Tribunale di Milano, Ufficio del G.i.p, 17 novembre 2009 - MOG e esimente della responsabilità amministrativa ex art. 6 del d.lgs. 231/01


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il giudice per le indagini preliminari



Terminata la discussione del giudizio abbreviato nei confronti di(A) S.p.a. contumace difeso di fiducia dall'avv. ... imputata dell'illecito amministrativo dipendente dai reati di cui agli artt. 25/ter, lettere a) ed r), 5e44 Decreto Legislativo 231/01, perché si avvantaggiava dei reati di cui alle imputazioni sub C), D) consumati dal Presidente del Consiglio di Amministrazione e dall'Amministratore Delegato della società avendo la stessa predisposto ed attivato un modello organizzativo inidoneo a prevenire i reati sopra specificati.

In ... sino all'aprile 2004.



[C) Del reato p. e p. dagli artt. 81, 110 c. p., 2637 c. c. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, in concorso tra loro, ... quale Presidente del Consiglio d'Amministrazione e ... quale Amministratore Delegato di (A) S.p.A., diffondevano notizie false concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del valore delle azioni (A) e delle obbligazioni emesse da società del Gruppo; in particolare:


1. comunicavano al mercato in data 25.02.2003, l'avvenuta deliberazione di messa in liquidazione di (B) affermando, contrariamente al vero, che "il bilancio di liquidazione (B) chiuderà quindi sostanzialmente in pareggio e non produrrà ulteriori effetti economici rispetto alle svalutazioni già consolidate dalla capogruppo nella situazione trimestrale al 30 settembre 2002";


2. comunicavano al mercato, in data 10.03.2003, che "il bilancio di liquidazione evidenzia la capacità di (B) di ripagare il debito nei confronti del sistema bancario e della capogruppo (A)", circostanza non conforme al vero;


3. comunicavano al mercato, in data 30.12.2002 che "l'entrata di (F) nel capitale di (D) consente alla società di acquisire un socio finanziario in grado di sostenere lo sviluppo della società ed eventuali futuri investimenti", circostanza non conforme al vero;


In Milano, sede della Borsa s.p.a. e luogo ove avveniva la diffusione dei comunicati di cui sopra, il 30.12.2002 nonché il 24. 2 e il 10.3.2003. D) del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 2637 c.c. perché, in concorso tra loro, ... quale Presidente del Consiglio d'Amministrazione e ... quale Amministratore Delegato di (A) S.p.A., diffondevano notizie false concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del valore delle azioni (A) e delle obbligazioni emesse da società del Gruppo; in particolare nella relazione trimestrale comunicata al Mercato nel novembre 2003, indicavano un indice di bilancio (risultato operativo/valore della produzione) pari a 5,2 % anziché l'indice reale del 5,0 % specificato e presentato all'attenzione di . dalla Direzione Amministrativa della società.


In Milano, sede della Borsa s.p.a. e luogo ove avveniva la diffusione dei comunicati di cui sopra, il 30.12.2002 nonché il 24.02 e il 10.03.2003]


Persona offesa: 1) CONSOB, in persona del Legale Rappresentante pro tempore Via Isonzo n. 20 Roma, non presente difesa dall'avv. ...



ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente




SENTENZA



FATTO E DIRITTO





Il presente procedimento, celebrato con rito abbreviato, costituisce l'esito di una complessa indagine condotta dalla Procura di Monza nei confronti della società (A) e delle società da essa controllate.


L'indagine, scaturita da altri importanti filoni investigativi seguiti dalla Procura di Monza sulle turbative del mercato azionario e, in generale, sul comportamento degli operatori economici di alcuni importanti gruppi industriali e bancari, ha portato alla enucleazione di una serie di imputazioni - dal falso in bilancio all'aggiotaggio societario - a carico dei dirigenti della (A) e della controllata (B).
Il p.m. di Monza, inoltre, ha ravvisato profili di responsabilità penali a carico del socio della società incaricata della revisione del gruppo, la (C), incaricato specificamente della revisione contabile del gruppo.


Il processo, iniziato avanti al G.U.P. di Monza, è stato successivamente trasferito per competenza territoriale a Milano.


Dopo alterne vicende processuali, che non interessano ai fini della presente motivazione, i capi di imputazione originariamente indicati con le lettere A, B, E ed F venivano dichiarati estinti dal G.I.P. in sede di richiesta di archiviazione formulata dal p.m.
All'esito della udienza fissata dal G.I.P., nello stesso contesto, veniva formulata ordinanza di imputazione coatta per i capi C, D, G, H, I ed L (questi ultimi due capi sono gli illeciti amministrativi contestati a (A) e (B) ai sensi della legge 231/2001).


Questo Giudice, in sede di udienza preliminare, dopo avere stralciato il capo L e parte del capo I (illeciti amministrativi a carico, rispettivamente, di (B) e (A)) per intervenuta prescrizione dei reati presupposti, tratteneva in decisione la residua parte del capo I, riportato in epigrafe, a seguito di richiesta di definizione del giudizio con rito abbreviato non condizionato.


Questo capo, come si può verificare dagli atti, era costituito originariamente dall'illecito amministrativo dipendente dalla consumazione dei reati di cui ai capi A, B, C, D ed E, per effetto dei quali la società si sarebbe avvantaggiata illecitamente.
Dopo lo stralcio per la prescrizione di alcuni di questi reati (per cui si era già provveduto con sentenza ex art. 425 c.p.p.), l'illecito da giudicare riguarda, attualmente, l'ipotetico vantaggio che sarebbe stato conseguito dalla azienda in dipendenza dei reati di cui ai capi C e D.


Occorre quindi, in primo luogo, valutare se tali reati siano stati commessi dagli imputati persone fisiche a cui sono stati contestati e successivamente verificare se, in dipendenza degli stessi, sia stato commesso lo speciale illecito amministrativo di cui all'art. 25 ter della legge 231/2001.



Con sentenza contestuale alla presente decisione questo Giudice ha prosciolto gli imputati per il reato sub D, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., per non avere commesso il fatto.
Si riporta, sul punto, la relativa motivazione.

PROSCIOGLIMENTO PER IL REATO DI CUI AL CAPO D E CONSEGUENTE CADUCAZIONE DELL'ILLECITO AMMINISTRATIVO CONTESTATO


Il capo D della imputazione ipotizza la consumazione del reato di aggiotaggio di cui all'art. 2637 cod. civ. nella forma del c.d. "aggiotaggio informativo", consistente nel diffondere "notizie false", concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del valore delle azioni (A) e delle obbligazioni emesse dalle società del gruppo.


La norma in questione, in effetti, sanziona chiunque:
- diffonde notizie false,
- pone in essere operazioni simulate,
- pone in essere altri artifici,
. purché queste diverse modalità di azione siano idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.



Si tratta di tre possibili modalità di commissione del reato consistenti, rispettivamente, in:
- una "azione" di diffusione di notizie "false";
- una simulazione di operazioni economiche o finanziarie (cioè porre in essere una transazione solo apparente, a cui corrisponde una operazione "dissimulata" o una assenza di operazioni);
- una creazione di "artifici" (fatti apparenti, mezzi fraudolenti, inganni, menzogne).



