Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2013, n. 5473 - Doveri e responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori


 

 

 

 

Presidente Brusco – Relatore Foti

 

 

Fatto


-1- Nel pomeriggio del (omissis) , all'interno del cantiere edile insediato nella "ex area Fiat", A..B. , dipendente della ditta edile "P.", subappaltatrice dei lavori di pavimentazione del complesso edilizio (costituito da tre edifici) in costruzione in detta area, incaricato di trasportare dei sacchi, nel passare sulle assi che ricoprivano un'apertura "a bocca di lupo" posta sul perimetro dell'edificio denominato "C9", a causa dell'improvviso spostamento delle assi, è precipitato dentro la buca da un'altezza di circa sei metri ed ha riportato gravi lesioni (frattura vertebrale con infiltrazione di un frammento osseo nel canale midollare), con permanente indebolimento della funzione della deambulazione e della capacità di erezione.
L'operaio lavorava al fabbricato denominato "C8" ed era stato incaricato di trasportare presso di esso del materiale edile. Per eseguire tale compito, egli doveva attraversare buona parte del cantiere e, dovendosi spostare tra i fabbricati "C8" e "C9", utilizzava il marciapiede di quest'ultimo edificio, lungo il quale erano aperti numerosi cavedii che, al termine dei lavori, avrebbero dovuto esser coperti con delle grate, nel frattempo sostituite da assi di legno. L'incidente si era verificato proprio mentre il B. stava transitando al di sopra di una di dette aperture.
Dalle indagini avviate al fine di accertare le cause dell'infortunio e le eventuali responsabilità, è emerso che il cavedio sul quale l'operaio stava transitando non era recintato, per impedirne l'attraversamento, ed era stato coperto da assi di legno non legate tra loro, appoggiate non su quattro longarine, come la lunghezza dell'apertura avrebbe richiesto, bensì su tre. Tale situazione aveva reso precaria la tenuta delle assi sia perché esse, non essendo legate tra loro, potevano spostarsi e creare dei vuoti, sia perché l'assenza di una longarina rendeva poco stabile l'appoggio delle stesse assi che, anche per tale ragione, potevano muoversi e perdere la compattezza necessaria a dare stabilità alla copertura. È stato, altresì, accertato che le predette modalità di copertura, cioè con assi sostenute da longarine, erano state utilizzate per tutte le altre aperture a "bocca di lupo" realizzate sul marciapiede del fabbricato "C9" e che in alcuni casi le assi erano vincolate tra loro mentre, in altri casi, esse erano libere, così come riscontrato nel cavedio ove si era verificato l'incidente. Più precisamente, si è accertato che su quattordici aperture presenti nel marciapiede del predetto edificio, sette erano coperte con assi tra loro vincolate, altre sette, tra cui quella ove era caduto il B. , con assi libere.
Dell'incidente, e dunque delle lesioni riportate dal lavoratore, aggravate perché commesse con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, sono stati chiamati a rispondere G.B. , quale coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori, S.F. , quale responsabile per la sicurezza e del cantiere per la realizzazione delle opere edili infrastrutturali della "Maire Ingineering s.p.a.", società committente ed appaltatrice, e N.S. , quale responsabile del cantiere dell'impresa appaltatrice per la realizzazione delle opere edili "G.D.M. Costruzioni spa". Nel corso del processo è stato, tra l'altro, accertato che, fino al giorno precedente l'infortunio, la "CM Industriai Plants", subappaltante della ditta "COIL" con l'incarico di posare delle tubazioni nell'intradosso del solaio di copertura del piano seminterrato, aveva lavorato nell'area dell'edificio "C9" e, per introdurre dette tubazioni, aveva rimosso le assi di copertura dei cavedii, compreso quello che qui interessa, successivamente perfettamente ripristinati, secondo quanto affermato in dibattimento dal personale di tale ditta che ha eseguito il lavoro (il geom. L.C. e gli operai Sa. e V. ).

