Cassazione Civile, Sez. 3, 21 marzo 2013,  n. 7128 - Infortunio occorso ad un operaio durante l’esecuzione di opere edili e risarcimento per la fidanzata


 

Nota a cura di Rossi Rita, in NT+ Lavoro, 21.02.2024 "Estorsione del datore nei confronti del lavoratore solo se c’è rapporto di lavoro" 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Presidente -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 24186/2010 proposto da:
S.R., L.V.A. (Omissis), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 74, presso lo studio dell'avvocato PERSICO MARIA TERESA, rappresentati e difesi dall'avvocato PRINZI NUNZIATINA RITA giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
ASSOCIAZIONE VALORI ALPINI (Omissis), B.C.;
- intimati -
Nonchè da:
ASSOCIAZIONE VALORI ALPINI ONLUS (Omissis) in persona del Presidente pro tempore Dott. P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 49, presso lo studio dell'avvocato RICCIONI ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall'avvocato BAUDINO BESSONE MARCO ANDREA giusta delega in atti;
- ricorrente incidentale -
contro
L.V.A. (Omissis), S.R.,  elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 74, presso lo studio dell'avvocato PERSICO MARIA TERESA, rappresentati e difesi dall'avvocato PRINZI NUNZIATINA RITA giusta delega in atti;
- controricorrente all'incidentale -
e contro
B.C.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 560/2010 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 22/04/2010, R.G.N. 531/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  15/02/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l'Avvocato GIANFRANCESCO VECCHIO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.


Fatto



1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 22 aprile 2010, la Corte d'Appello di Torino ha accolto parzialmente l'appello principale e l'appello incidentale proposti dall'Associazione Valori Alpini e da B.C. avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 7051 del 27/28 ottobre 2008.

Quest'ultimo era stato adito da L.V.A. e S. R., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul minore L.V.D.P., per sentire condannare l'Associazione Valori Alpini al risarcimento dei danni subiti a seguito dell'incidente occorso all'attore L.V., quando, mentre stava eseguendo, in data (Omissis), opere edili all'interno di un fabbricato di proprietà della convenuta (in forza di contratto con questa stipulato nel maggio 2002), era precipitato nella tromba del vano montacarichi, riportando gravissime lesioni. Gli attori avevano esposto, tra l'altro, che la cabina del montacarichi era stata rimossa dalla ditta di B.C., cui era stata appaltata dalla stessa Associazione convenuta l'opera di trasformazione in ascensore del vecchio montacarichi ad uso industriale, e che le porte non erano state bloccate in alcun modo, sicchè ne era possibile l'apertura mediante semplice pressione. Pertanto, quando il L. V. (alla presenza della S., all'epoca fidanzata e poi moglie dell'attore, che si era trovata occasionalmente sul cantiere) vi si era appoggiato per rialzarsi da terra, il cancello inferiore della porta si era abbassato, facendolo precipitare nel vuoto.

Gli attori avevano chiesto la condanna dell'Associazione Valori Alpini al risarcimento dei danni da loro subiti in conseguenza dell'incidente, ravvisando la responsabilità della convenuta quale committente e proprietaria dello stabile in cui questo si era verificato per aver omesso l'approntamento delle cautele atte a tutelare l'incolumità di coloro che si trovavano nello stabile.

1.1.- L'Associazione convenuta si era costituita per resistere alla domanda ed aveva chiesto ed ottenuto di chiamare in garanzia la compagnia assicuratrice Toro Assicurazioni S.P.A., presso la quale aveva stipulato una polizza per responsabilità civile fabbricati, nonchè B.C., per essere tenuta indenne dalle conseguenze negative del giudizio. In particolare, aveva dedotto che il B. aveva asportato il montacarichi in collaborazione con il L.V. e che quindi aveva sigillato le porte con un filo di ferro, sospendendo i lavori nel mese di agosto; che il L.V. aveva rimosso il filo di ferro per utilizzare il montacarichi per scaricare le macerie;

che, durante la visita della fidanzata, si era messo a giocare col cane e così facendo era caduto nel vano. Aveva perciò chiesto che fosse accertata la responsabilità esclusiva del L.V. e soltanto in subordine che fosse manlevata dal B. e dalla Toro Assicurazioni.

1.2.- Questi ultimi si erano entrambi costituiti.

La Toro Assicurazioni aveva eccepito l'inoperatività della polizza, aveva proposto altre eccezioni e comunque contestato nel merito la pretesa degli attori.

Il B. aveva contestato il fondamento della propria responsabilità, assumendo di aver chiuso le porte del montacarichi con un fil di ferro e negando di avere avuto un qualche potere gerarchico nei confronti del L.V., che si trovava sul cantiere in forza di altro contratto stipulato con l'Associazione, lavorando in autonomia come artigiano. In giudizio si era costituito anche l'INAIL, al fine di esercitare azione di rivalsa nei confronti dell'Associazione e del B., assumendone la responsabilità concorrente ed affermando di avere erogato nei confronti del L. V. prestazioni per un valore complessivo di Euro 502.081,26, al rimborso delle quali chiedeva la condanna di entrambi.

