Cassazione Penale, Sez. 2, 10 settembre 2012, n. 34505 - Sequestro preventivo ex art. 53 d.lgs. n. 231/01




 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola - Presidente -
Dott. GRAMENDOLA Francesco Pao - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere -
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
C. s.p.a., in persona dei legali rappresentanti S. E. e M.N.;
avverso l'ordinanza del 14 febbraio 2012 emessa dal Tribunale di Monza;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato ZACCONE CESARE, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Fatto


1. Con l'ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Monza, in riforma del provvedimento negativo del 20 gennaio 2012 emesso dal G.i.p. di quello stesso Tribunale, ha accolto l'appello del pubblico ministero e ha disposto il sequestro preventivo per equivalente, finalizzato alla confisca del profitto, della somma di Euro 14.330.000, nei confronti della C. s.p.a., società indagata per l'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25, in relazione al reato di corruzione (artt. 110, 319, 320 e 321 c.p.) commesso nel suo interesse da parte dei vertici societari.
2. Secondo i giudici del Tribunale la C. s.p.a., facente parte assieme alla Grassetto (ora Itinera s.p.a.) di un'Associazione Temporanea d'Imprese (ATI), aveva ricevuto in appalto dalla Milano Serravalle, società concessionaria del pubblico servizio di gestione di tratte autostradali, i lavori per la realizzazione della terza corsia in un tratto dell'autostrada (OMISSIS); nel corso dell'appalto l'ATI iscriveva 59 riserve per un importo maggiore complessivo pari a 60 milioni di Euro (40 milioni per le riserva da 1 a 27; 20 milioni di Euro per le riserve da 23 a 59); la questione veniva risolta in base ad un accordo bonario, previsto dal codice sugli appalti (L. n. 109 del 1994, art. 31), in cui la Milano Serravalle riconosceva all'ATI la maggiore somma di Euro 13.800.000, pari al 30% dell'originario appalto, accordo al quale - secondo l'accusa - si sarebbe giunti sulla base di una istruttoria illegittima e che sarebbe stato il risultato di una corruzione per favorire la C. a tutto svantaggio della Milano Serravalle.
3. Contro questo provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore della società indagata.
Con il primo motivo ha dedotto l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53, per la mancata valutazione del fumus commissi delicti. Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la transazione intervenuta tra le parti frutto di un illecito accordo, senza prendere in attenta considerazione nè il metodo utilizzato per la valutazione delle riserve, nè il fatto che sono stati ammessi solo gli importi riconosciuti dalla Commissione di cui all'art. 31 bis cod. appalti, sul cui operato nessuno aveva mai mosso rilievi. Sottolinea, inoltre, che i 3 milioni di premio, compresi nella somma riconosciuta in favore della C., appaiono comunque giustificati in relazione alla tempestiva consegna dell'opera.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53, sotto il profilo della mancata valutazione del periculum e in considerazione della eccessività del sequestro disposto rispetto al profitto confiscabile. Evidenzia che il criterio utilizzato si pone in contrasto con i principi affermati dalla Cassazione in tema di sequestro del profitto, secondo i quali il profitto è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è determinato, al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente.
A questi principi non si sarebbe adeguato il Tribunale.

Diritto


4. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo, che assorbe il secondo.
4.1. Il sequestro preventivo è stato disposto ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53, nei confronti della C. s.p.a., indagata per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 D.Lgs. cit., in relazione al reato di corruzione propria di incaricato di pubblico servizio, che sarebbe stato commesso nel suo interesse da parte dei vertici societari, in particolare da B.B., nella qualità di consigliere di amministrazione; l'oggetto del sequestro è costituito dall'equivalente del profitto che la società avrebbe conseguito dalla condotta illecita posta in essere; secondo l'ipotesi accusatorie, recepita dal giudice dell'appello cautelare, i vertici della C. s.p.a. avrebbero realizzato un accordo corruttivo con D.M.M., amministratore delegato della società concessionaria del servizio pubblico Milano Serravalle s.p.a. e quindi ritenuto incaricato di pubblico servizio, e con P.F., presidente della Provincia di (OMISSIS), ritenuto l'amministratore di fatto della stessa società, nonchè con Sa.