Il caso in oggetto, secondo quanto stabilito dal capo di imputazione, riguarda solo la prima delle possibili modalità di azione, consistente appunto nel dichiarare l'esistenza di un "accadimento" in realtà del tutto inesistente.
Secondo l'accusa la prova della responsabilità degli imputati si troverebbe nell'allegato 5 della XII informativa di p.g. e sarebbe costituita da un promemoria redatto dal ... per il ... e per il ..
Alla fine dell'appunto l'imputato manifestava l'intenzione di migliorare l'indice di bilancio dal 5 % al 5,2 % chiedendosi se non fosse possibile trovare "un poco di utile da qualche parte", migliorando il risultato operativo da 107,5 milioni a 112,8 milioni.


Secondo la difesa (vedi relazione ... del 18.1.06) il dato dell'indice di bilancio pari a 5,2 % derivava dal rapporto matematico fra il risultato operativo della società (€ 113,4 milioni) e valore della produzione (€ 2169,7 mil.): il rapporto risulta in effetti 5,2265... %


Dalla analisi fornita dagli atti di p.g. e dalla stessa difesa risulta che tale "utile" venne "trovato" dai redattori della relazione trimestrale operando:
- uno storno del fondo imposte differite per 0,2 milioni;
- una rettifica in aumento della commessa n. 4148 del ... per un importo di € 5,9 milioni.



Al di là delle considerazioni sulla modestia dello scostamento, si osserva che é ben vero che la percentuale "gonfiata" del 0,2 % va misurata in termini assoluti, con riguardo alla enorme entità del giro di affari facente capo a (A), ma anche sotto questo profilo risulta che il dato in aumento era passato da 107,5 milioni a 113,4, incrementandosi di 5,9 milioni di Euro rispetto ad un fatturato di più di 2 miliardi.
A fronte di tali dimensioni di grandezza, non é pensabile che il mercato potesse essere influenzato in modo "sensibile" da una alterazione di dati del tutto marginale rispetto ai valori in gioco.
Si deve considerare che la relazione trimestrale, fra l'altro, era inevitabilmente destinata ad un pubblico specializzato e tecnicamente in grado di valutarne l'entità.


Sul piano strettamente penale si può ritenere che sussiste il ragionevole dubbio che il mercato non si sarebbe comportato diversamente se l'indice di bilancio presentato nella relazione fosse stato ridotto a 5 % invece di 5,2 %. A ciò si deve aggiungere che non appare sostenibile che gli imputati volessero, con questa lieve "correzione" dei conti, influenzare realmente il mercato, potendo ricorrere a ben altri strumenti di intervento e poteri di influenza per distorcere la realtà finanziaria del gruppo.
È ben vero che il dato risulta corretto, rispetto alla prima valutazione, proprio nei termini sollecitati dal Presidente ... , ma altro é "falsificare" i dati di bilancio (reato ormai prescritto) altro é influenzare il modo significativo, cioé "sensibilmente", il mercato.
Sulla base di queste considerazioni, non sussistendo la ipotesi di reato presupposto, deve essere dichiarata la insussistenza oggettiva del relativo illecito amministrativo contestato a
(A).



Per quello che riguarda la parte del capo di imputazione I riferita al capo C va detto preliminarmente che in data 16.11.09 questo Ufficio ha emesso il decreto disponente il giudizio contro gli imputati ... e ... ritenendo che sussistano gli elementi di prova sufficienti per sostenere la accusa in dibattimento.


Ciò posto, dato per assodato che la sussistenza dell'illecito amministrativo contestato non discende automaticamente dal riconoscimento della commissione del reato - in quanto tale conclusione equivarrebbe a ritenere operante una sorta di "responsabilità oggettiva" dell'ente per gli illeciti penali commessi dai suoi vertici - occorre valutare se sussista nel caso specifico una o più ipotesi della causa esimente dalla responsabilità amministrativa prevista dall'art. 6 legge 231/01.



In base a tale norma, come è noto:
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di
organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).



Nei (rari) precedenti giurisprudenziali di applicazione di tale norma è stato giustamente affermato dalla S.C. che la adozione del "modello organizzativo" è condizione necessaria, ma non sufficiente, per non incorrere nella responsabilità amministrativa regolata dalla legge 231 cit.
Ove il modello non sia stato adottato nei termini prescritti, infatti, l'ente risponde dell'illecito collegato al reato presupposto, a meno che non dimostri che il suo esponente apicale abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi (Cass. 36083/09 rv. 244256).
Nel caso in esame, tuttavia, il modello organizzativo era stato adottato da (A) con delibera del C.d.A. in data 29.1.2003, e quindi, anteriormente alla data di commissione dei reati indicati ai capi C1 e C2.
Solo per la ipotesi descritta al capo C3 il reato si sarebbe verificato prima della approvazione del modello organizzativo.


Per quanto riguarda il modello adottato si dà atto che la relativa documentazione é stata integralmente acquisita al fascicolo e che esso risulta minuziosamente descritto nella consulenza difensiva redatta da . con relazione 18.1.2006.



Sul piano cronologico risultano i seguenti fatti:
- nel settembre 2001, subito dopo la entrata in vigore della legge 231/01, la società avviava la procedura di implementazione del modello con delibera C.d.A. 11.9.2001;
- il 7.3.2002 la Confindustria pubblicava le linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo e il successivo 3.10.2002 una appendice a dette linee guida;
- il 29.1.2003, sulla base di queste prime indicazioni, (A) approvava il proprio modello organizzativo e il codice etico interno;
- successivamente a tale approvazione, nel dicembre 2003, il Ministero di Giustizia approvava le citate linee guida - sulla base delle quali era stato adottato il modello - con richieste di precisazioni e nel giugno 2004 le approvava definitivamente.


Sul piano della tempestività e della correttezza formale, pertanto, appare indiscutibile che (A) aveva fatto proprie le prescrizioni legislative e le direttive della confederazione industriale, anticipando di gran lunga tutte le maggiori imprese italiane del comparto delle costruzioni e delle commesse pubbliche (vedi tabella relazione ... pag. 11).


La difesa, inoltre, ha documentato che fin dal 2000, e cioè prima della entrata in vigore della nuova normativa sulla responsabilità degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro esponenti,(A) aveva adottato un sistema di controllo interno (c.d. Corporate Governance) basato sui principi del codice di autodisciplina dettato da Borsa Italiana s.p.a.
Sempre sul piano della cronologia dei fatti risulta che in data 27.3.01 il C.d.A. aveva approvato una procedura per la gestione delle informazioni riservate e per la comunicazione al mercato delle informazioni "price sensitive" in base alla quale la gestione sarebbe stata curata dal Presidente, d'intesa con l'amministratore delegato, con la avocazione agli stessi del potere di autorizzare preventivamente ed espressamente ogni rapporto con i media.