1.3.- Il Tribunale di Torino, svolta attività istruttoria, aveva dichiarato la pari responsabilità dell'Associazione Valori Alpini e del B. nella determinazione del sinistro; aveva condannato la prima a versare ad L.V.A. la somma di Euro 386.527,46, al netto delle prestazioni erogate dall'INPS, oltre accessori, e a S.R. la somma di Euro 250.000,00, oltre accessori, nonchè a rifondere ad entrambi le spese legali; aveva invece rigettato la domanda proposta dagli attori, quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore, in quanto nato in epoca successiva al sinistro. Aveva quindi condannato il B. a rimborsare alla Associazione il 50% delle somme versate agli attori ed aveva compensato le spese tra queste parti. Aveva rigettato la domanda proposta dall'Associazione nei confronti della Toro Assicurazioni e l'aveva condannata al pagamento delle spese processuali in favore di quest'ultima. Aveva condannato l'Associazione ed il B., in solido, a versare all'INAIL le somme oggetto di rivalsa ed a rimborsare le spese di lite.

2.- Veniva proposto appello principale da parte dell'Associazione Valori Alpini, sostenendo la corresponsabilità del L.V.;

l'erroneità della liquidazione dei danni risarcibili in suo favore;

l'inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni in favore della S., all'epoca dei fatti non coniugata col L.V.; la mancata erronea ammissione di mezzi istruttori richiesti in primo grado; l'erroneità della decisione in punto di spese.

2.1.- Si costituivano in secondo grado tutte le parti già costituite dinanzi al Tribunale.

Toro Assicurazioni S.P.A. ed INAIL facevano rilevare la mancata impugnazione dei capi della sentenza concernenti le rispettive posizioni.

L.V.A. e S.R. sostenevano l'infondatezza del gravame e chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.

B.C. aderiva alla tesi dell'appellante principale quanto alla corresponsabilità del L.V. ed all'erronea liquidazione dei danni in favore di quest'ultimo e della S., nonchè quanto alle spese, e proponeva appello incidentale per la riforma della sentenza di primo grado su tali aspetti.

2.2.- La Corte d'Appello di Torino, accogliendo parzialmente gli appelli, ha stabilito nella misura di un terzo il grado di corresponsabilità di L.V.A.; ha eliminato la condanna delle appellate alla refusione dei danni in favore di S. R., così rigettandone la domanda; ha rideterminato in Euro 127.302,11 il risarcimento del danno residuo in favore del L. V., limitando alla stessa cifra, oltre accessori, la condanna dell'Associazione Valori Alpini in favore del L.V.; ha confermato la sentenza quanto ai rapporti tra l'Associazione ed il B. e quanto alle posizioni della Toro Assicurazioni e dell'INAIL;

ha diversamente regolato le spese di causa, condannando l'Associazione Valori Alpini a rifondere il 50% delle spese sostenute nei due gradi di giudizio dal L.V. e dalla S. e compensando tra le parti il restante 50%, nonchè compensando le spese residue tra le altre parti.

3.- Avverso la sentenza L.V.A. e S.R. propongono ricorso affidato a quattro motivi.

L'Associazione Valori Alpini ONLUS resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un motivo. I ricorrenti propongono controricorso a ricorso incidentale.

Non si difende B.C., nei cui confronti è stato eseguito l'ordine di integrazione del contraddittorio dato con ordinanza del 2 aprile/17 maggio 2012.

 

Diritto



1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 198, e dell'art. 2087 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, al fine di censurare l'affermazione di corresponsabilità del L.V., nella misura di un terzo ritenuta dalla Corte d'Appello.

Osserva parte ricorrente che quest'ultima ha riconosciuto la responsabilità della committente Associazione Valori Alpini per violazione della normativa di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, nonchè la responsabilità della medesima e del B. per violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 198. Aggiunge che la norma generale dell'art. 2087 c.c., obbliga l'imprenditore ad adottare, non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, nonchè quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell'attività svolta, all'esperienza ed alla tecnica, sicchè l'orientamento costante della Corte di Cassazione prevede che il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, sia interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito. Pertanto, per potersi riconoscere corresponsabilità del lavoratore occorre, non solo che le cautele minime previste da specifiche norme di legge siano adottate, ma anche che il lavoratore abbia intrapreso una condotta atipica, anomala o comunque eccezionale in spregio alle direttive ed alle misure predisposte per la sua sicurezza.

