Cassazione Penale, Sez. 3, 08 gennaio 2013, n. 524 - Violazioni in materia antinfortunistica




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente

Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere

Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere

Dott. RAMACCI Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis), nato a (Omissis);

avverso la sentenza emessa il 21 ottobre 2011 dal giudice del tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina;

udita nella pubblica udienza dell'11 dicembre 2012 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Fatto



Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina, dichiarò (Omissis) colpevole di diverse violazioni alle norme in materia antinfortunistica e di sicurezza sul lavoro e lo condannò alla complessiva pena di euro 6.000,00 di ammenda.

L'imputato, a mezzo dell'avv. (Omissis), propone ricorso per cassazione deducendo:

1) erronea indicazione della data di commissione del reato. Osserva che nel capo di imputazione il reato risulta commesso l'(Omissis), mentre dagli atti emerge che l'informativa del reato è del (Omissis).

2) estraneità dell'imputato rispetto ai fatti contestati. Deduce inoltre nullità dell'accertamento perchè effettuato dai carabinieri e non dall'ispettorato del lavoro.

3) eccessività della pena irrogata.

Diritto



Il primo motivo è inammissibile sia perchè si tratta di una questione di fatto che non risulta proposta dinanzi al giudice del merito e che non può essere esaminata per la prima volta da questa Corte di legittimità; sia perchè trattandosi di reati permanenti sono irrilevanti le date della informativa e del verbale di identificazione richiamati dal ricorrente; sia infine per mancanza di interesse perchè, quand'anche i reati dovessero risultare commessi il (Omissis), gli stessi non sarebbero ancora prescritti.

Il secondo motivo si risolve anch'esso in una censura di fatto che non può essere proposta in questa sede. In ogni caso, nello stesso ricorso si afferma che i lavori erano stati affidati dal comune alla s.r.l. (Omissis) e l'imputato è stato condannato appunto nella sua qualità (non contestata) di amministratore unico della s.r.l. (Omissis), essendo irrilevante il soggetto che stava eseguendo i lavori al momento dell'accertamento. E' poi di tutta evidenza che l'accertamento dei reati ben poteva (e doveva) essere compiuto anche dai carabinieri, quali organi di polizia giudiziaria.

Il terzo motivo è del tutto generico e costituisce comunque una inammissibile censura in fatto.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell'articolo 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione della ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in euro mille.

P.Q.M.



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.