Con la approvazione del modello organizzativo la (A) costituiva l'organo di vigilanza (Compliance Officer: CO), di composizione monocratica, regolato secondo le linee guida di Confindustria.
Tale posizione veniva ricoperta dal Preposto al controllo interno nonché responsabile dell'internal auditing (si trattava perciò di un soggetto di provata esperienza e professionalità nello svolgimento del'incarico di vigilanza).
Tale figura veniva inoltre sganciata dalla sottoposizione alla Direzione Amministrazione, Finanza e Controllo e posta alle dirette dipendenze del Presidente.


Oltre alla introduzione di specifiche norme che stabilivano i flussi infornativi verso il CO, il modello approvato da (A) stabiliva degli obblighi di verifica annuale per i principali atti societari e per la validità delle procedure di controllo (tale attività era comunque il proseguimento di analoghe operazioni compiute negli anni precedenti dal responsabile dell'internal auditing).


Il modello organizzativo di (A) prevedeva, ancora, una specifica normativa interna finalizzata alla prevenzione dei diversi reati societari denominata: "Parte Speciale B", suddivisa a sua volta in vari capitoli corrispondenti al tipo di reati.


Per quanto riguarda il caso oggetto del presente giudizio, il modello, nella Parte Speciale B, dedicava il paragrafo B.5.5 alle misure di prevenzione del reato di aggiotaggio.



Il modello prevedeva, in particolare, la formalizzazione di:
- procedure interne che prevedevano la partecipazione di due o più soggetti al compimento delle attività a rischio;
- procedure di monitoraggio e controllo con la nomina di un responsabile dell'operazione;
- varie attività di formazione periodica sulla normativa;
- riunioni periodiche fra Collegio Sindacale e CO per la verifica dell'osservanza della normativa;
- procedure autorizzative per comunicati stampa, divulgazione di analisi e studi aventi ad oggetto strumenti finanziari.


La (A), in merito a tali procedure, fin dal 27.3.2001 aveva approvato un regolamento interno per la comunicazione all'esterno di documenti e informazioni "price sensitive", ivi comprese le trattative per acquisti o cessioni di assets significativi.
Secondo tale procedura la gestione delle informazioni concernenti la società e le sue controllate era rimessa al Presidente e all'Amministratore Delegato.


Sempre secondo queste norme di comportamento, ogni rapporto con la stampa e gli altri mezzi di comunicazione doveva avvenire tramite le funzioni aziendali a ciò deputate e in particolare tramite il servizio Relazioni Esterne che - in base ad una disposizione del 12.6.01 - riportava direttamente al Presidente.


Allo stesso Presidente e all'amministratore delegato erano affidati i compiti di divulgare le informazioni riservate concernenti la società e le sue controllate, nonché, in generale, tutte le informazioni "price sensitive".


Nel medesimo regolamento, comunque, si stabiliva che la divulgazione doveva avvenire in modo completo, tempestivo, adeguato e non selettivo.


A questo proposito era previsto che la procedura autorizzativa dei comunicati stampa dovesse seguire i seguenti passaggi:
1. la descrizione dell'operazione era predisposta dalle funzioni aziendali direttamente a conoscenza dei fatti oggetto di comunicazione;
2. la bozza del comunicato era redatta dalle Relazioni Esterne;
3. la versione definitiva veniva rivista e approvata dal Presidente e dall'A.D.
4. i comunicati venivano inoltrati alla stampa attraverso il sistema informatico NIS (network information system) a Borsa Italiana, CONSOB e almeno due agenzie di stampa, in ottemperanza all'art. 114 D. Lgs. 58/98 e della Guida per l'informazione al mercato di Borsa Italiana.
Prima di esaminare la questione relativa alla efficacia del modello organizzativo con riferimento al capo C e al rispetto di tale modello nella fattispecie in esame, occorre valutare la sussistenza del reato presupposto e le concrete modalità di consumazione dei fatti contestati in tale capo di imputazione.

ANALISI DEL CAPO C



Il capo C di imputazione contiene tre diverse ipotesi di reato, unificate dal vincolo della continuazione.

CAPO C1 E CAPO C2



Il capo C1 riguarda la messa in liquidazione della società controllata (B) e i riflessi di tale operazione rispetto agli effetti economici sulla capogruppo.


Agli imputati - presidente e amministratore delegato di (A) - si contesta di avere comunicato notizie false circa l'esito del bilancio di liquidazione di (B): gli imputati, secondo il p.m. ". comunicavano al mercato in data 25.02.2003 l'avvenuta deliberazione di messa in liquidazione di (B)affermando, contrariamente al vero, che "il bilancio di liquidazione (B) chiuderà quindi sostanzialmente in pareggio e non produrrà ulteriori effetti economici rispetto alle svalutazioni già consolidate dalla capogruppo nella situazione
trimestrale al 30 settembre 2002".



Il capo C2 contiene una ulteriore specificazione del reato di aggiotaggio relativo ai rapporti fra (A) e (B).
Secondo tale capo gli imputati ... e ... : comunicavano al mercato, in data 10.03.2003, che "il bilancio di liquidazione evidenzia la capacità di (B) di ripagare il debito nei confronti del sistema bancario e della capogruppo (A)", circostanza non conforme al vero.
Si tratta, all'evidenza, della medesima vicenda relativa alle previsioni sulla liquidazione della controllata (B), di cui al capo precedente.


Con il primo comunicato si affermava che il bilancio di (B), già in liquidazione, si sarebbe chiuso in pareggio.
Nel secondo, di poco posteriore, a corollario di tale previsione, si evidenziava la capacità della controllata di ripagare il debito verso banche e (A).



Dalle informative di p.g. risulta quanto segue:
1. in data 24.2.2003 (il giorno precedente il primo comunicato) la (B), società controllata da (A), era stata messa in liquidazione;
2. fin dal maggio 2001 (A) aveva concentrato in questa società il proprio ramo interno "attività varie";
3. in tale ramo risultavano incluse le partecipazioni in società controllate e collegate e altre partecipazioni minoritarie;
4. la (B), in sostanza, includeva le partecipazioni in attività che non rientravano nelle prospettive strategiche di sviluppo della società capogruppo;
5. nella stessa relazione al bilancio il liquidatore evidenziava la finalità di affidare alla (B) le attività non strategiche, la gestione del contenzioso esistente, la chiusura delle attività non operative e le commesse in via di esaurimento.


Secondo quanto risulta dalla XVI informativa di p.g., alla data del 31.12.2003 (B) contava debiti verso (A) per oltre 296.000.000 di Euro. La messa in liquidazione della società doveva essere completata nell'arco di qualche anno.


Secondo il memorandum acquisito presso uno dei funzionari di (B), nel gennaio 2002 si stimava opportuno procedere comunque alla ricapitalizzazione della società per 25 milioni di Euro, facendo assumere debiti a (A) per altri 35 milioni.