Secondo parte ricorrente, la stessa Corte territoriale avrebbe riconosciuto la mancata adozione delle misure di sicurezza da parte della committente, così come l'efficienza causale di tale omissione nella verificazione del sinistro, ma avrebbe escluso parzialmente la responsabilità dell'Associazione (e del B.) attraverso una falsa applicazione delle medesime norme di legge ritenute violate dalle controparti.

1.1.- Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 1227 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al riconoscimento della responsabilità del signor L.V. nella determinazione del sinistro.

Secondo parte ricorrente, avendo la sentenza individuato una condotta del L.V. del tutto normale, quale è l'atto di rialzarsi da terra, divenuta pericolosa solo a causa di una situazione di grave pericolo determinata dalle gravi omissioni delle controparti, la relativa motivazione sarebbe insufficiente perchè si sarebbe limitata ad affermare apoditticamente che il L.V. fosse consapevole di tale pericolo e che avesse avuto efficacia causale la presenza della fidanzata sul luogo, così facendo assurgere una mera occasione dell'evento ad una concausa di questo. Parte ricorrente passa quindi a criticare la sentenza impugnata anche per la ritenuta violazione degli artt. 1176 e 1227 c.c., sotto il profilo che la Corte territoriale non avrebbe potuto ascrivere alla vittima, per la sola circostanza della ritenuta consapevolezza del pericolo, la responsabilità concorrente in misura pari a quella posta a carico degli altri soggetti, attese le gravi inadempienze riconosciute in capo all'Associazione Valori Alpini ed a B.C..

2.- I motivi vanno trattati congiuntamente poichè entrambi relativi all'affermazione della corresponsabilità della vittima nella misura di un terzo concorrente con la pari responsabilità rispettivamente dell'Associazione convenuta e del terzo chiamato.

La Corte d'Appello di Torino, riformando sul punto la sentenza di primo grado, è pervenuta a detta affermazione previo riconoscimento, così come nota parte ricorrente, della responsabilità dell'Associazione, quale committente dei lavori, "per la mancata adozione del piano di sicurezza e la mancata nomina del responsabile" e dell'efficienza causale di tali omissioni nella determinazione del sinistro, essendo - a parere della Corte - del tutto ininfluente, ai fini di un'eventuale esclusione di siffatta responsabilità, che il B. avesse o non avesse chiuso le porte del montacarichi con del filo metallico, non essendo siffatto accorgimento idoneo a scongiurare il pericolo.

Dato ciò, ha comunque valutato la condotta del L.V. evidenziando quanto segue: il L.V. era tenuto a termini di contratto (specificamente dei contratti stipulati tra l'Associazione ed il L.V. nonchè tra l'Associazione ed il B.) a prestare assistenza al B. nell'attività di smontaggio del montacarichi e di fatto eseguì tale prestazione; i cancelli del vano montacarichi vennero chiusi con filo di ferro da B. insieme al L.V. o comunque è ben possibile che fossero stati chiusi con il filo di ferro e che questo fosse stato medio tempore rimosso; in ogni caso, il L.V., avesse o meno rimosso personalmente la chiusura della porta, "utilizzava il luogo" proprio perchè gli consentiva di scaricare le macerie al piano più basso.

Soltanto a seguito di tali argomentate affermazioni - in sè non censurate con il ricorso - la Corte territoriale ha concluso per la "grave imprudenza" della vittima, aggravata dal fatto "di aver consentito la presenza accanto a sè, mentre si trovava nel cantiere", cui era inibito l'accesso agli estranei, della fidanzata.

2.1.- Attesi il riportato contenuto della motivazione ed il conseguente decisum della sentenza d'appello, il Collegio ritiene che i motivi in esame siano infondati per la parte in cui denunciano vizi di violazione di legge ed inammissibili per la parte in cui denunciano vizi di motivazione. In particolare, è privo di fondamento il richiamo della norma dell'art. 2087 c.c., e dei precedenti giurisprudenziali che vi hanno dato applicazione;

specificamente, dei precedenti di cui a Cass. n. 6000 e n. 6993 del 1998, entrambi relativi ad infortuni occorsi a lavoratori subordinati.

Va infatti ribadito che ai rapporti di lavoro autonomo non trovano applicazione le norme speciali antinfortunistiche, che di regola presuppongono l'inserimento del prestatore nell'impresa del soggetto destinatario della prestazione, nè l'art. 2087 c.c., che, integrando le richiamate leggi speciali, riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro subordinato (cfr. Cass. n. 933/95, n. 9614/01).

Non risulta che sia mai stato contestato nei gradi di merito, nè è contestato col ricorso per cassazione, che il L.V. prestasse l'attività lavorativa richiestagli dall'Associazione proprietaria dello stabile in forza di apposito contratto, indicato dalla resistente come contratto di appalto, più correttamente qualificabile - considerato l'indiscusso carattere artigianale dell'attività prestata dal L.V. - come contratto d'opera, certamente tale, comunque, da escludere qualsiasi rapporto di subordinazione tra l'Associazione committente ed il L.V., dovendo quest'ultimo realizzare in autonomia il proprio lavoro nello stabile (opere murarie ed apposizione delle piastrelle). Pertanto, non avrebbe dovuto la Corte applicare, così come non ha applicato, l'art. 2087 c.c..

