Cassazione Penale, Sez. 3, 08 marzo 2013, n. 10932 - Responsabile del settore gestione del territorio di un Comune e omissione di regolare manutenzione per gli impianti ed i dispositivi di sicurezza presso il parco comunale e la biblioteca








REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Presidente -

Dott. FIALE Aldo - Consigliere -

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -

Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza


sul ricorso proposto da:

L.G. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 5157/2009 TRIB. SEZ. DIST. di CLUSONE, del 13/02/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Spinaci Sante che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore avv. P. Donandoni.

Fatto



1. Il Tribunale di Bergamo - Sezione Distaccata di elusone, con sentenza del 13.2.2012 ha riconosciuto L.G. responsabile delle contravvenzioni di cui agli artt. 64, comma 1, lett. e) e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 68, comma 1, lett. b), condannandolo alla pena dell'ammenda per avere, quale responsabile del settore gestione del territorio del comune di Sovere, omesso di sottoporre a regolare manutenzione ed al controllo del loro funzionamento gli impianti ed i dispositivi di sicurezza destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli installati presso il parco comunale e la biblioteca del medesimo comune.

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando di non essere mai stato responsabile del settore gestione del territorio del comune di Sovere, inteso come funzionario dotato di autonomia gestionale, essendo invece mero dipendente privo di funzioni direttive, come sarebbe emerso dall'interrogatorio reso e dalla deposizione del sindaco.

Aggiunge di non avere neppure la qualifica di dirigente, che non poteva desumersi nè dalle sue affermazioni nè, tanto meno, dalla determinazione n. 139 del 24.12.2007 (riguardante l'affidamento ad uno studio professionale della progettazione per la messa a norma di alcuni immobili comunali e da lui non sottoscritta) e la circostanza, rilevata dal giudice del merito, che egli sottoscriveva gli atti usando la qualifica di responsabile del settore gestione del territorio era dovuto ad un uso inopportuno della qualifica medesima, cosicchè dovrebbe ritenersi sussistente un palese travisamento dei fatti integrante il vizio di manifesta illogicità della motivazione.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ribadendo il suo ruolo di semplice dipendente comunale al quale, limitatamente all'anno solare 2008, era stata attribuita, con decreto del sindaco n. 1/2008, la temporanea qualifica di responsabile del settore gestione del territorio ma non di datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008 e, come tale, destinatario dei relativi obblighi.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione lamentando la ingiusta applicazione dell'ammenda, non essendo egli responsabile delle violazioni contestate.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

In data 7.1.2013 ha fato pervenire in cancelleria motivi aggiunti, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Diritto



5. Il ricorso è inammissibile.

Occorre preliminarmente rilevare che i motivi di ricorso, che possono essere unitariamente trattati, sono esclusivamente argomentati in fatto e mirano, sostanzialmente, a riproporre una lettura alternativa delle risultanze dell'istruzione dibattimentale che non è possibile effettuare in questa sede.

Invero, nel negare il ruolo di responsabilità riconosciutogli dal giudice del merito, il ricorrente pur dichiarando di voler denunciare anche il vizio di violazione di legge, procede in realtà alla disamina dei singoli passaggi della decisione e, segnatamente, dei richiami effettuati dal giudice a singoli elementi di prova, per poi confutarne i contenuti attraverso il reiterato richiamo al contenuto di deposizioni ed altri atti del processo cui questa Corte non ha accesso.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte è infatti orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 3^ n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. 6^ n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. 6^ n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6^ n. 10951, 29 marzo 2006).

Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perchè non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6^ n. 7651, 25 febbraio 2010).

Così delimitato l'ambito di operatività dell'art. 606 cod. proc. pen., lett. e) si osserva che, sotto tale profilo, la sentenza impugnata risulta immune da censure, avendo i giudici operato un'accurata analisi delle risultanze probatorie con una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti alla sua attenzione del tutto priva di contraddizioni, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, come si è detto, una inammissibile rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

6. Neppure può ritenersi pertinente il richiamo, effettuato al ricorso, ad un travisamento del fatto in cui sarebbe incorso il giudice del merito.