-2- Con sentenza del 28 ottobre 2008, il Tribunale di Firenze ha affermato la responsabilità dei tre imputati che, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sull'aggravante contestata, sono stati condannati alla pena di due mesi di reclusione ciascuno nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, alla quale è stata assegnata una provvisionale di 50.000,00 Euro.
Il giudice di primo grado, precisato che non era stato individuato il soggetto che aveva materialmente realizzato la copertura in questione, ha ritenuto che l'operaio era caduto nella buca perché detta copertura non era stata eseguita rispettando le norme di sicurezza (art. 23 del d.p.r. n. 164/1956) poiché, non essendo state le assi tra loro vincolate né appoggiate ad un numero adeguato di longarine, al passaggio del B. erano cadute nel cavedio, trascinando giù lo stesso lavoratore, rimasto inaspettatamente privo di appoggio.
L'infortunio, dunque, si era verificato, secondo il giudicante, proprio per la violazione di precise regole prudenziali, della quale dovevano esser ritenuti responsabili, non solo coloro che avevano realizzato la copertura nei termini sopra descritti, in sede di originaria esecuzione della stessa ovvero di ripristino di quella originaria correttamente eseguita, ma anche coloro che, ricoprendo precisi incarichi ed assumendo specifiche posizioni di garanzia, non avevano controllato che la copertura fosse stata realizzata a norma di legge ovvero che fosse stata in tali termini mantenuta. E quindi gli odierni imputati, in relazione alla violazione, quanto alla G. , dell'art. 5 co. 1 lett. a) del d.lgs n. 494/96, quanto al S. , dell'art. 7 co. 2 lett. b) del d.lgs n. 626/94, quanto al N. , dell'art. 12 co. 3 del del d.lgs n. 494/96.


-3- Impugnata dagli stessi imputati, tale decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Firenze con sentenza del 5 maggio 2011.
Anche la corte territoriale ha sostenuto che l'infortunio è stato causato dalla difettosa applicazione o manutenzione della copertura e che la responsabilità di ciò doveva certamente attribuirsi anche agli imputati, che avevano omesso di controllare che tutte le coperture fossero state eseguite nel rispetto della richiamata normativa, ovvero fossero state ripristinate in termini di effettiva sicurezza dopo l'eventuale alterazione riconducibile all'intervento di posa delle tubazioni affidata alla ditta subappaltatrice. L'avere omesso di controllare la corretta realizzazione delle coperture o il corretto ripristino delle stesse in sette cavedii, tra cui quello sul quale è caduto il B., su quattordici costituisce di per sé, a giudizio dei giudici del gravame, comportamento gravemente negligente causalmente orientato verso l'evento; ciò a prescindere dall'eventuale concorso di cause concorrenti ad altri riconducibili.

-4- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori, i tre imputati, che deducono:

4-1) G.B. :
A) Vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ricostruzione del fatto. Sostiene la ricorrente che dalle deposizioni dei dipendenti della ditta subappaltatrice incaricata della posa di alcune tubazioni, che avevano rimosso la copertura del cavedio, è chiaramente emerso: a) che detta copertura era stata realizzata a norma, perché poggiante su quattro longarine e costituita da assi tra loro collegate; b) che la rimozione della copertura si era resa necessaria per consentire il passaggio di un tubo; c) che tale rimozione era stata autonomamente decisa da un dipendente della ditta subappaltatrice, senza avvisare alcuno; d) che la copertura non era stata correttamente ripristinata posto che una delle longarine rimosse è stata ritrovata appoggiata al muro; e) che dall'esterno era impossibile rilevare che il piano di passaggio era stato malamente ripristinato. Di tali passaggi, la corte territoriale si sarebbe disinteressata, essendo anche giunta a sostenere che fosse irrilevante accertare se originariamente il cavedio fosse stato coperto a norma di legge e se successivamente era stato mal ripristinato.
B) Vizio di motivazione in merito alla riconosciuta responsabilità dell'imputata, laddove la corte territoriale non avrebbe affrontato le tematiche relative ai compiti del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, pur articolate nell'atto di appello;
C) Errata applicazione dell'art. 5 del d.p.r. n. 494/1996, conseguente ad un'errata lettura della norma in punto di individuazione dei compiti e dei doveri del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, tra i quali vi è quello di verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni impartite nel piano di sicurezza e di coordinamento e le corrette procedure di lavoro, disponendone l'eventuale adeguamento, non anche quello di una costante e concreta verifica dei lavori, anche solo attraverso un incaricato; compito riservato ad altre figure professionali; 4-2) S.F. :
A) Violazione degli artt. 125, 192 cod. proc. pen. e 590 cod. pen. per avere la corte territoriale ritenuto il ricorrente responsabile per la sicurezza con riferimento a tutto il cantiere, vizio di motivazione sul punto.
Si sostiene nel ricorso che il ruolo svolto dall'imputato, oltre ad essere limitato solo alla sicurezza del personale Maire, per quanto attiene ai lavori di cantiere era quello di responsabile tecnico, ossia di soggetto preposto dalla Maire - che dispone solo di tecnici - a controllare che le lavorazioni oggetto dell'appalto fossero correttamente eseguite e nei tempi previsti; tale ruolo, in ogni caso, era limitato alle sole infrastrutture, ossia alle lavorazioni diverse dagli edifici e dalle strutture ad essi pertinenti, come era quella dove l'infortunio si è verificato; sul punto, oggetto di specifico motivo d'appello, il giudice del gravame aveva espresso solo un giudizio di "risibilità" delle argomentazioni dell'imputato, senza affrontare in alcun modo la questione. Nessun esame era stato, poi, effettuato dallo stesso giudice delle dichiarazioni rese dal personale, dipendente di una ditta subappaltatrice che aveva eseguito lavori proprio nel cavedio teatro dell'incidente, specie laddove uno di essi, il geom. L.C. , aveva indicato l'odierno ricorrente come soggetto che si occupava della sicurezza del cantiere solo per averlo visto partecipare alle periodiche riunioni indette dalla società coordinatrice;
B) Violazione degli artt. 7 co. 2 lett. b), 90 co. 1 lett. a) del d.lgs n. 626/1994, 125 e 546 cod. proc. pen., 40 co. 2 e 590 cod. pen., per avere il giudice del gravame affermato la penale responsabilità
dell'imputato omettendo di motivare sul punto con riferimento sia alla posizione di garanzia che all'obbligo di coordinamento, malgrado le precise argomentazioni in proposito svolte nei motivi d'appello.
Sotto il primo profilo, rileva il ricorrente che la posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti delle ditte subappaltatoci intervenute, spettava alla ditta subappaltante, e dunque non all'imputato, che non aveva alcun obbligo di intervenire presso le imprese c.d. di "secondo livello", atteso che la Maire aveva rapporti diretti solo con i responsabili di cantiere delle imprese di "primo livello". Era, quindi, il responsabile della ditta subappaltante, referente per la sicurezza anche con riferimento alla ditta subappaltatrice, che aveva l'obbligo di vigilare circa le misure di sicurezza riguardanti il cavedio ove si era verificato l'incidente. Quanto all'obbligo di coordinamento di cui all'art. 7 del citato d.lgs., osserva il ricorrente che tale compito era stato regolarmente svolto dall'imputato con riferimento alle imprese di primo livello; mentre la responsabilità in ordine ai presidi di sicurezza concernenti la realizzazione dei fabbricati e delle relative pertinenze, spettava all'impresa che aveva appaltato i relativi lavori ed ai suoi rappresentanti;
