SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 23 aprile 2012

Audizioni svolte presso la prefettura di Palermo


Presidenza del presidente TOFANI

Audizione del prefetto di Palermo
Audizione di rappresentanti della Regione
Audizione del direttore generale dell’INAIL Sicilia
Audizione dei procuratori generali presso le Corti d’appello di Palermo, Messina, Catania e Caltanissetta
Audizione del comandante regionale dell’Arma dei Carabinieri, del comandante del Nucleo Carabinieri per la tutela del lavoro e del comandante regionale dei VVFF
Audizione di rappresenti regionali della CGIL, della CISL, della UIL e della UGL
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni datoriali ed imprenditoriali


Audizione del prefetto di Palermo

Interviene il prefetto di Palermo, dottor Umberto Postiglione.

PRESIDENTE
Buongiorno a tutti. Diamo inizio ai nostri lavori con l’audizione del prefetto di Palermo, dottor Umberto Postiglione, che ringraziamo per aver accolto il nostro invito, oltre che per il supporto che ci ha fornito nell’organizzazione di questa nostra missione. A lui siamo grati fin d’ora anche per quanto vorrà dirci.
A tal proposito, ci tengo subito a precisare che la presenza della nostra Commissione qui in Sicilia non è fortunatamente legata a particolari accadimenti, ma va a collocarsi, piuttosto, nell’ambito di un’indagine che abbiamo deciso di intraprendere al fine di comprendere meglio in che modo sta trovando attuazione nelle varie Regioni d’Italia la nuova normativa relativa alla tutela della salute e al contrasto degli infortuni sui luoghi di lavoro. Questa analisi ci consentirà certamente di approfondire meglio anche i rapporti tra i diversi soggetti comunque coinvolti in questo tipo di azione, con particolare riferimento alle Regioni alle quali, come certamente lei saprà, signor prefetto, è affidato il delicato ed importante compito del coordinamento.
In conclusione, il nostro obiettivo è soprattutto quello di capire, attraverso questo percorso, se vi è la necessità di avviare una riflessione sull’opportunità di mantenere l’attuale competenza concorrente tra Stato e Regioni su una materia così importante come quella della tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
A questo punto, dottor Postiglione, le cedo la parola per la sua relazione.

POSTIGLIONE
Signor Presidente, ringrazio lei e la Commissione per la vostra presenza qui oggi.
Comincio col dire che in Sicilia, in quanto Regione a Statuto speciale, è particolarmente forte lo spirito di indipendenza, con la tendenza da parte del governo regionale a preservare sempre gelosamente, finché è possibile, le proprie competenze.
Ci troviamo a vivere oggi una situazione di grave crisi economica, che sta investendo già da quattro anni il nostro Paese, con effetti recessivi che provocano non solo una minore produzione, ma anche una forte contrazione dei livelli occupazionali. Questa situazione ha riflessi negativi anche sul piano della sicurezza sui luoghi di lavoro. Per un verso, infatti, i datori di lavoro, al fine di comprimere le spese, sono spinti a tagliare anche sui costi connessi alla sicurezza, per altro verso i lavoratori, se vogliono conservare il posto di lavoro o se, in qualità di neoassunti, vogliono cominciare a lavorare, sono disposti anche ad accettare una limitazione dei presidi a tutela della sicurezza, ove mai siano a conoscenza delle regole dettate in materia.
Il rapporto tra lavoratori e sicurezza sul lavoro è ancor più complesso se pensiamo, poi, alla presenza del lavoro nero, visto che quasi sempre ad assunzioni irregolari si accompagnano condizioni di lavoro meno sicure, soprattutto nel settore dell’edilizia.
Per contrastare il fenomeno, il 28 gennaio 2010 il Governo ha varato per le Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia il piano straordinario di vigilanza per l’agricoltura e per l’edilizia. In effetti, in presenza di pervasive organizzazioni criminali che gestiscono spesso il lavoro ed il caporalato nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia, il fenomeno del lavoro nero e la mancanza di condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro possono ovviamente manifestarsi con maggior frequenza.
L’attività di controllo posta in essere nella Regione Sicilia ha avuto bisogno di uno specifico coordinamento, e vengo così alla questione del rapporto tra strutture periferiche dello Stato e Regioni, nonché, in particolare, al tema del coordinamento tra gli organi dello Stato e quelli delle Regioni a Statuto speciale. Nel corso di una riunione tenutasi il 28 giugno 2010 presso la Presidenza della Regione Sicilia è stata affrontata la questione dei controlli da effettuarsi in ragione del piano straordinario di vigilanza per l’agricoltura e per l’edilizia. Durante la riunione, presieduta dal Presidente della Regione, è stato approfondito, soprattutto, l’aspetto connesso ai rapporti tra la funzione di coordinamento attribuita alle prefetture – in particolare a quella di Palermo – e le competenze esercitate nella specifica materia dalla Regione siciliana.
L’assessore regionale al lavoro ha illustrato in quella sede gli esiti dell’incontro tenutosi in precedenza tra Regione e Ministero del lavoro, indicando le attività da svolgersi sul territorio. In particolare, l’assessore ha ribadito l’esigenza che, nell’ambito del piano straordinario di vigilanza, il ruolo di coordinamento fosse assegnato anche in Sicilia alle prefetture. Si è arrivati così, attraverso una serie di passaggi, all’affidamento del coordinamento alle prefetture, prevedendosi nel contempo la massima collaborazione da parte degli Ispettorati regionali del lavoro.
È stata altresì ribadita l’importanza del piano straordinario di vigilanza, soprattutto in quei contesti in cui maggiore è la presenza della criminalità. In queste realtà – che in Sicilia, a dire il vero, rappresentano la quasi totalità – l’individuazione delle strategie operative da porre in essere nel quadro delle misure previste dal piano straordinario deve presupporre necessariamente, ad avviso di tutti, un’adeguata valutazione degli aspetti che hanno maggiore incidenza sotto il profilo della tutela dell’ordine pubblico.
Al riguardo c’è da dire che dal 2005 vige in Sicilia – ma l’adesione da parte dei soggetti pubblici, soprattutto da parte dei Comuni, è volontaria – il protocollo di legalità «Carlo Alberto Dalla Chiesa», che consente di effettuare uno screening delle ditte operanti all’interno dei cantieri, anche al fine di accertare le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché la regolarità degli stessi rapporti di lavoro.
In particolare, il protocollo prevede che: «La Regione siciliana, intendendo assicurare un miglior controllo dell’attività delle imprese aggiudicatarie di appalti di opere e lavori pubblici, subappalti, destinatarie di benefici pubblici e di quelle comunque direttamente o indirettamente interessate ai medesimi, si impegna ad assumere le misure più idonee affinché le stazioni appaltanti ed i soggetti erogatori prescrivano il rigoroso rispetto delle disposizioni vigenti in materia di obblighi sociali e di sicurezza sul lavoro da parte delle imprese, pena la risoluzione del contratto, la revoca dell’autorizzazione o della concessione o la decadenza dal beneficio. La prescrizione dovrà essere inserita nei bandi, nonché nei contratti e nei provvedimenti di concessione dei benefici pubblici». Il protocollo «Carlo Alberto Dalla Chiesa», dunque, costringe sostanzialmente tutti i soggetti aderenti ad inserire queste specifiche disposizioni a garanzia dell’adozione di tutte le misure di sicurezza sul lavoro nei contratti stipulati con le ditte aggiudicatrici degli appalti.
Successivamente all’individuazione del soggetto coordinatore, si è proceduto a pianificare nel dettaglio l’attività ispettiva da svolgere nel territorio della Provincia, stabilendo di dedicare due giorni alla settimana all’effettuazione dei controlli. Sono stati così creati dei nuclei di vigilanza ad hoc, composti da rappresentanti dell’Ispettorato del lavoro, dell’INPS, dell’INAIL e dell’azienda sanitaria provinciale (dal momento che questo non era certamente un compito che poteva essere svolto attraverso la struttura ordinaria degli uffici), con l’assegnazione di funzionari provenienti anche da altri uffici, allo scopo di rafforzarne l’organico.
Questi nuclei hanno effettuato nel 2010 accessi congiunti, modulati in ragione delle differenti realtà imprenditoriali, garantendo un’efficiente articolazione dei controlli, adattata peraltro alla tipologia delle imprese da sottoporre a verifica. Per le imprese di piccole dimensioni i nuclei ispettivi avevano una composizione ridotta, al fine di consentire un migliore impiego delle risorse disponibili, assicurando una pluralità di accessi anche nella stessa giornata. Questi controlli hanno prodotto numerose contravvenzioni a carico di molte ditte sottoposte a riscontri, in prevalenza per irregolarità connesse al ricorso al lavoro nero, ovvero all’elusione della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Per quanto concerne i risultati prodotti da questa attività di controllo, le verifiche hanno riguardato sia il lavoro nero, che le violazioni della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. I dati più importanti sono quelli forniti dal Comando dei Carabinieri per la tutela del lavoro, specializzato nell’attività di controllo, che ha fornito un puntuale resoconto relativo all’anno 2011, con qualche dato sul primo trimestre 2012.
In particolare, nel 2011, in sede di attività ispettiva sono stati effettuati 2.468 controlli; le aziende controllate sono state 2.734 (per cui evidentemente ne sono state controllate diverse nello stesso giorno); c’è stato un recupero di contributi per 7.232.253 euro, di cui sono poi stati effettivamente riscossi 592.915. Inoltre, sono state contestate sanzioni amministrative per 18.705.923 euro, con un importo finora riscosso di 1.777.089 euro. Quanto poi alle posizioni lavorative esaminate, i lavoratori sottoposti a controllo sono stati 9.054, di cui 1.290 risultati in nero.
Per quanto riguarda le attività di rilevanza penale, i soggetti deferiti all’autorità giudiziaria sono stati in totale 493; gli arrestati tre; a piede libero 490; le informative inoltrate 465; le attività su delega dell’autorità giudiziaria 632. Le truffe accertate sono state 13; l’importo delle truffe
118.896 euro; i minori controllati sul lavoro sono stati 48, dei quali 35 occupati illecitamente. Per quanto riguarda l’occupazione dei cittadini extracomunitari, ne sono stati controllati 529, di cui 34 irregolari, 10 clandestini e tre soggetti nei confronti dei quali era stato adottato un provvedimento di espulsione. Per quanto concerne l’attività nei confronti del caporalato, otto sono stati i servizi effettuati e quattro le violazioni contestate.
Per quanto attiene più specificamente alla sicurezza sul lavoro, le ispezioni effettuate sono state 467, le prescrizioni impartite 641, le sospensioni del lavoro 107; nessun cantiere sequestrato.
Il totale delle ammende comminate è 813, per un importo di 1.360.996 euro; i lavoratori in nero 337; l’importo delle sanzioni 1.297.955 euro; le persone denunciate a piede libero 214.

PRESIDENTE
Questi dati riguardano la Provincia di Palermo e Palermo?

POSTIGLIONE
Riguardano tutta la Regione.

PRESIDENTE
Non c’è stato alcun sequestro di cantiere?

POSTIGLIONE
No, a quanto mi risulta.

PRESIDENTE
Come lei sa, il decreto legislativo n. 81 del 2008 (ma già la legge n. 123 del 2007) dà alla Regione il compito specifico di coordinamento, quindi ha delegato queste competenze.

POSTIGLIONE
Soltanto nell’ambito del piano straordinario, ma non ha delegato per sempre.

PRESIDENTE
Quindi, solamente per il protocollo Dalla Chiesa?

POSTIGLIONE
Non per il protocollo Dalla Chiesa, ma per il piano varato il 28 gennaio 2010 dal Consiglio dei Ministri, ovvero il piano straordinario di vigilanza per contrastare il lavoro sommerso nell’edilizia e nell’agricoltura nelle Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

PRESIDENTE
Quindi, lei si riferiva solo a questo?

POSTIGLIONE
No, i dati si riferiscono all’attività generale svolta dai gruppi specializzati dei Carabinieri per la tutela del lavoro su tutta la Sicilia nel 2011.

PRESIDENTE
Dunque, sta riportando solo quanto hanno fatto i Carabinieri e non altri soggetti, quali le aziende sanitarie, che poi hanno un ruolo primario in questo settore?

POSTIGLIONE
Posso comunque farvi avere gli altri dati.

PRESIDENTE
A noi non interessano i dati ma i metodi; è per questo che siamo venuti fin qui.

POSTIGLIONE
Se ci vogliamo riferire solo a quel piano...

PRESIDENTE
Signor prefetto, non ci stiamo capendo. Se noi avessimo voluto conoscere solo i dati, che già abbiamo avuto dall’INAIL e da altri soggetti, non saremmo venuti fin qui. Ciò che ci preme è capire il metodo, ovvero come si sta attuando il Testo unico sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro nelle varie Regioni d’Italia, votato nel 2008. Questo è il quadro che a noi interessa.

POSTIGLIONE
I controlli sono effettuati in particolare modo dall’Arma dei Carabinieri.

PRESIDENTE
Perché parla solo dell’Arma dei Carabinieri? Questo è un aspetto da approfondire; non è vero che i controlli vengono effettuati in modo particolare dai Carabinieri. L’Arma ha un nucleo, in genere tre o quattro unità per Provincia, a fronte di decine di unità per Provincia dell’Ispettorato del lavoro e dell’azienda sanitaria; quindi, non sono solo i Carabinieri ad effettuare i controlli.

POSTIGLIONE
Sicuramente. Intendevo dire che il piano del 2010 ha praticamente assorbito l’attività di tutti i soggetti coinvolti. I dati a mia disposizione sono complessivi; non ho dati specifici.

PRESIDENTE
Complessivi nel senso che riguardano tutti i soggetti che operano in questo settore?

POSTIGLIONE
Esatto. Io stavo enucleando i dati del 2011 relativi all’attività dei Carabinieri, che, ahimè, sono i soggetti che evidentemente in Sicilia operano con costanza.

PRESIDENTE
Perché «ahimè»? Fortunatamente, direi.

POSTIGLIONE
Intendevo rispetto agli altri soggetti. Meno male che ci sono, anzi.
Per quanto riguarda gli altri dati in mio possesso, il piano del 2010 ha dato una serie di risultati che ho riportato in una tabella. Mi riferisco all’attività complessiva, alle procedure, al metodo utilizzato, ai soggetti coinvolti (quando si decise di dare alle prefetture il coordinamento). Ebbene, le aziende ispezionate nel 2010 sono state 300, di cui 147 rivelatesi irregolari; i lavoratori nazionali oggetto di verifica 1.047, di cui 162 totalmente in nero e 216 irregolari per altre cause. I lavoratori comunitari oggetto di verifica sono stati 389, in nero 77, e 180 irregolari per altre cause. I lavoratori extracomunitari oggetto di verifica 123: 64 completamente in nero, tre irregolari perché privi di permesso di soggiorno, 51 irregolari per altre cause. I provvedimenti di sospensione per lavoro nero adottati sono stati 30. Questi numeri concernono il settore agricolo; nel settore dell’edilizia i numeri sono molto più alti.

PRESIDENTE
Signor prefetto, potrà lasciarci questi dati, quindi avremo la possibilità di esaminarli.
In estrema sintesi, vorrei chiederle notizie in merito al coordinamento regionale. Mettiamo da parte il piano, altrimenti ci confonde.

POSTIGLIONE
Ha assorbito tutte le attività per due anni.

PRESIDENTE
Non avrebbe dovuto assorbirle, perché un piano straordinario su due settori non può lasciare liberi gli altri.

POSTIGLIONE
Ha ragione.

PRESIDENTE
Noi abbiamo necessità di capire perché in tema di sicurezza e tutela sui luoghi di lavoro non si riescono ad ottenere risultati positivi. E non mi riferisco in particolare alla Sicilia ma parlo in generale. Di fronte ad una fortissima diminuzione delle ore lavorate, il numero degli infortuni, anche mortali, resta più o meno costante. Ciò significa che c’è qualcosa che non va, nonostante tutto. Noi stiamo cercando di capire cosa, ed è per questo che siamo qui. Allora, fermo restando che se vorrà potrà lasciare la documentazione – ne faremo oggetto di analisi – il Testo unico n. 81 del 2008, come già la legge n. 123 del 2007, ha affidato alle Regioni il coordinamento. Noi ci battiamo molto su questo concetto, a prescindere dai progetti speciali che ci sono stati con talune Regioni, quali la Calabria o la Campania; quello è un discorso a sé che rafforza il tema principale.
Allora, questo coordinamento, secondo il suo punto di osservazione – che per noi è importante in quanto rappresenta lo Stato – è operativo?

POSTIGLIONE
Siamo perfettamente d’accordo, tuttavia non sono onnipotente e devo confessarle che noi lavoriamo sempre in uno stato di assoluta emergenza per un’infinità di difficoltà. Ciò detto, la Regione normalmente svolge la sua attività. In questa occasione abbiamo dovuto affrontare – lo ha fatto uno dei miei predecessori – il tema dell’applicazione di questo piano, un lavoro che ha assorbito gran parte delle risorse, concentrandole nei due settori produttivi che in Sicilia, mancando un sistema industriale, a parte qualche raffineria (sa benissimo che la FIAT ha chiuso e che praticamente non c’è nient’altro), sicuramente hanno una maggiore diffusione: l’agricoltura e l’edilizia. Questi interventi sono stati preminenti e i risultati sono noti. In quella sede si è posto il problema, trattandosi di un intervento straordinario, promosso dal Governo, di quale soggetto si dovesse occupare del coordinamento delle attività; alla fine la Regione ha acconsentito a che il coordinamento fosse effettuato, straordinariamente e limitatamente all’applicazione di quel piano, dalla prefettura; dopodiché la Regione procede secondo le sue attribuzioni.

MARAVENTANO
Quindi, le risulta che questo Comitato si riunisca almeno ogni tre mesi e che ogni anno invii una relazione ai Ministeri del lavoro e della salute?

POSTIGLIONE
Probabilmente l’assessorato regionale al lavoro lo farà; io non lo so. Ricopro questo carica da circa un anno e dalla Regione nessuno mi ha mai chiesto niente in materia. Quello che so è ciò che abbiamo fatto noi quando è stato varato il famoso piano, un’iniziativa da parte del Governo che non c’entra nulla con l’attività ordinaria in materia di lavoro attribuita alla Regione; quindi, molto più efficacemente di me potranno fornire notizie altri soggetti. Ciò che ritengo di sottolineare è che noi stiamo vivendo un momento di difficoltà per la crisi economica, che, se è difficile in tutta l’Italia, in Sicilia è terribile: sono costretto continuamente a vivere esperienze che si concludono con la cessazione dell’attività di qualche impresa. Di fronte ad una situazione simile, temo che ci sarà, come ho detto, una sempre maggiore carenza di iniziative dei datori di lavoro in tema di sicurezza sul lavoro e relativamente a tutti quegli altri aspetti che riguardano i costi del lavoro. Infatti, da parte dei lavoratori che riescono ad inserirsi in nero si tace per conservare questa piccola possibilità di reddito. Questo è il sentimento fondamentale in questo momento.

PRESIDENTE
Purtroppo è un sentimento fondamentale presente non soltanto nella Regione Sicilia.
Ringraziamo il prefetto di Palermo per le preziose informazioni fornite.

Audizione di rappresentanti della Regione


Intervengono: su delega del presidente della Regione, l’assessore regionale all’economia Gaetano Armao; su delega dell’assessore regionale alla salute, il capo di gabinetto vicario, dottor Antonio Lo Presti e il dirigente del servizio tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ingegner Antonio Leonardi; su delega dell’assessore regionale al lavoro, il direttore dell’Ispettorato del lavoro di Catania e, ad interim, di Palermo, ingegner Dino Cacopardo, accompagnato dall’ispettore provinciale del lavoro di Palermo, dottor Nicolò Giuliano.

PRESIDENTE
Buongiorno. I motivi per i quali la nostra Commissione parlamentare è presente oggi in Sicilia non sono legati a particolari accadimenti ma ad un’indagine sulla sicurezza e la salute dei lavoratori finalizzata a comprendere meglio la situazione. Stante le notevoli difficoltà ad incontrare tutti i rappresentanti delle Regioni d’Italia abbiamo preferito garantire la nostra presenza in ogni Regione al fine di comprendere come le nuove normative contenute nel Testo unico sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro vengano gestite sul territorio, atteso che il coordinamento – che il legislatore ha voluto onde evitare che vi fossero sovrapposizioni o mancanza di dialogo tra soggetti preposti ad un’unica missione – rappresenta per noi l’oggetto più importante da analizzare in questa fase, soprattutto in considerazione del fatto che tale coordinamento è in vigore nelle Regioni già dal 2008.
Vorremmo pertanto comprendere come una Regione a Statuto speciale e con particolari prerogative, come la Sicilia, si è organizzata su questo piano considerando che la stessa Regione ha concorso, insieme a quelle a statuto ordinario, in sede di Conferenza Stato-Regioni alla definizione del decreto legislativo n. 81 del 2008.

ARMAO
Ringrazio il Presidente e i componenti della Commissione per questo segno di attenzione alla Sicilia e alle tematiche del lavoro nella nostra Regione. Mi scuso per il ritardo, ma le vicende connesse con gli scioperi per la grave emergenza sociale legata alle situazioni di precariato pongono problemi seri, che sarebbe opportuno evidenziare anche alla vostra Commissione. Si tratta di questioni ben note al Governo nazionale che riteniamo opportuno rilevare perché fonte di problemi di ordine pubblico e sociale nella nostra città. Ricordo che fino ad oggi questa spesa è stata finanziata a livello nazionale e ora si pone un problema di razionalizzazione dell’intervento. Crediamo tuttavia che l’attuale Governo, grazie alla sua competenza e al suo equilibrio, non mancherà di risolvere tempestivamente la questione per rispondere alle esigenze di un territorio come la Sicilia.
Per quanto concerne l’audizione odierna, intervengo per delega del presidente Lombardo che purtroppo non ha potuto essere presente. Sono assessore all’economia e il presidente ha ritenuto di delegarmi anche per le questioni che afferiscono al mondo del lavoro e della sicurezza nei luoghi di lavoro e in generale al settore dell’economia siciliana nelle sue esigenze di crescita e di sviluppo. In un Paese in cui purtroppo, come è ben noto a codesta Commissione, si annoverano numerose morti bianche rispetto al resto d’Europa e dove il lavoro nero ha numeri inaccettabili, con conseguenze evidenti ai più , la Regione, in attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, ha inteso e intende svolgere al meglio le competenze e le prerogative che ella, Presidente, ha poc’anzi richiamato in quanto derivazione diretta delle prerogative statutarie in materia di lavoro.
Se mi autorizza, cederei la parola all’ingegner Cacopardo in rappresentanza del dipartimento del lavoro, il cui dirigente generale, dottoressa Annarosa Corsello, ha predisposto sul punto una dettagliata relazione, prodotta agli atti della Commissione, nella quale sono illustrate sinteticamente le prospettive di intervento in materia di sicurezza sul lavoro, un settore delicato in cui c’è ancora molto da fare per allinearsi ai parametri europei.

