Responsabilità in seguito ad infortunio mortale di un dipendente - Omissione del responsabile dei lavori per non aver controllato che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori svolgesse il proprio compito ed anzi per essersi sostituito a lui pur essendo privo delle necessarie competenze - Responsabilità del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori per aver omesso di aggiornare il piano di sicurezza quando necessario e per aver omesso di controllare il rispetto del preesistente piano - Sussistono

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. DE GRAZIA Benito Romano - Consigliere -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) C.G., N. IL (OMISSIS);
2) M.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 12/10/2004 CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.
BRUSCO CARLO GIUSEPPE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MELONI Vittorio
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Uditi i difensori Avv.ti:
- ANGIOLILLO Giuseppe per C.;
- ORECCHIA Paolo, per M., i quali hanno chiesto l'accoglimento
dei ricorsi rispettivamente proposti.
La Corte:



Fatto Diritto

1) La Corte d'Appello di Brescia - giudicando sull'appello proposto da C.G. e M.A. contro la sentenza 21 gennaio 2003 del Tribunale di Mantova che li aveva condannati alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno per il delitto di omicidio colposo in danno di F.L. - ha, con sentenza 12 ottobre 2004, confermato la sentenza di primo grado.
La Corte di merito ha così ricostruito i fatti cui si riferisce il presente processo che ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi in (OMISSIS).
La latteria sociale San Sebastiano, sita nella località indicata, aveva incaricato la ditta di cui era titolare M.M. (separatamente giudicato) di lavori di ampliamento e ristrutturazione del locale destinato a magazzino di deposito dei formaggi; per lo svolgimento di questa attività erano stati nominati, dal committente, C. coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori e M.A. responsabile dei lavori presso il cantiere.
L'operaio F.L. e il suo collega C.A. erano stati incaricati di abbattere, ad un'altezza di circa dieci metri dal suolo, alcuni metri quadri di una parete che divideva il vecchio magazzino da quello nuovo appena costruito per ampliare una preesistente apertura destinata a consentire l'aerazione dei locali.
Per compiere questa operazione avevano costruito, sulla sommità del ponteggio, un ponte "a sbalzo", una sorta di mensola priva di parapetto destinata a raccogliere i calcinacci che altrimenti sarebbero caduti su una controsoffittatura non portante sita nella parte vecchia dell'edificio. Mentre stavano procedendo alla raccolta dei calcinacci F.L. cadeva al suolo subendo lesioni che ne cagionavano la morte.
I profili di colpa nei confronti dei due imputati oggi ricorrenti sono stati dai giudici di merito, in sintesi, così accertati: a C. è stato addebitato di aver omesso, quando si è creata la necessità di ampliare l'apertura già esistente, di aggiornare il piano di sicurezza e di coordinamento pur essendosi creata una situazione del tutto diversa da quella iniziale (demolizione in altezza e non a terra; apertura nel muro che rendeva inidoneo alla protezione il preesistente ponteggio; necessità di predisporre una protezione contro la caduta dei calcinacci) e di avere omesso di controllare il rispetto del preesistente piano che prevedeva regole di fatto non rispettate sui lavori in altezza (in particolare l'uso delle cinture di sicurezza).
A M., direttore dei lavori, è stato invece addebitato di non aver controllato che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori svolgesse il proprio compito ed anzi per essersi sostituito a lui pur essendo privo delle necessarie competenze (essendo laureato in agraria).

2) Contro la sentenza della Corte bresciana hanno proposto ricorso entrambi gli imputati.

a.) C.G. ha dedotto anzitutto, come primo motivo di ricorso, la mancanza e illogicità della motivazione, nonchè violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 e dell'art. 40 c.p., per aver erroneamente ritenuto che la sopravvenuta esigenza di ampliare il foro di aerazione del magazzino richiedesse un adeguamento del piano; questo adeguamento è infatti necessario quando si creino nuove tipologie di rischio e non quando i nuovi interventi richiedano, come nella specie, le medesime modalità tecniche e gli stessi presidi antinfortunistici; tanto è vero che il piano redatto successivamente era identico a quello originario.
