Categoria: Cassazione penale
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  • Datore di Lavoro
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  • Infortunio sul Lavoro
  • Informazione, Formazione, Addestramento

Infortunio mortale di un lavoratore folgorato dai cavi dell'alta tensione; prassi lavorativa pericolosa tollerata dal datore di lavoro - incidenza della prassi sull'informazione e formazione dei lavoratori -  Sussiste

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) C.O., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 14/06/2006 CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI GIACOMO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. MASCHERIN e PANTERILLI che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.



FattoDiritto

1 C.O. ricorre avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trieste, del 14 giugno 2006, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone, del 26.4.05, che ne ha affermato la penale responsabilità in ordine al delitto di omicidio colposo, ai danni del dipendente G.N., commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sull'aggravante contestata, alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, alle quali ha assegnato una provvisionale di Euro 20.000,00, ciascuno.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, C.O., titolare dell'impresa individuale denominata "Azienda Agricola Vivai Cemulini Otello", era stato incaricato dalla "GFP spa" di Azzano dell'esecuzione di lavori di sistemazione del parco dello stabilimento, tra cui era compresa la potatura di alberi, anche di alto e medio fusto, posti in prossimità dei cavi elettrici dell'alta tensione che l'attraversavano, per via aerea, l'area dello stabilimento.
Nella mattinata del 24 gennaio 2000, il C. aveva accompagnato sul posto una squadra di operai muniti oltre che dei normali attrezzi di lavoro, quali svettatoi, seghe estensibili ed utensili muniti di aste allungatoli ed isolanti, che avrebbero consentito di raggiungere i rami più alti, mantenendo i lavoratori a distanza di sicurezza anche di un autocarro dotato di piattaforma autosollevante, idoneo ad innalzare l'operatore ad altezza utile per la potatura degli alberi a più alto fusto.
Gli operai erano stati divisi in due gruppi, uno dei quali, composto dal G. e da C.L., aveva il compito di potare gli alberi ad alto fusto utilizzando la piattaforma autosollevante.
Il C., comunque presente sul posto durante l'esecuzione di lavori, aveva raccomandato ai suoi dipendenti di prestare particolare attenzione ai cavi elettrici dell'alta tensione e di operare ad un distanza dagli stessi non inferiore ai cinque metri previsti dalle norme antinfortunistiche.
Nel pomeriggio dello stesso giorno il C. era stato costretto ad allontanarsi dal cantiere per accompagnare a casa altro dipendente, vittima di un malore e, prima di allontanarsi, aveva chiamato il G., che era l'operaio più esperto del gruppo, al quale aveva dato ordine di sospendere i lavori, vista l'ora ormai tarda, e di posteggiare l'autocarro, con relativa piattaforma, sul retro dello stabilimento.
Allontanatosi il C., il G. si era posto alla guida del predetto automezzo e, in compagnia del C.L., portatosi nel luogo indicatogli dall'imputato, invece di posteggiare il mezzo, aveva ripreso il lavoro di potatura ponendosi ai comandi della piattaforma a bordo della quale il C.L., utilizzando una sega non estensibile, aveva preso a potare i rami di un'acacia.
Nel manovrare la piattaforma in modo da rendere possibile l'intervento del compagno, il G., avendo inavvertitamente urtato con il braccio e la spalla i cavi elettrici dell'alta tensione, aveva ricevuto una forte scarica elettrica che ne aveva causato la morte.
Il Tribunale, dopo avere richiamato il divieto, sancito del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, di eseguire lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza inferiore a cinque metri, ha ricordato che il perito Dott. T. aveva accertato, in base alla tipologia ed all'inclinazione degli interventi di potatura, nonchè alle tracce lasciate sulla corteccia degli alberi, che la maggior parte dei tagli era stata eseguita, nella giornata del 24 gennaio, da una distanza di meno di cinque metri dalla linea di alta tensione, di guisa che, se gli operai non avessero concretamente utilizzato attrezzi estensibili ed isolanti, avrebbero necessariamente dovuto avvicinarsi, per eseguire la potatura, ad una distanza dai cavi elettrici inferiore a quella di sicurezza prescritta.