Sempre nella XVI informativa é stato riportato il contenuto di un documento interno, rinvenuto presso l'ufficio della (B), in cui si evidenziano tre ipotesi alternative per il futuro della società controllata, in relazione alle quali si sarebbero dovute iscrivere a bilancio partite diverse, a seconda che si fosse proceduto alla vendita ad una "cordata", alla liquidazione o alla continuità di bilancio. Solo nel primo caso si sarebbe dovuto iscrivere la somma di 43 milioni di Euro per "insussistenze", mentre in caso di liquidazione o di continuità si sarebbe dovuto prospettare una situazione patrimoniale meno problematica
(fg. 9 inf. cit.).



In base all'ipotesi accusatoria, la dichiarazione del 25 febbraio e quelle successivamente comunicate al mercato dai vertici societari erano false in quanto contenenti una stima di pareggio del bilancio di liquidazione contrastante con le stime redatte dallo stesso liquidatore. A riprova di ciò é stata acquisita una comunicazione del 13.3.03 alla CONSOB, da parte del presidente ... , in cui si affermava che i debiti e gli oneri di (B) - che pure erano aumentati rispetto al prospetto redatto dal liquidatore - venivano pareggiati dai "ricavi" generati dalla liquidazione, ricavi di cui non si faceva menzione nel prospetto redatto da . (vedi VIII informativa, tabella a pag. 37 con il raffronto fra il prospetto redatto dal liquidatore e la comunicazione a CONSOB).
Di particolare rilievo era la situazione dei crediti da riscuotere (466 milioni secondo il liquidatore): anche tale dato risultava in aumento nella comunicazione del Pres. ... alla
CONSOB del 13 marzo (da 466 a 497 milioni).



Da notare ancora che mentre per il liquidatore il risultato finale della liquidazione era negativo (realizzo di attività meno debiti da pagare meno costi e oneri = meno 24 milioni) nel comunicato alla CONSOB, corretti i fattori come sopra, il risultato era attivo (realizzo di attività meno debiti da pagare meno costi e oneri = più 3 milioni).

Da qui il comunicato del 25.2.03 sul "sostanziale" pareggio, smentito dai documenti interni.



Ancora da notare, in questo quadro, la sopravvalutazione dei crediti verso lo stato irakeno (120 milioni di Euro al 31.12.03, mentre l'anno precedente, causa embargo, la posta era stata valutata solo 60 milioni). Tale valutazione, secondo l'accusa, non teneva conto del perdurante stato di guerra in quel paese e risultava, a sua volta, smentita dalle comunicazioni della ... per la commessa ... in IRAQ e da quella dello studio legale ... circa la possibilità di procedere al sequestro conservativo per le cambiali sottoscritte dall'IRAK come avallante.
Secondo la ., in particolare, il credito per la citata commessa doveva considerarsi del tutto svalutato.


Anche in questo caso, comunque, la documentazione "interna" smentiva le dichiarazioni alla stampa e perfino quelle ufficiali alla CONSOB: mentre per il liquidatore i crediti realizzabili erano di 61,2 milioni, per il vertice societario erano pari all'intero valore nominale di 120 milioni.


Ne consegue che l'ammontare dei crediti inesigibili, secondo l'impostazione accusatoria, doveva essere indicato realisticamente, quantomeno, nella cifra indicata dal liquidatore (61,2 milioni su un valore di 120 milioni e non 120 milioni tout court, azzerando i fondi svalutazione crediti in bilancio: vedi capo F prescritto).


Secondo la difesa (memoria (A) s.p.a.) le informazioni fornite al mercato derivavano direttamente dai dati che emergevano dalla predisposizione del bilancio di liquidazione relativo al 2002 (approvato in data 17.3.03) e dal piano di liquidazione di (B).
Tale società, di cui era stata tentata, in un primo tempo, la vendita ad una cordata esterna al gruppo, era stata posta in liquidazione per la rottura delle trattative e per la necessità di procedere alla dismissione di attività non strategiche in essa concentrate.
Secondo il piano di liquidazione:
- (B) avrebbe pagato i crediti (A) solo dopo la estinzione delle posizioni debitorie verso banche e altri creditori;
- la chiusura della liquidazione era prevista comunque per il 2008;
- le modalità di liquidazione avrebbero generato flussi di cassa compatibili con quelli indicati nel bilancio.


Il credito verso (B) era stato comunque qualificato nel bilancio (A) come "infruttifero e postergato" (cioé posposto rispetto agli altri debiti gravanti su (B)).
Per quanto riguarda i crediti vantati da (B) verso lo stato irakeno (elemento determinante per la capacità di tale società di far fronte ai propri debiti verso (A)) la difesa ha osservato che:
- in data 22.5.2003 era cessato l'embargo come effetto della caduta del regime irakeno;
- il credito era certo in quanto costantemente riconosciuto dal governo irakeno;
- anche in costanza dell'embargo era stata incassata la somma di 178.000.000 di marchi tedeschi attraverso operazioni di sequestro giudiziale;
- lo stato irakeno era presumibilmente solvibile, soprattutto dopo l'embargo e la fine della guerra, in ragione delle note risorse petrolifere;
- l'Iraq era interessato a chiudere le partite debitorie per non subire azioni esecutive sui diritti maturati all'estero in sede di commercializzazione dei propri prodotti.
- la riscossione dei crediti verso questo debitore era stata comunque differita al 2008, entro i termini di liquidazione di (B);

- tale scelta denoterebbe l'atteggiamento prudenziale dei redattori del bilancio, in considerazione della mutata solvibilità del debitore, ma anche delle sue difficoltà;
- la previsione di incasso era comunque ragionevolmente confermata in una tempistica di medio - lungo periodo;
- il valore di mercato dei crediti non coincideva con il valore di bilancio, tutto incentrato sul presumibile realizzo (anche se non immediato) del credito oggetto di stima e quindi sulla solvibilità del debitore: ne consegue che non poteva considerarsi come prova di una falsa rappresentazione della realtà il fatto che i crediti verso lo stato irakeno erano quotati sul mercato di Londra e New York in una misura pari a solo il 30 % del loro valore nominale;
- la svalutazione dei crediti effettuata da . era da considerare una scelta discrezionale dei dirigenti di un ente diverso da (A), con finalità proprie e peculiari (trattandosi dell'assicuratore e quindi di un soggetto economico necessariamente costretto a valutazioni prudenziali circa il rischio economico di mancato pagamento);
- secondo il teste . (verbale 10.12.04) i crediti in parola non erano stati ceduti dal liquidatore di (B) in ragione della aspettativa di realizzo in termini medio-lunghi;
- la differenza fra valore "di libro" dei crediti e loro valore "di mercato" spiegherebbe la discrasia fra la comunicazione del liquidatore agli imputati in data 24.2.03 (secondo cui i crediti ammonterebbero a € 61.200.000) e quella del ... a CONSOB del 13.3.03(valore comunicato € 120.000.000).
- il Ministro degli Esteri, con nota del 9.6.03, aveva comunicato all'amministratore unicamente la impossibilità per lo Stato di intervenire nella ripresa di ipotetici negoziati sui debiti dello stato irakeno, in ragione della perdurante assenza di un governo con cui interloquire, senza che ciò avesse comportato alcuna valutazione negativa in merito al recupero dei relativi crediti.


