Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2013, n. 9169 - Morte di un lavoratore occasionale durante le operazioni di scarico di specchi


 

Responsabilità di un datore di lavoro per la morte di un lavoratore occasionale. In particolare l'imputato caricava un autocarro della ditta con chilogrammi 1225,25 circa di specchi di grandi dimensioni e trasportava detto carico presso una palestra ove parcheggiava il mezzo senza tener conto della pendenza del piazzale. Consentiva inoltre che le operazioni di scarico e trasporto degli specchi all'interno della palestra venissero effettuate con l'ausilio di persone occasionalmente sul posto senza fornire loro precise direttive. Così operando aveva cagionato l'infortunio mortale in cui aveva perso la vita il lavoratore, il quale, all'atto di scaricare uno specchio di notevoli dimensioni e peso, determinava il precipitare addosso su di sè di tutti gli specchi posizionati sul lato destro dell'autocarro che gli cagionavano lesioni gravissime che ne determinavano il decesso.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

La Corte afferma che l'espletata istruttoria aveva accertato senza ombra di dubbio che il carico delle lastre di vetro era stato sistemato in maniera fortemente instabile sul furgone, essendo stato male ancorato ed essendo stato scaricato in modo assai pericoloso, così da renderlo ancora più instabile. La sentenza impugnata evidenziava poi che il titolare della ditta e altresì guidatore del furgone, lo aveva parcheggiato in un piazzale in pendenza e non aveva esitato a servirsi per la pericolosa attività di scarico di lastre di vetro posizionate in maniera instabile di personale del tutto inesperto e impreparato, occasionalmente trovato sul posto, come appunto era il lavoratore deceduto.


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. MARINELLI F. - rel. Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis); avverso la sentenza n. 2434/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 20/12/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore avv. (Omissis) del foro di (Omissis) che chiede l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


(Omissis) è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Livorno per rispondere del reato di cui all'articolo 589 cod. pen., commi 1 e 2, perchè, nella sua qualità di titolare della ditta " (Omissis)", per colpa generica e specifica, aveva cagionato la morte del lavoratore occasionale (Omissis), avvenuta in data 29.09.2006. In particolare caricava un autocarro della ditta di cui sopra con chilogrammi 1225,25 circa di specchi di grandi dimensioni e trasportava detto carico presso una palestra ove parcheggiava il mezzo senza tener conto della pendenza del piazzale, così determinando una diminuzione dell'inclinazione delle lastre poggiate sul lato destro della struttura di sostegno e una conseguente loro minore stabilità. Consentiva inoltre che le operazioni di scarico e trasporto degli specchi all'interno della palestra venissero effettuate con l'ausilio di persone occasionalmente sul posto senza fornire loro precise direttive per eseguire le sopra indicate operazioni in condizioni di assoluta sicurezza. Così operando aveva cagionato l'infortunio mortale in cui aveva perso la vita (Omissis), il quale, all'atto di scaricare uno specchio di notevoli dimensioni e peso, determinava il precipitare addosso su di sè di tutti gli specchi posizionati sul lato destro dell'autocarro che gli cagionavano lesioni gravissime che ne determinavano il decesso.

Con sentenza del 20.07.09 il Tribunale di Livorno condannava (Omissis) per il reato di cui sopra alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello il difensore dell'imputato.

La Corte di appello di Firenze in data 20.12.2011, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, ritenute le già concesse attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, rideterminava la pena in mesi nove di reclusione.

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per cassazione personalmente (Omissis) e concludeva chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1) insufficiente motivazione in ordine alla valutazione dell'ultimo motivo di appello.

Lamentava sul punto il ricorrente che la sentenza impugnata era censurabile nella parte in cui non aveva adeguatamente motivato in merito al motivo di appello relativo alla eventuale interruzione del rapporto di causalità tra la condotta imputabile al (Omissis) e l'evento morte, essendo il decesso del (Omissis) avvenuto per una "infezione letale" sopravvenuta in sede di ricovero ospedaliero ed a distanza apprezzabile dall'incidente.

2) Insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla ricostruzione del fatto ed alla condotta dell'imputato.

Secondo il ricorrente erroneamente la sentenza di appello aveva sostenuto l'irrilevanza causale del salto dal furgone compiuto da (Omissis) "nel senso che, se anche non ci fosse stato, le lastre sarebbero scivolate lo stesso in base al semplice movimento di spostamento operato dalla vittima, o dal vento mentre lo stava scaricando" (pagina 5 sentenza).

Tale valutazione secondo il ricorrente sarebbe semplicistica e basata su mere considerazioni ipotetiche e quindi sarebbe censurabile sotto tale profilo.

Diritto



I proposti motivi di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto ripropongono questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta. Per quanto attiene al primo motivo, assai generico in quanto si limita a prospettare l'ipotesi che il decesso del lavoratore (Omissis) sia stato cagionato da una infezione contratta in ambito ospedaliero, si osserva che i giudici della Corte territoriale hanno rilevato che la predetta infezione (la sepsi) si poneva come una assai prevedibile complicanza delle gravissime lesioni subite dal lavoratore a seguito della caduta delle lastre di vetro e come tale era un fatto non idoneo ad interrompere il rapporto di causalità.

Manifestamente infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, I giudici di appello hanno infatti evidenziato che l'espletata istruttoria aveva accertato senza ombra di dubbio che il carico delle lastre di vetro era stato sistemato in maniera fortemente instabile sul furgone, essendo stato male ancorato ed essendo stato scaricato in modo assai pericoloso, così da renderlo ancora più instabile. Irrilevante quindi, nella produzione dell'evento, era la circostanza che (Omissis) sarebbe saltato giù dal furgone, dal momento che non era stata tale condotta a determinare la perdita di equilibrio delle lastre e la loro precipitazione sul lavoratore, bensì la circostanza che esse fin dall'inizio erano state posizionate in maniera assolutamente instabile (le lastre erano state lasciate slegate tra loro, poggiavano su pianali di tavole di legno non fissate e semovibili e non erano stati neppure messi idonei distanziatori). La sentenza impugnata evidenziava poi che il (Omissis), titolare della ditta e altresì guidatore del furgone, lo aveva parcheggiato in un piazzale in pendenza e non aveva esitato a servirsi per la pericolosa attività di scarico di lastre di vetro posizionate in maniera instabile di personale del tutto inesperto e impreparato, occasionalmente trovato sul posto, come appunto era il lavoratore deceduto (Omissis).

Il ricorso di (Omissis) pertanto manca di considerazione per la motivazione criticata, e, lungi dall'individuare specifici vuoti o difetti di risposta, si duole del risultato attinto dalla sentenza e accumula circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto ascrittogli in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.