Lo stesso giudice di primo grado ha poi richiamato le deposizioni rese dai testi C.L. e P., compagni di squadra del G. incaricati, il primo, di operare la potatura dalla piattaforma mobile, il secondo, di ripulire il terreno dai rami recisi i quali hanno negato ( C.L.), ovvero affermato di non avere notato ( P.), che per la potatura degli alberi fossero state utilizzate aste estensibili.
Da tali deposizioni il tribunale ha tratto la conclusione secondo cui la potatura era stata effettuata utilizzando le seghe e le cesoie ordinarie, dopo che si era provveduto ad avvicinare la piattaforma ai rami da recidere, e quindi senza rispettare la distanza di sicurezza.
Il C., quindi, ad onta delle raccomandazioni e degli inviti alla prudenza rivolti ai propri dipendenti, aveva, nella mattinata del 24 gennaio, durante la sua presenza in cantiere, suggerito, o almeno tollerato, per ignoranza o per rendere più celere l'esecuzione di lavori, che il G. ed il C.L. operassero senza il rispetto della distanza di sicurezza dalla linea elettrica, così consentendo una prassi d'impresa pericolosa ed illecita che aveva creato le premesse dell'infortunio.
La mancata organizzazione del lavoro nel rispetto delle norme di sicurezza, il ripetuto e consapevole avallo di modalità operative pericolose, incidenti sul processo di formazione e di informazione dei dipendenti, individuano, quindi, secondo il tribunale, profili di colpa, a carico dell'imputato, che si sono posti in rapporto causale con l'evento.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l'imputato il quale, richiamate le deposizioni dei testi C.L. che aveva indicato in cinque o sei metri la distanza di sicurezza concretamente osservata D.B.B., dipendente della G.F.P. ed addetto al parco che aveva stimato tale distanza in sette od otto metri, T., tecnico della A.S.L. n. (OMISSIS) che aveva condotto l'inchiesta amministrativa definita con l'esonero da ogni responsabilità del C., ha sostenuto che l'infortunio doveva essere esclusivamente addebitato al comportamento, pericoloso e del tutto imprevedibile, del G. che, a dispetto della preparazione specifica, dell'esperienza lavorativa e delle disposizioni impartitegli dal datore di lavoro, aveva ritenuto di intervenire in modo anomalo.
Tale condotta si sarebbe, quindi, posta quale causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l'evento, idonea ad escludere qualsiasi profilo di responsabilità dell'imputato.
Con la sentenza impugnata, la corte d'appello ha confermato la decisione del primo giudice, ricordando, anzitutto, i risultati cui era pervenuta la perizia espletata in sede dibattimentale che, anche grazie ad un esperimento giudiziale, aveva accertato che, mentre l'autocarro sul quale era posta la piattaforma era stato collocato a distanza superiore a cinque metri, e dunque in condizioni di sicurezza, viceversa, gran parte delle operazioni di potatura di tre olmi posti in prossimità dello stabilimento, riferibili all'intervento del G. e del C.L., erano stati effettuati all'interno dell'area di sicurezza.
Ricordato che il perito non era stato in grado di stabilire se i tagli dei rami erano stati eseguiti con normali attrezzi di lavoro, previo avvicinamento della piattaforma all'interno dell'area di sicurezza, ovvero con attrezzature estensibili ed isolanti, mantenendo la piattaforma al di fuori di detta area, la corte territoriale ha quindi richiamato le deposizioni rese dai testi C.L. e P. che, a giudizio dei giudici del merito, avevano eliminato ogni incertezza nella ricostruzione degli eventi, avendo essi sostenuto che, in sostanza, per la potatura dei tre olmi erano stati utilizzati non gli svettatoi isolanti che avrebbero garantito la distanza di sicurezza, bensì i normali attrezzi di lavoro manovrati dall'alto della piattaforma, pur situata all'interno di detta area.