Invero, per le stesse ragioni in precedenza specificate, il travisamento del fatto non è deducibile nel giudizio di legittimità, non potendo questa Corte sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendo invece possibile dedurre il vizio di "travisamento della prova", ravvisabile qualora il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, semprechè la difformità risulti decisiva (così Sez. 6^ n. 25255, 26 giugno 2012. Conf. Sez. 5^ n. 39048, 23 ottobre 2007; Sez. 6^ n. 27429, 1 agosto 2006).

7. Date tali premesse, deve rilevarsi che il giudice del merito ha riconosciuto il ricorrente quale titolare del debito di sicurezza sulla base di plurimi elementi fattuali opportunamente evidenziati con rigore logico ed assenza di contraddizioni.

In particolare, nella decisione impugnata viene posto in rilievo che lo stesso imputato ha, tra l'altro, rilevato, in relazione agli addebiti mossi, di essersi attivato, dopo la verifica ispettiva, per ottenere la documentazione necessaria per poter appaltare i lavori di messa in sicurezza degli impianti, lavori che poi faceva effettuare di propria iniziativa da impresa specializzata pur in assenza della suddetta documentazione.

Aggiunge il Tribunale che tutti gli atti a firma dell'imputato vengono sottoscritti quale responsabile del settore gestione del territorio del comune e che da altra documentazione acquisita al verbale di udienza risulta che, con sua determinazione, sarebbero stati stanziati i fondi per l'adeguamento degli impianti ed affidata la progettazione ad uno studio professionale, il cui titolare, sentito come teste, ha indicato in due o tre mesi il termine per l'evasione del compito assegnatogli, mentre in una missiva a forma del sindaco viene rimproverato al medesimo imputato il ritardo con il quale egli adempie al proprio incarico, con specifico riferimento anche alla carente situazione degli impianti che si indica come a lui nota fin dalla sua assunzione.

Osserva anche il giudice del merito che l'imputato aveva svolto in precedenza analoghe funzioni presso altre due amministrazioni comunali.

8. Deve dunque rilevarsi come siano del tutto corrette le determinazioni del giudice in ordine alla qualifica effettivamente rivestita dal ricorrente, qualifica che nello stesso ricorso si indica come attribuita dallo stesso sindaco con specifico decreto (n. 1/2008), seppure temporaneamente e che veniva utilizzata dal ricorrente per la sottoscrizione degli atti a sua firma.

Parimenti inequivoca risulta, dall'analisi del compendio probatorio effettuato nel giudizio di merito, la sussistenza, in capo all'imputato, della necessaria autonomia gestionale e ciò non soltanto in base al contenuto della documentazione richiamata dal giudice (atti allegati al verbale di udienza del 17.10.2011, menzionati a pag. 3 della sentenza, in cui viene fatto riferimento alla determinazione n. 139/2007, il contenuto della quale è oggetto di contestazione in ricorso), ma anche dagli stessi rilievi del ricorrente (menzionati a pag. 2 della sentenza) laddove egli descrive di essersi attivato, subito dopo il controllo della ASL che aveva evidenziato le carenze degli impianti, per reperire la documentazione necessaria ad appaltare i lavori, accollandosi poi la responsabilità di eseguirli ugualmente utilizzando un'impresa specializzata pur non avendo reperito la suddetta documentazione.

Si tratta, invero, della descrizione di attività che, in difetto della richiesta autonomia gestionale, il ricorrente non avrebbe potuto certamente compiere.

9. La sentenza risulta, dunque, del tutto immune dai vizio denunciati e può superare indenne il vaglio di legittimità cui è stata sottoposta.

Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

L'inammissibilità si estende ai motivi nuovi, come previsto dall'ultima parte dell'art. 585 cod. proc. pen., comma 4.

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.