C) Violazione degli artt. co. 2, 590 cod. pen., 125 e 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, per avere i giudici del gravame ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta ritenuta colposa dell'imputato e l'evento determinatosi malgrado l'intervento di un fattore del tutto estraneo, costituito dai comportamenti tenuti da coloro che per ultimi erano intervenuti sul cavedio e che, non avendolo ripristinato a norma di legge, hanno causato l'incidente; l'assenza del nesso ancor più si coglie, a giudizio del ricorrente, ove si consideri che tale errato intervento si era verificato appena il giorno precedente l'infortunio;
D) Ancora violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Si sostiene nel ricorso che l'imputato non aveva avuto alcuna possibilità di accorgersi dell'omessa adozione delle misure di prevenzione posto che il vizio della copertura era del tutto occulto ed a tutti sconosciuto, eccetto, ovviamente agli esecutori materiali);
E) Violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale ribadito la responsabilità dell'imputato oltre il ragionevole dubbio, nonostante la contraddittorietà delle prove acquisite;
F) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di assegnazione alla parte civile di una somma a titolo di provvisionale e di condanna dell'imputato al risarcimento del danno ed alle spese
del giudizio;
G) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancata sostituzione della pena detentiva inflitta con la corrispondente pena pecuniaria.
4-3) N.S. :
A) Violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., e dunque del principio di correlazione tra accusa e sentenza, laddove è stata affermata la responsabilità dell'imputato per non avere lo stesso controllato il corretto ripristino della protezione del cavedio, rimossa dai dipendenti di una ditta subappaltatrice, mentre l'iniziale contestazione riguardava l'originaria non corretta messa in opera della stessa protezione; l'imputato sarebbe stato, quindi, condannato per avere tenuto una condotta diversa da quella contestata;
B) Vizio di motivazione in ordine al dedotto difetto di correlazione, escluso dalla corte territoriale con argomentazioni illogiche ed in parte poco comprensibili;
C) Vizio di motivazione in ordine alle cause dell'infortunio ed al nesso di causalità. Quanto alle prime, il giudice del gravame avrebbe immotivatamente disatteso le argomentazioni dell'imputato circa la vera causa dell'infortunio, esclusivamente riconducibile alla manomissione, da parte di dipendenti di altra ditta, della copertura originariamente correttamente realizzata. Circostanza chiaramente emersa, ed ammessa dallo stesso giudice di primo grado, che avrebbe dovuto essere adeguatamente apprezzata anche sotto il profilo causale;
D) Vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa al di là di ogni ragionevole dubbio ed in ordine alla valutazione della prova.
Sostiene il ricorrente che la corretta realizzazione delle assi poste a protezione del vuoto non può comprendere anche l'onere della loro manutenzione, tranne che la rimozione dei presidi non sia opera della stessa impresa che li ha correttamente installati o di ditta che operi in diretto subappalto della ditta installatrice. Non spettava quindi alla "GDM", cioè all'imputato, il compito di controllare il ripristino di opere provvisionali manomesse da altre imprese che si avvicendavano nel cantiere, ove si consideri che ditta appaltatrice (Maire Engineering) non forniva una dettagliata programmazione degli interventi che si dovevano realizzare giorno per giorno da altre imprese subappaltatrici, in modo da consentire la puntuale verifica della messa in pristino dei presidi antinfortunistici. Tale controllo avrebbe dovuto essere eseguito dalla "COIL" in quanto ditta che aveva subappaltato i lavori eseguiti sul cavedio e che avevano comportato la rimozione ed il successivo cattivo ripristino delle assi di protezione. Avrebbe quindi travisato la prova il giudice del gravame laddove ha attribuito alla "GDM" la posizione di impresa subappaltatrice dei predetti lavori;
E) Violazione dell'art. 531 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine al difetto di contestazione del reato contravvenzionale di cui all'art. 12 co. 3 del d.l.gs n. 494/1996, dell'intervenuta prescrizione del reato e della conseguente riduzione della pena. Il giudice del gravame, si sostiene nel ricorso, ha ritenuto che la contravvenzione predetta non sarebbe stata formalmente contestata all'imputato mentre, in realtà, tale contestazione era avvenuta, tanto che il primo giudice ne ha tenuto conto nella determinazione della pena; essendo detta contravvenzione prescritta alla data di emissione della sentenza impugnata, la corte ne avrebbe dovuto prendere atto ed avrebbe dovuto eliminare la porzione di pena inflitta in continuazione.
-5- Con memoria depositata in udienza, la difesa di parte civile chiede il rigetto dei ricorsi.

