Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 gennaio 2013, n. 111 - Rendita da malattia professionale (artrosi cervicale con discopatia)




Fatto




Con sentenza del 27.6 - 28.7.2006 la Corte d'Appello di Bari, in riforma della pronuncia di prime cure, condannò la R. a costituire in favore di S. P. una rendita da malattia professionale (artrosi cervicale con discopatia) per inabilità permanente del 15%, nonché al pagamento delle spese processuali del doppio grado.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, per quanto ancora qui rileva, ritenne quanto segue:

- contrariamente all'avviso del primo Giudice, doveva ravvisarsi la legittimazione passiva della parte datoriale, posto che la domanda amministrativa risaliva al 9.8.1989 e quella giudiziale al 1°.6.1992;

- sulla scorta delle risultanze di CTU, rinnovata in grado d'appello, doveva ritenersi la sussistenza dell'origine professionale della patologia denunciata, per la quale peraltro il S. aveva già ottenuto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, la R. spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.

L'intimato S. P. ha resistito con controricorso.


Diritto

 


1. Con il primo motivo, denunciando vizi di motivazione, la ricorrente lamenta:



- l'insufficienza delle argomentazioni svolte ai fini del riconoscimento della legittimazione passiva di essa ricorrente;



- l'erroneità dell'affermazione secondo cui la vicenda lavorativa del S. non era stata oggetto di contrasto delle parti, avendo per contro essa ricorrente contestato la mancanza di elementi in grado di confermare la causa lavorativa della patologia.



Con il secondo motivo, denunciando vizio di violazione di legge, la ricorrente deduce che l'art. 2, commi 13, 14 e 15 d.l. n. 510/96, convertito in legge n. 608/96, possiede un valenza derogatoria dell'art. 111 cpc, facendo seguire al trasferimento dei rapporti sostanziali controversi l'esclusione della legittimazione passiva della parte datoriale nei giudizi vertenti su prestazioni connesse a malattie professionali o infortuni sul lavoro non ancora definiti al 31.12.1995. Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge, la ricorrente deduce che:



- gli ipotetici rischi lavorativi lamentati dal S. erano rimasti semplici asserzioni senza un confronto esterno ed obiettivo, posto che la stessa CTU si era fondata unicamente sulle affermazioni dell'interessato;



- gli elementi sulla base dei quali il CTU aveva basato le proprie conclusioni ("esposizione a prolungate refrigerazioni e a repentini sbalzi di temperatura", nonché a "ripetuti microtraumatismi determinati dalle continue sollecitazioni meccaniche") non erano stati indicati nell'esposizione dell'attività lavorativa pregressa, né il CTU aveva spiegato perché la prolungata attività di macchinista avesse poi causato la patologia lamentata;



- il difetto di allegazione e prova in ordine alle condizioni in cui il lavoratore aveva operato impediva il ricorso al principio di non contestazione.



2. Il primo motivo contiene due distinte doglianze.



2.1 Quella inerente alla contestata legittimazione passiva della ricorrente è inammissibile, poiché si risolve nell'asserita violazione di norme di diritto (ed al riguardo, invero, è stato svolto il secondo motivo), cosicché tale violazione non può essere dedotta quale motivo di ricorso ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cpc, atteso che il vizio di motivazione può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme giuridiche (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 261/2003; Cass., n. 194/2002; 10922/2004).



2.2 Quella inerente alla ritenuta assenza di contrasto fra le parti in ordine alla vicenda lavorativa è infondata; il S., infatti, pacificamente, ha precisato di avere lavorato come macchinista e tale ricostruzione della sua attività lavorativa, per come svolta, non è stata contestata; diversa questione, in ordine alla quale verte, in parte, il terzo motivo, è invece se le allegazioni svolte fossero state adeguate per indicare (e conseguentemente provare) circostanze significative al fine dell'insorgenza della patologia denunciata.



2.3 In entrambi i profili in cui si articola, il motivo all'esame va pertanto disatteso.



3. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali riguardanti il personale ferroviario, a norma dell'art. 4, comma quattordicesimo, d.l. n. 510/96, convertito senza modifiche in legge n. 608/96, a decorrere dal primo gennaio 1996 tutte le prestazioni relative ad eventi verificatisi entro il 31 dicembre 1995, e ancora non definiti entro tale data, sono poste a carico dell'Inail, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia pendente alla suddetta data un procedimento volto all'accertamento del diritto del dipendente all'ottenimento di prestazioni derivanti da infortunio o malattia professionale, si verifica una successione a titolo particolare nel diritto controverso e pertanto il processo deve proseguire, a norma dell'art. 111 cpc, tra le parti originarie, senza che la Società Ferrovie dello Stato possa essere estromessa, in mancanza di consenso delle altre parti costituite, e senza necessità di chiamata in causa dell'Inail, non essendo configurabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr, Cass., 3085/99 e numerosissime successive conformi).



Da tale orientamento ermeneutico il Collegio non intende discostarsi, non ravvisando nelle argomentazioni della ricorrente elementi di giudizio che già non siano stati tenuti presenti dalle precedenti decisioni di legittimità assunte al riguardo.



Dall'applicazione di tale principio discende altresì l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso svolta dal controricorrente sul rilievo che, dopo la sentenza d'appello, l'Inail aveva provveduto ad erogare la prestazione, posto che la prosecuzione del giudizio fra le parti originarie determina di per sé la legittimazione del dante causa, nei cui confronti il processo è proseguito, ad impugnare le decisioni a sé sfavorevoli.



4. L'avvenuto pregresso espletamento da parte del lavoratore dell'attività di macchinista ferroviario è elemento pacifico fra le parti, sicché, al riguardo, neppure viene in rilievo il principio di non contestazione.



Gli elementi considerati dal CTU (sbalzi termici; microtraumi da movimento) costituiscono aspetti dell'attività lavorativa dichiarata che non necessitano di specifica allegazione e prova, perché notoriamente connessi a detta attività.



La contestazione - peraltro generica - dell'efficienza causale di tali aspetti dell'attività lavorativa rispetto all'insorgenza della patologia denunciata si risolve nella manifestazione di un dissenso diagnostico inammissibile in sede di legittimità, posto che secondo il condiviso orientamento di questa Corte, nei giudizi in cui sia stata esperita CTU medico-legale, nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni dell'ausiliario giudiziario, affinché i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducono in una inammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per l'appunto, sulla consulenza tecnica (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 10552/2003; 17324/2005; 8654/2008).



Anche il terzo motivo di ricorso, nei vari profili in cui si articola, non può quindi essere accolto.

5. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.



P.Q.M.





Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.040,00 (tremilaquaranta), di cui euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre ad accessori come per legge.