CACOPARDO
Sono l’ingegner Cacopardo, dirigo l’Ispettorato del lavoro di Catania e, ad interim, quello di Palermo. Ho ricevuto l’incarico di illustrare la situazione attuale in Sicilia e mi sono permesso di fornire alcuni suggerimenti volti ad un miglioramento della situazione. Abbiamo raggiunto delle prime intese con le aziende sanitarie locali e abbiamo stilato con il Comitato regionale di coordinamento – come dirà più dettagliatamente l’ingegner Leonardi, in rappresentanza dell’assessorato alla salute – alcune linee guida, pubblicate recentemente, per ottimizzare e uniformare in ambito regionale l’attività di vigilanza.

PRESIDENTE
Mi scusi, quando dice «abbiamo», si riferisce all’Ispettorato del lavoro, al Ministero del lavoro o alla Regione Sicilia?

CACOPARDO
Intendo riferirmi all’assessorato alla famiglia e al lavoro, che in Sicilia esercita le funzioni che nel resto d’Italia vengono svolte dal Ministero del lavoro. In aggiunta abbiamo l’opera dei Carabinieri appartenenti al Nucleo ispettorato del lavoro (NIL), presenti in ogni Ispettorato provinciale. A livello provinciale ci sono state già due iniziative, una nella Provincia di Catania e l’altra in quella di Palermo, nelle quali il Comitato provinciale ha cercato di dare in maniera concreta contenuto a queste linee guida.
A Palermo, nell’incontro tenutosi a marzo, si è stabilito di dividere il territorio nella città di Palermo e in quello dei Comuni della Provincia di Palermo.

PRESIDENTE
Mi scusi, a noi risulta essere direttore dell’Ufficio regionale del lavoro.

CACOPARDO
No, sono direttore dell’ispettorato provinciale del lavoro di Catania e di Palermo. L’audizione avrebbe dovuto tenerla la dottoressa Corsello, dirigente del Dipartimento regionale al lavoro.

PRESIDENTE
In genere noi incontriamo sempre il direttore regionale del lavoro.

CACOPARDO
Ho avuto una delega.

PRESIDENTE
Va bene. Prego, vada avanti.

CACOPARDO
In buona sostanza si è ritenuto di disciplinare la situazione – siamo solo all’inizio e presto speriamo di vedere i risultati – prevedendo mensilmente uno scambio di informazioni in modo da evitare sovrapposizioni. Mi sono permesso di riferire i dati statistici relativi agli interventi degli Ispettorati provinciali del lavoro della Sicilia, sottolineando in particolare un aspetto. L’Ispettorato del lavoro ha come obiettivo specifico la lotta contro il lavoro sommerso nell’ottica di una diminuzione del fenomeno degli infortuni sul lavoro. Spesso, infatti, gli infortuni si annidano là dove c’è lavoro nero.
In questi dati vengono evidenziati sia gli illeciti amministrativi in materia di sicurezza sia, in dettaglio, gli illeciti penali. Vengono inoltre indicate le sospensioni di attività effettuate ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 81, le quali tuttavia sono state adottate soltanto per lavoro nero (il famoso 20 per cento delle persone presenti).

PRESIDENTE
Sono state chiuse delle attività?

CACOPARDO
Sì, a pagina 2 della documentazione che ho fornito sono descritte tutte le sospensioni effettuate, provincia per provincia. Si tratta di dati relativi all’anno 2011. Nella prima colonna sono indicati i lavoratori in nero individuati per i quali si è intervenuti ai fini della regolarizzazione.

MARAVENTANO
Quindi sono state chiuse delle attività?

CACOPARDO
Sì, nelle quantità indicate in queste tabelle.

PRESIDENTE
Essenzialmente nell’edilizia.

CACOPARDO
La maggior parte nell’edilizia, anche se c’è qualche sospensione in agricoltura. Possiamo rilevare che a Palermo tra i lavoratori in nero gli extracomunitari sono un numero limitato mentre la loro presenza è consistente nelle Province di Ragusa e Trapani. Ciò è evidente perché le due Province sono notoriamente le più esposte a questo fenomeno che si verifica soprattutto in ambito agricolo, anche se abbiamo individuato molti lavoratori in nero nell’edilizia. Comunque questa ulteriore analisi di dettaglio tra edilizia e agricoltura non l’abbiamo fatta.
Gli illeciti penali riguardano tutti la sicurezza del lavoro. Ci siamo soffermati attentamente su alcune proposte che ritengo possano avere una valenza e quindi migliorare la nostra attività. Quanto all’attività della polizia giudiziaria, è auspicabile che gli interventi degli ufficiali di polizia giudiziaria avvengano secondo le disposizioni di cui all’articolo 33 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, al di là della specifica competenza che spetta al Nucleo specializzato per la tutela del lavoro, ove alla lotta al sommerso prendessero parte anche la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri – così com’è stato fatto finora egregiamente dalla Guardia di finanza – riusciremmo forse ad avere buoni risultati anche sul versante del contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro.
Ritengo che sarebbe inoltre opportuno prevedere, attraverso norme o direttive, lo scambio completo di informazioni tra gli SPRESAL delle ASL e gli uffici dei servizi sanitari che si occupano di vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
Mi scusi, ingegner Cacopardo, ma debbo interromperla, perché lei ci sta dicendo cose di cui noi abbiamo già discusso quando abbiamo approntato il testo del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il motivo per cui siamo qui oggi è per cercare di capire come funziona il coordinamento regionale, perché quello di cui lei sta parlando è compito specifico del coordinamento regionale. Se non le spiace, quindi, darei la parola agli altri ospiti.

LO PRESTI
Buongiorno a tutti. Sono Antonio Lo Presti, capo di gabinetto vicario dell’assessorato regionale della salute.
Doveva essere oggi con noi anche la dottoressa Lucia Borsellino, dirigente generale dell’assessorato regionale della salute, ma purtroppo proprio questa mattina è stata direttamente investita di una questione assolutamente emergenziale. Come probabilmente saprete, infatti, a seguito della chiusura del reparto di oncologia medica del Policlinico di Palermo, ci troviamo a dover fronteggiare l’emergenza legata ai ricoveri quotidiani e alla gestione di circa 800 pazienti oncologici.

PRESIDENTE
Questa vicenda risale già a qualche giorno fa.

LO PRESTI
Per l’esattezza a sabato mattina, ma è proprio oggi che si deve insediare la commissione chiamata a gestire, appunto, l’emergenza.

PRESIDENTE
Mi scusi, dottor Lo Presti, ma non possiamo stare qui a parlare di chi non è presente e del motivo per cui non è presente. Non è questo che ci interessa e non vogliamo perdere tempo con le giustificazioni, che noi peraltro non vi abbiamo chiesto.
La invito, dunque, cortesemente a fornirci elementi utili alla nostra indagine.

LO PRESTI
Volevo soltanto rappresentare la difficoltà della dottoressa Borsellino ad essere presente qui oggi.

PRESIDENTE
Dottor Lo Presti, ognuno di noi ha mille problemi. Se la dottoressa Borsellino non è presente, diamo per scontato che abbia avuto i suoi motivi.
Le rinnovo dunque l’invito a fornirci, se vuole, informazioni utili al nostro lavoro.

LO PRESTI
Signor Presidente, se mi consente, lascerei la parola all’ingegner Leonardi, che meglio di me potrà rappresentare l’azione da noi posta in essere come assessorato regionale della salute.

PRESIDENTE
La prego, ingegner Leonardi.
Come ho già detto, noi siamo interessati ad avere notizie che possano aiutarci a comprendere il motivo per il quale il meccanismo non funziona: vogliamo capire insieme a voi cosa possiamo fare per far funzionare il sistema. Non ci interessa, dunque, chi è venuto e chi no; non è questo il problema. Anche se fosse venuta l’ultima delle persone coinvolte in questo tipo di discorso, ma ci desse comunque buone notizie, per noi andrebbe bene.

LEONARDI
Buongiorno a tutti.
Sono l’ingegner Leonardi, dirigente del servizio tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dell’assessorato regionale della salute, servizio che è stato istituito circa tre anni fa dall’assessore Russo proprio con il compito di pianificare e programmare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro nel territorio siciliano; mancava infatti, all’epoca, una struttura regionale che svolgesse questo tipo di azione.
In tre anni abbiamo avviato una programmazione sul territorio regionale, con l’emanazione di piani regionali straordinari e di decreti attuativi del Testo unico, che in breve cercherò di esplicare. Ho comunque con me due note contenenti notizie più dettagliate, che depositerò agli atti.

PRESIDENTE
Ingegner Leonardi, la nostra domanda è puntuale: è stato costituito il coordinamento regionale? Sì o no? E, nel caso in cui lo stesso sia stato costituito, com’è organizzato? Non ci interessano i piani particolari, anche perché stiamo parlando di una materia oggetto di potestà legislativa concorrente, per cui ogni Regione che voglia darsi strumenti ulteriori può comunque decidere di farlo.
A noi interessa capire se la normativa nazionale, che è stata convenuta insieme tra Stato e Regioni, stia trovando attuazione ed in che modo. Vi siamo quindi grati fin d’ora se potrete gentilmente darci notizie al riguardo.

LEONARDI
Il Comitato regionale di coordinamento in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro è stato costituito con decreto assessoriale il 5 novembre 2009; è stato questo uno dei primissimi atti voluti dall’assessore Russo immediatamente dopo il suo insediamento.
Il Comitato, insediatosi l’8 febbraio 2010, si è riunito pressoché periodicamente, emanando tra l’altro alcune importanti direttive. Una di queste – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed alla quale ha fatto cenno poco fa l’ingegner Cacopardo – contiene linee di indirizzo per ottimizzare ed uniformare nell’ambito regionale l’attività di vigilanza posta in essere dai diversi enti ed organismi pubblici in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Non so se anche in altre Regioni d’Italia sia stato fatto qualcosa di simile. Sappiamo, infatti, che purtroppo spesso manca un adeguato coordinamento tra i diversi organismi pubblici, oltre ad un’adeguata sinergia ed integrazione e alla necessaria cooperazione.
All’interno del Comitato abbiamo quindi provveduto a costituire un gruppo di lavoro che, riunitosi più volte (circa ogni settimana o ogni 15 giorni), è arrivato in 3-4 mesi di lavoro a definire delle linee di indirizzo da impartire, nel suo ambito di competenza, a tutte le Province del territorio siciliano. L’obiettivo era quello di fare in modo che i diversi enti dialogassero e si scambiassero flussi informativi e notizie sull’attività di vigilanza, così da porre le condizioni per realizzare un’attività di vigilanza integrata e congiunta, secondo quanto previsto da quelle linee di indirizzo che, in analogia con quanto fa la Commissione consultiva permanente di cui siamo membri, sono state fissate con circolare assessoriale, poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale, che allegherò agli atti.
Abbiamo quindi provveduto a diffondere queste linee di indirizzo a tutti gli enti pubblici preposti, componenti del Comitato regionale di coordinamento, nonché a tutti gli altri enti (mi riferisco ovviamente all’assessorato al lavoro, agli Ispettorati provinciali del lavoro, all’INPS, all’INAIL, all’azienda marittima, agli SPRESAL e ai comandi provinciali dei Vigili del fuoco), avviando una forte integrazione, supportati all’interno del Comitato regionale di coordinamento dall’ufficio operativo.
Ci tengo a dire che queste stesse linee di indirizzo, a seguito di una circolare emanata dal Ministero dell’interno-Dipartimento dei Vigili del fuoco, subiranno qualche leggera modifica, perché si tratta di un’indicazione iniziale, che potrà essere dunque continuamente aggiornata, nel momento in cui sarà necessario apportare migliorie agli strumenti di pianificazione, programmazione e coordinamento tra i vari enti.
Nell’ambito del Comitato regionale di coordinamento sono stati costituiti sette gruppi di lavoro, tra cui quello che si occupa di vigilanza e tutela della sicurezza nell’edilizia, considerato che in questo caso vi è una specifica necessità di integrazione visto che, come la Commissione certamente saprà, esistono per questo settore due enti con analoghe competenze (ASP e Ispettorato del lavoro), per cui occorre quel coordinamento cui poco fa si è fatto cenno. In particolare, nelle linee di indirizzo è previsto un coordinamento in termini di scambio di flussi e di comunicazioni, proprio al fine di evitare sovrapposizioni, cioè per impedire che uno stesso cantiere sia controllato da enti diversi, magari a distanza di pochi giorni o di poche settimane. È prevista altresì una suddivisione del territorio per rafforzare e migliorare la vigilanza, in modo da ottimizzare l’attività di controllo, stante peraltro la carenza di risorse umane specializzate.
Tra gli altri, è stato istituito anche un gruppo di lavoro specializzato per casi di esposizione all’amianto, oltre ad un gruppo di lavoro per l’attività di formazione, che si è già riunito un paio di volte con l’obiettivo di emanare un decreto attuativo degli accordi Stato-Regione (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 9 gennaio 2012), siglati proprio in materia di formazione alla sicurezza di datori di lavoro, dirigenti e preposti. Questi accordi, cui la Regione Sicilia ha collaborato attivamente quale componente del gruppo di lavoro costituito da Ministero del lavoro e Regioni, necessitano di attuazione anche a livello regionale. Stiamo quindi provvedendo all’adozione di un decreto di specificazione di tali accordi sul territorio regionale, per il miglioramento e l’implementazione della formazione alla sicurezza di dirigenti, proposti e datori di lavoro. Questa attività dovrà essere concertata anche con le parti sociali, sindacali e datoriali, che siedono all’interno del Comitato. Si tratta di accordi molto importanti, che dobbiamo far fruttare, affinché diano il massimo risultato.
In materia di formazione, nell’ambito del Comitato regionale di coordinamento abbiamo approvato, nella seduta del 17 novembre scorso, due importanti progetti formativi, che saranno realizzati con i fondi messi a disposizione delle Regioni dal Ministero del lavoro, secondo quanto previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008: in base al dettato normativo, abbiamo provveduto a trasmettere i progetti al Ministero, che li ha approvati. Ora stiamo per mettere in moto la macchina che ci consentirà di finanziare queste attività e di dar loro attuazione.
Nell’ambito della stessa seduta del Comitato regionale di coordinamento, abbiamo posto inoltre le premesse per un decreto contenente norme per la prevenzione dei rischi di caduta dall’alto nei lavori di copertura, in analogia con quanto hanno già fatto altre Regioni, con l’installazione di sistemi specifici.

PRESIDENTE
Come operate, invece, a livello provinciale?

LEONARDI
Con la costituzione dei Comitati provinciali di coordinamento.

PRESIDENTE
Avete già provveduto in questo senso?

LEONARDI
Sì, abbiamo provveduto e mi pare che manchino solo due Province. Come accennava anche l’ingegner Cacopardo – che ha partecipato alla costituzione dei due Comitati di Palermo e Catania, che si sono già insediati ed hanno svolto alcune riunioni, soprattutto per discutere delle linee guida regionali che devono trovare poi attuazione a livello provinciale – nell’ambito dei Comitati provinciali sono state definite con precisione, insieme ai vari enti preposti, quelle modalità di integrazione e cooperazione cui gli SPRESAL, l’Ispettorato di lavoro e l’INAIL nelle varie sedi provinciali devono adeguarsi.

PRESIDENTE
C’è una partecipazione attiva di tutti i soggetti membri del Comitato regionale di coordinamento?

LEONARDI
Sì, vi è una presenza attiva, sia da parte degli enti pubblici preposti, che delle parti sociali (datoriali e sindacali) che, come dicevo, partecipano anche ai gruppi di lavoro, che noi riteniamo siano un utile strumento per arrivare poi in sede di Comitato con proposte che possano essere approvate.

MARAVENTANO
È già stata inviata una prima relazione al Ministero?

LEONARDI
Al momento ancora no, come credo in quasi tutte le Regioni, anche se so bene che abbiamo anche questo compito. In ogni caso, pur essendo partiti qualche anno dopo rispetto ad altre Regioni, lo faremo a brevissimo.

PRESIDENTE
Mi sembra però che siate comunque sulla buona strada. L’importante, infatti, è mettere in moto il meccanismo.

MARAVENTANO
Mi voglio complimentare con l’ingegner Leonardi.

PRESIDENTE
La relazione annuale alla quale accennava la senatrice Maraventano è molto importante, perché è l’unico punto di contratto vero tra le Regioni, il Ministero del lavoro e quello della salute. Se è vero, infatti, che ci sono le commissioni permanenti, noi abbiamo immaginato però la norma prevedendo proprio quel tipo di contatto.
Il nostro obiettivo è capire proprio come funziona il meccanismo a livello locale, perché per il resto ogni Regione – soprattutto una Regione a Statuto speciale come la vostra – assume le iniziative che ritiene più valide. In particolare, si tratta di verificare se le norme che abbiamo definito hanno un valore sul territorio, oppure no: per la verità, volendo essere molto franco, a me pare, in generale, che questo valore sia piuttosto scarso.
Apprezziamo il lavoro che state svolgendo in Sicilia, anche se con un po’ in ritardo, ma non è questo il problema; l’importante è avviare il meccanismo, altrimenti tutti i soggetti e le forze che abbiamo si disperdono, si sovrappongono. Se mancano il dialogo, una strategia mirata, un progetto, un dispiegamento sul territorio, anche le norme non servono a nulla.

LEONARDI
Questa è stata proprio una precisa volontà dell’assessore Russo sin da quando si è insediato, ovvero attuare e potenziare l’attività di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, quindi il relativo coordinamento. Basti pensare, per esempio, che il nostro piano regionale straordinario, varato nel 2010, prevede un finanziamento di 3,5 milioni di euro annui per tre anni: sono 10,5 milioni, che per la Sicilia, in epoca di piano di rientro, sono un investimento non indifferente, che sta consentendo il potenziamento dell’attività di vigilanza e controllo, l’aumento di 79 operatori di vigilanza nelle nove ASP, riservando anche una parte (un 10 per cento) per l’attività di informazione, formazione, assistenza e promozione della cultura della sicurezza, che verrà svolta anche dall’azienda sanitaria provinciale in collaborazione, a seguito della presentazione di progetti regolarmente approvati, con i comitati paritetici territoriali e con l’INAIL, con i quali tra l’altro abbiamo stipulato importanti protocolli di intesa. Grazie al suddetto finanziamento, con riferimento al target di vigilanza (fissato per le Regioni al cinque per cento) siamo passati, in un solo anno, da un indice dell’1,7 per cento al 3,2 per cento, quindi abbiamo raddoppiato. Speriamo di raggiungere nel 2011 quel limite che le Regioni dovrebbero attuare, quindi di recuperare il gap rispetto ad altre Regioni.
Nel 2009 il presidente della Regione Lombardo e il Presidente dell’INAIL, tra i vari importanti protocolli, hanno firmato un protocollo di intesa sia per l’attività di prevenzione e promozione della sicurezza sui luoghi di lavoro sia per la cura, la riabilitazione e il reinserimento dei lavoratori infortunati. Abbiamo quindi costituito insieme all’INAIL l’Osservatorio regionale sugli infortuni e le malattie professionali; abbiamo istituito altresì un comitato tecnico-scientifico che stiamo portando avanti.

PRESIDENTE
Come lei saprà, c’è una crescita delle malattie professionali.

LEONARDI
Una crescita dovuta in parte ad una emersione che prima non si registrava. Uno dei tre piani avviati nella Regione Sicilia è proprio il progetto «MalProf», il piano per l’emersione delle malattie professionali, tramite il quale stanno emergendo queste realtà, contrariamente a quanto avveniva prima, quando magari non venivano denunciate. Tramite medici di pronto soccorso e di medicina generale, stiamo cercando di far sì che queste malattie professionali vengano fuori, così come sta avvenendo: mentre gli infortuni sono in calo, le malattie professionali emergono. Una delle tre gambe, ovvero dei tre piani regionali di prevenzione, che compongono il piano regionale straordinario per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, oltre all’edilizia e all’agricoltura, è proprio il «MalProf».

PRESIDENTE
Mi sembra che in modo particolare ci sia anche l’attenzione dei patronati su questo fronte.

LEONARDI
Probabilmente.

PRESIDENTE
Vorrei chiedere al dottor Cacopardo quanti sono gli ispettori tecnici in Regione.

CACOPARDO
Pochi: circa 40 ispettori in tutta la Sicilia.

PRESIDENTE
E invece amministrativi?

CACOPARDO
La media è di 15 ispettori amministrativi per ogni Ispettorato. A questi si aggiungono gli ispettori tecnici del NIL, i quali già da tre-quattro anni hanno creato gruppi ispettivi diversificati che si occupano anche di sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
Considerato che in genere il rapporto tra ispettori tecnici e amministrativi è di uno a 10, uno a sette o uno a otto, c’è una tendenza in tutt’Italia ad una riqualificazione in quel settore. Vi chiedo se anche voi, in una situazione particolare come quella della Sicilia per quanto riguarda le competenze, vi state orientando in questo senso, dal momento che abbiamo bisogno più di tecnici che non di amministrativi.

CACOPARDO
Sì.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il contributo fornito ai nostri lavori.


Audizione del direttore generale dell’INAIL Sicilia

Interviene il direttore generale dell’INAIL Sicilia, dottor Giovanni Asaro.

PRESIDENTE
Nel rivolgerle il saluto della Commissione, vorrei ricordare che siamo qui per verificare lo stato di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, nonché per capire che lavoro si sta svolgendo per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’INAIL riveste un ruolo centrale a livello nazionale e ha una funzione fondamentale a livello territoriale. Le cedo quindi la parola affinché possa esporci i suoi elementi di riflessione sul tema; in modo particolare le chiedo se può fare riferimento all’attività del coordinamento regionale.

