Innovazioni nel trasporto ferroviario e sicurezza sul lavoro:
l’applicazione del D.M. n. 388/2003 al personale a bordo treno


di Beniamino Deidda
Procuratore generale presso la Corte di Appello di Trieste

Urbino, 17 novembre 2007



1.
Il tema del pronto soccorso dei lavoratori a bordo di un treno va affrontato paradossalmente tenendo conto dei principii generali della prevenzione contenuti nel decreto 626/94 piuttosto che delle misure specifiche contenute nel regolamento n. 388 del 2003. E’ vero che il regolamento contiene una specificazione dell’obbligo del datore di lavoro di elaborare le procedure dirette a soccorrere chi sia rimasto vittima di un incidente; ma nel caso di lavoratori che si trovano sul treno siamo di fronte ad una serie di situazioni del tutto particolari che non sono previste nel D. 388 e richiedono un’applicazione specifica desunta da principii generali. Il treno non è uno stabilimento, non è un ufficio, non è un capannone, non è cioè uno dei tradizionali luoghi di lavoro, ma è uno spazio destinato al trasporto di passeggeri o di merci la cui caratteristica principale è quella appunto di viaggiare, cioè di spostarsi più o meno velocemente da un luogo ad un altro.

Il tema non è stato oggetto di molte riflessioni, dal momento che il soccorso ai treni, in caso di incidente o di disastro, sinora è sempre stato argomento analizzato quasi esclusivamente per porre rimedio ai pericoli per l’incolumità dei passeggeri o a quelli di possibile paralisi del traffico ferroviario, piuttosto che al soccorso dei singoli lavoratori dipendenti dalle ferrovie. In questo senso si sono mosse le istruzioni e direttive destinate ad istituire l’organizzazione per il soccorso da parte delle imprese ferroviarie.

Invece il tema odierno è proprio quello tradizionalmente trascurato: cioè l’organizzazione della sicurezza per i lavoratori, sia che essi viaggino da soli, sia che essi esercitino le loro mansioni in compagnia di altri lavoratori. Non c’è dubbio che in materia di organizzazione del soccorso ai lavoratori non è indifferente il fatto che vi siano due o più lavoratori a condurre il treno oppure vi sia il cosiddetto agente unico. Vero è che l’introduzione di quest’ultima figura è circondata da cautele particolari, quale ad esempio la presenza, in funzione di secondo agente, del capotreno con obbligo di coadiuvare il macchinista nella guida del veicolo. Finora, per quanto se ne sa, è stato previsto un utilizzo dell’agente unico assai limitato, con particolari orari di lavoro che non prevedono l’utilizzazione in ora notturna.

Sembra anche che nei treni che adottano il sistema di controllo della marcia del treno (S.C.M.T.), sia prevista la possibilità che il capotreno lasci la cabina di guida per attendere alle sue ordinarie mansioni su tutto il convoglio. La particolarità delle situazioni che si possono verificare durante la guida del treno porterebbero ad escludere la possibilità di utilizzare l’agente unico sui treni merci o comunque su quei convogli che non consentono il passaggio tra le carrozze e la cabina di guida, dal momento che il conducente resterebbe isolato e non potrebbe essere in nessun caso soccorso.


2. Risulta dunque chiaro che la particolarità delle lavorazioni che si svolgono a bordo di un treno impongono un “adattamento” alle singole ipotesi in cui può venire in rilievo l’esigenza del primo soccorso al lavoratore che si trovi a bordo del treno. L’adattamento non può che consistere nel trarre dai principii generali del sistema prevenzionale di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, le indicazioni specifiche che possono essere applicate in questa speciale materia.

Va ricordato che, in tema di pronto soccorso, il D. 626 al capo III prevede che il datore di lavoro organizzi il soccorso stesso con i servizi pubblici competenti in tema di salvataggio, lotta antincendio, gestione dell’emergenza e servizi sanitari e che assuma le misure adeguate in relazione alle dimensioni dell’impresa e ai rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva. Si aggiunga che l’art. 15 stabilisce che tale organizzazione va approntata sentito il medico competente e “tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni anche per il trasporto dei lavoratori infortunati”.