Quanto alle altre norme delle quali il primo motivo denuncia la violazione, è sufficiente rilevare, così come rilevato dalla resistente, che i giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilità dell'Associazione proprio per la violazione delle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri da parte del committente (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3), così come hanno riconosciuto la responsabilità del B. per la violazione delle medesime prescrizioni, quale "responsabile della realizzazione dell'ascensore".

Tuttavia, la ritenuta violazione delle norme anzidette da parte di questi ultimi due soggetti non comporta, di per sè l'esclusione della corresponsabilità del soggetto danneggiato.

2.2.- L'accertamento di siffatta corresponsabilità è stato compiuto dal giudice di merito sulla base degli elementi di fatto sopra esposti, che, come detto, non risultano in sè contestati dalla parte ricorrente.

La motivazione relativa all'accertamento della dinamica del sinistro e della condotta dell'infortunato non è viziata da insufficienza.

Ed, invero, detto accertamento non è affatto basato, come sostenuto in ricorso, sull'affermazione apodittica di una generica consapevolezza da parte del L.V. dello stato dei luoghi nè sull'attribuzione di concausa alla mera presenza della fidanzata sul cantiere.

Piuttosto, il giudice d'appello ha ampiamente argomentato in merito al coinvolgimento del L.V. nell'attività di smontaggio del montacarichi ed in merito all'utilizzazione del vano per la propria attività lavorativa, nonchè in merito alla efficienza causale della presenza della fidanzata, non certo quale concausa in sè dell'evento, quanto piuttosto quale elemento di disturbo dell'attenzione del lavoratore e di alterazione delle condizioni di sicurezza del cantiere. La conclusione che la Corte territoriale trae in punto di grave imprudenza della vittima è conseguenza logica dell'accertamento fattuale che la precede, atteso che è coerente con l'accertata qualità di prestatore di lavoro autonomo del L.V. nel campo dell'edilizia l'affermazione della sua corresponsabilità per non essersi curato delle misure di sicurezza da adottare nello svolgimento la propria attività lavorativa in quello stesso cantiere nel quale si è verificato l'incidente.

2.3.- Ritenuta la grave imprudenza del L.V., alla stregua di detto accertamento in fatto, non censurabile in cassazione per l'insussistenza del lamentato vizio motivazionale, è corretta e conforme al disposto dell'art. 1227 c.c., comma 1, l'affermazione della corresponsabilità del danneggiato per essere stata la sua condotta colposa inequivocabilmente concausa efficiente del danno.

Quanto alla misura della corresponsabilità, o meglio della diminuzione del risarcimento dovuto, secondo la lettera dell'art. 1227 c.c., occorre tenere conto, ai sensi di tale norma, sia della gravità della colpa che dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate. La gravità della colpa va intesa come entità (o grado) della diligenza violata (cfr. Cass. n. 1002/10). Il giudizio sull'accertamento del concorso di colpa del danneggiato è incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato con riguardo sia all'entità della colpa ed alla sua percentuale che con riguardo alla sua efficienza causale rispetto alla produzione del danno (cfr. Cass. n. 5511/03, tra le altre).

Dell'adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata si è già detto. Giova precisare, per il definitivo superamento delle argomentazioni svolte nella parte finale dell'illustrazione del secondo motivo di ricorso, che la gravità della colpa del L.V. e la gravità delle conseguenze che ne sono derivate non sono state ricondotte dal giudice di merito al solo fatto che il prestatore di lavoro si trovò ad operare in un cantiere nel quale vi era un'oggettiva situazione di pericolo che egli ben conosceva, bensì - per come emerge da quanto sopra riportato - alle ulteriori circostanze che la sua condotta contribuì, per un verso, a determinare siffatta situazione di pericolo (in particolare, rimuovendo il filo di ferro a chiusura delle porte o comunque utilizzando il vano montacarichi, per un uso non consentito, in sè abnorme ed in violazione di norme di sicurezza), per altro verso, ad aggravarne la portata (in particolare, consentendo la presenza, invece vietata, di estranei sul cantiere e tenendo, di conseguenza, una condotta disattenta).

In conclusione, i primi due motivi di ricorso vanno rigettati.

3.- Col terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in merito all'esclusione della liquidazione del danno a favore della signora S., al fine di censurare la sentenza di secondo grado che, su questo punto, ha riformato la sentenza del Tribunale.