Diritto


-1- Occorre, anzitutto premettere che nessuno dei ricorrenti contesta le modalità né le cause dell'infortunio, individuate, le prime, nella caduta del lavoratore attraverso una delle aperture realizzate sul perimetro dell'edificio denominato C9, le seconde, nell'irregolare copertura della buca, realizzata con assi risultate non legate tra loro e poggiatiti su tre, invece che su quattro longarine, come previsto.
Tutti e tre i ricorrenti, viceversa, contestano, anzitutto, l'individuazione, in capo ad ognuno di essi, di posizioni di garanzia, ciascuno, evidentemente, diversamente argomentando le rispettive censure. 1-1) G.B. sostiene, a tale proposito, che sarebbe stato erroneamente applicato l'art. 5 d.p.r. n. 494/1996 poiché tra i compiti del coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori -ruolo dalla stessa ricoperto- vi è quello di verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavori autonomi, delle disposizioni impartite nel piano di sicurezza e di coordinamento, non anche quello di una costante e concreta verifica dei lavori, sia pure anche solo attraverso un incaricato.
Tale tesi difensiva è del tutto priva di fondamento, come già hanno correttamente osservato i giudici del merito, così come infondate sono e le censure articolate nel ricorso, essendo la decisione impugnata del tutto rispettosa delle norme di riferimento, oltre che resa in termini di assoluta coerenza logica.
In realtà, proprio l'art. 5 del citato d.p.r. indica, tra gli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, anche quello di verificare l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle procedure di lavoro, a ciò dovendo egli provvedere con opportune azioni di coordinamento e di controllo.
Il coordinatore, è, dunque, titolare di una posizione di garanzia nei termini individuati dalla citata norma. Egli, nell'ambito dei cantieri, deve assicurare il collegamento tra appaltatore e committente, al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica; in particolare, ha il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori e di vigilare sul rispetto dello stesso. Le funzioni del coordinatore non si limitano, pertanto, solo ai compiti di organizzazione e di collegamento tra le varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opera, ma si estendono alla vigilanza sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza, a maggior garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
Orbene, proprio alla stregua della richiamata disposizione di legge, la G. avrebbe dovuto verificare, direttamente o anche attraverso un incaricato, sia la corretta originaria realizzazione delle coperture in questione, sia il successivo corretto ripristino delle stesse, dopo l'intervento dei dipendenti della "CM industrial", incaricata della posa di tubazioni nell'intradosso del solaio di copertura del piano seminterrato. Con particolare attenzione, peraltro, tale compito di controllo l'imputata avrebbe dovuto svolgere, in considerazione del fatto che le citate aperture si trovavano, in numero consistente (14), lungo il perimetro del fabbricato, denominato "C9", che costituiva luogo di passaggio dei lavoratori e di chiunque altro si trovasse nel cantiere.
Condivisibile, quindi, è l'affermazione dei giudici del merito, laddove essi hanno specificato che chi sia titolare di una posizione di garanzia non può limitarsi ad impartire
direttive, ma deve anche accertarsi che le stesse siano rispettate, attribuendo, peraltro, la legge al coordinatore per l'esecuzione dei lavori poteri particolarmente incisivi, come quello di disporre la sospensione delle lavorazioni.
La stessa ricorrente, d'altra parte, è ben consapevole dei compiti derivantile dal ruolo ricoperto, laddove correttamente indica tra essi quello di verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni impartite nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché di controllare la correttezza delle procedure di lavoro e di disporne l'eventuale adeguamento. Affermazione del tutto in linea con quanto sostenuto dai giudici del gravame, e cioè che spettava all'imputata controllare che l'originaria esecuzione della copertura ed il successivo ripristino fossero avvenuti nel rispetto delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e coordinamento. Verifica evidentemente non effettuata ove anche si consideri che su quattordici aperture disposte lungo il perimetro dell'edificio "C9", ben sette, tra cui quella teatro dell'infortunio, registravano coperture con assi non legate tra loro. Circostanza che giustamente è stata ritenuta ancor più indicativa della grave violazione, da parte dell'imputata, degli obblighi di controllo sulla stessa incombenti.
Né può la ricorrente addurre a propria difesa la circostanza che originariamente la copertura del cavedio era stata realizzata a norma, né che la rimozione della stessa autonomamente decisa da un dipendente della ditta incaricata della posa, si era resa necessaria per consentire il passaggio di tubazioni. Invero, sono oggi in discussione, non i comportamenti e le responsabilità, pur sussistente, di chi ha realizzato la copertura o di chi l'ha ripristinata, né le ragioni della rimozione. In realtà, l'incertezza concernente le cause della irregolare copertura, sia stata essa originaria o conseguente ai lavori di ripristino, così come le ragioni della rimozione della stessa e l'individuazione di chi l'ha decisa, non valgono a escludere o anche solo a ridimensionare le responsabilità dell'imputata che, nella richiamata qualità, aveva il dovere di controllare che i lavori, di esecuzione o di ripristino, fossero eseguiti conformemente alle previsioni normative e con modalità tali da garantire la sicurezza all'interno del cantiere.
Neanche dette responsabilità potrebbero essere evitate sul rilievo che dall'esterno non e' possibile rilevare l'errato ripristino della copertura, posto che la verifica della praticabilità della stessa, dopo l'esecuzione dei lavori di posa delle tubazioni, avrebbe dovuto essere eseguita concretamente ed

