Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2013, n. 4958 - Infortunio per il ribaltamento di una gru e responsabilità di un RSPP


 


Non ci sono dubbi sulla posizione di garanzia dell'imputato tenuto conto della sua veste di "responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda". A ciò aggiungasi che - come incensurabilmente accertato in punto di fatto dai giudici di merito - fu proprio lui a dare le disposizioni all'infortunato in relaziona all'attività lavorativa nel corso della quale avvenne l'infortunio, così assumendo anche in concreto una posizione di garanzia: è sufficiente al riguardo richiamare il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato automaticamente tenuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo".




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. ESPOSITO Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 754/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del 23/11/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI Vincenzo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Fatto



Con sentenza del 13 luglio 2009, il Tribunale di Sciacca, in composizione monocratica, dichiarava (Omissis) colpevole dei reati ascrittigli secondo la seguente contestazione: a) del reato di cui all'articolo 113, articolo 590, comma 1 e 3, in relazione all'articolo 583 c.p., comma 1, n. 1, perchè, quale amministratore di fatto della " (Omissis) sas" in cooperazione con (Omissis) (contestualmente giudicata ed assolta) e con il legale rappresentante (Omissis) (separatamente giudicata), per colpa consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia ed in particolare in violazione di prescrizioni antinfortunistiche specifiche, aveva cagionato al lavoratore (Omissis) una lesione personale, con prognosi di 130 giorni; in particolare, il (Omissis), responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dell'azienda, aveva ordinato a (Omissis), gruista, di effettuare la movimentazione di una pala caricatrice del peso complessivo di 120-130 quintali utilizzando una gru che, a causa del carico eccessivo, si era ribaltata contro un muro ed il (Omissis), in conseguenza dell'impatto, aveva riportato le dette lesioni; b) del reato di cui all'articolo 113 c.p., articolo 2087 c.c., del Decreto Legislativo n. 626 dl 1994, articolo 35, commi 1 e 2 e articolo 98, comma 2, lettera a), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 168, commi 1 e 2, articolo 389, lettera c) perchè, nella predetta qualità, aveva omesso di adottare le misure organizzative necessarie per garantire l'integrità fisica dei lavoratori ex articolo 2087 c.c., nonchè di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e, parimenti, di impedire l'uso di dette attrezzature per operazioni e secondo condizioni non proprie, nonchè di fornire ai lavoratori mezzi di sollevamento appropriati alle caratteristiche dei carichi da sollevare; in (Omissis).

Il Tribunale condannava l'imputato, non riconoscendo sussistente il nesso della continuazione tra i fatti di cui ai due capi di imputazione (in quanto di natura colposa), alla pena di un mese di reclusione in ordine al capo a) ed euro 1.500,00 di ammenda in ordine al capo b), concedendo le circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti ed il beneficio della sospensione condizionale della pena, condannandolo, altresì, al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. A seguito di rituale gravame proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Palermo dichiarava l'estinzione del reato contravvenzionale, per intervenuta prescrizione, eliminava la relativa pena di euro 1.500,00 di ammenda e confermava nel resto l'impugnata decisione. La Corte territoriale preliminarmente disattendeva l'eccezione di nullità proposta dall'appellante secondo cui, in conseguenza della modifica dell'imputazione effettuata dal P.M. in primo grado all'udienza del 14 aprile 2008 - ed in particolare per il richiamo all'articolo 583 c.p., comma 1, n. 1 - sarebbe stato contestato un fatto nuovo rispetto all'originaria imputazione, tale da integrare un reato per il quale si sarebbe dovuta celebrare l'udienza preliminare, esulando lo stesso dai limiti di pena previsti per i reati a citazione diretta dall'articolo 550 c.p.p.. Osservava la Corte al riguardo che il richiamo citato, scaturente dall'articolo 590 c.p., comma 3, non poteva considerarsi quoad poenam ma soltanto ai fini della qualificazione della lesione, pur sempre colposa, come grave o gravissima, con conseguente innalzamento della pena per il reato base, ma nei limiti di cui all'articolo 550 c.p.p..