In particolare, la ricorrente critica l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui la S. avrebbe proposto la propria domanda esclusivamente "in quanto moglie del leso e in quanto tale danneggiata", senza far valere altri fatti costitutivi di un proprio possibile diritto al risarcimento. Osserva la ricorrente che, al contrario, già con l'atto di citazione avrebbe specificato che, al momento dell'incidente, conviveva con il L.V., col quale in seguito aveva contratto matrimonio, in modo che questo sarebbe valso a comprovare la continuità della relazione e quindi della communio maritalis di fatto già stabilitasi tra le parti. Poichè dette circostanze non sarebbero mai state contestate in primo grado al fine di escludere o limitare per tale via il risarcimento della ricorrente, non avrebbero potuto gli appellanti sollevare per la prima volta in grado di appello la questione del difetto di legittimazione ad agire della S., se non violando l'art. 345 c.p.c.. Prosegue la ricorrente rilevando che, in effetti, si tratterebbe della titolarità attiva del rapporto sostanziale che è questione che attiene al merito della controversia ed il cui difetto le parti convenute avrebbero dovuto dedurre nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte, con esclusione della facoltà di sollevare la questione, per la prima volta, in sede di appello.

3.1.- Col quarto motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 2043 - 2056 - 2059 - 1223 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla mancata liquidazione del danno a favore della signora S..

In particolare, la ricorrente rileva che il fatto generatore del proprio credito risarcitorio sarebbe stato indicato puntualmente e tempestivamente, essendo stato individuato nella sussistenza di un rapporto di convivenza con il L.V. e nelle conseguenti gravi sofferenze patite per effetto dell'infortunio occorsogli. La relazione col L.V. era già all'epoca del sinistro connotata da stabilità e mutua assistenza morale e materiale e l'evento non aveva fatto che rafforzare tale rapporto tanto che, successivamente, i ricorrenti si erano decisi a contrarre matrimonio. Sostiene che la natura della relazione era stata correttamente definita dagli odierni ricorrenti, tanto è vero che il risarcimento era stato chiesto dalla S., in proprio, per i danni patiti "in via diretta, per effetto dello sconvolgimento subito nella sua vita a seguito dell'incidente", e che, anzi, il successivo matrimonio avrebbe comprovato la continuità e la stabilità di detta relazione.

Pertanto, la scelta consapevole di sposare un soggetto leso, evidenziata dalla Corte d'Appello, sarebbe stata da porre in stretta relazione proprio con la natura di quel rapporto di convivenza che legittimava la richiesta di liquidazione del danno.

Questa, inoltre, sarebbe stata fondata anche sul fatto di aver assistito direttamente all'evento, in modo da comportare un perturbazione ancora più grave nell'animo della ricorrente. Quanto alla violazione di norme di legge, la ricorrente rileva che la Corte di Cassazione, in applicazione degli artt. 2056 - 2059 - 1223 - 2043 c.c., sarebbe da tempo addivenuta al riconoscimento in favore del convivente di un danno, di natura biologica e psichica-morale, suscettibile di valutazione economica, risarcibile anche in caso di sopravvivenza del soggetto leso. Pertanto, anche sotto questi profili, non vi sarebbero ostacoli al riconoscimento del diritto al risarcimento della ricorrente. In particolare, anche il danno patito dalla vittima secondaria sarebbe un danno diretto, risarcibile ai sensi dell'art. 1223 c.c., nonchè ai sensi dell'art. 2043 c.c., sotto il profilo della plurioffensività del fatto dannoso.

4.- I motivi, evidentemente connessi, vanno trattati congiuntamente e vanno accolti, per le ragioni di cui appresso.

Come nota la ricorrente, è oramai acquisito il principio per il quale ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali seriamente invalidanti, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il responsabile (così Cass. S.U. n. 9556/02, chiamata a dirimere il conflitto relativo all'interpretazione dell'art. 1223 c.c., riguardo alla fattispecie in esame, nonchè, tra le tante successive, conformi, Cass. n. 8827/03, n. 4993/04 fino a Cass. n. 2228/12).

4.1.- L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità in merito al danno subito dalla c.d. vittima secondaria, in caso di sopravvivenza della vittima c.d. primaria, per un verso, coincide con quella che riguarda, più in generale, la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale; per altro verso, ed in conseguenza delle soluzioni fornite su tale questione, consente di precisare l'ambito soggettivo dei destinatari della tutela risarcitoria.

Quanto al primo aspetto, le decisioni meno recenti fanno riferimento alla risarcibilità, in favore dei congiunti del leso, di una voce di danno che, ricondotto alla previsione dell'art. 2059 c.c., viene definito come "morale" ed, in coerenza con l'orientamento giurisprudenziale dell'epoca, viene fatto consistere in un patema d'animo e quindi in una sofferenza interna del soggetto, accertabile in base ad indizi e presunzioni (cfr., tra le altre, Cass. n. 11001/03, n. 13754/06, n.8546/08). Come è noto, dopo un primo superamento della lettura restrittiva dell'art. 2059 c.c., con le sentenze n. 8827 e n. 8828 del 2003 - in cui si è affermato che, nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione, che all'art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica -, la giurisprudenza di legittimità è giunta all'approdo di cui a Cass. S.U. n. 26972/2008. Questa decisione, ritenendo superata la tradizionale figura del danno morale soggettivo, a carattere transitorio, reputa risarcibile il danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, ivi compreso, appunto, il danno morale, che, come si legge in una delle massime, "può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione".