ASARO
Noi ci siamo mossi in linea con gli obiettivi prefissati dal decreto legislativo n. 81, tant’è che già nel 2009 abbiamo stipulato un protocollo di intesa con la Regione Sicilia che aveva due versanti di collaborazione: nell’ambito sanitario, per la cura, la riabilitazione e il reinserimento dei lavoratori infortunati e nell’ambito della prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Per quanto riguarda il profilo sanitario, abbiamo cercato un’integrazione tra le strutture dell’INAIL e quelle regionali, al fine di garantire una maggiore tutela della salute dei lavoratori in considerazione del dettato costituzionale. Abbiamo ambulatori a livello regionale, professionisti e medici: l’idea era di accelerare i tempi di cura e riabilitazione, quindi di reinserimento del lavoratore attraverso questa collaborazione-integrazione con il sistema sanitario regionale. L’altro profilo dell’accordo con la sanità regionale agisce sul lato della prevenzione, attraverso la previsione di diversi tipi di interventi comuni, in modo particolare con la costruzione di un Osservatorio regionale per quanto riguarda gli infortuni e le malattie professionali. Abbiamo poi stipulato una serie di accordi di programma con la Regione stessa per quanto riguarda le campagne che dovevano essere portate avanti in tema di prevenzione della salute e della sicurezza nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e sul versante delle malattie professionali. Si tratta di progetti già in fase avanzata di realizzazione, tenuto conto del fatto che i decreti assessoriali che hanno recepito questi accordi sono stati varati alla fine dell’anno scorso.
Per quanto riguarda altre iniziative, siamo parte integrante del Comitato regionale di coordinamento, ai sensi dell’articolo 7 del Testo unico. Abbiamo partecipato a tutte le riunioni con i nostri tecnici, oggi integrati con quelli dell’ISPESL, che fanno parte della nostra struttura regionale e quindi abbiamo compartecipato alla stesura delle linee guida per quanto riguarda l’attività ispettiva in Regione, chiaramente con la differenziazione tra i nostri compiti e quelli tipici dell’assessorato, quindi degli SPRESAL.

PRESIDENTE
Il Comitato si riunisce periodicamente?

ASARO
Sì. Adesso non ricordo le date delle riunioni ma, se non erro, nella relazione viene detto che è stato costituito l’8 febbraio 2010; personalmente ho partecipato a tutte le riunioni.
Con la costituzione dell’Osservatorio è prevista anche la partecipazione delle università alla ricerca da effettuare sui temi della sicurezza. Tutte le università siciliane hanno dato la loro piena disponibilità a partecipare a studi di elaborazione dei dati per capire dove maggiormente si verificano i fenomeni da aggredire in ambito regionale. Con le università l’Istituto si è mosso in maniera specifica attuando tutta una serie di contratti, dottorati, assegni di ricerca e master. In modo particolare, mi piace richiamare il master di II livello sui sistemi di gestione della sicurezza e analisi del rischio, già al secondo anno, che ha visto la partecipazione di numerosi studenti universitari.

PRESIDENTE
Dove si svolge?

ASARO
Presso l’Università di Palermo; ha avuto un successo enorme. Tra l’altro, sulla base del protocollo di intesa con la Regione siciliana, è stata avviata una serie di iniziative congiunte nei confronti dei medici di famiglia e dei medici competenti in tema di malattie professionali, poiché abbiamo rilevato un incremento parziale a livello nazionale e regionale per quanto riguarda le denunce di malattie professionali. Questo è avvenuto non solo perché le nuove norme prevedono un ampliamento della sfera delle malattie riconoscibili come professionali ma anche perché è stata fatta una opera di sensibilizzazione sul nesso di causalità tra evento denunciato e causa scatenante. Si tratta di interventi che abbiamo attuato sia autonomamente a livello regionale sia con la collaborazione degli SPRESAL regionali e devo ammettere che hanno ottenuto un successo rilevante.
Abbiamo firmato diversi protocolli di intesa sul territorio; abbiamo stretto una rete a livello regionale – che io chiamo della prevenzione – con tutti i soggetti possibili, sia pubblici sia privati. In modo particolare, mi piace ricordare il protocollo d’intesa stipulato con il Dipartimento regionale della funzione pubblica, dove sono previsti interventi formativi nei confronti degli RSPP e degli ASPP della Regione da parte di professionisti dell’INAIL.
Un’altra iniziativa riguarda la Provincia di Trapani, dove circa 500 persone verranno formate dall’INAIL sui temi della sicurezza e del lavoro. Abbiamo stipulato altri protocolli d’intesa con i Comitati paritetici territoriali di tutta la Regione. La punta dell’iceberg di questa attività, che prevede diversi progetti a livello provinciale, è stata l’elaborazione di una Guida per la sicurezza in edilizia, riconosciuta come strumento di riferimento del sistema di CPT a livello nazionale, distribuita in tutte le fiere del settore, sia a Bologna sia nel Lazio, e pubblicata gratuitamente sui siti nazionali. Anche questa iniziativa ha avuto un successo non indifferente. Abbiamo stretto protocolli di intesa con l’Associazione nazionale costruttori edili per modelli di governance della sicurezza correlati a forme differenziate di premialità, con la Formedil, con Confindustria, con la Confapi, con la CIA, con l’ANMIL, con l’ADOC, l’associazione di categoria dei consumatori per la sicurezza e la prevenzione sulle strade. Questo perché abbiamo rilevato che buona parte degli infortuni nella Regione avviene a causa della viabilità, che non è delle migliori. Da questo punto di vista ci siamo mossi sia nei confronti dei ragazzi che degli autotrasportatori.
Abbiamo inoltre stipulato una convenzione con l’ANIO, l’Associazione nazionale per le infezioni osteo-articolari, per la realizzazione di progetti finalizzati alla prevenzione e cura delle osteomieliti contratte dagli infortunati. In Sicilia la durata media temporanea delle cure per i soggetti affetti da osteomielite è particolarmente alta, e incide sul costo infortunistico regionale che è mediamente 500 euro in più rispetto alla media nazionale, con costi elevati che sopportiamo un po’ tutti. La finalità della convenzione è aggredire la malattia in tempo utile a prevenirla e quindi aggredirla con le migliori professionalità esistenti possibili. Un risultato di questa collaborazione è stato il progetto ARACNE, cofinanziato dall’INAIL insieme all’ANIO, che vede la partecipazione dell’assessorato regionale alla sanità e, a livello nazionale, dell’AGENAS, con il patrocinio del Ministero della salute. Questo progetto prevede di costituire una rete di esperti nel trattamento delle complicazioni ortopediche, offrendo una formazione specifica per la prevenzione delle varie complicanze.
Ci siamo mossi quindi a 360º, cercando di fare sistema a livello regionale per evitare vi fossero duplicazioni di attività non congrue e dispendio di energie e risorse economiche.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda l’ISPESL, che fa parte della vostra struttura, e il settore agricolo, si prevedono attività di sensibilizzazione sul corretto utilizzo delle macchine agricole e in particolare dei trattori?

ASARO
Vorrei far presente che i decreti attuativi di incorporazione dell’ISPESL non sono ancora stati emanati e questa rappresenta un’anomalia non indifferente. Nel nostro modello organizzativo abbiamo ora affiancato le competenze dell’ISPESL senza avere potere gerarchico. Non è una situazione facile da gestire, tenuto conto di questa difficoltà di tipo normativo. Occorre considerare il fatto che personalmente ho inglobato le funzioni dell’ISPESL nell’ambito dell’attività da noi svolta. Un comitato di prevenzione, a livello regionale, decide le strategie da portare avanti all’interno dell’Istituto, ma le decisioni vengono assunte insieme. Quindi, nell’ambito delle iniziative sviluppatesi sia nei confronti dell’assessorato regionale alla sanità per le campagne di prevenzione in agricoltura sia nei confronti delle Confederazione italiana agricoltori (CIA), registriamo una partecipazione piena di tutti i soggetti interessati i quali forniscono competenze di tipo professionale. Anche per quanto riguarda i trattori c’è questa collaborazione.
Ho dimenticato di riferirvi dell’attivazione di un dottorato di ricerca presso la facoltà di medicina dell’università di Palermo, finalizzato a studiare gli effetti dell’utilizzo, nel settore vitivinicolo, di prodotti fitosanitari a base di Mancozeb, un fitofarmaco che sembra provocare conseguenze letali su coloro che lo utilizzano. Stiamo svolgendo uno studio su questa sostanza. Stesso impegno per quanto riguarda i macchinari. L’Istituto finanzia interventi di riconversione di macchinari senza marchio CEE, non conformi alle normative europee e quindi non sicuri: nel settore agricolo della Regione Sicilia verranno stanziati circa 16 milioni di euro per tutte le aziende del comparto regionale.

PRESIDENTE
Tutte queste disponibilità vengono assorbite?

ASARO
Penso di sì. Abbiamo stimato, ma il dato non è ancora ufficiale, circa 1.000 domande, che superano abbondantemente le somme stanziate. Tenga presente che a livello nazionale sono stati stanziati 205 milioni di euro e le richieste superano il milione di euro. Siamo pertanto ben oltre.

PRESIDENTE
La ringraziamo per il contributo offerto. Le sue informazioni saranno completate dalla relazione.


Audizione dei procuratori generali presso le Corti d’appello di Palermo, Messina, Catania e Caltanissetta

Intervengono il procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, dottor Salvatore Messina, il procuratore generale presso la Corte d’appello di Messina, dottor Antonio Franco Cassata; su delega del procuratore generale presso la Corte d’appello di Catania, l’avvocato generale, dottor Salvatore Scalia, e il procuratore generale presso la Corte d’appello di Caltanissetta, dottor Roberto Scarpinato, accompagnato dal sostituto procuratore generale, dottoressa Mirella Agliastro.

PRESIDENTE
Il motivo della nostra presenza a Palermo non nasce da fatti particolari ma deriva essenzialmente dalla necessità di capire come ci si sta organizzando sul territorio siciliano dopo l’approvazione del Testo unico in materia di infortuni sul lavoro, soprattutto in relazione alle competenze sul coordinamento attribuite dal legislatore alle Regioni. Il nostro obiettivo fondamentale è comprendere come ci si sta muovendo su questo piano. Altra finalità del nostro incontro è avere uno scambio di informazioni con i tutti i soggetti coinvolti.
Per quanto riguarda le vostre specifiche competenze e professionalità, siamo interessati a conoscere l’organizzazione e la struttura del vostro lavoro, quindi a sapere se nelle procure maggiori esistono sezioni specializzate e soggetti che si occupano di questa tematica con un approccio specifico agli infortuni gravi o mortali.
Vorremmo comprendere anche che tipo di collaborazione esiste con le forze di pubblica sicurezza, le prime a fornirvi gli elementi fondamentali del luogo in cui si è determinato l’infortunio. È evidente, infatti, la necessità che con questi soggetti, chiamati a preservare in qualche modo la scena dell’infortunio, si stabilisca la maggiore collaborazione possibile. Una collaborazione tanto più necessaria quando l’infortunio coinvolge lavoratori che operano su strada. In tali casi spesso l’infortunio viene approcciato come incidente stradale e non viene quindi collocato nel contesto corretto e più ampio dell’infortunio sul lavoro.
Infine vorremmo conoscere il vostro parere sul dibattito attualmente in corso, aperto dai dottori Guariniello e Caselli, sulla costituzione di una super procura nazionale. Questo incontro potrebbe essere l’occasione per conoscere gli orientamenti delle varie procure su un tema così delicato, dove esistono diverse scuole di pensiero. Il vostro parere è prezioso, sebbene il tema sia stato da noi esaminato sia con l’audizione dei soggetti ai quali ho fatto riferimento sia con un dibattito interno alla stessa Commissione sia nel corso di un colloquio con il Presidente della Repubblica per le prerogative che il nostro Capo dello Stato ha in questo settore.

MESSINA
La mia relazione tende a descrivere alcune criticità del sistema, legate sia alla carenza di personale sia al tipo di attività che questo scarso personale è chiamato a svolgere. Parto da alcuni dati. Da diversi anni l’Ispettorato provinciale del lavoro di Palermo ha un solo dirigente, andato in pensione il 31 dicembre 2011. A partire da quella data regge l’ufficio il capo dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Catania, quindi la stessa persona, il dottor Cacopardo, svolge due compiti non secondari.
Il Nucleo Carabinieri Ispettorato del lavoro di Palermo è attualmente composto da sette unità mentre in organico ne sono previste dieci. Gli ispettori del lavoro e i Carabinieri dei Nuclei della Sicilia utilizzano per la vigilanza in Provincia di Palermo le proprie autovetture private ed anticipano le somme per il carburante ed i pasti. Tali Nuclei hanno un limite di 300 ore di straordinario annuo.
Nella mia relazione ho voluto fare un parallelo tra la situazione siciliana e quella di un’altra isola, la Sardegna, per esaminare alcune differenze sostanziali. La Provincia di Cagliari conta 563.180 abitanti, meno della metà di quella di Palermo. Ebbene, a Cagliari sono occupati tra i
70 e gli 80 ispettori del lavoro, oltre ai militari del Nucleo Carabinieri. La Provincia di Palermo, con il doppio degli abitanti, ha un numero di ispettori del lavoro inferiore alle 10 unità. Forze così esigue devono far fronte ad un lavoro immane. Sapete meglio di me le centinaia di accertamenti che di volta in volta occorre fare per ispezionare una fabbrica o un’industria. I controlli, vista la scarsità di personale, sono necessariamente pochi e piuttosto superficiali, non arrivando ad indagare fino in fondo la realtà effettiva. Se a questo aggiungiamo la complessità, non voglio dire la farraginosità, della normativa in vigore per la sicurezza sul lavoro, ci rendiamo conto che vi è un intreccio di situazioni al limite della sostenibilità. Porto un solo esempio. Nel campo dell’edilizia, quando si deve approntare un ponteggio, occorre seguire il cosiddetto PIMUS, il piano di manutenzione, uso e smontaggio dei ponteggi. Se chiediamo a qualunque datore di lavoro nel campo dell’edilizia cosa sia il PIMUS non sa assolutamente dire di cosa si tratti; non conosce il significato dell’acronimo, figuriamoci quindi se lo attua.
Temo che queste parole possano suonare troppo pessimistiche, ma non vorrei indulgere ad un ottimismo che non porta da nessuna parte. È meglio guardare le cose dal punto di vista peggiore: mancano risorse in termini di personale, mezzi economici e attrezzature.
C’è anche un altro fattore da considerare, soprattutto nella Sicilia occidentale. Nel caso in cui una ditta o un’industria viene attenzionata, quindi sottoposta ad un controllo serio della sua attività, si trova in una situazione di svantaggio rispetto a chi queste «attenzioni» non le riceve.
L’adeguamento della ditta e del personale alle norme vigenti implica in termini economici un sacrificio che altre ditte, non attenzionate, non sono pronte a fare. Questo si risolve in una forma di concorrenza sleale.
Sempre per rimanere nell’esempio del lavoro edile, a Palermo e in Provincia, ma in tutta la Sicilia occidentale, un lavoratore edile è disposto a lavorare per un compenso di 40 euro al giorno ed anche meno. Questo ci porta al discorso del lavoro nero, del sommerso e degli extracomunitari. In base ai dati che mi sono stati forniti dall’Arma dei Carabinieri, a seguito di alcune ispezioni eseguite nel primo trimestre del 2012, in 17 casi (contro i 29 casi del primo semestre 2011) è stata disposta la sospensione dal lavoro, mentre in 195 casi (contro i 322 casi del 2011) è stata accertata la presenza di lavoratori in nero. Anche questi sono dati di cui occorre certamente tener conto.
Per quanto riguarda – ed ho concluso – i procedimenti per omicidi colposi o lesioni colpose riferiti all’intero distretto di Corte d’appello di Palermo, i dati a mia disposizione si fermano al 30 giugno 2011, perché purtroppo la procura non me ne ha forniti di più recenti. Ci risulta comunque, per tutto il distretto, un totale di 40 procedimenti per omicidio colposo a seguito di infortuni sul lavoro e di 1.108 procedimenti per lesioni colpose da infortuni sul lavoro. Per quanto riguarda, in particolare, la sola città di Palermo, risultano rispettivamente 22 casi di omicidio colposo e 164 casi di lesioni colpose.
Quanto all’istituzione di una procura nazionale che dovrebbe occuparsi dell’intera materia, si tratta di un discorso molto delicato: in effetti, se dal punto di vista dell’organizzazione generale l’istituzione di una procura nazionale appare un obiettivo senz’altro condivisibile, credo tuttavia che la centralizzazione delle funzioni finirebbe per essere soltanto teorica, perché stiamo parlando di un’attività necessariamente spalmata su tutto il territorio e per la quale la realtà di riferimento è, appunto, quella territoriale.

CASSATA
Buongiorno a tutti, sono il dottor Franco Cassata, procuratore generale presso la Corte d’appello di Messina.
Per quanto mi riguarda, mi colloco sulla stessa lunghezza d’onda del collega che mi ha preceduto e mi duole, purtroppo, ripetere con identico pessimismo le stesse cose, ma non c’è nulla, o comunque c’è pochissimo, che possa far indulgere ad un sentimento diverso. La Provincia di Messina ha un territorio vastissimo, di circa 3.500 chilometri quadrati, con 108 Comuni che sono controllati, per il profilo che qui ci interessa, da tre ispettori. Come voi ben sapete, in materia di infortuni sul lavoro un aspetto preminente è sicuramente quello legato alla prevenzione.

PRESIDENTE
Lei probabilmente si riferisce agli ispettori del Ministero del lavoro, ma non bisogna dimenticare che c’è anche tutto il mondo delle aziende sanitarie.

CASSATA
Sì, d’accordo, ma coloro che si occupano specificamente della materia di cui stiamo trattando sono nel complesso solo tre o quattro soggetti, che devono servire 108 Comuni.

PRESIDENTE
Mi scusi, ma questo discorso comprende anche l’azienda sanitaria?

CASSATA
Questo per la verità è un dato che non posseggo.

PRESIDENTE
Si tratta tuttavia di un elemento importante, considerato che spesso – come stiamo cercando di sottolineare in ogni dove ed anche oggi qui in Sicilia – gli ispettori del lavoro con mansioni di tipo amministrativo sono in numero particolarmente significativo rispetto agli ispettori con mansioni tecniche, laddove, anche in risposta alle vostre necessità, servirebbero forse molti più tecnici che non amministrativi. Questo è il motivo per cui in tante parti d’Italia si stanno organizzando delle attività di formazione allo scopo di trasformare, per così dire, gli ispettori amministrativi in ispettori tecnici, perché da questo punto di vista mancano risorse, nonostante l’ultima infornata – passatemi il termine non troppo elegante – di 700 ispettori del lavoro, per la cui immissione in servizio si sono dovuti aspettare però quasi dieci anni, con dibattiti e continue pressioni sui vari Ministri e sui Governi che si sono succeduti nel tempo.

CASSATA
Le questioni sono sempre le stesse, vale a dire una carente formazione professionale da parte dei lavoratori e l’assenza pressoché totale delle strutture di tutela che dovrebbero essere invece garantite.
Da questo punto di vista torna in gioco, ancora una volta, la questione dei controlli e delle ispezioni. Se è vero che negli ultimi tre anni a Messina si sono verificati soltanto cinque o sei incidenti mortali, non bisogna però dimenticare che questo dato è da rapportare al numero di imprese che operano sul territorio, numero che purtroppo non sono però in grado di fornirvi. Tuttavia, poiché vi è un declassamento di aziende in Provincia di Messina, i numeri che abbiamo non debbono in alcun modo tranquillizzarci perché, appunto, bisognerebbe avere il dato con cui confrontarli.
Una grave lacuna riguarda sicuramente anche il controllo dei bilanci, che a mio avviso, signor Presidente, costituisce un profilo assolutamente importante: ritengo essenziale controllare i bilanci delle società e verificare se e quante risorse vengono destinate alla formazione antinfortunistica. Chi si occupa di fare questo tipo di controllo? Lo fanno forse gli ispettori che, secondo me, non hanno neppure gli strumenti cognitivi tecnici sufficienti? O forse lo fanno le procure – che però non hanno i soldi – pagando i propri consulenti?
Vi è dunque una mancanza di risorse e di strutture davvero rilevante, che determina un’influenza negativa sul numero degli incidenti sul lavoro e sulla tipologia degli stessi, e vorrei portare qui un esempio. Come lei saprà, signor Presidente, di recente sono state istituite anche nella nostra Regione le aliquote del Corpo forestale dello Stato con funzioni di polizia giudiziaria, che costituiscono per noi una risorsa importante, potendosi occupare di tutta quella compagine di lavoratori forestali che qui in Sicilia hanno rappresentato sempre una «riserva» – non intendo fare una battuta maliziosa – della politica: ne abbiamo a migliaia!

PRESIDENTE
Per la verità anche la Calabria non scherza!

CASSATA
Si tratta di gente presa dall’oggi al domani, con attrezzature tecniche evidentemente pari a zero. Credo, per la verità, che quella di Messina sia stata la prima procura ad istituire materialmente le aliquote del Corpo forestale dello Stato.
In ogni caso, signor Presidente, siamo in presenza di nuovi assunti che, come tutti i neofiti, hanno volontà di ferro, vogliono fare tanto ed hanno tutto, tranne le sedie, i tavoli, i computer e le macchine: in pratica, dunque, non hanno niente. Ho provveduto personalmente a far alloggiare per qualche giorno presso la sede della Guardia di finanza i neoassunti, che sono ora ospitati nei locali della sede regionale del Corpo forestale: non vi dico e non vi racconto gli straordinari dissidi e i contrasti sorti tra appartenenti al Corpo forestale regionale e agenti forestali nazionali.
In particolare, voglio ricordare alla Commissione una vicenda che ha coinvolto il mio paese d’origine, Barcellona Pozzo di Gotto, che alcuni mesi or sono è stato letteralmente inondato e distrutto da un’alluvione. L’alluvione, per la verità, è stata conseguenza del fatto che proprio i forestali, con la loro scarsissima professionalità, avevano piazzato cataste di alberi tagliati in cima a delle collinette; questi alberi sono poi arrivati nel greto del torrente, intasando gli sbocchi e distruggendo la città. Se vi fosse stato un comparto impegnato nella prevenzione degli infortuni e dedito all’acculturamento di queste persone – che, lo ripeto, si sono ritrovate dall’oggi al domani a fare un mestiere per il quale non avevano competenza – credo che buona parte di questi danni sarebbe stata evitata.
Più in generale, c’è da dire che mancano comunque le strutture ed un serio impegno da parte di chi dovrebbe tutelare la salute dei lavoratori.
Per quanto riguarda, invece, la questione della creazione di una procura nazionale specializzata che assuma anche questo impegno, credo che finirebbe per diventare, come spesso accade in Italia, un ulteriore moltiplicatore di incarichi, con il risultato che, di fatto, a fronte delle assenze totali che ho richiamato, si rivelerebbe un lavoro assolutamente vano. A mio avviso, va quindi lasciato alla responsabilità delle varie procure il compito di dolersi perché, in caso contrario, si allargherebbe soltanto la platea dei dolenti, senza concludere nulla: questa è la mia modesta opinione.