R., consulente della Milano Serravalle, avente ad oggetto la transazione tra le due società, conclusa con un accordo favorevole alla C., a cui è stata riconosciuta la somma complessiva di 18.800.000 Euro, pari al 30% in più dell'importo originario dell'appalto, somma da corrispondere in più rate; in cambio la C., tramite Sa.Re., avrebbe fatto avere, per conto di P., la somma di due milioni di Euro a D.C.P., imprenditore che aveva finanziato in passato l'attività politica dello stesso P.; in altri termini, si ipotizza che la "tangente" sia stata direttamente indirizzata ad un soggetto estraneo all'accordo, che P. voleva "rimborsare" per gli aiuti economici che gli aveva offerto in passato.
Sulla base di questa ipotesi accusatoria il Tribunale di Monza ha verificato la sussistenza delle condizioni legittimanti il sequestro preventivo richiesto dal pubblico ministero e non concesso dal G.i.p., individuandole nella sussistenza del fumus delicti e del periculum.
4.2. Quanto al fumus si osserva che il Tribunale di Monza, pur evidenziando come il sequestro preventivo ex art. 53 d.lgs. 231/2001 sia funzionale al provvedimento di confisca previsto dall'art. 19, D.Lgs. cit., a tìtolo sanzionatorio, ha tuttavia ritenuto che per disporre questo tipo di misura cautelare reale sia necessaria e sufficiente "l'astratta configurabilità, in relazione al fatto attribuito all'indagato, di una delle ipotesi criminose individuate dal pubblico ministero, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza nè la loro gravità": in particolare, i giudici di merito hanno espressamente richiamato un consolidato orientamento che con riferimento al fumus delicti, quale presupposto per disporre il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., ritiene sufficiente l'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto ad una determinata ipotesi di reato.
Deve rilevarsi che in questa materia non appare corretta una automatica trasposizione del regime dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo previsto dall'art. 321 c.p.p., in quanto nel caso del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, il sequestro è direttamente funzionale ad anticipare, in via cautelare, la confisca di cui all'art. 19 D.Lgs. cit. che è sanzione principale, obbligatoria e autonoma (così, Sez. un,, 27 marzo 2008, n. 26654, Impregilo ed altri) e che come tale si differenzia non solo dalle altre ipotesi di confisca disciplinate dal codice penale e da leggi speciali, ma anche dalle altre tipologie di confisca cui si riferisce lo stesso D.Lgs. n. 231 del 2001 (ad esempio, nell'art. 6, comma 5, e art. 15, comma 4).
4.3. Con riferimento al sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., l'orientamento giuriprudenziale, teso a far coincidere la valutazione del fumus delicti con la verifica sull'astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale (Sez. un., 23 aprile 1993, n. 4, Gifuni), ha risentito del costante riferimento ai diversi presupposti richiesti per l'applicazione delle misure cautelari personali.
La stessa Corte costituzionale (sent. n. 48 del 1994) ha ritenuto del tutto legittima la scelta di non richiamare per le misure cautelari reali i presupposti richiesti dall'art. 273 c.p.p., per le misure cautelari personali, tra cui la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, precisando che i valori che l'ordinamento prende in considerazione sono graduabili fra loro, sicchè l'inviolabilità della libertà personale e la libera disponibilità dei beni possono ricevere diverse forme di tutela, in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti. In questo senso è stato sottolineato come il sequestro preventivo ha ad oggetto cose che presentano un tasso di pericolosità idoneo a giustificare l'imposizione di cautele, che si ricollegano all'esistenza di un reato, ma che possono prescindere da qualsiasi profilo di colpevolezza, in quanto la funzione preventiva non riguarda necessariamente l'autore del fatto criminoso, ma direttamente il bene la cui libera disponibilità può costituire una situazione di pericolo. Da qui l'esclusione che le misure cautelari reali debbano essere costruite in maniera speculare a quelle cautelari personali.