indipendentemente da quanto potesse visivamente rilevarsi. La stessa ricorrente, d'altra parte, segnala che una delle longarine di sostegno era stata rimossa ed appoggiata al muro, di guisa che ben visibile e percepibile era lo scorretto ripristino del tavolato.


1-2) N.S. , direttore, per conto dell'impresa appaltatrice "GDM", del cantiere dell'edificio "C9" ove si è verificato l'incidente, sostiene che non spettava alla "GDM", e quindi a lui, il compito di controllare il corretto rispristino delle assi poste a protezione dell'apertura attraverso la quale è precipitato il lavoratore infortunato, manomesse, a suo giudizio, da altre imprese impegnate nei lavori A tale controllo, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto attendere la "COIL", impresa che aveva subappaltato alla "CM"i lavori eseguiti sul cavedio.
In proposito, deve ribadirsi quanto già sostenuto dai giudici del merito, e cioè, che all'imputato, nella richiamata qualità, spettava di assicurare la manutenzione delle opere provvisionali eseguite dalla "GDM", e quindi anche dei cavedii e delle relative coperture che si trovavano nel cantiere da lui diretto. Avendo quantomeno notato l'esecuzione dei lavori di posa delle tubazioni - certo non esauritisi in poche ore-, e quindi l'avvenuta rimozione della copertura, a lui, quale direttore di cantiere, spettava di verificare il corretto ripristino dell'impalcato, ovvero provvedervi direttamente, anche perché posto in zona di transito pedonale utilizzata anche dai lavoratori della "GDM", oltre che dai dipendenti di tutte le altre imprese impegnate nei lavori. Controllo evidentemente non o mal eseguito, se è vero che, come già rilevato, ben sette delle quattordici aperture poste lungo il perimetro del fabbricato "C9" avevano coperture non a norma. Circostanza ancora indicativa dello scarso interesse mostrato dall'odierno ricorrente nei confronti di un'opera provvisionale così rilevante in termini di sicurezza, indispensabile per evitare la caduta nel vuoto di quanti si trovassero a transitare.
Non v'è dubbio, d'altra parte, in ordine all'efficacia causale del colpevole comportamento del N. , posto che, se egli avesse adempiuto ai propri doveri, avesse cioè verificato la regolarità della copertura, l'incidente non si sarebbe verificato; mentre il riferimento al possibile concorso di cause concorrenti, ad altri riconducigli - nella specie, sostiene il ricorrente, ai dipendenti della ditta impegnata nella posa delle tubazioni, colpevoli di non avere correttamente ripristinato l'impalcato rimosso, ovvero anche ai responsabili della "COIL" che quei lavori aveva subappaltato -, non esclude né diminuisce la responsabilità dell'imputato, in considerazione della qualifica ricoperta e dei compiti di controllo che dalla stessa scaturivano. Del tutto inesistente, infine, è il dedotto travisamento della prova in punto di asserita attribuzione alla "GDM" della posizione di impresa subappaltatrice dei lavori eseguiti dalla "CM", atteso che è assolutamente evidente che tale subappalto il giudice del gravame ha correttamente attribuito alla "COIL". Anche nei confronti del N. , dunque, deve rilevarsi che infondate solo le dedotte cesure, essendo la decisione impugnata, con riguardo ai punti esaminati, del tutto rispettosa delle norme di riferimento, oltre che resa in termini di assoluta coerenza logica.