SCALIA
Buongiorno. Sono il dottor Scalia e sono qui oggi in sostituzione del procuratore generale presso la Corte d’appello di Catania, che si scusa per non essere presente. Mi si consenta innanzitutto una premessa. La mia non è captatio benevolentiae, ma ci tengo a ringraziare la Commissione per questa iniziativa, che ci induce ad accendere i fari su una questione che, specie nelle procure siciliane, non è tra le prime che vengono affrontate – essendocene da esaminare ben altre – anche se è sicuramente di grande valenza. Ricordo che già nel 2009 vi fu un’iniziativa della Commissione di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro del Senato della Repubblica in materia di infortuni in itinere, che ci ha dato modo di svolgere un’indagine al riguardo. A quell’epoca non avevamo ancora dei dati che ci consentissero di distinguere, tra le fattispecie di reato, gli omicidi colposi e le lesioni colpose sui luoghi di lavoro da quelli riconducibili, invece, agli incidenti stradali.

PRESIDENTE
Quello che lei dice mi fa piacere. Del resto, è proprio perché emergeva questo dato che mi permisi di inviare a suo tempo una lettera, invitando a riflettere sul tema.

SCALIA
In effetti, da allora è stata introdotta una distinzione. Quell’iniziativa della Commissione è stata per noi molto utile e ritengo sia stato l’avvio di un rapporto molto importante ed interessante.
Signor Presidente, se mi è possibile, partirei dalla fine, vale a dire dalla creazione di una procura nazionale competente in materia di incidenti sul lavoro. Per quanto mi riguarda, non la reputo una scelta necessaria, anzi, penso addirittura che non sia opportuna, anche in ragione della notevole differenziazione che si registra a volte tra Province limitrofe per quanto concerne le problematiche relative agli incidenti sul lavoro: figuriamoci, dunque, pensare ad una centralizzazione a livello nazionale! Nel distretto di Catania, ad esempio, che comprende le Province di Catania, Siracusa e Ragusa, esistono situazioni assolutamente differenziate: si va dal polo industriale di Siracusa, alla Provincia di Catania, dove la maggior parte dei lavoratori sono impiegati nel settore edile, per arrivare poi alla Provincia di Ragusa, in cui l’attività lavorativa è di tipo prevalentemente agricolo.
Non vi fornirò informazioni sul numero dei processi e delle iscrizioni di reato nei registri penali, che sono sicuramente inutili, atteso che avrete sicuramente dati più corretti che vi provengono dagli Ispettorati del lavoro e dall’INAIL, anche perché le modalità di iscrizione di un incidente sul lavoro nei registri penali possono essere le più varie. Un tempo, ad esempio, risultavano pochissimi incidenti sul lavoro, ma solo perché le iscrizioni venivano effettuate sul registro dei fatti non costituenti reato; adesso, invece, anche dopo l’intervento di cui si parlava prima, si procede ad iscrivere diversamente certi accadimenti – nel registro delle notizie di reato relative a persone note o ignote, in ogni caso non più come fatti non costituenti reato – con un risultato quindi differente.
Per quanto mi riguarda, ho sviluppato un’analisi dei dati un po’ diversa soffermandomi non tanto sull’aspetto delle iscrizioni e delle sopravvenienze, ma sugli esiti. Quello che ho rilevato è che, mentre per le lesioni colpose si ha un altissimo numero di archiviazioni, è invece tutto il contrario per quanto concerne gli omicidi colposi: questo perché, quando si verifica l’evento morte, si ha un intervento immediato del pubblico ministero e della polizia giudiziaria sul luogo dell’incidente, il che sostanzialmente consente di fare una fotografia istantanea della scena. Nel caso invece di lesioni – anche quando magari si tratti di lesioni con prognosi riservata – l’intervento è tardivo ed avviene a seguito della comunicazione del pronto soccorso, che arriva spesso a distanza di molti giorni, con la conseguenza che la stessa notizia di reato viene iscritta solo dopo diversi giorni. Non si ha quindi una fotografia dei luoghi. Spesso poi, trattandosi di lesioni, la parte offesa non ha intenzione di collaborare, avendo tutto l’interesse a mantenere il posto di lavoro, quindi a non inimicarsi il datore di lavoro.
Allora, passando al momento propositivo, ho individuato alcuni punti di criticità. Anzitutto, la tempestività: l’indicazione che dovrebbero dare le procure – e penso che noi daremo un indirizzo in questo senso – è quella di inviare immediatamente, con priorità, via fax o via e-mail, la comunicazione di tutti quegli interventi del pronto soccorso che vedano lesioni collegate all’attività lavorativa e che comportino la prognosi riservata. Quando invece andiamo oltre e chiediamo l’immediata trasmissione di tutto, come si suole dire, chi troppo vuole nulla ottiene.
Il secondo momento che ho individuato è la necessità di una maggiore sinergia, termine troppo usato e abusato. Mi sono occupato di reati in materia di lesioni e omicidi colposi quando ero procuratore aggiunto a Messina e ho notato – lo posso confermare – che rispetto agli organi tecnici, chiamiamoli così, ASP e Ispettorato del lavoro, spesso il magistrato o il sostituto competenti in materia parlano un linguaggio diverso. Il magistrato, per esempio, ha un’attenzione al momento processuale, che comporta la necessità di svolgere le indagini in maniera che le stesse possano essere utilizzate successivamente anche in sede dibattimentale. Ebbene, questo è un patrimonio culturale del magistrato, ma certamente non dell’ingegnere o del medico. Allora, al di là dell’aspetto relativo ai corsi di formazione, che spesso comportano un costo che in questo momento può essere difficile da sopportare, penso sia molto importante, come in alcuni uffici si è fatto, formalizzare e istituzionalizzare riunioni tra i magistrati addetti al settore – tutte le procure con più di tre o quattro sostituti hanno qualcuno che si occupa di questa materia – e gli organi tecnici per uno scambio di informazioni e criticità in modo da individuare le varie esigenze di ciascun ufficio.
Il magistrato che si occupa di incidenti sul lavoro in genere è un magistrato specializzato, che necessita di una forte specializzazione della polizia giudiziaria, compresi ASP e Ispettorato del lavoro; polizia giudiziaria che ha il compito di rendere, anche al dibattimento, semplice ciò che semplice non è. Infatti, il giudice che poi dovrà decidere, normalmente ha scarse conoscenze degli aspetti tecnici e a volte normativi collegati a questo tipo di fenomeno. Nello stesso tempo, è necessario che gli uffici tecnici abbiano un approccio anche di carattere culturale e giuridico. A parte la proposta di formalizzare e istituzionalizzare le riunioni, probabilmente sarebbe bene accentrare le indagini in un unico organo tecnico (la distinzione che spesso c’è tra Ispettorato del lavoro, ASP e altri soggetti in alcuni casi diventa dispersiva); ancora, rendere tempestive le comunicazioni là dove siano relative a infortuni con prognosi riservata.
Vorrei lasciare alla Commissione alcune note che mi sono pervenute, e che ho trovato particolarmente apprezzabili, dalla procura della Repubblica di Ragusa, a mio parere abbastanza illuminanti e che in maniera molto semplice individuano le difficoltà che nel lavoro di ogni giorno incontriamo.

PRESIDENTE
Nell’introdurre questo nostro incontro, abbiamo fatto particolare riferimento al ruolo della Regione come coordinamento, che è un punto che lei stesso ha richiamato e un’esigenza che mi sembra sia emersa dal suo intervento. Questo passaggio per noi è stato elemento di grande dibattito parlamentare. Conoscete benissimo la situazione nella quale ci troviamo e sapete meglio di me, per la vostra professione e professionalità che, in tema di salute e sicurezza sul lavoro, siamo di fronte ad una legislazione concorrente; il che produce problemi. La Sicilia tra l’altro è una Regione a statuto speciale, con ulteriori specificità e peculiarità.
Siamo convinti si debba fare un passo in avanti nell’organizzazione di questa materia per quanto concerne la competenza sul territorio. Per essere più chiari – del resto mi sembra giusto che siate al corrente delle riflessioni che la Commissione sta facendo – noi ci stiamo sempre più rendendo conto che questa materia non deve essere concorrente, ma di esclusiva competenza dello Stato, senza nulla togliere al ruolo che hanno le Regioni per quanto concerne l’attività sul territorio. Del resto, siamo confortati nella nostra idea anche dai colloqui che abbiamo avuto con colleghi di altri Paesi d’Europa, quali la Francia, la Germania e il Regno Unito. Al di là della Francia, che ha una visione molto burocratica e accentratrice, in Germania, una Repubblica federale, questa materia è di competenza esclusiva dello Stato. Ci stiamo rendendo conto che, nonostante gli impegni e gli sforzi, pur registrandosi una tendenza al contenimento degli infortuni gravi e mortali, anche facendo la tara con le ore lavorate, il numero di infortuni, anche mortali, resta elevato. Quindi, su questo piano, stiamo coinvolgendo, oltre al Parlamento altre istituzioni, il Presidente della Repubblica e il Consiglio superiore della magistratura, perché vogliamo capire se non sia il caso di fare una riflessione circa una revisione dell’articolo 117 della Costituzione. L’incontro di oggi è quindi un’occasione anche per scambiarci questo tipo di informazioni.

SCALIA

Vorrei aggiungere che non solo sono favorevole a questa ipotesi, ma vorrei sottolineare, parlando con il legislatore, l’esigenza di uno sfoltimento della normativa in materia, che è ridondante, difficile da applicare e comporta, specie nella nostra realtà di piccole imprese, una tale difficoltà di adempiere a quanto previsto sul piano burocratico che alla fine si preferisce rimanere in nero e non fare nulla. È così difficile mettersi in regola che l’imprenditore spesso dice di non essere in grado di farlo.

PRESIDENTE
Anche noi cogliamo questo aspetto. Purtroppo, siamo vittime di luoghi comuni perché rivedere questa normativa, magari per semplificarla, per talune sensibilità politiche sembrerebbe rappresentare un abbassamento dei livelli di tutela. Quindi, se ci fosse anche da parte vostra un’iniziativa in questo senso per noi sarebbe molto utile, perché spesso ci troviamo di fronte ad un paradosso. Del resto, questi colloqui che abbiamo sono senza rete, altrimenti non servirebbero a nulla: un’iniziativa posta da un potere dello Stato, anche se non è quello specifico, ovvero quello legislativo, potrebbe essere altrettanto importante perché sicuramente non ci sono quei condizionamenti ideologici della parte che la propone. Lo posso testimoniare perché nel passato abbiamo cercato di inserire talune misure in provvedimenti in corso di esame, però ogni volta c’è stato un blocco, un distinguo; quindi, conveniamo con la vostra riflessione, che per quello che rappresentate potrebbe essere molto utile.

SCARPINATO
Sono il procuratore generale di Caltanissetta e sono accompagnato dalla dottoressa Agliastro, che in procura si occupa di questo specifico settore. I colleghi hanno spiegato le ragioni che rischiano di far divenire il Testo unico sulla sicurezza una legge manifesto, almeno nei nostri territori, e che rischiano di fare divenire una scatola vuota qualsiasi nuova procura nazionale si voglia istituire. Qui c’è un problema che coinvolge tutti i livelli istituzionali.
Per esempio, come già i miei colleghi hanno menzionato, per quanto riguarda il distretto di Caltanissetta, abbiamo avuto fino a pochi mesi fa alcune procure della Repubblica completamente senza magistrati. Il procuratore di Enna è rimasto senza i quattro sostituti previsti nel suo organico; il procuratore di Gela senza i suoi cinque sostituti. Abbiamo rischiato di dover chiudere alcune procure; è mancato addirittura il vertice, l’organo che dovrebbe coordinare sul territorio. Si è arrivati ad un livello che dimostra come la mancanza di risorse istituzionali tagli alla radice la possibilità di risolvere i problemi.
Un altro problema è la mancanza di organico e di qualificazione professionale del personale delle aziende sanitarie e dell’Ispettorato del lavoro. A questo riguardo vorrei citare il caso di Gela, dove è presente il più importante polo industriale della Sicilia, la raffineria, che anima un indotto di imprese che lavorano in appalto e subappalto. L’anno scorso sono stati iscritti procedimenti per omicidio colposo o lesioni derivanti da malattie amianto correlate che vedono ben 82 vittime. Abbiamo deciso quindi, nel luglio dell’anno scorso, di costituire un gruppo speciale di indagine che abbiamo chiamato «gruppo amianto», coinvolgendo il direttore dell’azienda sanitaria; il Comune di Gela ha messo a disposizione alcuni locali. Ebbene, il risultato è che le deleghe conferite non sono state evase, tanto che la procura di Gela ha dovuto richiedere la restituzione dei fascicoli; non sono stati fatti sopralluoghi, non sono state avviate indagini, sicché sono stato costretto a convocare il direttore dell’azienda sanitaria, al quale ho chiesto un’ispezione interna, per i profili disciplinari ed eventualmente penali che coinvolgono questi gravi inadempimenti. Il direttore dell’azienda sanitaria, dottor Cantaro, si è attivato subito l’anno scorso, quindi non è sua la responsabilità, però questa è una realtà. Nel momento in cui, pur con tutte le difficoltà che vi ho esposto, con una procura – Gela – che si vede decurtato il 60 per cento dei magistrati, il procuratore generale e il direttore dell’azienda sanitaria intervengono e creano un «gruppo amianto», il problema sembra risolto; dopodiché, alla prova dei fatti, a distanza di un anno, siamo al livello di indagine ispettiva per verificare cos’è successo e forse all’indagine penale. Questo è un problema non soltanto di numeri ma di qualificazione; il che mi porta a ritenere preferibile senza dubbio la deduzione di una competenza esclusiva dello Stato, tenuto conto che, purtroppo, non solo in questi ambiti ma anche in altri settori le competenze regionali non hanno dato buona prova.
Di più . La procura della Repubblica di Caltanissetta qualche anno fa aveva compiuto uno sforzo costituendo dei gruppi specializzati all’interno delle sezioni di polizia giudiziaria. Nella relazione inviatami, e che vi consegno, mi scrive che il risultato è stato una totale deresponsabilizzazione delle aziende sanitarie e dell’Ispettorato del lavoro, tant’è che i gruppi sono stati sciolti perché le indagini invece di aumentare diminuivano. Questo è quanto avviene in concreto.
Vi sono anche problemi che attengono alla scelta di fondo delle contravvenzioni. La procura della Repubblica di Caltanissetta riferisce che il modello incriminatorio incentrato sulla contravvenzione è fallimentare non avendo una funzione realmente deterrente. Tenuto conto della carenza di controlli gli imprenditori, facendo un’analisi costi-benefici, ritengono più conveniente risparmiare sui costi di impresa legati alle misure di sicurezza, accettando il rischio di un eventuale controllo e del pagamento di una pena pecuniaria, il cui importo è senza dubbio inferiore ai costi d’impresa.
Per quanto riguarda invece le fattispecie delle lesioni colpose e dell’omicidio colposo i termini di prescrizione, tenuto conto che si tratta di procedimenti estremamente complessi, determinano sostanzialmente uno status impunitario giacché i reati si prescrivono prima del termine. Non si arriva infatti a concludere indagini che richiedono consulenze, perizie, ricostruzione di nessi causali estremamente complessi entro i termini di prescrizione. Abbiamo sostanzialmente una disattivazione multilivello del controllo penale, derivante innanzitutto dalla carenza di organico della procura della Repubblica che in un territorio come il nostro, dovendo fronteggiare emergenze mafiose con morti in mezzo alla strada, implica un’organizzazione delle risorse e una graduazione degli obiettivi diversa rispetto ad altre realtà più tranquille. La disattivazione del controllo penale riguarda anche le braccia della magistratura, cioè il personale specializzato delle aziende sanitarie e dell’Ispettorato del lavoro, nonché lo strumentario a disposizione del magistrato (contravvenzioni), rischiando così di rendere il Testo unico per la sicurezza una legge manifesto.
Per quanto riguarda la costituzione di una super procura nazionale, forse bisognerebbe fare tesoro di un’esperienza positiva, ovvero la costituzione delle direzioni distrettuali antimafia che concentrando all’interno delle procure capoluogo del distretto le varie competenze hanno dato buona prova di sé. Probabilmente una soluzione alternativa potrebbe essere quella di potenziare i poteri dei procuratori generali, che mantenendo un contatto costante con la realtà del territorio possono farsi promotori di comuni protocolli di indagine per tutte le procure del distretto, omogeneizzando in tal modo l’esercizio della giurisdizione in un determinato distretto. Costoro dovrebbero essere altresì dotati di poteri di intervento intra-istituzionale, nel senso che quando un procuratore generale rileva questi deficit può evitare di perdere tempo a scrivere da una parte al Ministero, dall’altra alla Regione e così via. Condivido le obiezioni dei miei colleghi sull’inopportunità di concentrare i poteri in un organo nazionale che, lontano dalle realtà territoriali, si trasformerebbe in una scatola vuota, come un cervello privo di braccia sul territorio. Forse sarebbe meglio valorizzare una competenza istituzionale già esistente in capo al procuratore generale. Un’apposita norma del codice di procedura penale gli riconosce infatti un potere generale di coordinamento relativamente ad alcuni reati. In quella norma, che già esiste, si potrebbe ampliare il suo potere di coordinamento anche per questa tipologia di reati potenziando i poteri di vigilanza che il procuratore generale già ha ai sensi dell’articolo 6 del nuovo ordinamento giudiziario, in modo da consentirgli una sorta di potere di coordinamento anche con le autorità amministrative.
Questo intervento, a livello istituzionale, sarebbe più efficace rispetto ad una verticalizzazione caratterizzata da un super procuratore nazionale, troppo lontano dalla realtà del territorio, chiamato a confrontarsi con procure che sul territorio si trovano ad avere i problemi che ho descritto. Forse, e raccolgo il suggerimento venuto dal procuratore generale di Catania, bisognerebbe valorizzare esperienze fatte in altri campi come nelle indagini antimafia, dove la costituzione di organi come la direzione investigativa antimafia ha dato buona prova di sé. Piuttosto che sparpagliare le competenze per le indagini tra varie entità che poi non riescono a coordinarsi tra loro, creare una polizia unica, specializzata per questo tipo di indagini, che si raccordi a nuclei specializzati all’interno della procura della Repubblica, come avviene appunto per la direzione distrettuale antimafia. In sostanza, si potrebbe costituire un nucleo specializzato nelle procure distrettuali, le quali a loro volta si coordinano a un procuratore generale. Se disegniamo questo circuito: procuratore generale, procuratori distrettuali e polizie specializzate, probabilmente riusciamo a dare vita ad una nuova realtà istituzionale, presente sul territorio, che ha la possibilità di realizzare un’interlocuzione costante e un monitoraggio continuo e rappresenta una soluzione più fattibile. In fondo esiste già una norma del codice di procedura penale che prevede poteri di coordinamento del procuratore generale. Basterebbe inserirvi questo tipo di reati. L’accorpamento delle forze di polizia in un unico organo di competenza statale potrebbe rappresentare poi un ulteriore passaggio istituzionale. Questa soluzione potrebbe anche superare le resistenze culturali presenti all’interno della magistratura o di altri ambienti rispetto alla costruzione di una nuova piramide giuridica (procura nazionale antimafia, alcuni vorrebbero la procura nazionale anticorruzione e la procura nazionale sugli infortuni sul lavoro) da cui deriverebbe una moltiplicazione degli enti senza quella effettività di coordinamento delle indagini che invece può essere realizzata dal basso. Il livello di intervento sarebbe più proficuo se restando nella realtà del territorio potenziassimo i poteri già esistenti.

AGLIASTRO
Vorrei esprimere la mia gratitudine per essere stata convocata davanti a questa onorevole Commissione per discutere di problematiche di grande sensibilità sociale. Al di là delle amplificazioni mediatiche, per cui non si può morire lavorando, dobbiamo tenere conto dell’importanza di queste problematiche ma senza fare del terrorismo psicologico nei confronti delle aziende, che altrimenti si impauriscono, si inabissano e non rispondono alle norme ad esse destinate.
Vorrei aggiungere poche battute all’architettura organizzativa descritta dal procuratore di Caltanissetta. Sono stata designata dal procuratore come punto di contatto della rete giudiziaria europea. Siamo 22 sostituti procuratori generali incaricati di gestire, nella rete giudiziaria europea, i rapporti in materia. Sebbene questa competenza non sia prevista dal codice, di fatto abbiamo creato questa rete e veniamo convocati periodicamente dal Ministero al quale ciascuno di noi riferisce le proprie esperienze, dando vita ad uno scambio molto interessante. È un fatto non supportato da alcuna norma.
La proposta avanzata dal procuratore, adattata a questa organizzazione, consentirebbe una circolazione snella delle idee e delle iniziative sul territorio. Personalmente ho scritto alcuni articoli in materia di infortuni sul lavoro e al momento l’Utet sta pubblicando un mio trattato breve sulla materia. Con la prefettura di Caltanissetta, quando c’era il prefetto Petrucci, fu istituito un tavolo tecnico, in sede di Conferenza permanente, cui parteciparono tutti i rappresentanti interessati alla materia degli infortuni sul lavoro, i quali chiesero l’intervento di un magistrato che avrebbe dovuto offrire il suo contributo. Poiché mi occupavo della materia fui convocata e per me fu un’esperienza importantissima. Sensibilizzammo le associazioni di categoria, i sindacati, la camera di commercio, i rappresentanti delle imprese tant’è che Caltanissetta si caratterizza per una particolare attenzione a questo argomento.
Ciò non toglie che gli incidenti hanno continuato a verificarsi; al momento è in corso un processo per una frana caduta da un costone di roccia che ha provocato la morte di due operai. Il processo è in corso e quindi non posso parlarne. Il procuratore di Caltanissetta ha avuto la lungimiranza di valorizzare le mie competenze, per cui al momento seguo tutti i processi relativi agli infortuni sul lavoro e mi occupo anche dei processi in grado di appello. Mi accorgo pertanto di quanto accade e rilevo che a valle manca la competenza congiunta degli ispettori del lavoro, del personale SPRESAL e di altro personale interessato. Le forze di polizia e i Carabinieri sono preparati ma non riescono a coordinarsi e questo rappresenta il limite principale. Sarebbe necessario dare vita a squadre congiunte, soprattutto in materia di malattie amianto correlate. In Sicilia, oltre a Gela, abbiamo tre poli industriali importanti, Priolo Gargallo, Milazzo e San Filippo del Mela, nei quali l’inquinamento da amianto ha provocato tanti di quei morti e di quelle lesioni da rendere senz’altro necessaria un’attenzione particolare. Ma è un mondo che richiede l’intervento di persone specializzate, perché solo persone preparate possono fronteggiare il problema. È necessario avere consulenze e perizie; solo se si è preparati si riesce ad ottenere dei risultati altrimenti si disperde l’oggetto dell’indagine che inevitabilmente si polverizza. Spesso nei dibattimenti abbiamo numerosi problemi, anche perché in secondo grado non è facile riaprire le indagini, se non di fronte a carenze specifiche. È importante quindi che vi sia una competenza specifica dello Stato il cui intervento deve però articolarsi sul territorio attraverso la prefettura e gli enti locali, strutture di cerniera e di collegamento, favorendo l’apertura di tavoli tecnici per la sensibilizzazione delle imprese e delle associazioni di categoria.
Dal punto di vista giudiziario è importante il riferimento alle procure generali che possono avere una maggiore conoscenza sul territorio e sui circondari di loro appartenenza. In questo modo probabilmente si potrebbe controllare meglio sia l’entità del fenomeno sia la fase repressiva.