La tesi difensiva non è convincente e non spiega il motivo per cui sarebbe stato ragionevole raddoppiare il credito realizzabile verso l'Iraq solo dilazionando nel tempo il termine di riscossione e confidando in una miracolosa ripresa delle condizioni "normali" di quello stato, quando era evidente a tutti gli analisti che la revoca dell'embargo era solo il primo passo di una cammino tortuoso e difficile (e non scontato) verso la ripresa economica e politica del paese.
Le previsioni rese al mercato erano veramente basate su ipotesi azzardate e la realtà risultava dalle comunicazioni dello stesso liquidatore.
La certezza del credito non era certo garanzia della sua realizzabilità e gli incassi parziali realizzati negli anni passati erano ben poco rassicuranti rispetto al valore totale da riscuotere.


Sul punto, comunque, la prova definitiva della non attendibilità dei dati forniti al mercato, oltre che del metodo disinvolto con cui venivano fornite le cifre relative all'andamento della società, risulta dal carteggio intercorso, dopo il comunicato del 10 marzo 2003 (capo C2), fra il Presidente ... e Borsa Italiana (in persona del Prof. .).


In data 11.3.03 il ... lamentava la diffusione di voci false e di insinuazioni che avevano portato ad una brusca caduta del titolo (A) con conseguente sospensione dal mercato borsistico per eccesso di caduta (e nei giorni successivi per eccesso di crescita).
Nei giorni precedenti l'A.D. di (A) aveva fornito dei dati sui ricavi preventivati a cui erano seguite richieste di precisazioni da parte dei funzionari della Borsa.
Nella nota dell'11.3.03 il Pres. ... dichiarava al . che la richiesta di precisazioni era arrivata mentre lui e il ... erano in volo e che pertanto gli uffici avevano risposto autonomamente. Essi, secondo, il Presidente ".non erano al corrente o non ricordavano che la richiesta di precisare una cifra dei ricavi stimati era nata dai Tuoi uffici i quali, a seguito di un nostro incontro con gli analisti, avevano appreso che l'A.D. di (A) aveva sostenuto che si attendeva in futuro una crescita media del 15 % dei ricavi. La realtà è che noi lavoriamo con l'unico operatore di mercato, lo Stato, che può permettersi il lusso di violare i contratti e pagare quando vuole. Nonostante ciò ce lo teniamo stretto, ma i nostri ricavi sono ballerini. Fu un errore da ambo le parti non tenere conto di questo fatto e lo è stato ora".


Sul punto la teste . ha riferito che la vicenda del comunicato del 10.3.03 era nata a seguito di stime fornite verbalmente dall'A.D. ... alla stampa circa i risultati del bilancio
2002 di (A).
La Borsa aveva richiesto che tali stime - secondo quanto stabilito dal regolamento CONSOB - fossero diramate al mercato con un formale comunicato (come del resto previsto dal modello organizzativo interno di (A)), ma questo non era stato emesso (causa la irraggiungibilità di Presidente e A.D.) se non nel pomeriggio e nei termini riportati nel capo di imputazione.
Il Presidente, il giorno dopo, si era lamentato con la Borsa perché i dipendenti erano stati costretti ad emettere uno "scarno" comunicato che non teneva conto delle precedenti dichiarazioni dell'A.D. circa un previsto aumento dei ricavi in misura del 15 %.


La vicenda evidenzia la totale "facilità" per i due imputati di fornire dati che influenzavano il mercato senza adeguato controllo perché:
- non era stata seguita dall'A.D. la procedura standard circa la diffusione di previsioni con formale comunicato stampa;
- il comunicato era stato elaborato frettolosamente senza alcuna seria elaborazione;
- lo stesso Presidente ammetteva alla Borsa che i ricavi previsti nel comunicato erano in
realtà "ballerini".



La vicenda dimostra che gli uffici interni di (A) erano esclusi da una effettiva partecipazione alla elaborazione dei dati da fornire all'esterno, essendo queste rimesse alla discrezione dei vertici i quali, a loro volta, diffondevano previsioni "a braccio", senza alcun rispetto per le norme del modello organizzativo e con il chiaro intento di fornire al mercato una immagine più favorevole della situazione economica del gruppo.

CAPO C3
Il capo C3 della imputazione riguarda la specifica operazione di cessione della controllata (D), previa incorporazione nella controllata (E), al fondo (F).


Secondo la imputazione, il ... e il comunicavano al mercato, in data 30.12.2002 che "l'entrata di (F) nel capitale di (D) consente alla società di acquisire un socio finanziario in grado di sostenere lo sviluppo della società ed eventuali futuri investimenti", circostanza non conforme al vero;


Il prezzo di vendita di (D) a (E) era stato valutato in 280 milioni di Euro, con una plusvalenza di 266 milioni per (A).
A sua volta (E), dopo la incorporazione di (D), sarebbe stata ceduta per il 49 % a (F) al prezzo di 39.200.000 di Euro (tale cifra rappresenta il 49 % di 80 milioni che è pertanto da considerare il valore stabilito da (A) e (F) per (E) dopo la incorporazione con (D)).
Le due operazioni (contratto fra (A) e (E) e fra (A) e (F)) erano contemporanee e si possono così riassumere:
- il prezzo di (D) sarebbe stato pagato da (E) a (A) solo in parte (per una somma pari a 182 milioni) e solo nel momento in cui (F) avesse pagato il prezzo stabilito per il 49 % di (E) (€ 39.200.000);
- il residuo pari a 98.000.000 sarebbe stato pagato dopo un anno;
- tale somma, peraltro, sarebbe stata fornita da (A) (controllante) a (E) (controllata) tramite fondi propri (per 80 milioni) e indebitamento bancario (almeno per 200 milioni: vedi allegato 8 alla XI informativa);
- il contratto era sottoposto a condizione risolutiva conseguente al mancato pagamento da parte di (F) a (A) del 49 % della società (D);
- (F) avrebbe pagato il prezzo del 49 % solo se il margine operativo della società, il patrimonio netto e la posizione finanziaria avessero raggiunto certi parametri, il cui mancato versamento avrebbe comportato un versamento a fondo perduto da parte di
(A);
- (A), nei tre anni successivi alla scadenza del periodo di lock-up, poteva porre in vendita (D) a terzi, ma assicurando all'investitore il prezzo corrisposto più un certo rendimento;
- tra (A) ed (F), inoltre, venivano stabiliti dei patti aggiuntivi (clausole "put" e "call")
- con la prima clausola si attribuiva il diritto di vendita del citato 49 % ("put") da (F) a (A) nella ipotesi in cui (D) non fosse stata quotata sul mercato regolamentato;
- il prezzo di vendita, in questa ipotesi, sarebbe stato maggiorato di un tasso di rendimento nominale annuo del 15 % e comunque parametrato in via crescente al decorso del tempo;
- con la clausola "call" si attribuiva a (A) la facoltà di riacquisto del medesimo 49 % ad un prezzo che garantiva a (F) un rendimento convenzionale; - se, infine, (A) non avesse acquistato il pacchetto da (F) in caso di esercizio del diritto di put, (F) avrebbe potuto vendere il 100 % della società allo stesso prezzo a cui avrebbe potuto acquistare (A).