1-3) S.F. , responsabile della sicurezza per la "Maire Engineering", società committente ed appaltatrice del complesso edilizio, nonché responsabile di cantiere per le infrastnitture, sostiene essere stati violati dal giudice del gravame gli artt. 125, 192 cod. proc. pen. e 590 cod. pen., avendo egli erroneamente ritenuto il ricorrente responsabile per la sicurezza con riferimento a tutto il cantiere, laddove tale ruolo egli avrebbe ricoperto solo nei confronti del personale della "MAIRE" e comunque solo con riferimento alle infrastrutture. Sul punto, in nessun modo avrebbe motivato la corte territoriale, che non avrebbe considerato quanto dichiarato dal personale della ditta che aveva eseguito i lavori proprio nel cavedio teatro dell'incidente. Sostiene, altresì, la violazione degli artt. 7 co. 2 lett. b), 90 co. 1 lett. a) del d.lgs. n. 626/1994,125 e 546 cod. proc. pen., 40 co. 2 e 590 cod. pen., con riguardo alla posizione di garanzia riconosciuta all'imputato nei confronti dei dipendenti delle ditte subappaltatrici ed all'attività di coordinamento che, si soggiunge nel ricorso, essere stata regolarmente svolta nei confronti delle imprese di primo livello; anche su tali questioni la corte territoriale non avrebbe motivato.
Osserva la Corte che tali censure sono del tutto infondate, alla luce di quanto sostenuto dai giudici del merito, in termini sintetici la corte territoriale, più ampi ed articolati il primo giudice, le cui argomentazioni la stessa corte ha richiamato.

In realtà, la posizione dell'imputato di responsabile per l'intero cantiere con riguardo alle opere infrastrutturali, e quindi delle strade e degli impianti a servizio degli edifici in costruzione, non può dichiararsi estraneo alle opere che avevano coinvolto la zona, circostante l'edificio "C9". Anzitutto perché si trattava di un'area di transito pedonale, da tutti utilizzata per spostarsi da un edificio all'altro, da una zona all'altra del cantiere, di guisa che l'imputato, atteso il ruolo ricoperto, non poteva non curarsi di quanto colà avveniva. Ma anche perché i lavori eseguiti in quel contesto, cioè di posa di tubature, eseguita dai dipendenti della "CM", riguardavano proprio le infrastrutture del complesso edilizio. Al S. , quindi, specificamente spettava di raccordare l'intervento della ditta subappaltatrice con le altre attività edilizie in corso e di disciplinare detto intervento in termini tali da garantire che lo stesso fosse eseguito in maniera da garantire la sicurezza delle aree interessate. In tale contesto, vista anche la necessità, per procedere alla posa delle tubazioni, di rimuovere le opere provvisionali realizzate a protezione delle aperture dei cavedii, anche a lui spettava di verificare che, posizionate le tubazioni, si fosse proceduto all'immediato e corretto ripristino di dette opere, e con riguardo, non solo all'apertura attraverso la quale è precipitato il B. , ma anche a tutte le altre aperture dell'area, ben sette delle quali, come già rilevato, si presentavano irregolarmente realizzate. Circostanza, quest'ultima, che, ancora una volta, deve essere segnalata in quanto indicativa della grave violazione, anche da parte del S. , degli obblighi di controllo sullo stesso incombenti.
Del resto, ha rilevato il primo giudice, il geom. L.C. , responsabile in loco della "CM", ha riferito, a conferma del ruolo ricoperto in cantiere dall'imputato, di avere avuto rapporti diretti proprio con il S. in quanto responsabile di cantiere per le infrastrutture, e proprio allo scopo di curare l'organizzazione e l'esecuzione dei lavori di posa delle tubazioni. Non v'è dubbio, d'altra parte, che proprio tale mancato controllo si è posto come fattore causale, pur con altri concorrente, dell'evento determinatosi, poiché è evidente che, se l'imputato si fosse curato di verificare, anche a mezzo di un proprio incaricato, la corretta predisposizione della copertura del cavedio, il B. , ignaro dell'insidia costituita da una copertura inefficace, non sarebbe precipitato nel vuoto. Non può, peraltro, il ricorrente pensare di eludere le proprie responsabilità rilevando che non era ravvisabile l'omessa adozione delle misure di prevenzione, non essendo visibile dall'esterno l'irregolare realizzazione della copertura; ciò perché la verifica della corretta esecuzione della stessa, dopo l'esecuzione dei lavori di posa delle tubazioni, avrebbe dovuto essere eseguita concretamente ed indipendentemente da quanto potesse visivamente rilevarsi. Inesistenti sono, quindi, i vizi dedotti, avendo i giudici del merito correttamente interpretato le norme di riferimento ed avendo essi adeguatamente motivato le ragioni delle decisioni adottate, seppur, da parte del giudice del gravame, in termini di sinteticità, del resto giustificati dalla congruità delle argomentazioni articolate sul punto nella sentenza di primo grado.