PRESIDENTE
Vi ringrazio perché dal vostro intervento è nato un dibattito interessante che ha tratto spunto dalle considerazioni offerte dal dottor Guariniello. D’altra parte è necessario porre attenzione sulla qualificazione di ognuno di noi. La vostra è un’attività delicata e la riflessione che oggi avete fatto sulla necessità di un continuo aggiornamento professionale è stato per noi un momento di arricchimento.
Vi ringraziamo per il prezioso contributo. Saremo lieti di ricevere ed esaminare – se lo riterrete opportuno – ulteriori comunicazioni e riflessioni sulla vostra attività.


Audizione del comandante regionale dell’Arma dei Carabinieri, del comandante del Nucleo Carabinieri per la tutela del lavoro e del comandante regionale dei VVFF

Intervengono il comandante regionale dell’Arma dei Carabinieri, generale di divisione Riccardo Amato, accompagnato dal responsabile territoriale del Nucleo Carabinieri tutela del lavoro, tenente colonnello Antonello Bucciol, ed il direttore regionale dei Vigili del fuoco, ingegner Emilio Occhiuzzi.

PRESIDENTE
Buongiorno. La nostra presenza qui oggi è finalizzata ad acquisire direttamente sul territorio elementi utili al nostro lavoro, attraverso uno scambio di riflessioni con i rappresentanti delle istituzioni locali su un tema importante come quello della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro che – potremmo dire senza retorica – coinvolge la civiltà stessa della Nazione.
Finora non abbiamo registrato dati particolarmente eclatanti in Sicilia; piuttosto, ci sembra vi sia una stagnazione per cui si registra un numero pressoché costante di infortuni e di morti sul lavoro, come peraltro nel resto del Paese. C’è per la verità un leggero calo, ma questo dato va considerato alla luce della diminuzione di ore di lavoro che oggi si registra rispetto al passato.
È dunque in quest’ottica che va ad iscriversi il nostro incontro, attraverso il quale vogliamo conoscere le vostre riflessioni sul tema, che saranno per noi sicuramente utili tenuto conto della presenza capillare dell’Arma dei Carabinieri sul territorio, con le specifiche competenze del Nucleo tutela del lavoro, e dell’attività di prevenzione e contrasto posta in essere dai Vigili del fuoco, di cui stiamo cercando di capire meglio il ruolo.
Cedo quindi subito la parola al generale Riccardo Amato.

AMATO
Buongiorno. Sono il comandante regionale dell’Arma dei Carabinieri e qui accanto a me è seduto il tenente colonnello Bucciol, comandante del Nucleo Carabinieri per la tutela del lavoro di Palermo. Vi ringraziamo innanzitutto per l’invito, che ci permette di fornire direttamente alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro i dati relativi alla Regione Sicilia.
Come loro certamente sapranno, l’Arma dei Carabinieri è presente nel settore della tutela del lavoro dal 1935. Siamo stati il primo Corpo di polizia con competenza generale – e al momento ancora l’unico – che ha ritenuto di istituire, già nel periodo precedente al secondo conflitto mondiale, un reparto specializzato per la tutela del lavoro, anche in relazione alla prevenzione degli incidenti sui luoghi di lavoro. L’Arma dei Carabinieri ha dunque acquisito dal 1935 un’esperienza e una professionalità particolari in questo settore.
In Sicilia, peraltro, è presente anche un Nucleo specializzato per la tutela della sicurezza sul lavoro particolarmente qualificato. A questo proposito tengo a sottolineare che, nell’ambito di un recente riassetto del Comando nazionale, sono stati istituiti quattro Nuclei specializzati; tuttavia, mentre quelli di Milano, Roma e Napoli hanno competenza ultraregionale, il Nucleo di Palermo è l’unico con competenza esclusiva nella Regione siciliana. Questo è un indicatore dell’attenzione riservata dal Comando nazionale ai problemi della nostra specifica realtà regionale. Ciò nonostante, come voi certamente saprete, in relazione al passaggio delle competenze in materia a favore della Regione, in ragione della sua autonomia, dal 1979 al 1996 il Nucleo specializzato per la tutela del lavoro qui in Sicilia è stato soppresso. Nel 1996 si è avvertita tuttavia l’esigenza di ripristinare questo Nucleo anche nella nostra Regione, ponendolo alle dipendenze funzionali dell’assessorato del lavoro: questo è certamente un segnale dell’attenzione con la quale anche le Regioni a Statuto speciale guardano all’apporto qualificato che l’Arma dei Carabinieri può dare sul territorio.
Entrando ora nel vivo della tematica, nella sola Regione siciliana lo scorso anno si sono registrati 31 incidenti mortali sul lavoro, mentre nei primi tre mesi dell’anno in corso se ne sono verificati tre. L’episodio più grave, che ha commosso l’opinione pubblica, è accaduto nel Comune di Mineo l’11 giugno del 2008, quando, a causa delle elevate esalazioni di idrogeno solforato e dell’assoluta mancanza di sistemi di sicurezza, sei operai impegnati nei lavori di manutenzione dei locali del depuratore comunale hanno perso la vita. L’Arma dei Carabinieri in Sicilia concorre da sempre con impegno e dedizione ai servizi di vigilanza per l’applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, sia mediante il servizio svolto giornalmente dalle 417 stazioni presenti sull’Isola (presidi di base che garantiscono la capillarità del controllo del territorio), sia attraverso l’attività svolta dal Nucleo dei Carabinieri per la tutela del lavoro, comandato dal tenente colonnello Bucciol, che coordina le attività delegate dall’assessore alla famiglia e alle politiche sociali e da quello del lavoro, da cui funzionalmente dipende. A questa attività va ad affiancarsi poi quella di un Nucleo operativo che svolge un’azione a competenza regionale, alle dirette dipendenze del colonnello Bucciol, e dei nuovi Nuclei dei Carabinieri dell’Ispettorato del lavoro, posti invece alle dipendenze funzionali dei dirigenti degli Ispettorati provinciali del lavoro. Parliamo di una forza di 84 militari, che giornalmente opera in questo specifico settore e che, su richiesta dei reparti territoriali, interviene insieme a questi ultimi per effettuare accessi, verifiche, ispezioni e controlli in aziende, cantieri edili e luoghi di lavoro, al fine di accertare il pieno rispetto e l’osservanza della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale.
Nel 2011 i predetti Nuclei specializzati ed i reparti territoriali hanno conseguito risultati di tutto rilievo, con 2.734 imprese sottoposte a controllo, di cui 76 risultate in nero. Gli illeciti amministrativi rilevati sono stati 5.706; i lavoratori in nero sono risultati 1.269; le diffide emesse 641; i minori impiegati illecitamente sul lavoro 35; gli extracomunitari controllati sono stati 147, tre dei quali proposti per l’espulsione; le ispezioni effettuate per accertare il rispetto delle norme sulla sicurezza sono state 1.193, mentre le violazioni contestate in tema di prevenzione antinfortunistica sono state complessivamente 1.125. Infine, per illeciti in materia di sicurezza sono state elevate sanzioni per un ammontare di 4.857.000 euro.
In sintesi, si evidenziano dunque: la validità del peculiare modello ordinativo-operativo adottato dall’Arma dei Carabinieri per la tutela della sicurezza sul lavoro; l’importanza dell’attività informativa che i comandi dell’Arma assicurano, in ragione della loro capillarità, soprattutto attraverso le stazioni, che possono all’occorrenza effettuare il primo intervento e segnalare le varie situazioni; la sinergia tra i reparti presenti sull’Isola e l’Ispettorato del lavoro, per contrastare efficacemente il lavoro sommerso e gli illeciti; l’importanza di assicurare la tutela degli operai sui luoghi di lavoro, che nel tempo può tramutarsi in beneficio per via della minore assenza di dipendenti per infortuni e malattie professionali; la necessità di predisporre una mappatura degli interventi di controllo, in modo da operare sempre secondo priorità; l’opportunità di limitare, ove possibile, i lavori in subappalto che, a causa del contenimento dei costi, non tutelano il lavoratore; l’importanza dell’Osservatorio regionale dei lavori pubblici e la validità dell’istituzione della stazione unica appaltante, che si presentano come meccanismi utili per ridurre il rischio dell’illegalità. Merita sicuramente un approfondimento la recente proposta di istituire una procura nazionale, con articolazioni periferiche che possano occuparsi esclusivamente del comparto infortuni sul lavoro e delle violazioni in materia.
In conclusione, quindi, dall’esperienza acquisita attraverso i controlli sul campo emerge come la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro non sia ancora patrimonio completamente assimilato. In effetti, la formazione in questo settore, che è stata demandata fino ad oggi all’attività didattica svolta da enti vari, sovvenzionati dalla Regione siciliana, dovrebbe essere affidata invece alle stesse imprese che ricevono in appalto le commesse. In tal modo l’interesse a prevenire e a garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro responsabilizzerebbe ancora di più gli operatori dei vari comparti. Peraltro, le risorse potrebbero essere direttamente attinte dalla previsione normativa, (articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008), secondo la quale alle Regioni sono garantiti finanziamenti per la promozione formativa sulla sicurezza. In sintesi, le norme fino ad oggi emanate dalla Regione siciliana in materia di tutela sul lavoro sono in armonia con quelle dettate in ambito nazionale.
Consegno agli atti della Commissione il riepilogo dell’attività operativa posta in essere nello specifico comparto dall’Arma dei Carabinieri negli anni 2010 e 2011.

PRESIDENTE
La ringrazio, generale Amato.
Quelli che lei ci ha fornito sono indubbiamente dati molto importanti ed interessanti. Voglio però ricordarle che uno dei temi su cui ci stiamo maggiormente soffermando è quello del coordinamento, visto che, come lei certamente saprà, diversi sono i soggetti coinvolti a vario titolo nel settore della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro: non a caso, infatti, il Testo unico ha individuato proprio nel coordinamento regionale un momento di sintesi.
Vorremmo dunque sapere da voi se siete coinvolti nel coordinamento regionale.

BUCCIOL
Sì, signor Presidente. Se mi è possibile comunque, per la mia parte di competenza, vorrei aggiungere alcune considerazioni a quanto già detto dal generale Amato. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha trovato piena applicazione in Sicilia, nel senso che lo stesso, integrato poi dal decreto legislativo n. 106 del 2009, è stato attuato con particolare riguardo alla disciplina relativa agli organi di vigilanza e alle commissioni di coordinamento. Mi spiego meglio.
Tra gli organi di vigilanza (articolo 13 del decreto legislativo) sono inserite le aziende sanitarie provinciali, i Vigili del fuoco, gli Ispettorati del lavoro e, quindi, anche la stessa Arma dei Carabinieri con il suo Nucleo specializzato. Nei luoghi di lavoro delle forze armate, delle forze di polizia e dei Vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni.
Per la verità, già con la precedente normativa sulla sicurezza sul lavoro la Regione siciliana aveva sostanzialmente legiferato in materia di commissioni consultive, istituendo (con decreto n. 26 del 2000 dell’assessorato alla famiglia, lavoro e politiche sociali, pubblicato sulla Gazzetta regionale siciliana, di fatto poi recepito con l’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008) un Comitato regionale di coordinamento per le attività ispettive, che vedeva all’interno del suo organigramma l’assessore del lavoro, il direttore regionale delle attività ispettive, lo stesso comandante del Nucleo tutela del lavoro, oltre a varie altre figure provenienti dalle aziende sanitarie provinciali, da quella di Palermo a quella di Trapani. Si tratta sostanzialmente di un organismo consultivo, che fornisce indicazioni e linee guida ai vari Comitati provinciali di coordinamento, formati principalmente dalle aziende sanitarie provinciali, che hanno competenza primaria, ed accessoriamente dal nostro Nucleo, oltre che dai Vigili del fuoco.
C’è da dire, per la verità – ma credo che lo abbia già sottolineato l’ingegner Cacopardo – che tali Comitati non sono stati ancora attivati in tutte le Province ma sono ancora in via di costituzione. Questi Comitati sono quelli che effettivamente dirigono il coordinamento degli interventi a livello provinciale e garantiscono il coordinamento stesso tra Regione e Province. Inoltre, la Regione siciliana, ancora prima della previsione di organismi paritetici nel testo unico n. 81 del 2008, aveva già costituito i cosiddetti comitati paritetici territoriali, che, particolarmente nel campo edile, svolgono un’attività di formazione, prevenzione e controllo a livello consultivo.

PRESIDENTE
Ci sono anche gli enti bilaterali però .

BUCCIOL
I comitati paritetici territoriali danno un supporto alle imprese sotto l’aspetto formativo; fanno interventi che per gli appalti pubblici sono obbligatori perché fanno parte dei protocolli di legalità e, là dove richiesti, operano anche a livello privato. Tuttavia, pur essendo il progetto in linea generale abbastanza ben avviato, materialmente la formazione dei lavoratori e degli stessi imprenditori rimane comunque un aspetto ancora da assimilare completamente, nel senso che tante volte, nel corso delle ispezioni, ci troviamo di fronte a situazioni che testimoniano come la normativa sulla sicurezza sia un dato di cui si conosce l’esistenza ma che non è assimilato.
Un elemento che mi sento di condividere con il generale Amato sarebbe spostare il focus della formazione sulle imprese, nel senso che queste vengano ad essere parte attiva e non parte passiva della formazione: che non la debbano subire per legge ma ne siano promotrici, cercando di ottimizzare – non essendo società a fondo perduto ma società per azioni, che devono comunque fare utili – le loro necessità lavorative con i bisogni formativi, quindi con la sicurezza del lavoratore.
Quando si eseguono le ispezioni, spesso ci si trova davanti a situazioni in cui il lavoratore sa di essere stato assunto e di aver fatto determinati esami clinici che fanno parte del libro degli esami propedeutici all’assunzione, ma non sa dire quando è stato esaminato. Quindi, ci sono difficoltà e situazioni che vanno censurate e che portano a conseguenze penali per le imprese. Insomma, si capisce che la cultura della sicurezza non è completamente assimilata. Questo è il messaggio.

PRESIDENTE
Si tratta di un messaggio che non riguarda solo ed esclusivamente le sue conoscenze e le sue esperienze, ma è molto più generalizzato, purtroppo. Il problema è a monte, e concerne le responsabilità del datore di lavoro in tema di salute e sicurezza sul lavoro; è un dato certo e conclamato già con norme antiche. È necessario un salto di qualità del datore di lavoro.

BUCCIOL
C’è la necessità di un maggiore coinvolgimento: creare un circuito virtuoso tra imprese e istituzioni.

PRESIDENTE
In questo senso potrebbero fare molto le associazioni. Del resto, quello è il luogo di qualificazione; è in qualche modo il loro sindacato.
Noi abbiamo anche pensato di inasprire qualche norma, però le soluzioni draconiane alla fine non sono quelle che pagano meglio. Ci stiamo molto interrogando, per esempio, sulla formazione dei responsabili delle imprese di costruzione. Oggi, se si decide di diventare imprenditori edili basta documentare qualche ora di formazione e null’altro. Il problema è serio perché spesso succede che questi lavoratori, come anche nelle altre aziende di produzione, non sono preparati e non si vogliono preparare e non se ne capisce il perché.

BUCCIOL
Lo considerano un costo.

PRESIDENTE
Però alla fine sono obbligati a rivolgersi a qualcuno.

BUCCIOL
A terziarizzare il documento sulla sicurezza.

PRESIDENTE
Certo, qualcuno deve pur riempirlo quel documento.
Però lei ha ragione, non c’è stata una condivisione di partecipazione su questo fronte; è come se fosse arrivata un’altra iniziativa burocratica da dover assolvere, magari di carattere impiantistico, per la cui risoluzione chiamare un tecnico. Non si è capito – forse non siamo stati capaci noi a farlo capire – che solo la conoscenza permette di poter affrontare il problema; la cultura della sicurezza è fondamentale. Sappiamo che c’è questo vulnus però dobbiamo capire come muoverci. Noi chiediamo che soprattutto la media, la piccola e la micro impresa – la grande impresa è strutturata in modo completamento diverso – siano coinvolte e supportate dalle associazioni. Si tratta di un fattore determinante, e di certo non facile a causa della crisi congiunturale che viviamo e degli stessi decessi che si verificano: spesso assistiamo alla morte del datore di lavoro e del lavoratore insieme. Questo accade soprattutto nelle piccole aziende, dove il datore di lavoro è lui stesso lavoratore, magari con poche altre unità; dipende dal tipo di azienda. Del resto, l’Italia è costellata di queste piccolissime aziende, le cosiddette partita IVA, per capirci. Da questo punto di vista, dobbiamo lavorare tutti di più di fronte ad una realtà particolare.
Il problema è molto serio e legato anche agli appalti: i subappalti orizzontali, verticali, con tutto ciò che – voi ce lo insegnate – può stare dietro a queste realtà, che sono tutt’altro che un mondo d’amore. Immaginiamo, per esempio, le costruzioni private. Nell’appalto pubblico quantomeno esistono normative ben precise, laddove nel privato paradossalmente chiunque potrebbe fare l’imprenditore nel settore delle costruzioni e realizzare qualunque opera. Non si ha l’obbligo di una certificazione personale, come avviene per il pubblico, quindi per le gare pubbliche. Si tratta di una materia complessa e difficile, alla quale solamente attraverso il coinvolgimento di tutti si potrà trovare una soluzione. D’altra parte, anche negli appalti il soggetto aggiudicatario non è il soggetto che poi realizza.

BUCCIOL
Non è colui che lavorerà al progetto.

PRESIDENTE
Spesso abbiamo troppe stazioni appaltanti, con procedure diverse: il massimo ribasso è una strada che non dovrebbe essere mai percorsa; eppure, molti la percorrono, per tanti motivi, nobili o meno nobili. Bisogna entrare in un meccanismo più virtuoso ed è questo il motivo della nostra presenza qui oggi, per uno scambio di informazioni e di esperienze che punti proprio a questo obiettivo.

BUCCIOL
Vorrei aggiungere che merita un approfondimento l’istituzione della procura nazionale sugli infortuni sul lavoro. Questo consentirebbe naturalmente una maggiore specializzazione delle persone addette, anche a livello periferico.

PRESIDENTE
Su questo fronte ci sono due linee; forse sarebbe bene una linea intermedia: le procure generali. C’è un dibattito in atto – la nostra Commissione si è molto attivata su questo interessante tema – che comunque pone il problema della qualificazione del magistrato e della polizia giudiziaria; lo pone come approccio all’infortunio, come indagine.
Del resto nessuno di noi è tuttologo, ma deve formarsi, al di là del lavoro che svolge, qualunque esso sia; ma ci sono piccole procure dove è difficile trovare una specializzazione specifica.

BUCCIOL
È una materia in continuo movimento ed estremamente complessa. Basti pensare che soltanto nella nostra attività applicativa delle sanzioni ci sono una decina di legge concorrenti, la cui interpretazione non è semplice. Con le persone competenti ovviamente tutto diventa più semplice.

PRESIDENTE
Il dibattito che il dottor Guariniello ha lanciato rispetto all’istituzione di una procura nazionale in effetti sta dando i suoi frutti perché se ne sta parlando; noi lo alimentiamo come Commissione e anche oggi è stato un argomento di cui si è discusso. Ciò a testimonianza che c’è un problema. Ora, vedremo se si dovrà risolvere in modo verticale, con una procura nazionale, o se si dovranno dare compiti alle procure generali anche rispetto a questi reati, per fare in modo che ci sia una maggiore competenza spalmata sul territorio: questo sarà oggetto di dibattito. Ad ogni modo, condividiamo il fatto che è un argomento da affrontare.

BUCCIOL
L’importante naturalmente è il concetto, non la modalità. PRESIDENTE. Lo avvertiamo anche noi.
C’è un dibattito aperto con i magistrati per capire quale sia la modalità migliore, se una verticalizzazione, che rischia di creare sul territorio ulteriori strutture, o se questa competenza di maggiore qualificazione faccia capo al procuratore generale, con la previsione sul territorio di zone più ampie. Ad esempio, abbiamo sentito i quattro procuratori generali della Sicilia: se già ognuno di costoro svolgesse un lavoro di questo tipo in un campo più ampio avremmo un’eccezionale qualificazione. Si va in verticale ma anche in orizzontale; del resto, ciò accade già con le procure antimafia.

AMATO
È chiaro che questo imporrebbe la realizzazione a livello locale di sezioni specializzate delle procure circondariali; però una direzione unitaria a livello centrale potrebbe indirizzare attività più complesse; un conto è l’incidente sul cantiere edile, altro è l’incidente nella grande struttura produttiva.

PRESIDENTE
Generale, ci sono due filosofie diverse; capisco la sua filosofia perché lei ha le stellette. Noi che non le abbiamo, abbiamo un modo diverso di approcciare la questione, ma non è detto che sia giusto più l’uno dell’altro.