Nei motivi vengono poi riportati i principi affermati in tema di causalità omissiva dalle sezioni unite nella sentenza Franzese e si censura la sentenza impugnata per aver omesso ogni valutazione in merito all'incidenza causale delle violazioni addebitate al ricorrente sul verificarsi dell'infortunio.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto il medesimo vizio con riferimento all'addebito nei confronti del ricorrente di essersi reso inadempiente all'obbligo di assicurare l'osservanza del piano da parte dell'appaltatore e sull'incidenza causale di questa omissione sul verificarsi dell'infortunio. Secondo il ricorrente - pur essendosi l'infortunio verificato prima delle modifiche apportate (dal D.Lgs. n. 528 del 1999) al D.Lgs. n. 494 del 1996 - devono applicarsi al caso in esame le nuove disposizioni, in quanto più favorevoli all'imputato, ed in particolare il nuovo disposto dell'art. 5 che non prevede più l'obbligo di "assicurare" ma solo quello di "verificare" - l'applicazione delle disposizioni impartite da parte degli appaltatori.
Sulla negata idoneità di M. osserva il ricorrente che la sua qualifica personale lo rendeva idoneo a rivestire la qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori e comunque il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 7, legittima il responsabile dei lavori a sostituire in qualsiasi momento il coordinatore per l'esecuzione.
Quanto all'efficacia causale degli elementi di colpa ravvisati si evidenzia nel ricorso che, se anche il ricorrente si fosse recato in cantiere all'inizio dei lavori, non avrebbe potuto impedire il verificarsi dell'incidente perchè il problema dell'ampliamento del foro non si era ancora posto.

b) M.A., con il ricorso da lui preposto ha dedotto, con il primo motivo, la violazione dell'art. 522 c.p.p. nonchè omessa motivazione.
Dopo aver premesso che già il giudice di primo grado aveva escluso la sua responsabilità per aver fatto costruire il ponteggio e il ponte a sbalzo con le inidonee caratteristiche già ricordate il ricorrente rileva che la sua responsabilità è stata ritenuta per aver omesso di controllare l'opera del coordinatore senza che questa condotta gli fosse mai stata contestata e senza che gli fosse stato consentito di difendersi da questa accusa.
Con il secondo motivo si deduce "omessa o insufficiente motivazione" per non avere, la sentenza impugnata, fornito alcuna risposta alle censure contenute nell'atto di appello nelle quali si evidenziava che l'accesso di C. al cantiere nella giornata in cui si è verificato l'infortunio non avrebbe impedito il verificarsi dell'evento e comunque difetterebbe, nella sentenza impugnata, ogni motivazione sull'efficienza causale degli asseriti addebiti del ricorrente sul verificarsi dell'evento.

c) Il difensore di M., con atto depositato il 15 settembre 2006, ha presentato motivi nuovi ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4, deducendo anzitutto la contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata con riferimento alla deposizione di C.A. che aveva riferito che la mensola a sbalzo era stata realizzata dopo la pausa del pranzo del giorno dell'infortunio per cui la presenza di C. al momento dell'inizio della demolizione (al mattino) non avrebbe avuto alcuna efficienza causale.
Con il secondo motivo nuovo il ricorrente rileva che, dopo la modifica dell'art. 533 c.p.p., deve a maggior ragione ritenersi non raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la presenza di C., il giorno dell'incidente, avrebbe consentito di evitare il verificarsi dell'incidente.
3) Preliminare appare l'esame degli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori e del responsabile dei lavori nonchè dei rapporti tra le due figure professionali.
Va premesso che queste due figure professionali sono state per la prima volta organicamente disciplinate dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva 92/51 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili).
In particolare il testo normativo ha consentito, tra l'altro, di dare concreta attuazione, nel settore indicato, alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, comma 2 che prevede un obbligo di cooperazione e coordinamento tra appaltante e appaltatore nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione la cui promozione, per il comma 3 di questa norma, incombe sul datore di lavoro committente (obbligo escluso soltanto nel caso previsto dall'art. 7, comma 3, u.p. ricordato che esclude l'obbligo per il datore di lavoro committente per i "rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi").
Il D.Lgs. 494, art. 2 così definisce le due figure professionali:
responsabile dei lavori è il "soggetto incaricato dal committente per la progettazione o per l'esecuzione o per il controllo dell'esecuzione dell'opera"; dopo le modifiche introdotte ad opera del D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 (modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494) i compiti del responsabile dei lavori sono così descritti: "soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione o della esecuzione o del controllo dell'esecuzione dell'opera".
Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è il coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera.
Si tratta del ""soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'art. 5".
Dopo le modifiche del 1999 anche i compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti e attualmente è definito il "soggetto, diverso dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice, incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 5".
In base all'originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5 al coordinatore per l'esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art 3, comma 4 ) era attribuito l'obbligo di "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro" (lett. a) e quello di "adeguare i piani di cui agli articoli 12 e 13.... in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute" (lett. b).
