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.