Peraltro, la Corte costituzionale ha anche rilevato che il controllo del giudice penale sulla legittimità del sequestro, seppure limitato a verificare che esista un reato, quanto meno nella sua astratta conflgurabilità, è tutt'altro che burocratico, dovendosi il medesimo incentrare sulla verifica della integralltà dei presupposti che legittimano la misura ed è comunque tale da soddisfare pienamente il corrispondente obbligo di motivazione che è prescritto per tutti i provvedimenti giurisdizionali.
Periodicamente, si sono registrati tentativi volti a svalutare il requisito del fumus delicti, equiparandolo all'esistenza di una "notizia di reato": così, in alcune decisioni il sequestro funzionale alla confisca (L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies) prescinde da qualsiasi verifica circa la fondatezza dell'accusa (Sez. 1^, 19 gennaio 1999, n. 469, Fedele; Sez. 3^, 8 luglio 1992, n. 1268, Cocchi; Sez. 2^, 7 maggio 2003, n. 27694, De Blasi); in altre, il presupposto del fumus viene accertato esclusivamente in base alla imputazione formulata dal pubblico ministero (Sez. 1^, 21 luglio 1993, n. 2994, Cassanelli).
Tuttavia, la Corte di cassazione ha avuto modo di precisare che il controllo sul sequestro preventivo, soprattutto in sede di riesame, deve comunque svolgersi tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando, sotto ogni aspetto, l'integralità dei presupposti che legittimano il provvedimento cautelare (Sez. un., 20 novembre 1996, n. 23, Bassi;
cfr., inoltre, Sez. un., 17 dicembre 2003, n. 920, Montella; Sez. 6^, 12 gennaio 2010, n. 5452, Mancin), sicchè sembra affermarsi l'esigenza della necessità di individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli indizi di reato, pur escludendo la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza.
In realtà, il tendenziale automatismo valutativo legato alla verifica dell'altra condizione del periculum in mora - derivante dal fatto che la stessa confiscabilità della cosa contiene in sè anche la valutazione circa la pericolosità - dovrebbe portare ad una maggiore sensibilità nell'accertamento del presupposto del fumus delicti ed infatti in dottrina si è sostenuto che il giudice del riesame, nel caso di ricorso contro il sequestro preventivo funzionale alla confisca, non possa limitarsi ai riscontro della pendenza di un procedimento penale per uno dei delitti indicati nella disposizione citata, dovendo egli apprezzare la fondatezza della relativa accusa e la probabilità che si pervenga ad una condanna;
questa linea interpretativa si ritrova in alcune decisioni che sottolineano come per la sussistenza del fumus sia necessaria non solo una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, in base alle quali vengono in concreto ritenuti esistenti il reato configurato e la conseguente possibilità di ricondurre alla figura astratta la fattispecie concreta, ma anche la "plausibilità di un giudizio prognostico alla luce del quale appaia probabile la condanna dell'imputato" (Sez. I, 16 dicembre 2003, n. 1415, Marzocchella; Sez. V, 26 gennaio 2010, 18078, De Stefani).
4.4. In ogni caso, quale che sia il definitivo approdo interpretativo sul discusso ambito applicativo del fumus delicti in ordine al sequestro di cui all'art. 321 commi 1 e 2 e.p.p., deve rilevarsi come il dibattito In questione non può essere integralmente replicato con riferimento al sequestro previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53.
In quest'ultimo caso, come si è anticipato, il sequestro è prodrornico ad una sanzione principale, che viene applicata solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'ente, al pari delle altre sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 9. Ed è proprio la natura di sanzione principale e obbligatoria della confisca che impone, con riferimento alla misura cautelare reale ad essa funzionale, una più approfondita valutazione del presupposto del fumus delicti, che cioè non si limiti alla sola verifica della sussumibilità del fatto attribuito in una determinata ipotesi di reato, così impedendo al giudice il controllo sulla concreta fondatezza dell'accusa.