OCCHIUZZI
Sono l’ingegner Occhiuzzi, direttore regionale dei Vigili del fuoco per la Sicilia, anche se mi trovo da poco in questa Regione. Sulla scorta di quanto demandato dagli uffici centrali del Ministero, in particolare dalla direzione centrale per la prevenzione incendi, stiamo monitorando l’attività di pertinenza dei Vigili del fuoco nell’ambito della Regione. Nella prevenzione incendi, in materia di procedimenti riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro – quindi per le competenze attribuite dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008, per quanto emerge dal decreto legislativo n. 139 del 2006 e non da ultimo dal decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011 –, è stato dato impulso ai controlli previsti dalle normative vigenti.
La nostra azione si svolge lungo due direttrici. La prima concerne le visite effettuate a campione. Proprio nell’anno 2012 c’è stata un’inversione di tendenza nella direzione centrale, che ha portato a indirizzare i controlli a campione sulle attività lavorative nelle quali c’è un elevato rischio di incendio. Posso elencare in particolare le aziende che producono o detengono esplosivi, relativamente ai sistemi di gestione previsti dalle norme di prevenzione. La seconda direttrice riguarda la nostra partecipazione al coordinamento regionale. Come affermava poc’anzi il colonnello Bucciol, non si è data ancora piena attuazione al contenuto della circolare in tutte le Province. Solo a Palermo c’è stata una prima riunione in cui la circolare emanata dall’assessorato regionale della salute, dipartimento regionale attività sanitaria e osservatorio epidemiologico, ha fatto emergere alcuni rilievi – che non definirei contrasti – circa l’attribuzione delle competenze specifiche nel settore della prevenzione incendi.

MARAVENTANO
C’è stata quindi una riunione con il coordinamento regionale. Vorrei capire meglio.

OCCHIUZZI
Con il decreto assessoriale 5 novembre 2009 l’assessore alla salute ha decretato la composizione del Comitato regionale di coordinamento. Abbiamo partecipato a diverse riunioni che hanno portato all’emanazione della circolare. Da quanto risulta agli atti, non c’è stato un recepimento sostanziale delle competenze di tutti coloro che concorrono alla prevenzione degli incendi. Porto un esempio. Le ex ASL, che nella Regione Sicilia sono rappresentate dagli SPRESAL (Servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro), hanno competenza, ai sensi della circolare, anche nel campo della prevenzione incendi, aspetto che a noi preoccupa alquanto. In virtù delle sinergie reclamate e delle competenze ad ognuno assegnate, le competenze sulla prevenzione incendi ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008 restano demandate al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Pertanto, qualora ci si dovesse imbattere in ipotesi di reato che riguardano la prevenzione incendi dovrebbe essere impegnato, in primo luogo, il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. La circolare non chiarisce questo aspetto che noi abbiamo rilevato nel momento in cui si sono insediati i Comitati provinciali.
Pochi giorni fa il comandante dei Vigili del fuoco di Palermo, chiamato a definire queste competenze, ha rilevato come il coordinamento da parte delle Regioni deve avvenire tra enti che hanno specifiche competenze in materia, ma se queste ultime vengono fatte proprie – non attribuite ma fatte proprie – da altri soggetti il coordinamento diventa stridente. Vorremmo che tale concetto fosse esplicitato. Prima di emanare la circolare, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia il 17 febbraio 2012, ci sono stati tre incontri nel 2011, anche se avevamo iniziato a lavorarci già nel 2009. Una volta insediato il Comitato e i Comitati provinciali l’unica iniziativa che mi risulta essere stata avviata riguarda Palermo. Nelle altre Province purtroppo questa attività non è iniziata.

PRESIDENTE
A Palermo vi siete posti il problema.

OCCHIUZZI
Sì ma non è stato ancora risolto. Insediare il Comitato e iniziare a discutere del problema per noi non è risolvere il problema. Ciò che ci interessa è arrivare a qualcosa di condiviso per fare in modo che la sicurezza sul lavoro diventi un fatto di cultura. Non si tratta di inasprire le sanzioni, ma di far sì che la cultura della sicurezza appartenga a tutti i soggetti interessati. Condivido quindi la necessità di coinvolgere le associazioni e gli enti perché la sicurezza diventi un fatto di cultura generalizzata, altrimenti ognuno compie il suo dovere ma senza un collegamento.
Il fatto positivo è che i comandi provinciali dal 2010 hanno registrato un crescendo delle attività che rientrano nel campo della prevenzione incendi. Quest’anno, inoltre, alla Regione Sicilia sono stati assegnati, da parte della direzione generale, ulteriori 1.000 controlli sui luoghi di lavoro. In virtù di quanto sancito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 151, da noi sintetizzato attraverso uno snellimento finalizzato più che all’approvazione dei progetti alla realizzazione dei controlli, ci stiamo orientando prevalentemente verso questi ultimi.

PRESIDENTE
È qualcosa che questa Commissione ha sempre auspicato. Fino a qualche tempo fa si dava l’autorizzazione cartacea sostenendo che era tutto a posto: poi si verificavano gli incidenti.

OCCHIUZZI
L’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 ha rappresentato una novità importante. Tra l’altro sono tra coloro che hanno dato il proprio contributo all’elaborazione del decreto. Il fatto nuovo è che la direzione centrale per la prevenzione si è orientata verso i controlli. La Sicilia è la Regione che ha registrato il maggior numero di controlli nel panorama nazionale, con 942 controlli. Alla Lombardia sono stati attribuiti 494 controlli e alla Sicilia quasi il doppio, per cui i colleghi comandanti hanno il loro bel da fare.
Da un punto di vista più generale, l’attività del Corpo dei Vigili del fuoco si svolge nel comparto agricolo, con particolare riguardo ai luoghi con rischio di incendio (silos, granai o polveri alimentari, luoghi di produzione e stoccaggio di biogas). Vi sono poi attività soggette al controllo per la presenza di grandi cantieri e/o opere di costruzione (settore dell’edilizia), ma anche per interventi di manutenzione straordinaria in alcune attività particolari. Vengono ispezionati gli impianti fotovoltaici. La Sicilia ha un forte orientamento verso le energie alternative, quindi sono soggetti a controlli gli impianti compresi nelle attività di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 151. Infine, stabilimenti o impianti che producono materiale esplodente, insediamenti produttivi di tipo abusivo che presentano rischi di incendio ed eventuali altre attività industriali, artigianali e/o commerciali ricomprese nell’allegato 1 del decreto.
Abbiamo quindi scelto non solo di andare a controllare le attività di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 ma anche altre che potrebbero presentare comunque rischi di incendio e che non sono catalogate tra quelle soggette al controllo dei Vigili del fuoco. Ci stiamo muovendo in questo modo. La direzione regionale dei Vigili del fuoco ha un ruolo di coordinamento e di verifica sull’attività svolta e per quanto riguarda le attività a rischio di incidente rilevante presenti nella Regione, anche la direzione regionale ha un compito di controllo e quindi di denuncia all’autorità giudiziaria qualora si dovessero verificare omissioni o altre negligenze, che purtroppo si verificano spesso nel campo della petrolchimica, molto presente in Sicilia. Queste sono le nostre linee di indirizzo. Mi preme comunque ricordare che nel primo trimestre 2012 abbiamo effettuato il 70 per cento in più delle attività di controllo rispetto agli anni precedenti.
Per quanto riguarda i vari coordinamenti a livello regionale e il ruolo della Regione stessa, mi auguro che detto coordinamento si sviluppi. Ho però la sensazione che attraverso l’emanazione continua di deleghe, fino ad arrivare alla commissione di vigilanza a livello provinciale, non si pervenga a risultati concreti in questo settore ma si verifichi solo una dispersione di tempo e di energie.

PRESIDENTE
Ringraziamo gli auditi per il contributo fornito ai nostri lavori.

Audizione di rappresenti regionali della CGIL, della CISL, della UIL e della UGL

Intervengono: su delega del segretario regionale della CGIL, il signor Pino Lo Bello; su delega del segretario regionale della CISL, il dottor Giorgio Tessitore; il segretario regionale della UIL, dottor Claudio barone; il segretario regionale della UGL, dottor Giuseppe Monaco, e il segretario provinciale della UGL Palermo, dottor Claudio Marchesini.

PRESIDENTE
Ci scusiamo nuovamente per il ritardo. I motivi per i quali siamo oggi in Sicilia non sono legati a particolari eventi ma alla necessità di avere un contatto diretto con le istituzioni e i soggetti interessati ai nostri temi sui vari territori, onde avere un confronto reale sulla problematica al nostro esame. Questi motivi sono legati altresì al bisogno di comprendere come il Testo unico viene applicato in sede regionale e ad ottenere quindi le vostre riflessioni, in qualità di forze sociali, sull’applicazione dinamica di dette normative, con particolare riferimento al tema del coordinamento regionale su cui, a livello nazionale, si registrano alcuni ritardi.
Come legislatori attribuiamo grande importanza all’esigenza di coordinare tutti i soggetti coinvolti in questa attività perché vediamo in questo aspetto un passaggio cruciale per capire se si sta lavorando in armonia, se ci sono programmi e strategie comuni utili a contrastare il fenomeno degli infortuni e delle morti sul lavoro. Sebbene queste ultime risultino essere tendenzialmente in calo, occorre comprendere quanto sia effettivo questo calo in base al numero di ore lavorate.
Questo è il quadro entro il quale ci muoviamo e sul quale siamo interessati a conoscere le vostre riflessioni.

LO BELLO
Noi ovviamente apprezziamo l’iniziativa della vostra Commissione d’inchiesta perché riteniamo che quello degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali rappresenti un fenomeno sociale particolarmente grave, che investe sia la sfera personale che quella familiare dell’individuo, oltre alle aziende e, più in generale, all’economia. Basti pensare, ad esempio, che per gli infortuni temporanei in Sicilia – ne abbiamo denunciati mediamente 40.000 – l’INAIL spende circa 40 milioni di euro. Se poi si tiene conto delle giornate di lavoro perse a seguito di infortuni, risulta evidente che ci troviamo di fronte ad un fenomeno davvero rilevante.
Per questo, lo ribadisco, riteniamo che sia essenziale l’azione che da diversi anni il Senato conduce in questo settore attraverso questa specifica Commissione d’inchiesta, per non parlare del fatto che la vostra presenza qui oggi rappresenta per noi un’occasione di confronto importante. Con il decreto legislativo n. 81 del 2008 sono state inserite nel nostro ordinamento disposizioni importanti, anche se la normativa non sempre viene applicata, per cui bisognerebbe forse attivare tutti gli enti e le autorità preposti affinché ciò avvenga. Il riferimento è, in primo luogo, all’autorità sanitaria della Regione Sicilia, che dovrebbe attivarsi, non solo attraverso l’apposito comitato per la prevenzione – che in verità si è già insediato – ma soprattutto rilanciando lo SPRESAL quale servizio preposto alla prevenzione, rafforzandolo sia in termini di organico che di professionalità, oltre che incrementando il volume dell’attività ispettiva posta in essere, in modo tale che, anche attraverso una collaborazione con le aziende, sia possibile visitarle tutte nell’arco di 3-4 anni. Il rischio, infatti, è che il numero dei controlli sia così basso che le stesse aziende possano fare addirittura un calcolo di probabilità, scoprendo magari che vi è una buona possibilità che non saranno mai controllate.
La prima cosa da fare, dunque, è rafforzare i controlli. È proprio in quest’ottica che abbiamo quindi chiesto alla Regione Sicilia di destinare il 5 per cento del totale della spesa sanitaria alla medicina preventiva e specificamente, in questo ambito, alla medicina del lavoro. Senza questo impegno economico, ed in mancanza dunque di prevenzione, il rischio è, infatti, che vi sia un aumento degli infortuni e delle malattie professionali, con la conseguenza di andare ad intasare i pronto soccorso e gli ospedali, con maggiori spese da sostenere poi per il recupero, la riabilitazione ed il reinserimento del lavoratore.
Stando ai dati, si registra per la verità un leggero calo negli infortuni; tuttavia, se rapportiamo questi numeri al calo occupazionale e alle ore effettivamente lavorate, ci si rende conto che la contrazione è irrisoria. La nostra Regione risente poi di un’altra patologia, vale a dire l’altissimo indice di lavoro nero. Dal dato riferito al numero degli infortuni dovremmo quindi scorporare tutti quei casi in cui, essendoci lavoro nero, l’infortunio non viene denunciato, a meno che non si tratti di un infortunio mortale, per il quale la denuncia viene fatta dai familiari.
C’è poi un altro fenomeno che vogliamo segnalare oggi, nella speranza che si possa porre fine a questo tipo di problema. Come sappiamo, attualmente opera il sistema bonus-malus per il quale, in caso di denuncia di infortunio, aumenta il premio assicurativo per l’azienda, nel senso che più alto è il numero di infortuni che l’azienda denuncia più aumenta il premio da pagare. Questo principio, immaginato inizialmente quale deterrente per spingere le imprese a fare prevenzione, si è trasformato in qualcosa di diverso, considerata l’esistenza di una franchigia, per cui i lavoratori infortunati fino a 5 punti di invalidità non hanno diritto ad alcun riconoscimento: potrebbero forse partecipare alla raccolta punti per il prossimo infortunio – il che non è certamente auspicabile! – ma nulla di più.
Si tratta di una situazione piuttosto grave, perché chiaramente l’azienda è spinta ad invitare il lavoratore a denunciare l’evento non come infortunio ma come malattia, con la conseguenza che spesso gli infortuni sul lavoro vengono convertiti, appunto, in malattia: così facendo, se da un lato il lavoratore non perde nulla perché, stante la franchigia, non avrebbe comunque alcun beneficio, dall’altro lato l’azienda risparmia invece l’aumento del premio assicurativo. La soluzione potrebbe essere rappresentata non soltanto da un incremento dell’attività di vigilanza, ma anche dalla riduzione della franchigia, a 2 punti ad esempio, di modo tale che il lavoratore abbia tutto l’interesse a denunciare l’infortunio all’INAIL, avendo la possibilità di chiedere il risarcimento. Bisognerebbe istituire poi un’anagrafe di tutti gli infortuni sul lavoro per capirne la causa, prevedendo altresì la creazione di un organismo che, analizzati gli infortuni, intervenga.
Una terza questione riguarda l’adeguamento degli impianti. In questi anni, grazie al progetto ISI, è stato posto in essere da parte dell’INAIL un intervento importante, prevedendo di destinare una parte dell’attivo dell’INAIL alla medicina preventiva sul lavoro. La nostra proposta è che l’attivo dell’INAIL, molto cospicuo, non confluisca nella fiscalità generale, ma che sia invece destinato al finanziamento della medicina preventiva sul lavoro e al risarcimento dei lavoratori che hanno subìto un infortunio sul lavoro o sono affetti da una malattia professionale. In quest’ottica potrebbe essere incentivata, dunque, la rottamazione di tutti gli impianti non a norma CE. È stato fatto per le autovetture, perché non farlo allora anche per gli impianti aziendali? Capisco che a volte le aziende non sono in condizione di poter sostituire le macchine non a norma CE con altre conformi a tale contrassegno, perché si tratta ovviamente di un investimento; si potrebbe però pensare di prevedere finanziamenti in conto interesse o in conto capitale per tutti quegli imprenditori che intendano sostituire un macchinario non a norma con uno sicuro. Questo tipo di incentivo potrebbe produrre un triplice effetto: ridurre il rischio degli infortuni e i relativi costi; ridare dignità al lavoratore, oltre che assicurare un contributo al rilancio dell’economia e dell’occupazione nel nostro Paese.
Per quanto ci riguarda, registriamo certamente un ritardo nell’informazione e nella formazione sulla sicurezza, già a livello scolastico. A tale proposito, ricordo che nel decreto legislativo n. 81 del 2008 si è previsto che nella programmazione didattica delle scuole superiori un certo numero di ore sia destinato alla formazione sulla sicurezza sul lavoro. È proprio utilizzando il canale degli studenti, infatti, che si potrebbe riuscire a fare cultura della sicurezza, visto che i giovani potrebbero poi parlare con i fratelli e i genitori che lavorano: ciò consentirebbe di aprire un dialogo per parlare di prevenzione. È inoltre carente la formazione tradizionale, oltre a quella obbligatoria prevista, appunto, dal decreto. In particolare, noi denunciamo la leggerezza di chi si occupa di fare formazione, spesso più interessato al rilascio dei certificati di avvenuta formazione, che non a formare effettivamente i lavoratori: anche da questo punto di vista, quindi, andrebbe posta in essere un’azione di controllo, così da verificare che la formazione avvenga realmente e non invece in maniera superficiale e, talvolta, anche inadeguata.
Per quanto riguarda i documenti di valutazione del rischio, predisposti dagli RSPP (responsabili dei servizi di prevenzione e protezione), il più delle volte vengono preparati quasi in serie: se si seguono, ad esempio, 100 aziende, si fanno 100 documenti di valutazione del rischio simili, laddove si dovrebbe necessariamente tenere conto delle caratteristiche del posto di lavoro, della singola macchina utilizzata, nonché del singolo lavoratore. Il rapporto tra RSPP, datore di lavoro o suo delegato, medico competente e RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) il più delle volte non si caratterizza per un rispetto reciproco dei ruoli. In effetti spesso da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del datore di lavoro o del suo delegato, nonché del medico, si tende a far pesare la propria competenza o il proprio titolo nei confronti del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che è un soggetto libero, un rappresentante dei lavoratori e che, in quanto tale, ha il diritto-dovere di segnalare eventuali carenze oltre che – lo prevede il Testo unico sulla sicurezza – di bloccare l’attività produttiva, nel caso in cui ravvisi rischi reali.
Noi vorremmo che anche da questo punto di vista fossero promosse iniziative in grado di mettere questi attori – insieme ovviamente agli uffici del servizio sanitario e dell’Ispettorato del lavoro, per quanto di competenza – nelle condizioni di poter lavorare in un rapporto di reciproco rispetto, in cui non risulti dunque soccombente il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il cui ruolo, il più delle volte, soprattutto nelle piccole aziende, diventa formale o si riduce ad una nomina a mero titolo di cortesia. Questa è del resto un’altra delle ragioni per cui il calo degli infortuni non è poi così considerevole.
L’ultima questione che vorrei segnalare è quella riguardante le malattie professionali e l’esposizione all’amianto. Registriamo oggi un incremento delle malattie professionali, dovuto soprattutto all’avvio di una campagna di informazione al riguardo. Le malattie professionali esistevano per la verità anche in passato; tuttavia, se un tempo il lavoratore si ammalava e, in conseguenza della malattia, diventava inabile al lavoro o invalido, si rivolgeva direttamente all’INPS per il riconoscimento, senza andare a ricercare la causa della malattia, cosa che invece va fatta perché se non si risale alla causa della patologia riscontrata non si riuscirà mai a migliorare l’ambiente di lavoro e a rimuovere quelle situazioni che possono determinare l’insorgere di una certa patologia. Chiaramente l’INAIL può fare una campagna di informazione, ma devono essere soprattutto i medici specialisti in medicina del lavoro, nonché i medici ospedalieri, a lavorare in questo senso.
A tale riguardo, permettetemi di fare un esempio. In Sicilia si registra un’elevata esposizione alle fibre di amianto, se si considera che nel tempo, per la presenza di fabbriche e per la lavorazione stessa dell’amianto, sono stati iscritti presso il Registro tumori di Ragusa circa 1.000 casi di mesotelioma pleurico, anche se solo in meno di 300 è stata presentata una richiesta di risarcimento danni all’INAIL. Ciò vuol dire che ben 700 lavoratori oltre al danno hanno avuto la beffa: non solo sono morti di tumore, ma non sono stati neppure informati del fatto che avrebbero potuto ottenere un risarcimento dei danni. Proprio alla luce di questi dati, si potrebbe pensare di sensibilizzare maggiormente i medici invitandoli, al momento della diagnosi, a chiedere al paziente che tipo di mansioni ha eventualmente svolto e a che cosa è stato esposto, per vedere se esiste una correlazione tra la diagnosi fatta, la patologia riscontrata, l’ambiente di lavoro e l’esposizione ad un certo tipo di rischio.
Un’altra questione centrale riguarda lo scambio dei dati. Il Registro tumori di Ragusa, che si occupa della raccolta delle informazioni, è tenuto a comunicare i dati all’INAIL, il cui obiettivo non dovrebbe essere di certo quello di risparmiare, evitando di assicurare le prestazioni dovute: considerato, infatti, che nel nostro Paese certe prestazioni vengono erogate solo su richiesta del lavoratore, è chiaro che se il lavoratore ignora i suoi diritti o non ne è informato non potrà mai ricevere la prestazione. Da questo punto di vista uno scambio dei dati potrebbe dunque davvero rivelarsi utile.
In Sicilia c’è bisogno, inoltre, di mettere in sicurezza l’amianto, non essendo presente sul nostro territorio alcuna discarica: accade così che ove nella nostra Regione qualcuno intenda mettere in sicurezza l’amianto può farlo solo sopportando costi elevati, dal momento che sarà costretto a trasferirlo nella più vicina Calabria, dove una discarica invece esiste. Per questo abbiamo chiesto alla Regione – e mi auguro che anche la vostra Commissione possa sollecitare in questo senso le autorità competenti – di realizzare ogni milione di abitanti (vale a dire ogni due o tre Province) una discarica per l’amianto, in modo da abbattere i costi del trasporto: del resto, essendo l’amianto un minerale, una volta finito sottoterra, è al sicuro e non comporta particolari problemi. Nel frattempo va eliminato accuratamente tutto l’amianto ancora depositato nelle fabbriche, ma anche negli opifici e nelle scuole.

MARAVENTANO
E nelle abitazioni private.

LO BELLO
Va fatto un piano di bonifica mirato, progettato seguendo criteri specifici, altrimenti prima o poi il privato, il datore di lavoro o l’azienda andranno a rottamare l’amianto e lo metteranno in un sottoscala.
Per concludere questa panoramica, vorremmo che anche le parti datoriali, che voi sicuramente ascolterete, acquisiscano la consapevolezza che ridurre gli infortuni è anche un loro interesse.
In una Regione come la nostra, con indici di disoccupazione altissimi, si fa spesso ricorso allo straordinario, al lavoro a cottimo, notturno e festivo. Dobbiamo sapere che la curva di attenzione del lavoratore, superate le otto ore, si abbassa, anche quando il lavoratore è convinto di essere forte e di poter resistere; gli infortuni avvengono dopo le otto ore lavorate. Allo stesso tempo, abbiamo chiesto, per i nuovi assunti – che, o per mancanza di esperienza o perché non si sono ambientati o perché non conoscono bene le mansioni, hanno l’ansia di fare una prestazione che gli consenta di avere riconfermato il lavoro dopo il periodo di prova – due o tre giorni di affiancamento, formazione e informazione, ai fini della prevenzione, per mettere il lavoratore nelle condizioni di ambientarsi, quindi di essere immesso in produzione. Questo potrebbe andare a carico, per esempio, dell’attivo INAIL, che ammonta a circa 15 miliardi di euro. Capisco che le aziende possano non accettarlo ma, visto che abbiamo un fondo INAIL, ovvero soldi del lavoratore e delle aziende, potrebbe essere questo il canale.