Questa formulazione è mutata con l'entrata in vigore del D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell'art. 5 originario attribuendo al coordinatore per l'esecuzione dei lavori (tra le altre modifiche che non interessano) i compiti di "verificare" (e non più "assicurare") l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 (lett. a) e quello di "adeguare il piano di sicurezza e coordinamento..... in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute".
Anche i compiti del responsabile dei lavori sono stati mutati con la novella del 1999 perchè questa figura professionale resta responsabile non già della verifica dell'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 4 e 5 (come previsto dall'art. 6 nel testo originario) ma, per quanto qui interessa, della verifica che il coordinatore per l'esecuzione adempia ai compiti previsti dal solo comma 1 lett. a dell'art. 5 (applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza) ma non più di quelli previsti dalla lett. b (verifica dell'idoneità del piano di sicurezza e della necessità di adeguarlo).
4) Sul problema delle differenze tra le normative ricordate va preliminarmente affrontato il problema di quale sia la normativa applicabile al caso di specie - essendo l'infortunio avvenuto nella vigenza dell'originario testo normativo di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996 e prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 528 del 1999 - anche perchè uno dei motivi di C. è fondato sulla premessa dell'applicabilità della nuova normativa.
Il giudice di primo grado ha ritenuto, esaminando la posizione di M., che il D.Lgs. n. 528 del 1999 abbia limitato i compiti del responsabile dei lavori.
Secondo la sentenza "avendo ristretto l'ambito della responsabilità, in quanto norma extrapenale più favorevole, ai sensi dell'art. 2 c.p. troverà applicazione la nuova formulazione che restringe i compiti del responsabile dei lavori alla sola verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'art. 4, comma 1 (redazione del PSC da parte del coordinatore per la progettazione e art. 5, comma 1, lett. a (funzione ispettiva del coordinatore per l'esecuzione)".
Se così fosse non vi sarebbe dubbio sulla scelta della disciplina applicabile dovendosi, in mancanza di una deroga espressa, ovviamente applicare quella più favorevole.
In realtà, nel caso in esame, non sembra neppure che ci si trovi in presenza di norme integratrici del precetto penale come avviene, per es., nel caso di norme che specificano il precetto penale consentendo di renderlo determinato quando ciò non sia reso possibile dalla formulazione della norma incriminatrice.
Le norme che disciplinano gli obblighi dei soggetti ai quali è conferito il compito della tutela della salute dei lavoratori debbono uniformarsi non hanno infatti una funzione integratrice del precetto penale ma quella di individuare le persone cui è attribuito il compito di osservare e fare osservare le regole cautelari e non si comprende come una rimodulazione degli obblighi dei vari soggetti possa avere come conseguenza quella di rendere legittima una condotta precedentemente vietata al fine di valutare la responsabilità dell'imputato.
La violazione della regola cautelare, ai fini dell'accertamento della responsabilità per colpa, va infatti riferita all'epoca della condotta se ha avuto l'effetto di determinare l'evento perchè il giudizio di rimproverabilità non può che essere compiuto, con criterio ex ante, al momento della condotta (chi provoca un incidente stradale perchè non tiene la mano non andrà esente da responsabilità se cambia la regola sulla mano da tenere). Seguendo l'interpretazione dei primi giudici nel caso di mutamento normativo delle posizioni di garanzia si verificherebbe la conseguenza che, a seguito del mutamento sull'attribuzione delle posizioni di garanzia, per il periodo anteriore vi sarebbe un vuoto di tutela.
Ma a non diversa soluzione si dovrebbe pervenire anche se si ritenesse che fattispecie riguardi invece il problema della successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale; è vero che su questo tema la giurisprudenza di legittimità non ha un orientamento uniforme ma sembra a questa sezione che debba ritenersi maggiormente condivisibile l'orientamento che sostiene l'inapplicabilità del principio previsto dall'art. 2 c.p., comma 3 nel caso di modifiche (anche per mezzo di atti di natura amministrativa di portata generale) della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando (cfr., con diverse prospettazioni, Cass., sez. 5^, 3 aprile 2002 n. 18068, Versace, rv.221917; sez. 3^, 12 marzo 2002 n. 18193, Pata, rv. 221943; sez. 3^, 19 marzo 1999 n. 5457, Arlati, rv. 213465; sez. 4^, 10 marzo 1999 n. 4904, Brunetto, rv. 213533; sez. 3^, 17 febbraio 1998 n. 4720, Vittoria, rv. 210701; sez. 3^, 16 febbraio 1996 n. 758, Crivelli, rv.204863).