Leggendo questi complessi e articolati patti negoziali si evince, in primo luogo, che la somma pagata da (E) a (A) (con fondi della stessa (A)) era di ben 200 milioni superiore al valore del pacchetto azionario di (D) oggetto di vendita a (F) (80 milioni, di cui (F) acquistava il 49 %).


In merito a questo punto va rilevato che l'operazione si configurava come finanziamento indiretto per (A) (il prezzo pagato da (E) per (D), era finanziato dalle banche tramite (A)), peraltro subordinato all'acquisto del 49 % del pacchetto di (D da parte di (F).


Le clausole, inoltre, erano chiaramente finalizzate a garantire a (F) un rendimento garantito, ma non va dimenticato che l'acquirente era un fondo di investimento e che non si trattava di un partner industriale, ma di un "partner finanziario".


Secondo l'accusa, mascherando la vera natura della transazione commerciale e attribuendo a (A) una plusvalenza inesistente (derivante dalla vendita "interna" di (D) a (E)) è stato possibile occultare la vera situazione finanziaria della società e così ottenere credito dalle banche, dopo che il bilancio al 31.12.2002 aveva chiuso con un pesante negativo.


A ciò si deve aggiungere che tale (apparente) plusvalenza compensava l'ulteriore indebitamento della (A) conseguente alla necessità di reperire i fondi da fornire a (E) per l'acquisto di (D) da se stessa.



LA TESI DELLA DIFESA



Secondo le memorie difensive (che si riassumono sommariamente e che comunque toccano gli stessi argomenti) la vendita di (D) a (E) rientrava in un più generale piano di "societarizzazione" delle articolazioni interne di (A).
Nel 2002, l'ultima di tali divisioni, quella denominata ".", era priva di soggettività giuridica e doveva pertanto essere riconfigurata in una nuova autonoma società: nello specifico, le si sarebbero dovute fondere con il know how progettuale e ingegneristico di (D) tramite la incorporazione di quest'ultima in (E).


Per quanto riguarda il finanziamento delle operazione, la difesa ha osservato che nel nuovo sistema del diritto penale societario la assistenza finanziaria per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie (cioè il fatto che (A) abbia ottenuto i finanziamenti bancari per far acquistare (D) da (E), società tutte controllate dalla stessa) ha perso qualunque connotazione delittuosa.


In merito al calcolo della plusvalenza conseguente alla vendita di (D) all'interno del gruppo, la difesa ha richiamato un parere espresso dal . in data 12.12.02 secondo cui la plusvalenza poteva essere inserita nel bilancio (A) purché corrispondesse all'effettivo valore di mercato (inteso come "valore economicamente corretto che verrebbe riconosciuto a (D) in una compravendita tra parti indipendenti") e purché fosse indicano nella nota integrativa che derivava da una vendita a una società controllata al 100 %.

Sulla scorta di tali indicazioni la (A) aveva commissionato una perizia alla compagnia . in data 15.11.02.

Il valore individuato dalla società di consulenza esterna era compreso fra 275.500.000 Euro e 291.600.000 Euro.
La plusvalenza, ovviamente, sarebbe stata integralmente stornata nel bilancio consolidato del gruppo.


La difesa ha poi affrontato la questione relativa al presunto "mascheramento" del finanziamento ad (A) con una compravendita "di facciata" (non si può definire simulata perché mancavano gli estremi dell'istituto della simulazione).


In primo luogo è stato ribadito che la vendita non è stata apparente, ma consacrata in un contratto scritto a cui non corrispondeva un diverso contratto dissimulato o un negozio negativo fra le parti (simulazione assoluta).
Si sarebbe in presenza, in altre parole, non di un contratto simulato di vendita, ma di un vero contratto di cessione d'azienda, avente però, come "causa indiretta", il finanziamento del venditore con successivo ritorno del bene solo apparentemente alienato.


Secondo la ricostruzione difensiva, una volta scorporata la ex divisione interna nella nuova società la operazione sarebbe proseguita con la ricerca di un "partner" finanziario per garantire un supporto patrimoniale e per avere un sostegno industriale, anche nella prospettiva di quotare in borsa (E) (che rimaneva comunque, si badi bene, per il 51 %, di
(A)).
Con l'entrata in società veniva riconosciuto a (F) il diritto di nominare tre consiglieri con poteri di veto in certe materie e con il divieto di entrare in società concorrenti e di trasferire la quota a terzi.


In questo quadro i due diritti reciproci di put e call avevano una funzione meramente cautelativa, collegata al mancato raggiungimento degli obbiettivi strategici prefissati (societarizzazione, quotazione in borsa) La opzione put sarebbe scattata ove la nuova compagine non avesse garantito un certo rendimento, mentre il diritto di call sarebbe stato esercitato ove la crescita della società fosse stata superiore ad una certa soglia.



ALTRE CONSIDERAZIONI



Secondo la relazione del ... (allegato 10 alla XI informativa G.d.F.) il calcolo della plusvalenza nel bilancio (A) poteva corrispondere ad un valore economicamente corretto solo se la vendita di (D) a (E) fosse avvenuta fra parti indipendenti.
Tale condizione era però contraddetta dal fatto che la vendita era avvenuta fra società controllate e con l'utilizzo di mezzi forniti a (E) dalla stessa (A) (tramite sottoscrizione di aumento di capitale e tramite finanziamenti bancari forniti dalla stessa capogruppo).


Secondo questo studio, la distribuzione degli utili derivanti dalla plusvalenza doveva tenere conto di perdite future indirettamente derivanti dalla operazione: sarebbe potuto accadere, infatti, che le perdite eventuali di (D) si sarebbero ripercosse sul patrimonio (E) (consistente nella sola partecipazione in (D)) e di conseguenza sul patrimonio(A), partecipante in (E) al 100 %.
Tale situazione, secondo il medesimo studio, non sarebbe mutata con la cessione del 49 % del capitale (D) a (F) in quanto detto investitore avrebbe goduto di un diritto di put, ". diversamente da quel che accadrebbe se la vendita di (D) fosse stata fatta ad un compratore esterno al gruppo".


Il consulente richiamava a tale proposito una comunicazione CONSOB del 19.1.1994 che raccomandava la opportunità di distribuire gli utili scaturenti da operazioni infragruppo correlandola alla realizzazione finanziaria di plusvalori.
Ancora nel novembre 2004, comunque, con una mail inviata da . di (D) ai dirigenti di (A) ... e si evidenziavano le necessità finanziarie della società con la richiesta urgente di ottenere i pagamenti dalla società controllata . s.p.a. per compensare il previsto sbilancio di più di 20 milioni di Euro (a dimostrazione dei risultati negativi della nuova società, nonostante le predette operazioni di cessione interna).