4.2.- In tale mutata prospettiva di ritenuta risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, vanno riletti anche i precedenti di questa Corte che hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito anche al convivente more uxorio del danneggiato, quando risulti dimostrata una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale (cfr. già Cass. n. 2988/94, nonchè Cass. n. 23725/08; ancora, di recente, Cass. n. 12278/11).

In particolare, il riferimento fatto ai "prossimi congiunti" della vittima c.d. primaria quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell'illecito, di cui alle decisioni meno recenti, deve oggi essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno- conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. Affinchè si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, nel senso preteso dal precedente a S.U. su richiamato, la convivenza non ha da intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.

In particolare, si ritiene che i riferimenti costituzionali non siano gli artt. 29 e 30 della Costituzione, si che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare (così intendendosi parzialmente superare quanto affermato da Cass. n. 8976/05), quanto piuttosto l'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale.

Peraltro, se trattasi di relazione prematrimoniale o di fidanzamento che, a prescindere da un rapporto di convivenza attuale al momento dell'illecito, sia destinata ad evolversi, e di fatto si evolva, in epoca successiva all'illecito, in matrimonio, torna ad assumere rilevanza anche il menzionato art. 29 Cost., inteso come norma di tutela costituzionale non solo della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ma anche del diritto del singolo a contrarre matrimonio ed a usufruire appieno dei diritti-doveri reciproci, inerenti le persone dei coniugi, nonchè a formare una famiglia quale modalità di piena realizzazione della vita dell'individuo. Allorchè il fatto lesivo limiti anche tale diritto, i danni che ne derivano ben possono essere ristorati ai sensi dell'art. 2059 c.c..

4.3.- Consegue a quanto sopra che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza delle lesioni gravissime subite dalla persona a cui è legato da relazione affettiva, dovrà allegare e dimostrare l'esistenza e la natura di tale rapporto, ma anche la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, che assuma rilevanza in ragione del momento di verificazione dell'illecito.

Così, se è da escludere il riconoscimento del diritto al risarcimento in capo a colui che, non legato da rapporto alcuno al danneggiato primario quando l'illecito venne commesso, abbia, soltanto in epoca successiva, instaurato una relazione affettiva, non altrettanto può affermarsi, in linea di principio, quando si assuma che tale relazione esistesse già all'epoca del fatto illecito e che essa si sia mantenuta, ed anzi rafforzata, dopo la sua commissione, tanto da avere condotto al matrimonio ed alla formazione di una famiglia.

Spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l'apprezzabilità di detta relazione a fini risarcitori, anche tenuto conto della sua evoluzione.

4.4.- Distinto dall'accertamento della lesione di un diritto inviolabile della persona, che è presupposto indefettibile perchè il danno si configuri come ingiusto ex artt. 2043 e 2059 c.c., quale elemento costitutivo della struttura dell'illecito civile, è l'accertamento dell'ulteriore elemento costituivo dato dalla sussistenza del danno non patrimoniale risarcibile, inteso come danno conseguenza, che deve, a sua volta, essere allegato e provato (cfr. Cass. n. 8827-8828/03, n Cass. S.U. n. 26972/08).

Peraltro, essendo particolarmente rilevante il ricorso alla prova presuntiva trattandosi di accertare il pregiudizio ad un bene immateriale, non può escludersi che i medesimi elementi che, nella fattispecie concreta, abbiano consentito di ricostruire la natura e l'intensità del rapporto affettivo intercorso tra vittima primaria e vittima secondaria, siano idonei alla prova ed alla liquidazione dei pregiudizi di natura non patrimoniale sofferti da quest'ultima.

5.- La Corte d'Appello di Torino ha rigettato la domanda della S., avendo ella "chiesto in proprio il risarcimento dei danni subiti in quanto coniuge di L.V.A." ed essendo "pacifico in causa che, all'epoca dei fatti, la S. non era la moglie del L.V.", essendolo divenuta in epoca successiva.

Secondo la Corte, i responsabili del sinistro non potrebbero rispondere dei danni il cui risarcimento è rivendicato dalla S., in quanto "conseguenze dannose che sono scaturite da fatti successivi e loro del tutto estranei, e frutto di libere scelte addirittura di terzi rispetto al danneggiato", quale sarebbe stata la scelta della S. di diventare la moglie del L.V. "quando l'evento lesivo si era già verificato e le conseguenze a carico del leso già tutte compiute e determinate". In proposito, il giudice d'appello afferma che, pur trattandosi di scelta "moralmente ammirevole", da essa non potrebbero scaturire le conseguenze giuridiche invocate, perchè l'attrice, poi appellata, avrebbe proposto la sua domanda "esclusivamente in quanto moglie del leso ed in quanto tale danneggiata, non facendo valere altri fatti generatori di un proprio, possibile credito (convivenza, aspettative ecc.".