Anche nel D.Lgs. n. 231 del 2001 si prevede un duplice sistema cautelare, il primo relativo alle misure interdittive, l'altro riferito al sequestro preventivo, tuttavia, a differenza di quanto accade nella disciplina codicistica, le diverse misure cautelari non si differenziano per i beni che mirano a tutelare, in quanto nessuna di esse viene ad incidere sulla libertà personale, ma hanno ad oggetto o l'attività dell'ente, nel caso delle misure cautelari interdittive, ovvero "cose" che in qualche modo sono riferibili all'ente, come, appunto, nel caso del sequestro preventivo, il profitto (o il prezzo) derivante dal reato. La sostanziale omogeneità dei beni presi in considerazione dovrebbe portare ad escludere ogni differenziazione dei presupposti applicativi delle due tipologie di misure cautelari previste nel D.Lgs. n. 231 del 2001, come invece avviene, giustificatamente, per le misure cautelari personali e reali nel sistema del codice. Netta disciplina della responsabilità da reato delle persone giuridiche le misure cautelari interdittive e quelle c.d. reali sono poste sul medesimo piano, non solo perchè intervengono su oggetti analoghi, ma anche in quanto entrambe sono destinate ad anticipare l'applicazione di sanzioni principali e obbligatorie, sanzioni subordinate all'accertamento della responsabilità dell'ente. Per quanto concerne la confisca, il giudice non deve compiere alcuna valutazione in ordine alla pericolosità intrinseca della cosa (nella specie il profitto o il prezzo), perchè una volta dimostrata la responsabilità dell'ente l'eventuale profitto (o prezzo) derivante dal reato è obbligatoriamente oggetto di apprensione coattiva, a titolo sanzionatorio, per effetto della commissione del reato. Ne consegue che in questo caso, ai fini dell'applicazione del sequestro, il profilo della colpevolezza rientra nella valutazione del fumus delicti, in quanto la funzione preventiva riguarda direttamente l'ente quale autore del fatto illecito e non solo il bene (profitto o prezzo) la cui libera disponibilità può costituire una situazione di pericolo. Se la vantazione cautelare del giudice non attiene più alla pericolosità della cosa oggetto di confisca, ma è subordinata all'accertamento della responsabilità dell'ente, la verifica del giudice non può che riguardare gli indizi a suo carico. In sostanza, in questa materia un controllo dei presupposti del sequestro limitato alla sola sussumibilità della fattispecie concreta nell'ipotesi delittuosa individuata dal pubblico ministero appare del tutto inadeguato proprio in quanto la misura cautelare è diretta ad anticipare gli effetti di una sanzione principale.
In base a questa ricostruzione di carattere sistematico appare irrilevante la mancanza di ogni riferimento nel D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, ai presupposti legittimanti il sequestro preventivo, laddove nel precedente art. 45 D.Lgs. cit., che disciplina i presupposti per l'emanazione delle misure cautelari interdittive, compare il riferimento espresso ai "gravi indizi" in ordine alla responsabilità dell'ente. Si tratta di una diversità che non può essere considerata sintomo di una radicale differenziazione nei presupposti di misure cautelari che, come si è visto, presentano caratteri omogenei in riferimento ai beni cui si riferiscono;
piuttosto, l'apparente diversità di formule è dipesa da una tecnica di normazione da parte del legislatore del 2001, ispirata pedissequa mente alle norme codicistiche sul sequestro preventivo. Tuttavia, il dato letterale non appare sufficiente a giustificare un'applicazione acritica dell'intera disciplina codicistlca del sequestro preventivo in una materia che presenta significative peculiarità. D'altra parte, lo stesso D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, non richiama tutte le norme sul sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., ma solo alcune disposizioni di natura prevalentemente processuali, peraltro subordinandone l'applicazione alla clausola di compatibilita, sicchè i presupposti sostanziali del sequestro devono essere ricercati all'interno della disciplina contenuta nel decreto legislativo del 2001, quindi tenendo conto della specificità della confisca cui la misura cautelare in questione si riferisce.
In conclusione, presupposto per il sequestro preventivo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, è un fumus delicti "allargato", che finisce per coincidere sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabilità dell'ente, al pari di quanto accade per l'emanazione delle misure cautelari interdittive. Sicchè i gravi indizi coincideranno con quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgono di per sè a dimostrare oltre ogni dubbio l'attribuibilità dell'illecito all'ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare, allo stato, una qualificata probabilità di colpevolezza. L'apprezzamento dei gravi indizi deve portare il giudice a ritenere l'esistenza di una ragionevole e consistente probabilità di responsabilità, in un procedimento che avvicina la prognosi sempre più ad un giudizio sulla colpevolezza, sebbene presuntivo in quanto condotto allo stato degli atti, ma riferito alla complessa fattispecie di illecito amministrativo attribuita all'ente indagato (cfr., Sez. 6^, 23 giugno 2006, La Fiorita).