A conclusione della operazione, comunque, il risultato contabile più importante per (A) era stata una diminuzione dell'indebitamento netto, ripartito fra i diversi istituti come risulta dalla tabella di pagina 11 della XI informativa (dove si evidenziano per ogni banca le cancellazioni dei debiti con cassa proveniente da operazione (D)).


La situazione della (A) verso le banche, prima della operazione, era particolarmente delicata, al punto di indurre . a comunicare al ... che importanti istituti come . e . non erano più disposti, nel settembre 2002, a effettuare altre erogazioni o concedere fideiussioni (necessarie per lavori strategici quali .).


Da ultimo si deve osservare che i termini stessi della vendita a (F) evidenziano la "anomalia" della operazione: in caso di esercizio delle opzioni put e call, infatti, il prezzo di riacquisto per (A) era già fissato in quello della precedente vendita a (F) (39,2 milioni) oltre interessi al tasso nominale annuo del 15 %.


Queste considerazioni inducono a ritenere che - pur con la necessità di compiere un approfondito vaglio dibattimentale delle prove indicate dal p.m. - sia sostenibile la accusa in giudizio in base agli elementi fin qui esposti.


Per quanto riguarda invece la correttezza dei comportamenti tenuti dagli imputati rispetto al modello organizzativo, si osserva che nel comunicare l'operazione al mercato non si è dato conto della reale finalità della stessa e della effettiva situazione del gruppo.
Il comunicato appare frutto della necessità di fornire al mercato una informazione incompleta e non veritiera, contraddicendo le raccomandazioni provenienti dal consulente circa la necessaria prudenza nella utilizzazione della plusvalenza (subito utilizzata come cassa per coprire i debiti con le banche).



CONSIDERAZIONI SULL'ILLECITO CONTESTATO AD (A)
Fin qui si è cercato di ricostruire il quadro dei fatti in cui deve essere inserito l'illecito contestato a (A) con riferimento al capo C della originaria imputazione ai vertici della azienda ... e
Occorre ora verificare se - pur sussistendo gli estremi per disporre, come è già avvenuto, il rinvio a giudizio degli imputati per il reato di aggiotaggio - possa essere applicata la causa di esenzione dalla responsabilità di cui all'art. 6 legge 231/06.


La prima considerazione da fare è che (A), come si è illustrato in precedenza, aveva tempestivamente adottato il modello organizzativo previsto dalla legge 231/01 nei termini stabiliti e secondo le linee guida indicate da Confindustria.


Il modello, inoltre, è stato adottato prima della commissione degli illeciti contestati agli imputati, tranne che per il comunicato del 31.12.02, commesso circa un mese prima dell'adozione del modello. In merito a questo fatto, comunque, si osserva che a quella data era già stata avviata la procedura di adozione del modello e che in ogni caso la società aveva già autonomamente adottato un proprio codice di autodisciplina sulla base dei principi dettati da Borsa Italiana s.p.a. Oltre a ciò si deve considerare che il CO nominato il 29.1.03 in base al modello organizzativo era lo stesso soggetto già in precedenza nominato come responsabile dell'internal auditing.


Queste considerazioni evidenziano la volontà della società - giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati - di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività quasi senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni (sul punto vedi relazione ... pag. 11).


In merito alla efficacia del modello organizzativo va tenuto conto che non vi erano praticamente precedenti in materia - se non forse a livello di multinazionali straniere - e che la nuova normativa era una novità assoluta per la giurisprudenza e la dottrina nazionali, posto che la novella del 2001 aveva introdotto per la prima volta nell'ordinamento dello Stato il concetto di responsabilità diretta degli enti per gli illeciti penali commessi dai loro dirigenti e amministratori.
Questa considerazione appare doverosa in quanto - pur trattandosi indiscutibilmente di valutazioni relative a illeciti amministrativi e non a illeciti penali commessi da persone fisiche - è evidente che anche nel giudicare la responsabilità della società, per non cadere in una sorta di "responsabilità oggettiva" degli enti, occorre verificare la efficacia del modello con valutazione "ex ante" e non "ex post", rispetto agli illeciti commessi dagli amministratori.
Del resto, non avrebbe senso ritenere inefficace un modello organizzativo per il solo fatto che siano stati commessi degli illeciti da parte dei vertici della persona giuridica, in quanto ciò comporterebbe, ovviamente, la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell'art. 6 legge 231/01. Occorre, in altre parole, stabilire se, prima della commissione del fatto, fosse stato adottato un corretto modello organizzativo e se tale modello, con valutazione ex ante, potesse considerarsi efficace per prevenire gli illeciti societari oggetto di prevenzione.


Nel gennaio del 2003 gli unici modelli noti erano quelli derivanti dalla esperienza dei codici di autodisciplina e, come si è detto, (A) aveva da tempo già fatto proprio il codice suggerito da Borsa Italiana: ne consegue che l'ente non poteva ritenere inefficace, ai fini della prevenzione, ciò che era stato suggerito dalla maggiore istituzione finanziaria del paese.


Un altro dato da valutare è quello relativo alla efficacia del modello rispetto al reato di aggiotaggio.
Nel modello di (A), come si è detto, la responsabilità delle comunicazioni "price sensitive" era attribuita al presidente e all'amministratore delegato, e cioè, proprio agli ipotetici autori del reato per cui si procede con rinvio a giudizio.
Tale scelta non appare discutibile sul piano della efficacia in quanto adottata, come si è detto, in base alle linee guida di Confindustria.
A prescindere da questa considerazione si osserva, tuttavia, che non appare ipotizzabile un modello diverso in quanto non si vede come fosse possibile attribuire ad altre persone il compito di manifestare all'esterno dell'ente le notizie relative allo stato della società.


Il modello, del resto, prevedeva che i rapporti con la stampa e i mezzi di comunicazione fossero comunque gestiti da uno specifico reparto e che la divulgazione dovesse essere in ogni caso completa, tempestiva, adeguata e non selettiva.


La questione, in realtà, non era quella di attribuire ad un qualche organo interno, diverso dai dirigenti, il controllo delle informazioni perché tali notizie, per la loro natura riservata, non potevano non essere demandate ai soggetti che avevano la responsabilità strategica della gestione della società.


Il modello, invece, ribadiva con forza l'essenziale dovere, per gli organi di vertice, di rispettare la più rigorosa deontologia professionale nel diffondere notizie destinate al pubblico degli investitori e agli altri operatori del mercato: completezza, tempestività, adeguatezza e non selettività dei dati da comunicare.


Il procedimento interno di formazione dei comunicati stampa, prevedeva, comunque:
- la predisposizione da parte delle funzioni aziendali coinvolte;
- la formazione di una "bozza" da parte delle Relazioni Esterne;
- la approvazione da parte del presidente e dell'A.D.


Come si vede, era comunque prevista un procedura che coinvolgeva più soggetti e nell'ambito della quale spettava ai vertici la approvazione finale dei comunicati.