5.1.- Il ragionamento del giudice d'appello non tiene in alcun conto il fatto - assolutamente pacifico in causa - che alla data dell'incidente il L.V. e la S. fossero fidanzati, quindi legati da un rapporto affettivo, in sè considerato, a rilevanza sociale e comunque di intensità e di natura tali, nel caso di specie, da avere indotto i due a contrarre matrimonio e a dare alla luce un figlio, così comprovando, come si nota in ricorso, la serietà della relazione affettiva pregressa.

La sentenza impugnata, per un verso, non è conforme al principio di diritto sopra affermato ed alle ritenute conseguenze riguardo agli oneri di allegazione e di prova gravanti sulla parte danneggiata; per altro verso, presenta una motivazione illogica, laddove interpreta la domanda della S., divenuta coniuge del L.V. prima del giudizio, e quindi in tale qualità costituita in primo grado, come fondata esclusivamente sul relativo stato di coniugio.

Quanto al primo aspetto, si deve escludere che il matrimonio, successivo all'incidente, sia, in sè solo considerato, fatto rilevante per il riconoscimento del diritto al risarcimento in capo alla S.. Piuttosto, va affermato che esso, per un verso, assume rilevanza quale fatto noto che consenta di risalire - eventualmente considerato nel complesso di altri elementi indiziari - al fatto ignoto dell'intensità di una relazione affettiva preesistente; per altro verso, che, essendo già la lesione relativa a quest'ultima rilevante per la risarcibilità dei pregiudizi esistenziali conseguenti, tra questi ultimi vanno annoverati anche quelli consistiti nella perdita della possibilità di godere, dopo il matrimonio, di una vita matrimoniale e familiare pienamente rispondente alle positività che da tale rapporto normalmente derivano. Alla stregua di quanto sopra argomentato, va infatti precisato che, in tema di risarcimento del danno a soggetto diverso da colui che sia stato vittima di gravi lesioni per il fatto illecito altrui, si deve riconoscere rilevanza giuridica all'esistenza di un rapporto affettivo, non necessariamente assimilabile ad un rapporto di coniugio, purchè già instaurato alla data di verificazione dell'illecito ed avente caratteri di serietà e stabilità. Spetta al danneggiato, che chieda il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell'esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi, tra cui peculiare rilievo va attribuito al successivo matrimonio ed alla creazione di una famiglia legittima. Giova precisare che trattasi di rilievo da attribuirsi a tali circostanze, nell'apprezzamento dei fatti in concreto riservato al giudice di merito, senza tuttavia che possa assurgere ad elemento decisivo, in senso contrario, che la relazione affettiva non sia stata seguita da matrimonio; ben potendo, in astratto, una relazione essere seria e stabile, tale da accertarsi con riferimento al momento dell'illecito, ed in tal caso rilevante a fini risarcitori, e pur tuttavia venire a cessare in epoca successiva, senza che la cessazione del rapporto valga ad escludere, in linea di principio, l'antecedente evento lesivo, cagione di danni non patrimoniali risarcibili.

5.2.- Quanto al secondo aspetto, è decisamente contrario alla logica, nonchè ai principi giuridici in tema di individuazione della causa petendi, interpretare la domanda dell'attore desumendo i fatti costitutivi e le ragioni di tale domanda dalla qualità spesa nel costituirsi giudizio, come ha fatto la Corte d'Appello.

Risulta dagli atti che la S., con l'atto introduttivo, aveva allegato di essere stata addirittura presente all'incidente occorso al L.V. e di esserne la fidanzata già alla data in cui questo si verificò, nonchè di essere stata già all'epoca convivente e di essere, al momento della costituzione in giudizio, la moglie del leso. Queste allegazioni, tutte insieme considerate, danno luogo ai fatti ed agli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda risarcitoria, sotto il profilo dell'elemento costitutivo dell'illecito dato dall'evento di danno, connotato dall'ingiustizia, che sia causalmente connesso con la condotta illecita altrui (causa petendi della domanda di risarcimento danni ex art. 2043 c.c.).

Queste allegazioni avrebbe dovuto considerare la Corte territoriale, e non limitarsi al dato formale della spendita da parte dell'attrice S., della qualità (attuale) di coniuge del L.V.. Le ulteriori allegazioni, di cui è detto in controricorso (cfr. in specie, pag. 13), relative alle limitazioni sofferte nella vita coniugale e familiare quotidiana, in ragione delle gravi condizioni di salute del coniuge e della necessità di assistenza, attengono alle conseguenze pregiudizievoli della lesione, vale a dire all'ulteriore elemento costitutivo dell'illecito che è il danno- conseguenza.