Si tratta dunque di un sistema che non solo fa conto delle risorse per così dire interne all’azienda, ma che si sviluppa anche attraverso il rapporto con organismi esterni preposti appunto all’emergenza e al pronto soccorso. Il legislatore considera importante anche la presenza eventuale “di persone presenti sul luogo di lavoro”, espressione con la quale si vuole sottolineare che un conto è l’opera del lavoratore in solitudine, un conto è la presenza, sia pure eventuale, di altre persone che frequentino il luogo di lavoro, come in questo caso sono i viaggiatori o personale impegnato nei servizi in appalto.

Evidentemente molto dipende dal tipo di organizzazione che il datore di lavoro conferisce alla propria azienda non solo in tema di pronto soccorso ma anche sotto il profilo dell’organizzazione complessiva del lavoro. Non si può pensare infatti che il datore di lavoro abbia piena discrezionalità di introdurre elementi organizzativi che mettano in pericolo la salute e l’incolumità dei lavoratori senza dover fare i conti con il quadro normativo che in generale condiziona le sue scelte.

La ricerca ci ricorda acutamente che il decreto 626/94 ha introdotto una novità di grande rilievo responsabilizzando il datore di lavoro, il quale, una volta adottata una determinata organizzazione aziendale, deve adeguarvi il sistema prevenzionale tenendo conto delle specifiche peculiarità della propria azienda. Tale novità è certo rilevante, anche nel nostro corso nel senso che anche il datore di lavoro dell’impresa ferroviaria, nell’adozione di una determinata organizzazione del servizio è vincolato al rispetto delle misure di tutela previste dall’art. 3 e in particolare da quelle contenute nella lettera d) [programmazione della prevenzione in un complesso integrato di condizioni tecniche produttive, organizzative dell’azienda e di influenza dei fattori dell’ambiente di lavoro]; da quelle contenute nella lettera f) [rispetto dei principi ergonomici nella definizione dei metodi di lavoro e produzione]; dalla lettera p) [misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di evacuazione e di pericolo grave]; e da quelle della lettera t) [istruzioni adeguate ai lavoratori].

Non solo. Vi sono al di fuori dell’art. 3, altre misure cogenti che si attagliano bene ai lavori a bordo treno e che hanno valore di principio generale, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro: tali sono ad esempio la lettera a) del V comma dell’art. 4 (designa preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure.. di pronto soccorso..) e la lettera b) del V comma dell’art. 4 (aggiorna le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi.. e in evoluzione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione). Ma soprattutto occorre tenere conto dei principii generali contenuti negli artt. 12 e 15 del D.lvo 626 che sono stati sopra ricordati. In particolare occorre capire quali sono le connessioni che devono intravedersi tra il contenuto dell’art. 15 e quello del D.M. 388/2003. Dal punto di vista formale il III comma dell’art. 15 prevede che le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la formazione di detto personale devono essere individuati in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori e ai fattori di rischio da un decreto dei Ministeri della Sanità e del Lavoro. Dunque, il D.M. 388 individua le caratteristiche minime che in materia di pronto soccorso debbono applicarsi alle varie attività produttive. Tuttavia, per quanto il D.M. citato suddivida un po’ formalisticamente le aziende in tre grosse classi in relazione al numero degli addetti, resta il principio generale che le caratteristiche del pronto soccorso debbano essere appunto individuate “in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori e agli specifici fattori di rischio”. Quando, come nel nostro caso, l’individuazione di tali caratteristiche non sia stata particolarmente analitica, dal momento che il D.M. 388 si limita a distinguere le aziende per il numero degli addetti e non per la particolare attività specifica, vale la regola enunziata dal medesimo art. 15 secondo cui il datore di lavoro prende i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica dell’emergenza, tenendo conto della natura dell’attività, delle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, sentito il medico competente.

Dunque si chiede all’interprete, oltre che alla fantasia del datore di lavoro, di individuare quali caratteristiche debba avere il pronto soccorso a bordo dei treni nell’eventualità che si renda necessario intervenire in emergenza.