MONACO
Signor Presidente, anzitutto vorrei ringraziare la Commissione tutta per l’opportunità che abbiamo di trattare un tema così delicato quale l’attuazione del Testo unico sulla sicurezza in Sicilia. I dati di cui disponiamo si riferiscono al triennio 2008-2010, almeno per quanto risulta all’INAIL. Si tratta di un trend ingannevole – una diminuzione dell’11 per cento degli infortuni – se si considera che la crisi epocale in cui ci troviamo comporta una diminuzione delle ore lavorate. Questo, evidentemente, implica minori rischi per i lavoratori e di conseguenza una diminuzione degli infortuni che, come dichiarato dalla stessa INAIL regionale, non è frutto di un’attività di prevenzione mirata. Tale aspetto evidentemente trova anche un risvolto nelle attività di vigilanza poste in essere in Sicilia.
Un accordo tra lo Stato e le Regioni dal titolo «Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro» impegna le Regioni ad operare una razionalizzazione degli interventi al fine di conseguire la copertura annua con interventi di vigilanza del 5 per cento delle aziende presenti sul territorio, con almeno un lavoratore dipendente; target che la Regione Sicilia non rispetta. Nel 2008-2009 abbiamo registrato l’1,9 per cento di attività svolta relativa ai controlli delle aziende in Sicilia; nel 2010, il 3,2. Siamo lontani evidentemente da un’attività di vigilanza proficua. Premesso che senza una seria attività di vigilanza nessuna applicazione potrà svilupparsi riguardo all’attuazione del decreto, molte aziende, con lo stato di crisi che viviamo, hanno trovato utile abbattere i costi andando a ritoccare il comparto che glielo consentiva, ovvero tagliando sulla sicurezza. Questo avviene innanzitutto perché si sa che i controlli sono molto rari, ragion per cui tra gli elementi di rischio le aziende mettono in conto anche il fatto che probabilmente non saranno controllate.
Per quanto concerne il sistema di vigilanza posto in essere in Sicilia, gli ultimi dati dichiarati nel 2009 parlano di una forza per attività di vigilanza di 211 persone per tutta la Regione, di cui soltanto 103 unità dotate di poteri di ufficiali di polizia giudiziaria. Ciò a testimonianza che se non attuiamo i controlli arriveremo ad una deregulation totale; ogni azienda sa che non potrà essere controllata o lo sarà comunque in maniera molto rarefatta. Questo dato naturalmente ci preoccupa e, in un momento di crisi come quello attuale, non aiuta certamente l’applicazione del Testo unico.
Nel corso del triennio 2008-2010 sono state effettuate circa 1.500 visite ispettive; nell’anno 2008, il 51 per cento delle aziende controllate non risultava a norma; nel 2009 non risultava a norma circa il 28 per cento.

PRESIDENTE
Da dove provengono questi dati?

MONACO
Dalla Conferenza Stato-Regioni. Ci riferiamo a dati che, utilizzati in maniera intelligente, possono permetterci di intervenire anche in maniera proficua. Nel 2010 le visite ispettive trovano non a norma il 36 per cento delle aziende controllate; l’anno prima il 28 per cento. Questo è un indice su cui è necessario fare una riflessione: significa che la crisi ha creato un sistema involutivo nella sicurezza, ragion per cui o riusciamo a creare un sistema di vigilanza concreto o rischiamo che tutti gli sforzi profusi nell’attuazione del Testo unico risulteranno vani.
Il Comitato di coordinamento per la Regione siciliana è servito da stimolo; in Sicilia sono stati varati i piani per la prevenzione in agricoltura e nell’edilizia, che sono due punti fermi, ma evidentemente l’attuazione di queste norme e precetti non potrà trovare la luce se non ci sarà un sistema di vigilanza adeguato. Di recente è stata varata una circolare, su impulso del Comitato di coordinamento, che indica le linee guida per razionalizzare l’attività dei servizi di vigilanza. Ritengo che questo lavoro sia stato davvero importante nel nostro territorio perché razionalizzare le risorse è un elemento fondamentale; siamo in crisi, lo è lo Stato come le Regioni, ragion per cui razionalizzare anche il personale nelle attività di vigilanza è un aspetto importantissimo. La circolare è stata varata solo da qualche giorno; ne ho predisposto una copia che può essere utile e soprattutto di esempio anche per altre Regioni. Se queste linee guida per le attività di vigilanza saranno applicate con la serietà e il rigore necessari, sicuramente avremo qualche speranza in più.
Vorrei fare riferimento ad un’altra attività posta in essere dalla Regione Sicilia con la creazione dell’albo delle ditte che possono effettuare la rimozione dell’amianto. Fino ad oggi, infatti, pur rispondendo ai requisiti del decreto legislativo n. 152 del 2006, le ditte svolgevano questa attività molto spesso non essendo iscritte all’albo, non assumendo alcun ruolo di controllo sulle attività svolte e non utilizzando i necessari presidi sulla sicurezza. È capitato a me personalmente di notare che coloro i quali rimuovevano l’amianto non utilizzavano i filtri adeguati ma mascherine totalmente inadeguate; non rispettavano quindi tutti i precetti relativi a questo tipo di rimozione, che è molto pericolosa. Soprattutto quando si fanno le rimozioni, l’amianto si frantuma; diventa friabile e in quel caso le fibre vanno in aerosol, ragion per cui, se la ditta non ha un’adeguata esperienza nel settore, rischia di provocare danni molto seri.

BARONE
Buongiorno a tutti. Secondo la nostra valutazione, siamo in presenza di un quadro normativo abbastanza evoluto, dettagliato e capillare. Si pensi, ad esempio, alla presenza all’interno delle aziende dei rappresentanti per la sicurezza, che tuttavia va ad impattarsi con un andamento della situazione infortunistica stabile. I dati rilevati possono essere interpretati in vario modo, ma non sono statisticamente indicativi di una tendenza particolarmente accentuata; bisogna bilanciarli con l’andamento dell’occupazione e l’intensità del ciclo produttivo. Fondamentalmente, sono numeri che ci dicono molto poco e non individuano una tendenza reale verso la diminuzione. In alcuni casi, ci sono aumenti che vanno analizzati, quali l’aumento sostanziale degli infortuni in itinere, che necessita di un’interpretazione: sono cambiate le condizioni della gestione della viabilità e del traffico, o probabilmente è in atto un meccanismo per cui oggi si denuncia maggiormente questo tipo di infortuni, contrariamente a quanto avveniva prima. Siamo comunque di fronte ad un quadro statico, da questo punto di vista. Anche gli infortuni più drammatici, legati alla mortalità, hanno oscillazioni che non individuano una tendenza né in peggioramento né in miglioramento, perché si tratta di numeri piccoli.
La capacità ispettiva, nel momento in cui viene applicata, dà risultati abbastanza significativi. L’INAIL Sicilia ci segnala che nell’80 per cento delle ispezioni che effettua si rilevano irregolarità delle aziende; l’assoluta maggioranza si trova non in regola con alcune normative. Il problema però è che l’attività ispettiva è ristretta ad un range estremamente piccolo, quindi, nel momento in cui si interviene per verificare se si applicano le norme c’è un riscontro, ma questo evento è talmente raro che non riesce a produrre frutti. Crediamo che questo sia il nodo, e da questo punto di vista ci sono progetti abbastanza positivi.
Si parlava dei bandi ISI-INAIL all’interno delle aziende, che sono stati fortemente richiesti; le domande sono state fatte ma l’offerta è almeno un ventesimo della richiesta: i fondi saranno utilizzati ma sono assolutamente insufficienti. Ci sono poi protocolli siglati con l’assessorato alla sanità: si tratta di campagne di sensibilizzazione – ho qui con me copia di una campagna sul rischio stradale – che ci risulta stiano funzionando dal punto di vista della diffusione di una cultura della sicurezza. Tuttavia, se, nonostante la presenza capillare all’interno dei posti di lavoro dei rappresentanti della sicurezza e l’investimento anche in cultura della sicurezza si fatica a produrre risultati statisticamente rilevanti, dobbiamo cercare di individuare quali sono i problemi che di fatto mantengono il sistema bloccato. Da quanto ci consta, l’elemento assolutamente rilevante è la debolezza del sistema ispettivo.
L’adesione alle norme di sicurezza avviene fondamentalmente su base culturale e volontaria, in carenza di un sistema di ispezione che renda pienamente cogente l’applicazione delle norme, e gli effetti prodotti sono assolutamente secondari. Quindi, riteniamo, anche a sostegno del ruolo dei rappresentanti dei lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro, che se c’è un quadro ispettivo che supporta questa attività essa diventa forte ed autorevole, altrimenti mette obiettivamente il delegato in una condizione di contrapposizione soggettiva nei confronti dell’azienda, che non produce gli effetti desiderati. Tutti noi dovremmo fare la nostra parte per far capire che la cultura della sicurezza è importante ma è anche un obbligo che deve essere rispettato. Questo le darebbe un’efficacia diversa.

PRESIDENTE
Credo che molto si potrà fare – voi siete attori in questo senso – proprio all’interno del Comitato regionale di coordinamento. Lì si definiscono strategie, obiettivi, e, anche in interlocuzione con la Regione, le disponibilità. Si tratta di un luogo immaginato dal legislatore non solo ai fini di un coordinamento, ma anche di un confronto tra le parti essendo presenti tutti i soggetti coinvolti, compreso il soggetto politico, che ha non solo il ruolo di coordinare l’organismo ma anche di rispondere alle esigenze da voi esposte, come quella di arrivare al 5 per cento. In sostanza è la Regione che può dare una risposta, non altri.

LO BELLO
Vorrei fare una precisazione. Nella Regione Sicilia, che solo di recente ha insediato il Comitato di coordinamento dietro sollecitazione del sindacato, c’è una disattenzione notevole alle funzioni dell’organismo sia da parte dell’assessore alla sanità che del Presidente. Quest’ultimo è chiamato a presiedere il Comitato e invece delega le sue funzioni ad un funzionario dell’ufficio operativo che, per quanto bravo, non è un organismo politico. È palese, infatti, che le decisioni politiche debbano essere prese dall’assessore e dal Presidente della Regione. Pertanto la vera difficoltà sta nell’individuare un modo per responsabilizzare i massimi organismi istituzionali della Regione.

PRESIDENTE
Rifletteremo sul punto.

TESSITORE
Partendo da una nota integrativa, cercherò di riflettere su tre questioni che ritengo importante segnalare. Faccio parte di questo organismo di coordinamento da pochi mesi, da quando ho avuto la delega in materia di salute e sicurezza, e le poche riunioni alle quali ho partecipato sono state sufficienti a fornirmi un’idea del fatto che la Regione siciliana ha pensato di delegare ad una persona competente e sensibile le relative funzioni immaginando, per questa via, di ritenere assolta la sua responsabilità e i suoi compiti e, nel contempo, di accontentare la richiesta delle parti sociali di un impegno concreto in direzione della diffusione della cultura e del rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza.
Il funzionamento degli organismi spesso è connesso, a seconda dei casi, a incentivazioni e sanzioni adeguate al raggiungimento dello scopo. Ora, il rapporto economico tra Stato e Regioni in materia di finanziamento del servizio sanitario dovrebbe essere ritarato, tenuto conto del fatto che non si può pensare soltanto a soddisfare un’esigenza di risanamento economico e di compatibilità delle risorse e delle spese ai fini del bilancio, perché occorre anche garantire, in prospettiva, una qualità dell’offerta sanitaria non solo come erogazione di servizi al cittadino utente e malato ma anche ad una popolazione che ha bisogno di prevenzione, e non soltanto nei luoghi di lavoro.
Approfitto di questo incontro, legato alla vostra scelta di venire a Palermo per ascoltare i soggetti direttamente impegnati sul campo, per segnalare questioni che difficilmente altri metterebbero in evidenza nel dibattito parlamentare. Mi riferisco in particolare alle questioni connesse alla bilateralità, alle incentivazioni e ai controlli, che sempre devono accompagnare i compiti operativi di chi deve far rispettare le norme vigenti affinché il Testo unico possa produrre concretamente i risultati voluti dal legislatore. In materia di bilateralità dobbiamo fare tesoro di esperienze utili e contemporaneamente capirne le difficoltà operative nel tentativo di fare un passo in avanti. Il Testo unico affronta alcuni aspetti relativi alla bilateralità creando dei meccanismi compensativi là dove il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o non è operante, perché del tutto assente, o non è in grado di operare correttamente, il che accade nelle piccole aziende.
Poiché il nostro tessuto industriale è fondato sulle piccole aziende, i compiti della bilateralità potrebbero assolvere all’esigenza fondamentale di diffusione della cultura della sicurezza e del rispetto della normativa vigente, ma esistono dei limiti. In qualche caso, in particolare nel settore dell’edilizia, i comitati paritetici territoriali, organismi finanziati dalle imprese e che in Sicilia, grazie ad una recente norma regionale, ricevono finanziamenti anche attraverso i risparmi realizzati nelle gare bandite dalla pubblica amministrazione, funzionano bene sia per l’impegno comune delle parti sociali, speso correttamente, sia per l’adeguato finanziamento che consente agli stessi di effettuare numerosi controlli e di svolgere una funzione di indirizzo per gli imprenditori nel rispetto della normativa.
Altri enti bilaterali, pur dedicati a settori frammentati e diffusi (artigianato), non sono ancora adeguati a svolgere correttamente le loro funzioni e da poco stiamo cercando di adeguarne la funzionalità sul modello dei CPT in edilizia. Il problema più rilevante che ci troviamo ad affrontare in questo caso è la notevole differenza nel finanziamento tra l’artigianato siciliano e quello di altre Regioni economicamente sviluppate come il Veneto e la Lombardia. Se in quelle Regioni questi organismi in breve tempo potranno dare un risultato apprezzabile, dubito che in una Regione come la Sicilia o in altre Regioni meridionali con situazioni simili a quella siciliana si possa riuscire a fare un buon lavoro sul modello dei CPT. Probabilmente dovremmo ragionare sull’esigenza di intrecciare il denaro pubblico dedicato al finanziamento di talune attività con la raccolta dei finanziamenti in ambito privato, che può realizzare la bilateralità attraverso la contrattazione. L’esempio degli ammortizzatori sociali, sia pure limitatamente al caso delle sospensioni brevi (30 giorni), dimostra che l’intreccio tra pubblico e privato, quando la bilateralità funziona, dà buoni risultati. Lo abbiamo visto in concreto là dove gli accordi bilaterali vengono sostenuti da un’adeguata quota di risorse per far fronte a questo tipo di situazioni. Occorre quindi affrontare il problema della costruzione delle strutture, del finanziamento delle attività ma anche della formazione continua di quanti vi operano. Mettere a sistema una parte delle funzioni dell’INAIL, una parte delle funzioni delle aziende sanitarie e lo stesso concetto di bilateralità credo possa dare più risultati di un’azione svolta separatamente e senza che i diversi attori operino in sinergia.
Contemporaneamente riscontro un limite nella polverizzazione degli accordi bilaterali, materia che non riguarda direttamente l’istituzione ma le parti sociali e che non è semplice affrontare solo per iniziativa di queste ultime. Infatti, se è vero che la bilateralità, dal lato della rappresentanza dei lavoratori, è fatta sempre dalle stesse organizzazioni, emanazione di CGIL, CISL e UIL, è anche vero che dal lato dei datori di lavoro, le organizzazioni sono diverse e spesso non comunicano tra loro e non sono facilmente aggregabili. È evidente però che un’eccessiva polverizzazione della bilateralità non aiuta a realizzare sinergie e un buon lavoro di servizio. Un’azione di coordinamento è possibile se, nel momento in cui si costruiscono normative di ampio spessore, al di là della questione relativa alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, si danno incentivi alle grandi parti sociali nazionali per un’azione di coordinamento fra gli enti bilaterali. Occorrerebbe provare, almeno sperimentalmente, con quelli che si occupano specificamente di salute e sicurezza.
Molto si è detto sulle incentivazioni e i controlli. Personalmente ritengo che il limite maggiore del Testo unico sia l’assenza di una relazione tra il rispetto delle norme vigenti da parte del datore di lavoro e la possibilità di incorrere in una minore responsabilità quando accadono fatti negativi. Esiste nel nostro ordinamento un’esimente quando l’impresa ha un modello organizzativo efficiente in grado di assicurare l’effettivo rispetto delle norme di legge, soprattutto quelle con rilevanza penale, in materia di sicurezza? È evidente che un’azienda rispettosa, concretamente e non formalmente, delle norme di legge in materia di salute e sicurezza ha creato le condizioni per un abbassamento effettivo dei rischi di infortunio, a partire da un corretto uso della migliore tecnologia impiegabile. Quando accade l’infortunio, che comunque non si può totalmente evitare con certezza assoluta nonostante l’azienda sia concretamente rispondente alle norme di legge, l’impresa non ha un trattamento diverso da quella totalmente o sostanzialmente inadempiente. Non è semplice distinguere tra chi è formalmente adempiente e chi è sostanzialmente adempiente; a volte chi è formalmente adempiente non lo è in maniera adeguata. Si pensi ad esempio alla vendita degli attestati di formazione, rilasciati fino a qualche tempo fa da presunti enti bilaterali ormai non più riconosciuti, viste le circolari ministeriali. Pertanto, aziende che hanno acquistato titoli di questo genere sono apparentemente adempienti ma non concretamente. Aziende effettivamente adempienti, anche quando non hanno le certificazioni perfette, dovrebbero essere poste nella condizione di avere una esimente, incentivo ben più rilevante di quelli economici. Infatti, se l’imprenditore è consapevole che nel caso di grave infortunio a un lavoratore della sua azienda, nel giudizio dato in campo penale sul suo comportamento, viene considerata come buona esimente l’aver fatto quanto le norme vigenti prevedevano affinché l’infortunio non si verificasse, può essere concretamente stimolato ad assumere comportamenti attivamente favorevoli al pieno rispetto delle normative. Ciò , probabilmente, aiuterebbe la funzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza che, lasciati da soli, non costituiscono una garanzia che l’imprenditore sia spinto al rispetto delle norme. Tali rappresentanti, se in azienda sono isolati, sono soggetti deboli. Tra l’altro non abbiamo nemmeno i dati di queste persone e non siamo in condizione di raggiungerle per costruire una rete virtuale di informazione che coinvolga tutti i rappresentanti della sicurezza presenti sul territorio. L’INAIL, che dispone di un elenco di questi soggetti, per effetto delle norme poste a tutela della privacy non fornisce a terzi tali nominativi.

PRESIDENTE
Su questo siamo intervenuti direttamente con una lettera ufficiale, finalizzata ad ottenere questi dati che non si possono certo tenere in cassaforte.

TESSITORE
Sono dati che servono e la ringraziamo per questo. È una questione di cui discutiamo da tempo anche nell’ambito del coordinamento regionale presso l’assessorato. Fino ad ora non avevamo individuato una possibile via d’uscita. Siamo quindi lieti di constatare che le istituzioni nazionali maggiormente titolate ci abbiano dato una mano.
L’ultima notazione riguarda i controlli. In Sicilia gli Ispettorati del lavoro, che ora hanno compiti soltanto in materia di edilizia, sono ridotti al minimo in termini di personale e di quantità di ispettori operanti. Da tanti anni le organizzazioni sindacali stanno conducendo una battaglia al fine di ottenere una riorganizzazione degli uffici ed un incremento dell’organico, anche se la Regione siciliana è arrivata a fare dichiarazioni paradossali e non è riuscita neppure a trasferire presso l’Ispettorato del lavoro quanti tra i suoi dipendenti sono stati formati per questo specifico scopo.
Per quanto riguarda invece le aziende sanitarie provinciali (le attuali ASP), proprio in ragione dei notevoli limiti dell’interlocuzione politica, non siamo ancora oggi in grado di avere cognizione di una struttura territorialmente articolata, preposta a svolgere controlli adeguati e con competenze idonee in tal senso. In ogni caso, la sperimentazione che è stata fatta presso le prefetture siciliane nel settore del coordinamento dei controlli per irregolarità sui luoghi di lavoro, ci porta a dire che, quando agiscono insieme gruppi eterogenei (INAIL, INPS, Ispettorato del lavoro e ASL), i limiti organizzativi di ciascuno vengono parzialmente compensati dal lavoro comune, per cui è sufficiente l’intervento di una sola persona per ciascuna delle istituzioni competenti perché si riescano a fare controlli anche presso aziende di una certa dimensione in termini di fatturato, nelle quali occorre dunque bloccare maggiormente i possibili «varchi» dell’impresa stessa.
In conclusione, riteniamo che potrebbe rappresentare certamente un deterrente rispetto ad un certo tipo di comportamenti creare organizzazioni stabili per il coordinamento tra i vari enti – e la normativa, se corretta, potrebbe aiutarci in questo senso – oltre ad individuare una strada per incrementare i controlli, pur non potendosi affidare le questioni principali al semplice controllo. Tutto questo, peraltro, potrebbe rendere ancora più importanti le incentivazioni, che funzionano quando il rischio c’è: se infatti il rischio non c’è, anche le migliori incentivazioni difficilmente sono in grado di produrre buoni risultati.