Soltanto dopo avere verificato la sussistenza dei gravi indizi il giudice potrà procedere ad accertare il requisito del periculum, che, come si è visto, coincide con la confiscabilita del profitto (o del prezzo) derivante dal reato, senza alcuna prognosi di pericolosità. E in questo caso l'accertamento in ordine al periculum riguarda esclusivamente l'individuazione e la quantificazione del profitto (o del prezzo) assoggettabile a confisca, secondo i criteri stabiliti dalla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Impregilo ed altri).
4.5. Tornando al caso in esame, deve rilevarsi che il Tribunale di Monza si è limitato ad effettuare l'accertamento del fumus delicti in base al criterio dell'astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale, laddove avrebbe dovuto procedere ad accertare la sussistenza dei gravi indizi sulla responsabilità dell'ente.
D'altra parte, deve escludersi che gli elementi presi in considerazione dal Tribunale possano comunque costituire i gravi indizi richiesti quale presupposto del sequestro preventivo.
Il Tribunale ha ritenuto che la natura corruttiva dell'accordo intervenuto tra le due società possa ricavarsi dalla consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, che avrebbe rilevato una serie di irregolarità nella procedura e nelle valutazioni delle riserve, costituite dal ricorso al criterio proporzionale, prescindendo dalla verifica sulla effettività e concretezza delle riserve stesse (quelle da 28 a 59), ma non ha confutato le precise argomentazioni con cui il G.i.p., sulla base delle argomentazioni difensive - peraltro ribadite in sede di appello -, aveva respinto la richiesta di sequestro, evidenziando l'inattendibilità delle conclusioni del consulente, in quanto fondate su dati parziali e su valutazioni apodittiche, senza considerare che si è trattato di una transazione, in cui, naturalmente, le parti prevedono reciproche concessioni ed il cui contenuto "non può essere interpretato in stretta aderenza a quanto dovuto e a quanto spettante a ciascuna delle parti, poichè la finalità della transazione è proprio quella df evitare le incertezze che sono collegate all'accertamento pieno della fondatezza delle reciproche pretese". Del resto è stato anche sottolineato come di fronte ad una richiesta da parte dell'ATI di circa 60 milioni di Euro, alla fine è stata liquidata la somma, di molto inferiore, pari a 18.300.000 Euro, tre dei quali subordinati al rispetto dei nuovi termini di consegna dei lavori.
Anche gli altri elementi considerati dal Tribunale, tra cui la mai del 10.4.2010 inviata da D.C. sia a P. che a B., nonchè la scritta in calce al contratto preliminare di acquisto dell'immobile attribuita a quest'ultimo, non appaiono indizi di gravità tale da far ritenere il diretto coinvolgimento della C. s.p.a., potendo riguardare esclusivamente le persone fisiche coinvolte nella complessa vicenda - in particolare, per quanto concerne la società, il consigliere B. -, senza che le condotte poste in essere risultino dirette a vantaggio ovvero nell'interesse della società indagata; del resto, lo stesso Tribunale riconosce che la trattativa sulla compravendita immobiliare è stata condotta dal solo B., peraltro omettendo ogni indagine circa il ruolo e i poteri, formali e sostanziali, che questi aveva all'interno della società, sicchè allo stato non può neppure escludersi che l'ipotizzato reato, attribuito anche al B., sia stato posto in essere nel suo esclusivo interesse oppure nell'interesse di un terzo, che potrebbe corrispondere, stando alla stessa ricostruzione dell'ordinanza, alla persona del P..
5. In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata e gli atti rinviati al Tribunale di Monza che, in diversa composizione, dovrà procedere ad un nuovo esame facendo applicazione dei principi di diritto sopra indicati, in particolare subordinando l'eventuale emissione del sequestro preventivo richiesto alla accertata sussistenza dei gravi indizi di responsabilità dell'ente indagato.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Monza.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012