Quanto al merito, con riferimento al delitto sub a), l'appellante non aveva contestato la circostanza che il fatto ascritto all'imputato si fosse svolto così come era stato raccontato dalla persona offesa nel suo secondo esame dibattimentale reso all'udienza del 17 marzo del 2008: (Omissis) aveva riferito di essersi procurato l'infortunio attraverso la movimentazione di una gru che, per il carico eccessivo, si era ribaltata, determinando lo schiacciamento della cabina al cui interno egli si trovava, e tale versione era stata confermata al dibattimento da alcuni testimoni, tra i quali (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), tutti dipendenti con varie mansioni del consorzio di bonifica (Omissis) s.a.s.; a tale incontestata acquisizione, si era giunti dopo che la persona offesa aveva deciso di ritrattare le sue precedenti dichiarazioni dibattimentali (rese all'udienza del 26.10.2007), conformi a quelle delle indagini preliminari, per mezzo delle quali il (Omissis) aveva ricostruito la dinamica senza coinvolgere in alcun modo l'imputato, sostenendo, in buona sostanza, di essersi fatto male da solo nel trasportare una lastra di ferro; detta circostanza sarebbe stata conseguenza delle pressioni che il (Omissis) avrebbe subito in tal senso da parte dei suoi datori di lavoro, tenuto conto che il prevenuto era il genero della legale rappresentante del consorzio, (Omissis), in quanto marito della coimputata (Omissis) (nei confronti della quale era stata pronunciata sentenza di assoluzione da parte del Tribunale): che tale fosse stata effettivamente la causale delle iniziali reticenze della persona offesa, appariva provato dalla acquisita denuncia di infortunio presentata all'INAIL da (Omissis), pochi giorni dopo il sinistro, nella quale il legale rappresentante del consorzio aveva dichiarato che il (Omissis) si era procurato la lesione "mentre era intento a movimentare delle lamiere in ferro"; sarebbe stato dunque lo stesso datore di lavoro, e non la persona offesa, ad avere manifestato per primo l'interesse specifico a rendere quella falsa versione dell'accaduto, che scagionava l'imputato ed alla quale il (Omissis) avrebbe acceduto non per interesse personale, come argomentato dal giudice di prime cure, risoltosi anche a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per ulteriori accertamenti sulla sussistenza di altri reati desumibili da simili contegni del prevenuto e dei suoi affini; secondo la nuova versione del (Omissis), la mattina dell'infortunio era stato proprio l'imputato, che si occupava personalmente di gestire il cantiere, ad ordinargli di eseguire con la gru quel sollevamento che aveva causato il sinistro, nonostante le rimostranze espressegli dal medesimo (Omissis), convinto che la gru non avrebbe potuto sostenere quel carico, rimostranze non tenute in considerazione dal prevenuto, che si era assunto personalmente la responsabilità dell'operazione: questo resoconto del (Omissis), circa l'ordine perentorio oralmente rivoltogli dal (Omissis) - cui egli aveva dovuto sottostare visto il ruolo di fatto svolto dall'imputato ed i suoi legami parentali con la proprietà, che lo inducevano a temere ritorsioni nella sua attività lavorativa, se non lo avesse eseguito - era stato pedissequamente confermato da altro operaio, (Omissis), che aveva assistito alla scena, sentendo l'ordine impartito dal (Omissis) al (Omissis), nel mentre il teste (Omissis) aveva riferito che era stato proprio l'imputato ad organizzare la manovra concordandola nei giorni precedenti, in piena sintonia logica e fattuale con quanto poi accaduto; di tal che, i dubbi dell'appellante sulla attendibilità della persona offesa apparivano privi di qualsiasi fondamento; tutti i testi escussi dall'accusa avevano concordemente sostenuto come l'imputato - oltre che risultare formalmente responsabile del servizio di prevenzione e protezione nell'ambito dell'azienda, per come precisato dall'ispettore del lavoro (Omissis) - avesse, di fatto, il comando gestionale del cantiere, forte anche del legame familiare che intercorreva con il legale rappresentante del consorzio, (Omissis), dimostratasi poco a conoscenza delle vicende aziendali; quanto, infine, ad una presunta attribuibilità del sinistro alla sola responsabilità dello stesso (Omissis), il quale avrebbe compiuto una manovra maldestra, bastava richiamare le conclusioni della perizia d'ufficio disposta dal Tribunale proprio al fine di verificare siffatta circostanza - del cui esito l'appellante, non a caso, non aveva dato alcun conto nella sua impugnazione - secondo cui "nel concreto, il peso sollevato eccedeva la capacità di sollevamento della gru ... il gruista non ha errato nella manovra ... l'autogrù non era idonea a compiere la predetta operazione; siffatte conclusioni smentivano l'assunto difensivo, tecnicamente non supportato da alcunchè, secondo il quale l'incidente era avvenuto per una velocità eccessiva del carico di discesa; i reati contravvenzionali di cui al capo b) della rubrica, in ordine ai quali pure era stata riconosciuta la responsabilità dal primo giudice, risultavano prescritti, con conseguente declaratoria di estinzione del reato ed eliminazione della relativa pena inflitta in primo grado.

Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, deducendo doglianze che possono così sintetizzarsi: a) quanto alla censura in rito, la Corte d'Appello avrebbe valutato solo gli aspetti concernenti il mancato esperimento dell'udienza preliminare e la problematica connessa alla mancata applicazione dell'articolo 550 c.p.p., ma avrebbe del tutto eluso l'eccezione relativa al "fatto nuovo" in sè; la Corte avrebbe errato nel ritenere legittima la "modifica" dell'imputazione essendo risultati mutati completamente i connotati del fatto; vi sarebbe stata omessa motivazione da parte della Corte territoriale su tale punto, e comunque sarebbero stati violati i principi processuali che regolano la contestazione del fatto nuovo; b) erronea valutazione delle risultanze probatorie: secondo l'assunto del ricorrente, non vi sarebbe stato un cantiere e comunque non sarebbe stato il (Omissis) a gestire l'attività lavorativa; sarebbe stato (Omissis) - nella veste di dirigente del Consorzio di Bonifica e superiore gerarchico dello stesso (Omissis) semplice dipendente del Consorzio stesso con la qualifica di "impiegato d'ordine" - l'unico ad avere compiti direttivi; non sarebbe stato il (Omissis) ad organizzare la manovra con la gru e non avrebbe dato alcun ordine perentorio al (Omissis) di manovrare la gru; l'incidente sarebbe avvenuto per una manovra errata dello stesso lavoratore, tenuto a conoscere le caratteristiche di ingombro, di manovrabilità e di carico del macchinario: secondo la giurisprudenza della Cassazione il giudizio sull'opportunità del gruista di effettuare la manovra è del tutto autonomo ed indipendente; la prima versione resa dal (Omissis) non sarebbe stata sollecitata dai titolari dell'azienda ma sarebbe stata frutto dell'iniziativa dello stesso (Omissis) posto che, se fosse risultata la riconducibilità dell'infortunio ad un suo errore, sarebbe stata posta in dubbio la sua capacità a manovrare autogrù con conseguente danno economico, essendo la retribuzione di un gruista provetto superiore più del doppio rispetto a quella di un operaio; avrebbe ancora errato la Corte territoriale a valorizzare la qualifica di "responsabile del servizio di prevenzione e protezione" rivestita dal (Omissis) trattandosi di figura che si occupa della fase preventiva e progettuale e non di quella operativa; c) in ordine al reato di cui al capo b) i giudici di seconda istanza avrebbero dovuto assolvere il (Omissis) con la formula più ampia e non pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Diritto


Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. La censura in rito è manifestamente infondata. è stata più volte sottolineata in giurisprudenza la differenza tra "fatto nuovo" e "fatto diverso" ed in proposito, ribadendo un orientamento ormai consolidato, ed assolutamente condivisibile, questa Corte ha di recente ulteriormente precisato quanto segue: "La locuzione fatto nuovo, di cui all'articolo 518 cod. proc. pen., denota un accadimento assolutamente difforme da quello contestato, e l'emergere in dibattimento di accuse in nessun modo rintracciabili nel decreto di rinvio o di citazione a giudizio. Per fatto diverso - che, ai sensi dell'articolo 516 cod. proc. pen., consente la modifica dell'imputazione - deve, invece, intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato. (La S.C. ha precisato che il complesso delle disposizioni che regolano il regime delle nuove contestazioni mira allo scopo di assicurare il contraddicono sul contenuto sostanziale dell'accusa e quindi a garantire il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato: ne consegue che non si configura violazione al riguardo quando la modifica, rispetto all'accusa originaria, non abbia in alcun modo menomato le possibilità di difesa)". Nella concreta fattispecie, il P.M. ha modificato in udienza il capo di imputazione con una ulteriore specificazione dei profili di colpa, procedendo ad una mera puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato senza apportare alcun mutamento agli stessi; è stato pienamente assicurato il contraddicono, e d'altra parte il ricorrente non ha lamentato eventuali menomazioni del diritto di difesa. Di tal che, la Corte territoriale, a prescindere dalla puntualità o meno della motivazione addotta, legittimamente ha disatteso l'eccezione sollevata al riguardo, ritenendo comunque che, a seguito della modifica del capo di imputazione ad opera del P.M., non si era in presenza di un "fatto nuovo". "Ad abundantiam", mette conto sottolineare che, pur se con riferimento al principio della correlazione tra contestazione e sentenza, nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato, e più volte ribadito, che "in materia di reati colposi può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando la causazione dell'evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un'ipotesi differente. Se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione suddetta non sussiste. è consentito, infatti, al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto peraltro che la difesa avesse avuto la possibilità di interloquire su tutti i profili di colpa oggetto della valutazione del giudice di merito)" in termini, Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007 Ud. - dep. 28/09/2007 - Rv. 237469: nel caso in esame, al (Omissis), già con il decreto di citazione, erano stati contestati anche profili di colpa generica ("negligenza, imprudenza ed imperizia").

Parimenti destituite di ogni fondamento, nonchè sostanzialmente finalizzate per lo più ad una rivalutazione dell'acquisito compendio probatorio, non consentita nel giudizio di legittimità, sono le ulteriori doglianze.