Così come quest'ultimo non va confuso con l'evento di danno, le allegazioni relative all'uno e/o all'altro vanno tenute logicamente e giuridicamente distinte. Di tale distinzione non vi è traccia nella sentenza impugnata.

Quest'ultima non ha tenuto conto delle allegazioni dell'attrice, poi appellata, riconducibili alla titolarità del rapporto controverso, per un verso sovrapponendovi la qualità spesa nel costituirsi in giudizio, per altro verso confondendole con le allegazioni concernenti il danno risarcibile.

5.3.- Ancora più illogica, ed anzi espressione di un risultato interpretativo addirittura contrario a Costituzione, è la conseguenza che la Corte d'Appello trae dalla propria (errata) interpretazione della domanda risarcitoria, vale a dire quella di ascrivere alla scelta della S. di contrarre matrimonio addirittura rilevanza causale autonoma ed esclusiva dei pregiudizi di natura non patrimoniale dei quali la stessa ha invocato il risarcimento, nella qualità di coniuge del L.V..

Ed invero, va, in primo luogo, evidenziato che la scelta della danneggiata è, in sè, tutelata sia dal principio costituzionale della libertà di autodeterminazione, specificamente della libertà di contrarre matrimonio di cui agli artt. 2 e 29 Cost., sia dal riconoscimento costituzionale dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, di cui a tale seconda norma.

In ogni caso, essa è, in sè, priva di efficienza causale rispetto ai danni provocati dalla lesione dei diritti inviolabili da riconoscersi alla persona nell'ambito di un rapporto affettivo talmente serio da evolversi in un rapporto coniugale.

Il fatto generatore dei danni non patrimoniali sofferti dalla S., contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, non è certo il matrimonio col L.V., quanto piuttosto l'incidente accaduto a quest'ultimo. E' tale incidente che ha provocato all'odierna ricorrente le conseguenze pregiudizievoli, che, oltre all'intima sofferenza, hanno inciso sui progetti di vita della giovane coppia ed hanno finito per riverberarsi anche nella vita matrimoniale e familiare, tanto che, portando alle estreme conseguenze il ragionamento del giudice di merito, si dovrebbe concludere che, per porre rimedio o evitare dette conseguenze, ella avrebbe dovuto rinunciare addirittura al matrimonio con la persona scelta come compagno di vita, cioè all'esercizio di diritti costituzionalmente protetti.

La natura e l'entità, anche a fini liquidatori, di dette conseguenze, da intendersi quali sofferenze morali ovvero anche quale modificazione, o addirittura sconvolgimento, della vita della danneggiata, sono da accertarsi dal giudice di merito, in relazione alle circostanze del caso concreto, comprese, oltre la gravità delle lesioni occorse al L.V., l'eventuale convivenza pregressa rispetto al matrimonio e gli aspetti rilevanti della successiva vita coniugale e familiare, l'una e gli altri nei limiti in cui emergenti in giudizio. Vanno perciò accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale.

6.- Con l'unico motivo del ricorso incidentale è dedotta insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla mancata ammissione dei mezzi di prova dedotti dall'Associazione Valori Alpini con la memoria istruttoria depositata nel primo grado di giudizio, in replica alla memoria istruttoria di controparte.

La ricorrente censura la statuizione di rigetto delle richieste istruttorie, reiterate in appello, volte ad acquisire una videoripresa dell'attore L.V. ed a disporre una prova testimoniale, al fine di dimostrare un minor grado di incidenza delle lesioni subite a seguito dell'incidente rispetto a quanto ritenuto dal primo giudice, sulla scorta della CTU disposta nel corso del giudizio di primo grado.

6.1.- Il motivo è infondato, dovendosi in proposito ribadire il principio in ragione del quale il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell'art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio non siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (tra le varie, cfr. Cass. n. 7700/2007, n. 1754/12).

Nella specie, la sentenza in maniera congrua e logica spiega le ragioni per le quali non ha ammesso la produzione della videoripresa ed i cinque capitoli testimoniali articolati dalla parte (essendo finalizzati a provare circostanze che, anche se accertate come esistenti, non sarebbero state comunque idonee a modificare gli esiti dell'accertamento medico - legale di cui alla CTU espletata in primo grado: cfr. pagg. 11-12 della sentenza).

Il ricorso incidentale va perciò rigettato.

7.- In conclusione, vanno accolti i motivi terzo e quarto del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata, limitatamente alla statuizione di rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata da S.R. ed alle conseguenti statuizioni sul regolamento delle spese dei due gradi di giudizio; la causa va rinviata alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, che, nel decidere in merito a detta domanda, si atterrà ai principi di diritto di cui sopra.

Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.



P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nonchè il ricorso incidentale; accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013