3.
La risposta al quesito è fortemente condizionata dall’analisi delle caratteristiche specifiche del lavoro a bordo del treno. Giustamente la ricerca si chiede se il treno in quanto tale possa essere definito unità produttiva ai sensi della lettera i) dell’art. 2 del decreto 626 e risponde, a mio avviso correttamente in modo negativo; nel senso che il treno non ha una sua autonomia dagli altri elementi della produzione, ma altro non è che uno degli strumenti attraverso il quale l’unità produttiva dell’azienda ferroviaria attua la sua attività di trasporto. Perciò il treno, che si muove su una tratta determinata, è parte integrante dell’unità produttiva che gestisce il servizio di trasporto. Poiché il treno si muove, non è rilevante che esso si trovi a breve o lunga distanza dalla sede dell’unità produttiva, appunto perché nel concetto di trasporto vi è inevitabilmente la componente del movimento.

Correttamente gli autori della ricerca si chiedono anche se il singolo treno o il locomotore possano essere definiti luogo di lavoro isolato. Essi sembrano propendere per negare la definizione di lavoro isolato proprio perché il treno è parte integrante dell’unità produttiva che gestisce il trasporto. Se il treno si muove, va e viene, non può ritenersi luogo di lavoro intrinsecamente isolato dalla sede dell’unità produttiva. Resterebbe da capire come può adeguatamente definirsi la situazione di un treno che rimanga appunto “isolato” in piena campagna, magari per avaria o per malore del macchinista. E’ necessario porsi la domanda perché nel comune buon senso il caso del macchinista che conduca da solo il treno e che si fermi in un luogo sperduto non sembra molto di verso da quello del lavoratore dipendente da un’azienda di piccole o grandi dimensioni che venga incaricato di prestare la sua opera in un bosco, in un campo etc. Dovremo dunque porci il problema dei lavoratori isolati anche per diversi comparti produttivi.

Che il treno non sia un luogo di lavoro come gli altri sembra potersi trarre dalla constatazione che il legislatore esclude esplicitamente l’applicazione delle disposizioni comprese nel titolo II del decreto legislativo 626/94 per i mezzi di trasporto (art. 30 comma II lett. a).

Dunque se non possono applicarsi le cautele e le disposizioni previste dal titolo II è necessario trovare altre modalità efficaci per garantire la sicurezza di quei lavoratori che operano in un contesto così atipico. E, ancora una volta, la risposta non può che trovarsi nei principii generali contenuti nel D. 626.


4. Dunque il nodo fondamentale sta tutto nella necessità di individuare il pacchetto di misure che sono necessarie per garantire il pronto soccorso sui treni che, per forza di cose, non è individuato in nessuna norma di legge. Infatti sarebbe del tutto insufficiente che l’azienda ferroviaria italiana desse formale adempimento a tutte le disposizioni contenute nel D.M. 388, perché, commisurato alla specificità dei lavori a bordo del treno, il rispetto di quelle norme costituirebbe un adempimento generico e non adeguato a garantire le lavorazioni in corso. Quindi anche il puntuale adempimento delle caratteristiche minime (e, per forza di cose generiche) contenute nel decreto sarebbe insufficiente a tutelare la sicurezza dei lavoratori.

La questione si risolve tenendo conto, come implicitamente fa la ricerca, dal fatto che uno dei principii generali dell’ordinamento è costituito dall’obbligo dell’imprenditore puntualmente ricordato dall’art. 2087 tenuto ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori. Nel nostro caso è proprio la particolarità del lavoro ad imporre uno sforzo di costruzione organizzativa in materia di pronto soccorso che sia capace di non mettere mai a rischio la salute dei lavoratori. E nel caso del trasporto ferroviario inevitabilmente vengono in rilievo:

- le dimensioni dell’azienda;
- le modalità della prestazione di lavoro dei macchinisti e degli altri agenti a bordo del treno;
- la partecipazione del medico competente all’elaborazione del sistema di prevenzione di pronto soccorso;
- l’insieme dei rapporti che il datore di lavoro deve intrattenere con gli organi pubblici preposti al soccorso e all’emergenza;
- la presenza, anche eventuale, di persone che non appartengono all’azienda ferroviaria;
- la partecipazione dei lavoratori all’elaborazione del piano di pronto soccorso;
- l’adeguata formazione da impartire a tutti coloro che abbiano un ruolo in materia di pronto soccorso e in particolare ai lavoratori che, soli o in compagnia di altro agente, si trovino in situazioni di emergenza che richiedono un pronto intervento.