Questo principio deve essere affermato, in particolare, nei casi in cui la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta essendosi limitata a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale ma senza che venga meno l'illiceità della condotta.
Potrebbe infatti discutersi dell'applicazione di questo principio nel caso in cui la nuova regolamentazione non si limitasse a disciplinare diversamente i presupposti per l'applicazione della norma penale ma, per es., prendesse atto di una nuova e diversa valutazione di natura scientifica integratrice della disciplina penalistica. Per es., in tema di sostanze stupefacenti, se la modifica tabellare fosse dovuta alla necessità di adeguarsi a nuove valutazioni condivise, di natura scientifica, che avessero accertato che una determinata sostanza non ha natura stupefacente avrebbe senso proiettare nel passato una disciplina che, a posteriori, prende atto di una realtà diversa che esclude il disvalore oggettivo della condotta.
Nella giurisprudenza di legittimità, proprio con riferimento al mutamento della disciplina in esame, il principio enunciato è stato affermato da Cass., sez. 4^, 3 aprile 2004 n. 24010, Cunial, rv.228565.
5) Alla luce della ricostruzione effettuata e con riferimento alla previgente normativa (da ritenere applicabile al caso di specie salvo le preclusioni già verificatesi) possono dunque esaminarsi i motivi di ricorso proposti dagli imputati.
Va premesso che le censure dei ricorrenti non pongono in discussione che il ponte cd. a sbalzo da cui cadde il lavoratore F.L. fosse privo delle necessarie protezioni e che quindi sia stato utilizzato in violazione delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro per l'altezza alla quale si trovava e per il mancato uso di diversi sistemi di protezione (cinture di sicurezza).
Di qui la necessità ritenuta dai giudici di merito - una volta che sia stata presa la decisione di ampliare l'apertura nel muro esistente tra il vecchio e il nuovo edificio - di aggiornare il piano per la sicurezza.
Va su questo punto osservato che risultano inammissibili le censure formulate dal ricorrente C. sull'esistenza di questo obbligo (che viene dal ricorrente contestato sotto il profilo della sua inutilità posto che era sufficiente, per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori, quanto già previsto dal piano in precedenza redatto).
La Corte di merito ha infatti dato adeguato conto della sua valutazione facendo riferimento, come si è già accennato - per fondare l'affermazione dell'obbligo di aggiornamento del piano di sicurezza e di coordinamento - a diverse circostanze: la necessità di procedere a demolizioni in altezza e non a terra; la necessità di procedere ad un'apertura nel muro che rendeva inidoneo alla protezione il preesistente ponteggio; la necessità di predisporre una protezione contro la caduta dei calcinacci. Essendo esente da alcuna illogicità questa valutazione si sottrae al sindacato di legittimità.
Premesso che il motivo relativo all'applicabilità della nuova normativa è superato per le considerazioni svolte in precedenza si osserva che è parimenti infondato il motivo che si riferisce all'esistenza del rapporto di causalità tra la condotta, ormai da ritenere definitivamente colposa, e l'evento.
Del tutto adeguata è, anche in questo caso, la motivazione della Corte di merito che ha affermato che l'aggiornamento del piano per la sicurezza avrebbe condotto, se correttamente effettuato, ad escludere la costruzione di un ponte a sbalzo privo di protezione (ovvero ad impedire la prosecuzione della sua costruzione se l'impresa appaltatrice non l'avesse rispettato) e ciò avrebbe evitato il verificarsi dell'evento in termini di pratica certezza.
L'ultimo motivo di ricorso di C. riguarda le ragioni della sua mancata presenza in cantiere ma dal momento che questo motivo di ricorso è collegato all'accordo tra C. e M. sullo svolgimento dei compiti del coordinatore per la sicurezza sarà esaminato dopo l'esame dei motivi proposti da M..
6) Quanto al ricorso proposto da M. si è già visto che il primo giudice ha escluso gli elementi di colpa addebitati al medesimo con riferimento alla violazione dell'art. 5, lett. b perchè la designazione del coordinatore per l'esecuzione dei lavori lo esonerava dagli obblighi relativi all'adeguamento del piano per la sicurezza.
La Corte ha preso atto di questa statuizione e ha però confermato la valutazione del primo giudice che ha ritenuto ugualmente responsabile M. per aver omesso di verificare l'adempimento, da parte del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, degli obblighi relativi all'applicazione delle disposizioni sulla sicurezza previste dal piano per la sicurezza ed in particolare per vigilare sulla presenza del coordinatore in cantiere.