-2- N.S. deduce ulteriori motivi di ricorso.

2-1) Con il primo, deduce la violazione, da parte dei giudici del merito, del principio di correlazione tra accusa e sentenza, laddove la responsabilità dell'imputato è stata affermata per non avere egli controllato il corretto ripristino della copertura del cavedio, a fronte dell'accusa che ipotizzava l'originaria non corretta esecuzione della stessa. La censura è infondata.
In tema di correlazione tra accusa e sentenza, questa Corte ha costantemente affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una radicale trasformazione dello stesso nei suoi elementi essenziali, tale da determinare incertezza circa l'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio del diritto di difesa dell'imputato.
Orbene, nel caso di specie, non vi è stata alcuna immutazione del fatto, rimasto nella sentenza del tutto identico a quello fin dall'inizio indicato nel capo d'imputazione, laddove all'imputato è stata contestata "la non corretta messa in opera degli intavolati a protezione di aperture nel vuoto nel cantiere"; riferimento che evidentemente ricomprende ambedue le ipotesi richiamate dal ricorrente. Non vi è stata, quindi, nel caso di specie, alcuna violazione del diritto di difesa dell'imputato, che si è ampiamente e compiutamente difeso. Negli stessi termini ha sostanzialmente concluso il giudice del gravame, seppur con motivazione sul punto particolarmente sintetica, probabilmente in vista dell'evidente infondatezza della censura.

2-2) Infondato è anche il motivo di ricorso concernente la presunta contestazione della contravvenzione di cui all'art. 12 co. 3 del d.l.vo n. 494/1996.
Come già correttamente osservato dal giudice del gravame, detta contravvenzione non è stata contestata all'imputato, ma solo richiamata nel capo d'imputazione ai fini della corretta descrizione dell'unica contestazione, formulata ex art. 590 co. 3 cod. pen.. Ad essa, inoltre, ha fatto riferimento il giudice di primo grado solo in funzione delle valutazioni di competenza ai sensi dell'art. 133 cod. pen..

-3- S.F. propone ulteriori motivi di ricorso.
3-1) Assorbite dalle statuizioni di conferma della penale responsabilità dell'imputato, ed in ogni caso manifestamente infondate, sono le censure concernenti la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni, ed alla rifusione alla parte civile delle spese del giudizio, nonché l'assegnazione alla stessa di una provvisionale.
Si tratta, invero, di statuizioni che necessariamente, quanto alle prime due, legittimamente quanto alla terza, conseguono all'affermazione della responsabilità penale.

3-2) Infondata è, infine la doglianza relativa alla mancata conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, legittimamente negata dal giudice del gravame sulla base di condivisibili considerazioni e valutazioni in fatto, estranee al giudizio di legittimità.

-4- I ricorsi devono essere, in conclusione, rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione alla parte civile delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.