L’obbligo di provvedere in ordine a tutti gli elementi sopra ricordati, quando fosse violato, comporterebbe una sanzione penale per il datore di lavoro inadempiente. Né vale l’obiezione che il puntuale rispetto della disciplina contenuta nel D.M. 388 esonera da ulteriori responsabilità il datore di lavoro che vi abbia adempiuto. Questo argomento contrasterebbe frontalmente con l’esigenza già descritta nell’art. 2087 che non restringe la sua efficacia all’adozione delle misure minime ma pretende l’adozione di “tutte le misure che la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica suggeriscono”.

Aggiungo, per concludere, che l’organizzazione del pronto soccorso ( o del “primo soccorso”) riguarda non solo i lavoratori, ma anche le persone che utilizzano il treno. La giurisprudenza di legittimità ha sempre riconosciuto che quando la violazione di una norma, dettata a protezione di alcune categorie di soggetti, lede anche altri beni protetti dall’ordinamento, il contravventore risponde anche nei confronti di altri soggetti.

Questa osservazione conduce ad esaminare uno dei requisiti essenziali dell’organizzazione dei pronto soccorso: cioè la capacità e la preparazione degli addetti.
L’art. 3 del D.M. 386 disciplina la qualità e la quantità di formazione, oltre che le modalità del suo svolgimento. Ma nulla dice in ordine al numero degli operatori da formare in materia di pronto soccorso. E invece, per quanto riguarda i lavori a bordo treno, il numero degli addetti alla conduzione del treno diventa essenziale. E’ chiaro, ad es., che se si adotta l’agente unico, è difficile immaginare che il pronto soccorso possa essere prestato da altri. Ed è impossibile supporre che, quando il soccorso debba essere portato contemporaneamente al conducente e a qualche passeggero, vi siano idonee soluzioni.


5. Tra le attrezzature che il datore di lavoro deve garantire, a norma dell’art. 2 D. 388, figura alla lettera b) un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del servizio sanitario nazionale.

Occorre dire chiaramente che già oggi, a prescindere dall’organizzazione del modulo di conduzione con l’agente unico, in caso di malore dell’agente abilitato alla guida, ovvero di uno o più passeggeri in qualche caso, si è nell’impossibilità di comunicare l’emergenza o di fare tempestivamente intervenire il S.S.N. Penso, per es. ai lunghi tratti in galleria, dove sono impossibili le comunicazioni con i cellulari e, per quanto se ne sappia, con nessun altro mezzo GSMR ordinario disponibile dai passeggeri – già oggi, dunque l’organizzazione del pronto soccorso è discutibile se confrontata con le norme vigenti.

Accanto alle questioni poste dall’organizzazione del pronto soccorso, ci sono quelle relative alla formazione del personale addetto che attengono soprattutto all’efficacia dell’intervento del pronto soccorso. E’ chiaro che l’efficacia degli interventi è direttamente proporzionale alla formazione ricevuta e all’esperienza dei soggetti individuati come addetti. Si sente dire spesso che gli addetti al 1° soccorso dovrebbero soprattutto attenersi ad una regola aurea: quella di astenersi dal compiere qualsiasi manovra. E’ un brillante paradosso, capace di mettere in guardia dal fare manovre scomposte o dannose, ma che non è molto utile a chi abbia davvero bisogno di aiuto. Certo è che oltre alla qualità della formazione è rilevante il numero delle persone formate, poiché non è lecito far viaggiare un treno privo del tutto di addetti al pronto soccorso.

In conclusione mi pare che possano essere condivise le osservazioni contenute nella ricerca, soprattutto per quanto riguarda la stretta connessione esistente tra l’organizzazione del servizio di trasporto ferroviario e il rispetto dei requisiti minimi stabiliti per il pronto soccorso al personale e ai passeggeri.

Credo anche che sia giusto aggiungere che l’eventuale istituzione dell’agente unico, nella presente organizzazione del servizio di trasporto, non è compatibile con le esigenze del soccorso individuate dall’art. 15 del D. 626. Questo non significa che non siano possibili altri accorgimenti organizzativi che, pur prevedendo l’agente unico, siano compatibili con le esigenze di tutela dei lavoratori previste dalla legge.

Ma questa, naturalmente, è un’altra storia.