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte narrativa) e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio e posizione di garanzia dell'imputato) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del (Omissis).

Non sono pertanto ravvisabili i profili di violazione di legge e vizio di motivazione prospettati dal ricorrente, posto che, avuto riguardo al testo della sentenza impugnata, si rileva che la Corte distrettuale, attraverso il percorso motivazionale sopra ricordato ha analizzato - mediante la rivisitazione della sentenza di primo grado ed il richiamo ai suoi contenuti, ed all'esito dell'esame dei motivi di appello - tutti gli aspetti concernenti le problematiche relative alla dinamica dell'Infortunio oggetto del procedimento ed ai profili di colpa ravvisabili nella specifica condotta del (Omissis). Deve sottolinearsi che, per quel che riguarda l'individuazione dei profili di colpa, con il gravame - attraverso la denunzia di asseriti vizi di violazione di legge e di motivazione - sono state in parte riproposte questioni, anche di fatto, già ampiamente dibattute in sede di merito. Orbene i vizi denunciati non sono riscontrabili nella sentenza impugnata, con la quale la Corte di merito ha dimostrato, come detto, di aver analizzato ogni aspetto essenziale della vicenda, pervenendo, all'esito di un approfondito vaglio di tutta la materia del giudizio, a conclusioni sorrette da argomentazioni adeguate e logicamente concatenate. La Corte territoriale ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte distrettuale, ed in quanto tale non proponibile in questa sede.

Per completezza argomentativa si impongono solo talune ulteriori precisazioni in relazione alle tesi difensive prospettate dal ricorrente.

Per quel che riguarda la posizione di garanzia del (Omissis), non possono esservi dubbi al riguardo tenuto conto della sua veste di "responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda". A ciò aggiungasi che - come incensurabilmente accertato in punto di fatto dai giudici di merito - fu proprio il (Omissis) a dare le disposizioni al (Omissis) in relaziona all'attività lavorativa nel corso della quale avvenne l'infortunio, così assumendo anche in concreto una posizione di garanzia: è sufficiente al riguardo richiamare il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato automaticamente tenuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 ad attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo" (in termini, "ex plurimis", Sez. 4, 19 febbraio 1998, n. 3948).

Quanto all'assunto difensivo secondo cui sarebbe stato onere del (Omissis), quale gruista, valutare l'opportunità di effettuare la manovra con giudizio autonomo ed indipendente, il precedente giurisprudenziale evocato dal ricorrente non risulta pertinente in relazione alla concreta fattispecie, trattandosi di principio enunciato in tema di responsabilità del gruista per quel che riguarda la stabilità del carico in relazione alle conseguenze che possono derivare da un'eventuale caduta del carico stesso con danni a terzi; a ciò aggiungasi che la Corte territoriale ha evidenziato che in base alle testimonianze acquisite era emerso che il (Omissis) aveva palesato qualche perplessità ad eseguire la manovra richiestagli ma aveva dovuto poi sottostare all'ordine perentorio impartitogli dal (Omissis). Nè sono riscontrabili nella condotta del lavoratore, nel caso in esame, profili di anomalia ed abnormità tali da rendere l'infortunio riconducibile ad esclusiva colpa del lavoratore stesso. Giova poi precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre 1984, n. 11043; in tal senso, "ex plurimis", anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 - dep. 27/04/1991 - imp. Simili ed altro, RV. 187538). Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro). Manifestamente infondata, nonchè generica, è infine la tesi del ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il (Omissis) con formula piena, e non pronunciare declaratoria di prescrizione, in ordine al reato contravvenzionale di cui al capo b) della rubrica. Si è in presenza di una doppia conforme quanto alla ritenuta responsabilità. Orbene, a fronte di una declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione, agli effetti penali. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetta, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'articolo 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, prevale l'esigenza della definizione immediata del processo. Nella concreta fattispecie le considerazioni svolte dal giudice di seconda istanza (pag. 5 della sentenza), pur nel contesto di un percorso motivazionale approssimativo e di richiamo "per relationem" alla sentenza (di condanna) di primo grado, non consentono comunque, in alcun modo, di ritenere acquisita la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, condizione indispensabile, in presenza della causa estintiva del reato (la prescrizione), per l'applicabilità dell'articolo 129 c.p.p., comma 2. Giova ricordare che questa Corte ha affermato, e più volte ribadito, il principio di diritto secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, perchè l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'articolo 129 cod. proc. pen.: "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. (In motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale)" in termini: Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Ud. - dep. 15/09/2009 - Rv. 244275, Tettamanti; conf., "ex plurimis": Sez. 1, n. 4177/04, RV. 227098; nello stesso senso: Sezioni Unite, n.1653/93, imp. Marino ed altri, RV. 192471; Sez. 3, n. 24327/04, P.G. in proc. De marco, RV. 228973.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1000,00 (mille).


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.