Circa il comportamento dei vertici di (A) nelle vicende oggetto di giudizio occorre premettere una osservazione di fondo che vale come constatazione di un modo di operare assolutamente censurabile.
Come si è potuto constatare in relazione ai fatti di cui al capo D, il Pres. ... aveva inviato un promemoria al . chiedendogli di reperire un dato migliore per l'indice di bilancio già predisposto, così inducendolo a "forzare" gli elementi di valutazione a sua disposizione per migliorare, con una operazione cosmetica, l'andamento della società.


La vicenda, pur irrilevante sul piano penale, evidenzia un metodo interno di formazione delle informazioni del tutto contrario ai principi stabiliti nel modello organizzativo in quanto il dato da comunicare non era quello elaborato dagli uffici preposti, ma quello, non veritiero, "imposto" dal vertice al funzionario.


La procedura seguita costituisce pertanto una palese elusione del modello e appare dettata proprio dalle finalità che si volevano evitare con il modello, e cioè, la creazione di notizie false.


Queste considerazioni possono essere ripetute per le vicende descritte ai capi C1 e C2 (rapporti fra (A) e (B) in liquidazione).


Anche in questo caso i comunicati emessi dai dirigenti di (A) non tenevano in alcun conto i dati concreti elaborati dai tecnici della società e in particolare:
- la stima del ... che nel suo memorandum aveva richiamato la necessità di ricapitalizzare la (B) tramite un ulteriore indebitamento di (A);
- le stime del liquidatore circa l'andamento delle riscossioni e dei pagamenti nel periodo susseguente alla messa in liquidazione.


A posteriori, invece, le previsioni negative erano state corrette dal Pres. ... con una specifica comunicazione al presidente alla CONSOB in cui si affermava che il bilancio di liquidazione si sarebbe chiuso in pareggio.


Sul punto, inoltre, si richiama quanto accertato dalla p.g. a seguito di acquisizione della documentazione interna di (B), da cui risultano per iscritto le diverse "opzioni" contabili a seconda che si fosse proceduto a vendita, liquidazione o continuità.


Solo in caso di vendita sarebbero dovute apparire "insussistenze" per 43 milioni euro, ma questo dato sarebbe stato omesso nel caso, poi verificatosi, di liquidazione.


Anche in questo caso si è in presenza di un metodo di formazione della contabilità e delle relative informazioni esterne affidato alla pura e semplice convenienza di immagine e senza alcun controllo di veridicità da parte degli organi interni preposti al settore, controllo e verifica delle informazioni previste, invece, nel modello organizzativo.


Ciò dimostra che i comunicati indicati nel capo d'accusa, e in particolare quello del 25.2.03, sono stati frutto della iniziativa unilaterale dei vertici societari, senza seguire la corretta procedura di formulazione del giudizio attraverso la necessaria istruttoria tecnica da affidare agli organi addetti alla gestione della società.


Anche la valutazione del credito realizzabile nei confronti dello Stato irakeno appare frutto di valutazioni di comodo e non di una seria analisi interna che tenesse conto di tutte le variabili politiche e finanziarie del caso.


Sul punto si evidenziano le differenze riportate nella VIII informativa della G.d.F. a pag. 22 fra il "memorandum" proveniente da ... e le informazioni fornite da ... a CONSOB in data 13.3.03.
Il valore dei crediti verso l'Iraq, stimato dal memorandum interno in 61,2 milioni Euro su un valore nominale di 120, passava tranquillamente alla cifra tonda di 120 milioni Euro con la precisazione che "le previsioni del liquidatore portano a considerare tale credito previsionalmente appostabile".


Come è facile constatare, la informazione esterna non tiene in alcun conto del vero dato "interno": lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un "desiderio" e non di un riscontro ed oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenza verso i risparmiatori.


Al contrario, a dimostrazione del fatto che il modello organizzativo era conosciuto e osservato dai funzionari interni, si può citare la testimonianza del ., direttore finanziario dal novembre 2004, che ha riferito di avere sempre trasmesso alla società di revisione la lettere di attestazione di completezza e veridicità sui dati di bilancio trattati (verbale deposizione al p.m. 2.9.05).


La elusione del modello è evidente nella scelta di non seguire il corretto iter di formazione delle valutazioni, "by-passando" l'attività e gli studi degli uffici.


Il fatto emerge ancora, in tutta la sua chiarezza, nella citata vicenda del carteggio fra il Presidente ... e Borsa Italiana, con la precisazione del Presidente che i ricavi indicati dall'A.D. erano in realtà "ballerini" e che gli uffici non erano stati in grado di fornire le precisazioni richieste.


La vicenda dimostra che il modello organizzativo era corretto nel prevedere il concorso degli uffici nella predisposizione di informazioni delicate, quali quelle relative ai ricavi futuri prevedibili, ma che era stato eluso dai vertici della società i quali - come nel caso in esame - avevamo fornito informazioni alla stampa seguendo un iter anomalo e comunque contrario al regolamento CONSOB, salvo poi ammettere a posteriori che era stato un "errore" non tenere conto di determinati fattori (quali i ritardi dello Stato nei pagamenti) nella formazione dei ricavi.


Per quanto riguarda il capo C3 risulta palesemente provata la elusione delle norme di comportamento contenute nel modello organizzativo in quanto il comunicato emesso dagli imputati era certamente incompleto, non contenendo alcun accenno:
- alle effettiva finalità della cessione;
- alla situazione finanziaria del gruppo che richiedeva l'urgenza di "fare cassa" per pagare le banche;
- alla opportunità di inserire una plusvalenza nel bilancio della capo gruppo.
Si tratta di informazioni incomplete e del tutto superficiali non corrispondenti alla realtà dei
fatti.



Anche in questo caso la violazione di una delle norme del modello (l'obbligo di fornire informazioni complete e veritiere) è la conseguenza del mancato rispetto delle procedure interne - consacrate nel modello - che affidavano agli uffici della società preposti alle valutazioni finanziarie e allo studio delle operazioni di mercato la elaborazione dei comunicati da sottoporre ad approvazione dei vertici societari.


Se si fosse seguita la procedura prevista dal modello sarebbe stato impossibile per gli imputati attuare il loro proposito di "rassicurare" il mercato e di "abbellire" il bilancio della (A) in danno degli investitori.


Per tutti questi motivi si ritiene che i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato.

La società deve essere pertanto dichiarata non punibile ex art. 6 legge 231/2001.

P.Q.M.





Visto l'art. 530/2 c.p.p.

assolve
la (A) s.p.a. dall'illecito ascrittogli con riferimento al capo D perché il fatto non sussiste e con riferimento al capo C perché non punibile ai sensi dell'art. 6 D. Lgs. 231/01.


Alla redazione dei motivi si provvederà, sussistendo le condizioni di cui al comma 3 dell'art. 544 c.p.p., non oltre il sessantesimo giorno da oggi.

Così deciso in Milano il 17 novembre 2009