Da tali acquisizioni probatorie la corte territoriale ha trovato conferma dell'assunto del primo giudice il quale aveva attribuito all'imputato, presente sul cantiere durante tutto il giorno, l'addebito di avere suggerito, o di avere almeno tollerato, che gli operai lavorassero senza il rispetto della distanza di sicurezza, con tale comportamento incidendo negativamente sulla formazione professionale del personale ed avallando una pericolosa prassi d'impresa.
Tale condotta si è posta, a giudizio della stessa corte, in rapporto di diretta causalità con l'evento, senza che il nesso eziologico potesse ritenersi interrotto dalla sconsiderata iniziativa della vittima che, seppur imprudente e pericolosa, non è stata ritenuta estranea al contesto dell'attività lavorativa svolta, laddove l'interruzione del nesso causale presuppone un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, avulso da ogni ipotizzatale intervento e prevedibile scelta del lavoratore.
Avverso tale decisione ricorre, dunque il C. che deduce:
a) violazione di norme penali con riguardo all'affermata sussistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento;
Sotto tale profilo il ricorrente ripropone la tesi dell'esclusiva responsabilità della vittima nella produzione dell'evento, rimarcando come lo stesso giudice del merito avesse preso atto sia dell'esigenza dell'imputato di allontanarsi dal cantiere, sia dell'ordine di sospendere i lavori e di parcheggiare l'autocarro impartito proprio al G. che era il lavoratore più esperto;
ordine al quale non si era purtroppo attenuto il lavoratore che, di propria iniziativa e contro le disposizioni ricevute, aveva ripreso la potatura degli alberi; partendo da tali accertate premesse, nessuna responsabilità, a giudizio del ricorrente, avrebbe potuto discenderne per l'imputato, posto che il rapporto causale, rispetto all'evento determinatosi, non poteva essere ricondotto ad un comportamento colposo di chi aveva ordinato la sospensione dei lavori, bensì di chi, contravvenendo a tale disposizione, li aveva proseguiti; l'iniziativa del lavoratore non poteva che essere ritenuta del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite e dunque, proprio sulla base dei principi affermati dalla Corte di legittimità, richiamati dalla corte territoriale, la condotta della parte offesa avrebbe dovuto ritenersi in rapporto di diretta ed esclusiva causalità con l'evento;
b) mancanza di motivazione sul punto; sotto tale profilo il ricorrente, richiamati i motivi d'appello, con i quali era stato affrontato il tema del rapporto causale, sostiene che il problema del nesso causale tra l'ordine di cessare i lavori, non rispettato dal lavoratore, e l'infortunio, non è stato per nulla affrontato dalla corte territoriale, che si è solo soffermata sulla problematica della prassi d'impresa;
c) violazione di norme penali con riguardo al tema della "prassi pericolosa" che non può, a giudizio del ricorrente, configurare automaticamente il nesso causale, davanti al comportamento della parte offesa che lo stesso giudice del merito ha definito imprudente e scriteriato; donde l'inapplicabilità, nel caso di specie, del principio della prassi.
Conclude il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, previa acquisizione del fascicolo dibattimentale di secondo grado.
Con memoria prodotta presso la cancelleria di questa Corte, la parte civile G.N. ha contestato la fondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

2 Il ricorso è infondato.
In realtà, del tutto insussistenti sono i vizi rilevati dal ricorrente, avendo la corte territoriale, in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, ribadito la responsabilità dell'imputato, adeguatamente e coerentemente motivando le ragioni del proprio dissenso rispetto alle doglianze prospettate nell'atto d'appello.
In particolare, correttamente la corte territoriale, dopo avere rilevato che l'imputato, quale datore di lavoro della vittima, aveva una precisa posizione di garanzia, ha affermato come le modalità con le quali, alla presenza dello stesso imputato, si erano svolte, durante l'intera giornata del 24 gennaio, le operazioni di potatura e pulitura del parco dello stabilimento della società committente, fossero palesemente in contrasto con precise norme antinfortunistiche;
Più specificamente, con il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, che, con riguardo ai lavori da eseguire in prossimità di linee elettriche aeree dell'alta tensione, vieta la loro esecuzione a distanza inferiore ai cinque metri.