In buona sostanza, venuto meno l'obbligo di verificare che il coordinatore aggiornasse il piano per la sicurezza, non veniva meno l'obbligo di verificare che venissero attuate le misure di prevenzione contro gli infortuni.
Il ricorrente però eccepisce che questa condotta non gli era mai stata contestata e si duole quindi della mancata corrispondenza tra imputazione e sentenza di condanna.
In merito a questa eccezione si osserva che la giurisprudenza di legittimità adotta, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, criteri non formali ma sostanziali e si ispira al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l'esistenza della violazione del principio ricordato è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l'imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall'accusa contestatagli come avviene nei casi in cui dell'addebito si sia trattato nelle varie fasi del processo ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato ad evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (si vedano, da ultimo, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. 4^, 27 febbraio 2002 n. 7725, Burali; sez. 2^, 12 ottobre 2000 n. 11082, Fichera; 15 marzo 2000 n. 5329, Imbimbo).
Ancora attuali sono le parole usate nella sentenza delle sezioni unite di questa Corte 19 giugno 1996, Di Francesco, rv. 206092, secondo cui "con riferimento al principio di correlazione tra imputazione e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione".
Naturalmente non deve trattarsi di fatto completamente diverso ed eterogeno con immutazione dell'imputazione nei suoi elementi essenziali (v. Cass., sez. 1^, 14 aprile 1999 n. 6302, Iacovone; sez. 6^, 14 gennaio 1999 n. 2642, Catone).
Nel caso di specie va osservato che dell'adempimento dell'obbligo residuo (rispetto a quello escluso dal giudice di primo grado relativo all'adeguamento del piano per la sicurezza e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori) a carico di M. si era trattato nel corso del giudizio di primo grado come risulta dalla sentenza del Tribunale di Mantova dalla quale emerge che non solo l'imputato era venuto meno al compito di controllare che C. adempisse all'obbligo di vigilanza e controllo ma - per accordi intervenuti tra direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza - nei giorni di assenza di quest'ultimo era il primo che svolgeva i compiti del coordinatore con una singolare coincidenza, nella figura del controllore, anche delle funzioni del controllato.
Questi accertamenti svolti dai giudici di merito consentono quindi di escludere che si sia verificata la violazione del principio della corrispondenza lamentata tra imputazione e sentenza anche in considerazione del fatto che M., nell'esame reso nel dibattimento di primo grado, e come risulta dalla relativa sentenza, ha riferito ampiamente dei rapporti con il coordinatore difendendosi adeguatamente su tutte le ipotesi di colpa ravvisabili nella sua condotta.
I ricordati elementi (mancato controllo della presenza del coordinatore e dell'effettivo esercizio delle sue funzioni ed anzi attribuzione a se medesimo del compito, peraltro non svolto, di controllare l'esecuzione del lavoro affinchè venisse effettuato con modalità rispettose delle regole di prevenzione) valgono anche a far ritenere infondate le censure, contenute nel ricorso, che si riferiscono alla affermata responsabilità di M. la cui condotta colposa ha avuto efficienza causale sulla verificazione dell'evento posto che, se avesse controllato l'effettiva esecuzione, da parte di C., dei suoi compiti, il medesimo non si sarebbe verificato.
Devono quindi ritenersi infondate anche le censure di M. - contenute nel ricorso principale e nei motivi nuovi - che si riferiscono all'esistenza del rapporto di causalità tra le sua condotta colposa e l'evento. Il problema non riguarda infatti la presenza di C. in cantiere la mattina del giorno in cui si è verificato l'incidente ma l'opera di controllo non svolta da C. della quale M. si è assunto l'onere.
Se il direttore dei lavori avesse effettivamente controllato che il coordinatore svolgesse il suo compito si sarebbe reso conto (e se non se ne fosse reso conto sarebbe ugualmente da considerare in colpa) dell'inesistenza dell'attività di controllo del coordinatore e avrebbe potuto evitare, attivandosi opportunamente con gli interventi da lui esigibili, che lo svolgimento delle attività in altezza avvenisse con le pericolose modalità già descritte provvedendo quindi per eliminare le fonti di pericolo.
Queste considerazioni valgono anche a ritenere infondato l'ultimo motivo di C. (relativo, sostanzialmente, all'affidamento che egli avrebbe dovuto fare sul corretto svolgimento delle funzioni di coordinatore da parte di M.) perchè l'accordo tra i due non poteva avere alcuna efficacia esimente della responsabilità che non può essere trasferita per atto negoziale ma solo con il mutamento reale delle posizioni di garanzia.
7) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.





P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2007