Nel caso di specie, è stato accertato, attraverso la perizia eseguita nel corso del dibattimento e le deposizioni dei testi C.L. e P., non solo che per le operazioni di potatura erano stati utilizzati normali attrezzi di lavoro invece che quelli isolanti, che avrebbero garantito l'incolumità degli operatori, ma anche che, ad onta delle raccomandazioni e delle direttive verbali impartite dall'imputato ai suoi dipendenti, per tutta la giornata del 24 il C., presente in cantiere, aveva quantomeno tollerato che le operazioni di potatura degli alberi del parco fossero eseguite dal G. e dai suoi compagni di lavoro senza il rispetto della giusta distanza tra l'operatore e la sovrastante linea elettrica.
Tale tolleranza, hanno giustamente sostenuto i giudici del merito, si è nella sostanza concretizzata in un'ordinaria e pericolosa prassi lavorativa, acquisita dai lavoratori e da essi seguita anche dopo che l'imputato si era allontanato dal luogo di lavoro.
Proprio tali incaute modalità operative, certamente in contrasto con la richiamata norma antinfortunistica, sono state, dunque, correttamente ritenute dalla corte distrettuale determinanti nella produzione dell'evento, unitamente alla mancata fornitura ai dipendenti di attrezzi isolanti che meglio avrebbero tutelato l'incolumità dei lavoratori.
D'altra parte, hanno ancora osservato i giudici dell'impugnazione, il rapporto causale tra tale rischiosa prassi, nota, se non anche suggerita dall'imputato, ed il mortale infortunio patito dal G. non può ritenersi interrotto dalla condotta, pur imprudente, del lavoratore.
A tale proposito, del tutto infondata appare la tesi del ricorrente che attribuisce ad una condotta del tutto anomala del proprio dipendente, che non aveva rispettato l'ordine di sospendere i lavori, l'esclusiva responsabilità dell'incidente, laddove, in realtà, in vista della richiamata prassi lavorativa, ed a prescindere dalla mancata fornitura di più idonei attrezzi di lavoro, tale condotta non può certo ritenersi quale fatto eccezionale e sopravvenuto, di per sè solo idoneo a cagionare l'evento.
In proposito, la corte del merito, richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ha correttamente sostenuto che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo allorchè il comportamento del lavoratore si presenti del tutto abnorme, dovendosi in tal guisa definirsi quello che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate ovvero, seppure in esso rientrante, sia consistito in qualcosa radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzagli scelte del lavoratore nell'esecuzione di lavoro;
Ipotesi che, per le ragioni sopra esposte, deve ritenersi del tutto estranea al caso di specie.
Mentre del tutto infondato è il vizio di motivazione formulato dal ricorrente con riguardo all'asserito mancato esame, da parte dei giudici dell'impugnazione, del tema del nesso causale tra l'ordine, non rispettato dai dipendenti, dì cessare i lavori e l'infortunio, atteso che la sentenza impugnata ha, in realtà, complessivamente esaminato la condotta del G., e dunque anche il profilo del mancato rispetto di detto ordine, infine concludendo nei termini, condivisi da questa Corte, sopra richiamati.
Corretto, infine, si presenta il ricorso al tema della pericolosa prassi di lavoro, giustamente addebitata all'imputato che, se non l'ha suggerita, l'ha almeno tollerata, così incidendo negativamente sulla formazione dei dipendenti, in sostanza autorizzati ad eseguire il lavoro di potatura senza rispettare elementari norme di sicurezza poste a garanzia della loro incolumità.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado del giudizio, liquidate in Euro 2.250,00, oltre spese forfetarie, Iva e CPA.



P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese forfetarie pari al 12,50%, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 26 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2007