PRESIDENTE
Le questioni che avete esposto sono ovviamente importanti; si tratta, peraltro, di temi particolarmente caldi, per i quali diventa difficile riuscire a trovare nel dettaglio risposte adeguate. Il caso più eclatante è proprio quello al quale lei ha fatto riferimento e cioè che se in un’azienda in regola con la normativa antinfortunistica dovesse verificarsi comunque un infortunio la situazione dovrebbe essere trattata in modo parzialmente diverso; qui ci muoviamo, però, nel campo degli auspici e la cosa diventa difficile da realizzare.
Voi avete a disposizione un importante strumento rappresentato dal coordinamento regionale: è su questo che dovete lavorare, perché per il resto è difficile e complesso immaginare soluzioni adeguate e cogenti. Come sappiamo, la realtà imprenditoriale in Italia, e quindi anche qui in Sicilia, è fortemente caratterizzata da piccole e piccolissime aziende. Il problema non è solo quello degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), ma anche degli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali), che è ancor più complesso. Spesso, peraltro, se i sindacati non sono presenti con le loro antenne non si conosce neppure il ruolo svolto da questi soggetti, e questo accade anche in aziende con più di 15 dipendenti. Quindi, di fronte a questa complessità, è difficile definire una disciplina normativa, dal momento che non è omogeneo il palcoscenico che abbiamo davanti, che si caratterizza per insenature e rotture varie.
Per questo credo che uno degli strumenti migliori per intervenire sia rappresentato proprio dall’incalzante lavoro che deve essere fatto all’interno del coordinamento regionale. Personalmente insisto sempre molto sul punto, probabilmente anche perché ho contribuito a questa scelta di carattere legislativo, su cui abbiamo ragionato molto. Ricordo che quando in sede di Commissione furono espressi i pareri sul decreto legislativo n. 81 eravamo a Camere sciolte: abbiamo però lavorato per non far decadere questo provvedimento perché ogni volta si arrivava a fine legislatura senza riuscire a dare una risposta concreta in materia. Per questo non abbiamo voluto vanificare lo sforzo che si stava compiendo e, sia pure a Camere sciolte e nonostante le diverse posizioni e le diverse sensibilità politiche, abbiamo comunque garantito la nostra presenza e il nostro voto per l’approvazione di questo provvedimento. Ci siamo quindi adoperati per non far fallire questa operazione dell’allora ministro Damiano, che si era impegnato a portare a termine il discorso. Questa è la riprova del fatto che, politicamente parlando, non è certo questa la materia che ci divide.
Nel momento in cui si è riconosciuto in capo alle Regioni una potestà legislativa concorrente in materia di lavoro, sicurezza e salute, è su questo che dobbiamo puntare. Tuttavia, il fatto che, come ci è stato riferito, i politici deleghino più che altro i funzionari, esige la volontà di colmare questo tipo di lacuna. Posso anche capire che oggi non sia qui con noi il presidente della vostra organizzazione sindacale, che avrà avuto certamente altri impegni, come può accadere a chiunque; diverso è però il discorso quando mi si conferma che, proprio all’interno del coordinamento regionale, esiste la volontà di delegare un funzionario e quindi, in qualche modo, di eliminare quell’interlocuzione politica, che è quella che a voi più interessa.
Noi ci faremo certamente carico di questo problema e solleciteremo le istituzioni regionali ad assicurare un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti politici nell’affrontare questi temi, di cui pure si è tenuto conto nell’organizzazione e nella gestione: se è vero, infatti, che c’è completa e totale autonomia, esiste però anche un bon ton tra le istituzioni.
Vi ringraziamo per il vostro contributo.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni datoriali ed imprenditoriali

Intervengono: il presidente regionale della CIDEC, dottor Salvatore Bivona; il presidente regionale dell’ANCE Sicilia, geometra Salvatore Ferlito, accompagnato dal direttore Sicilia, dottor Giuseppe La Rosa e dal past president dell’ANCE Catania, dottor Andrea Vecchio; il presidente regionale di Confindustria, dottor Giuseppe Catanzaro; il presidente della Federazione regionale coltivatori diretti, dottor Alessandro Chiarelli; il presidente regionale della Confederazione italiana agricoltori, dottor Carmelo Guerrieri, accompagnato dalla dottoressa Angela Sciortino, direttore generale regionale; il vice presidente regionale API Industria CONFAPI, dottor Antonino Scarito, accompagnato dal segretario generale, dottor Benedetto Brandino; il presidente regionale Confartigianato Sicilia, dottor Filippo Ribisi; il vice presidente Confcooperative, dottor Domenico Sgarlato; per la CNA Sicilia, il dottor Maurizio Merlino.

PRESIDENTE
Diamo il benvenuto ai nostri ospiti, che ringraziamo per aver accolto il nostro invito ad essere presenti qui oggi per trattare argomenti legati alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Come ho già detto in apertura delle precedenti audizioni, la presenza della nostra Commissione a Palermo non è legata a particolari accadimenti, ma all’esigenza di acquisire direttamente sul territorio informazioni utili sul modo con il quale le varie Regioni italiane stanno dando attuazione al Testo unico per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, atteso che proprio le Regioni hanno un ruolo molto importante per quanto riguarda il coordinamento delle varie attività che devono essere realizzate in questo settore.
A ciò si aggiunge il fatto che una presenza sul territorio è necessaria per assicurare un confronto diretto con tutti quei soggetti che a livello regionale in qualche modo si interessano a questo tema, oltre che per assicurare una maggiore vicinanza tra istituzioni centrali e locali. Questo è essenzialmente il nostro obiettivo. Come Commissione d’inchiesta svolgiamo ogni anno una relazione intermedia – che ciascuno di voi, se lo desidera, potrà leggere direttamente sul sito del Senato – nella quale vengono indicate le disposizioni che abbiamo votato e dalla quale è possibile cogliere la sostanziale unità di intenti che su questo fronte c’è da parte di tutte le forze politiche: se è vero, infatti, che molti sono i temi su cui ci si divide, questo non è certamente uno di quelli.
Attraverso le missioni nelle varie Regioni abbiamo modo, poi, di capire meglio le problematiche che sappiamo esservi all’interno dello stesso Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, se non altro perché gli atti amministrativi secondari non sono stati ancora completamente attuati. Si tratta, del resto, di una normativa complessa e corposa, per cui vogliamo cercare di acquisire elementi utili al nostro lavoro, ove sarà possibile, tenendo presenti anche i pregiudizi che a volte possono esserci rispetto alle esemplificazioni, anche se noi siamo convinti che le esemplificazioni possano rappresentare in molti casi uno strumento importante.
In questa prospettiva è dunque nostra intenzione avviare un confronto con il territorio ed instaurare un dialogo con i soggetti interessati per capire che cosa possiamo fare. È un tema sul quale dobbiamo cercare di impegnarci tutti, ognuno a suo modo e come meglio ritiene, o come meglio può – perché anche questo bisogna mettere in conto –, tenendo presente che ci troviamo oggi di fronte ad una stabilizzazione sostanziale del dato riferito agli infortuni e alle morti sul lavoro. C’è per la verità un leggero decremento del numero degli infortuni sul lavoro, ma questo dato andrebbe letto in rapporto al numero di ore effettivamente lavorate. Tuttavia, ove anche risultasse qualche punto percentuale in meno questa non è comunque una risposta, considerato l’impegno che su tale fronte stanno ponendo in essere i diversi soggetti coinvolti, voi per primi. Forse, al di là di quello che stiamo facendo, c’è qualcosa che non va e questo è ciò che vogliamo capire e forse siamo sulla strada giusta. Quello che ci auguriamo, in ogni caso, è di riuscire a fornire elementi ulteriori nella relazione finale che andremo a stilare al termine della legislatura, per poter spiegare al Parlamento che, a nostro parere, c’è un certo problema che occorre risolvere.
Uno dei profili su cui stiamo maggiormente dibattendo in Commissione – ve lo anticipo, anche perché sarebbe inutile venire sul territorio e non parlare poi in maniera franca – riguarda l’opportunità o meno di prevedere, ai fini di una seria azione di contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, una competenza duale in materia tra Stato e Regioni: se sia giusto, cioè, che su questa materia vi sia una potestà legislativa concorrente. Noi ci stiamo convincendo che non è opportuno, perché probabilmente è proprio questo ad impedire una sinergia tra le varie istituzioni e tra i tanti soggetti coinvolti. Per questo stiamo valutando la possibilità di fare una proposta in senso contrario. A nessuno ovviamente sfugge il fatto che ciò comporterebbe una modifica a livello costituzionale e questo chiaramente non è facile: è stato facile far passare in Costituzione il pareggio di bilancio, ma in quel caso c’era un sostegno molto più forte.
A supporto di questo tipo di impostazione voglio comunque ricordare che nella stessa Germania, che è una Repubblica federale, la materia è di esclusiva competenza dello Stato. Si tratta, dunque, di fare in modo che da Bolzano a Palermo vi siano norme omogenee, in grado di dare certezza sul fatto che in questa materia ci si spinge verso la stessa meta; gli incidenti tra l’altro si ripetono, per cui anche avere una banca dati centralizzata potrebbe rivelarsi molto utile. C’è un dispiegamento di forze in campo, alcune delle quali fanno riferimento al Ministero, altre alla Regione, all’INAIL o all’INPS; abbiamo poi i Vigili del fuoco, che hanno una loro specifica struttura.
Ci sono cioè tanti soggetti che in qualche modo dovremmo mettere insieme se vogliamo arrivare ad un contrasto del fenomeno. Questo è l’orientamento. Dopo tutti questi anni di lavoro, di impegno e di conoscenza, ci sembra che questo argomento sia diventato di forte attualità e che quindi il Parlamento si debba pronunciare. Dopodiché, ognuno si assumerà le responsabilità delle proprie scelte. Forse, dicendo questo, ho chiarito in maniera più diretta il motivo della nostra presenza a Palermo.
Se ci sono fatti nuovi a vostra conoscenza, vi preghiamo di rendercene partecipi; noi siamo qui per ascoltarvi.

BIVONA
Sono il presidente della CIDEC, buongiorno a tutti e grazie per l’invito. Noi già da parecchio tempo abbiamo intrapreso la lotta contro le morti bianche, anche a livello nazionale, in tutte le nostre sedi. Ci siamo attrezzati per i corsi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e devo dire che c’è stata una sensibilizzazione da parte di tutte le nostre imprese che hanno accettato ben volentieri di potersi formare, nell’ottica di ridurre gli infortuni. Si è registrato un certo successo; infatti, dalle notizie che apprendiamo anche dall’INAIL, gli infortuni sul lavoro sono calati enormemente.

PRESIDENTE
Non sono calati enormemente.

BIVONA
Sul nostro territorio sì, a meno che non abbia dati relativi ad un periodo precedente.

PRESIDENTE
Secondo i dati INAIL, per quanto riguarda gli infortuni, abbiamo avuto nel complesso, dal 2006 al 2010, un leggero incremento dello 0,6 per cento. Per quanto riguarda invece gli infortuni mortali, si è registrato un significativo decremento nello stesso periodo del 17,4 per cento.

BIVONA
È abbastanza positivo.

PRESIDENTE
Sì, ma bisogna capire i numeri. È vero che chi muore è un numero assoluto, perché non c’è più appello, però analizzando i dati degli infortuni, che pure hanno risvolti sociali oltre che morali ed economici, partiamo dal 2006 con 34.000 e arriviamo al 2010 con 34.000. A questo mi riferivo quando prima ho detto che stiamo galleggiando; è anche una questione di approccio rispetto al fenomeno.
È chiaro che, in una Regione come questa, il verificarsi di un incidente drammatico fa alzare immediatamente la percentuale perché parliamo di numeri piccoli, fortunatamente.

BIVONA
Molte volte queste statistiche sono falsate dal tipo di morti accidentali. Del resto, in questa tipologia vengono inseriti anche gli infortuni sulle strade, ovvero quelli che avvengono durante il percorso casa-lavoro e viceversa.

MARAVENTANO
Sono sempre infortuni.

BIVONA
Certo, ma non sui cantieri. Questo volevo dire.
Con la nuova normativa di gennaio, che ha introdotto i corsi sulla sicurezza, classificandoli di basso, medio e alto rischio, abbiamo sensibilizzato sempre più gli organismi con cui siamo in contatto, tra cui anche l’osservatorio regionale del commercio di cui faccio parte. In tutti i corsi che facciamo sono inseriti i temi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, proprio per sensibilizzare commercianti e settore terziario anche rispetto a questa delicata branca della sicurezza. Riteniamo che la formazione debba essere estesa a tutti i lavoratori. Attualmente abbiamo il responsabile dei lavoratori per la sicurezza e quello aziendale, però stiamo sensibilizzando tutte le aziende affinché anche i dipendenti stessi possano avere una informazione-formazione sulle attività. Chiediamo altresì un tavolo di concertazione tra le associazioni, l’ASP, l’INAIL e il NAS, che possa individuare i punti critici.
Vorrei sottolineare, per quanto riguarda la crisi di settore nel comparto edilizio, che molto spesso le aziende a norma sono svantaggiate rispetto ad altre che non si adeguano. Alla luce di ciò , chiediamo un maggiore controllo dei cantieri di tutte le aziende perché in questo caso andiamo a sfiduciare, sulla base dei preventivi che si presentano, quelle grandi aziende che si adeguano alle norme. Non possiamo assolutamente abbassare la guardia, ma dobbiamo invitare gli organi di controllo, i NAS e i vigili urbani competenti, affinché vengano fatti controlli serrati, in particolare nelle aziende del comparto edilizio. Proprio stamattina, ho cercato di interpellare le imprese per capire se c’erano punti critici da segnalare. Ebbene, sono venuto a conoscenza del fatto che un’impresa, che aveva presentato un ribasso del 15 per cento sulla costruzione di una facciata, è stata superata dalla presentazione di un ribasso al 40 per cento. A conti fatti, ci si chiede quali sono le motivazioni che possano avvantaggiare un’azienda se non l’abbattimento dei costi, il che significa non adeguare i lavoratori alle norme di sicurezza.

PRESIDENTE
Il luogo dove confrontarsi c’è, ed è il Comitato di coordinamento regionale, dove sono presenti quattro rappresentanti dei datori di lavoro e quattro rappresentanti dei lavoratori. In Sicilia è stato costituito nel 2010, se non sbaglio; quindi, si tratta di coordinarvi tra di voi. L’incontro odierno serve anche per parlare di questi aspetti.

FERLITO
Come presidente dell’ANCE, desidero preliminarmente ringraziare la Commissione tutta dell’invito. Ha ragione lei, egregio Presidente, quando dice che non siamo sullo stesso binario; credo che serva una rivoluzione culturale. L’ANCE si è spesa ed impegnata tanto in questo senso; a livello nazionale ha diffuso una brochure – che lascio agli atti – proprio per indicare le responsabilità. Si tratta soprattutto di una questione di informazione e di educazione; al di là della sensibilità, serve ben altro.
L’ANCE ha un sistema bilaterale di comitati paritetici territoriali (CPT), organi preposti alla formazione sulla sicurezza.

PRESIDENTE
L’ANCE dovrebbe essere un modello.

FERLITO
Infatti lo è. C’è un CPT per ogni Provincia e ci sono tecnici incaricati – nella fattispecie le parlo di Catania perché è la mia realtà, ma conosco bene anche le altre – che vanno in giro per i cantieri. Addirittura, abbiamo un camper da utilizzare come ufficio mobile proprio per fare formazione.
Sia la legge regionale n. 7 del 2002 sia la più recente legge regionale n. 12 del 2011 prevedono convenzioni tra le varie stazioni appaltanti, quindi Comuni, Province, e i nostri CPT, che sarebbero di grande aiuto per fare scuola nei cantieri; tuttavia, questa previsione viene spesso disattesa. A tale riguardo, cogliamo l’occasione della presenza della Commissione perché con la vostra autorevolezza vogliate esercitare un’azione nei confronti delle amministrazioni regionali, affinché a loro volta esercitino una pressione sui Comuni, dal momento che molti stipulano convenzioni, aumentando il livello di interlocuzione quindi di conoscenza e sicurezza, ma molti altri purtroppo non lo fanno.
Vorrei segnalare un aspetto che può sembrare banale, Presidente, ma che nello stesso tempo inquadra tutta la problematica: la sicurezza dei lavoratori è un problema di costi. Quando il nostro prezziario regionale indica un 3 per cento onnicomprensivo, per assurdo per certe opere può essere anche molto, per altre è niente: per asfaltare una strada interpoderale in campagna è troppo; per asfaltare la Catania-Messina o la Messina-Palermo, dove bisogna prestare la massima attenzione, è chiaro che è niente. Voglio dire che bisogna fare i progetti per la sicurezza analizzandone i costi, esattamente come per la costruzione di un palazzo: un pilastro di 12 metri è ben diverso da un pilastro di 3 metri (l’incastellatura per garantire la sicurezza dei lavoratori costa due volte il pilastro). Ciò detto, gli imprenditori di cui parlava il collega prima fanno concorrenza sleale: ci sarebbero altri meccanismi, quale valutare l’offerta e quindi escluderla; chi affida il lavoro con un ribasso al 40 per cento – lo diciamo sempre – non sta facendo né gli interessi dell’amministrazione, perché il lavoro non si fa, né del cittadino.
Predichiamo da anni all’amministrazione regionale che bisogna attuare i progetti per la sicurezza facendo le analisi; non si può speculare perché la vita di un uomo non si può monetizzare.

PRESIDENTE
Sul tema degli appalti ci siamo impegnati molto – ecco perché prima invitavo a considerare le risoluzioni che votiamo – soprattutto nel contrastare il massimo ribasso, perché quello è il problema centrale che è emerso.
Abbiamo un confronto aperto con la Commissione europea perché questa, come sapete, ritiene che non si può mettere limite alla concorrenza (a volte non riesco a capire in che mondo viviamo). Ad ogni modo, ci stiamo impegnando con una serie di iniziative, tra cui un disegno di legge che delimiti e riduca questa esponenzialità al ribasso. Abbiamo avuto contezza anche di ribassi superiori al 40 per cento per la progettazione, che non è secondaria alla realizzazione: voi che siete del settore conoscete queste realtà meglio di me. Chiaramente, poi, dipende dal tipo di sensibilità che troviamo. Infatti, se riuscissimo ad avere non dico un’unica stazione appaltante in ogni Regione, perché è impossibile, ma almeno in ogni Provincia, sarebbe più facile evitare procedure di bando al massimo ribasso. Il discorso è sempre lo stesso e dipende da noi. Capisco i vantaggi o i presunti vantaggi del massimo ribasso, ma il problema resta.

FERLITO
Il massimo ribasso serve anche a fare un po’ di scrematura.

PRESIDENTE
A parte questo discorso, forse serve alle stesse amministrazioni le quali ritengono che quei risparmi possono essere utilizzati diversamente. Comunque occorrerebbe evitarlo e se tutti insieme voi, noi e coloro che avvertono il problema, puntiamo sulle stazioni appaltanti appare più semplice convincere una sola stazione appaltante piuttosto che 100 per ogni Comune presente nella Provincia.

CATANZARO
Sono il vicepresidente della Confindustria Sicilia. Il presidente Montante la ringrazia per l’invito ricevuto e si scusa per non poter essere presente a causa di impegni pregressi. Attraverso la mia persona ringrazia i commissari la cui presenza sul territorio rappresenta un’occasione per offrire un contributo di idee affinché nel dibattito in corso possano essere valutate le nostre posizioni e considerazioni. Per comodità di esposizione abbiamo già inviato all’attenzione della Commissione una documentazione dettagliata degli argomenti che tratterò in sintesi.
Come già emerso nell’intervento degli altri rappresentanti, il problema principale è la leva competitiva che si aggancia alla dimensione culturale. Come è stato fatto notare, se un imprenditore che produce agende sostiene un costo, ad esempio, di 6 euro per la tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro mentre un suo competitor spende a tal fine solo 2 euro è evidente che il disvalore diventa un fenomeno di cui preoccuparsi. Per quanto ci riguarda siamo positivamente orientati nel ritenere utile sapere, anche in relazione al pregresso, che la materia è disciplinata in modo univoco in tutto il Paese e non in diverso modo a seconda delle periferie.
Venendo ai dettagli, come diceva il collega Ferlito, il problema è culturale. Grazie alla presidenza Marcegaglia abbiamo creato una sezione che si occupa delle tematiche legate alla tutela dei lavoratori e alla sicurezza dei luoghi di lavoro. Il progetto, il cui acronimo è SIS (Sviluppo Imprese e Sicurezza), ha già conosciuto 23 occasioni utili di incontro nel Paese tra la comunità degli imprenditori e le altre parti sociali. Tre di quegli incontri si sono tenuti in Sicilia, a Palermo, Messina e Siracusa. Con Confindustria Sicilia ci siamo sforzati di far emergere nelle tre diverse aree profili localistici: a Messina, la tematica connessa alle attività portuali; a Palermo, il terziario avanzato; a Siracusa, l’area dell’indotto del petrolchimico.
Da questi incontri è emerso che le tematiche della sicurezza cambiano in relazione al mutare del mercato di riferimento, dei relativi sbocchi e della dimensione dell’azienda. Le aziende fornitrici dell’indotto del petrolchimico hanno tutte un upstanding medio-elevato perché a monte il committente cerca di alzare il livello di guardia. Il prodotto finito, pertanto, riflette questa attenzione. Le piccole realtà aziendali, che fiera per fiera scoprono che un’azienda che produce in Romania o in Bulgaria è sempre più competitiva, hanno un diverso approccio a questi fenomeni. Il tema che la Commissione potrebbe affrontare è vedere come sia possibile, in un sistema unitario caratterizzato da una moneta unica come l’Europa, non considerare un unicum le regole per la produzione comunitaria, perché in questo modo a qualcuno viene offerta una maggiore competitività per via legislativa.
Nell’ambito del progetto SIS abbiamo notato che esiste una significativa esperienza nell’indotto dell’edilizia pubblica, chiamato nel tempo ad innovare in quanto fornitore primario della mano pubblica. Attraverso il DURC (documento unico di regolarità contributiva), noto a tutti voi, abbiamo concluso un accordo tra parti sociali (commercianti, imprenditori) su base volontaria in un’area specifica – di cui le faremo avere la relativa documentazione – finalizzato a rendere un valore la regolarità contributiva. In quel contesto, su base volontaria, alcuni sindaci si sono impegnati a regolamentare i procedimenti autorizzatori assegnando una corsia preferenziale alle aziende che, seppure non obbligate, allegano all’istanza finalizzata al rilascio di un permesso o di una autorizzazione, il documento unico di regolarità contributiva. Questo per associare un’esigenza etica, l’attenzione alla salute e alla vita dei lavoratori, ad un valore correlato.
Mi riservo di farvi avere la relativa documentazione. Se nel corso dell’esame riterrete opportuno avere a disposizione ulteriori elementi integrativi, saremo a vostra disposizione.

CHIARELLI
Sono il presidente regionale della Coldiretti e quindi rappresento gli interessi agricoli e quelli relativi alla trasformazione. Per quanto riguarda il mondo agricolo, ci stiamo impegnando con forza a migliorare l’informazione in maniera capillare. Partiamo infatti da una situazione disastrosa, soprattutto per quanto riguarda l’adeguamento delle infrastrutture e dei mezzi d’opera. È evidente che nel nostro settore la sicurezza si rapporta all’utilizzo di macchinari e mezzi d’opera e, pur trovandoci di fronte ad uno scenario obsoleto, in questo momento di congiuntura economica tremendamente negativa è molto difficile riuscire ad adeguare il parco macchine agricole. Misure adottate dalla Regione attraverso i PSR (Piani di sviluppo rurale) risultano comunque inadeguate allo stato di necessità. Infatti, mettere a norma un mezzo agricolo non in regola rappresenta un pannicello caldo perché in realtà andrebbe sostituito. Abbiamo mezzi d’opera targati addirittura 1957, 1960 o 1964. Inoltre, poiché non ci devono interessare solo i casi di morte ma tutto ciò che incide sul benessere della vita dell’individuo, sottolineo che le casistiche contenute nei report rilevano spesso disfunzioni alla colonna vertebrale legate alla totale inadeguatezza di questi mezzi. Nel divulgare l’obbligatorietà di queste normative, da noi condivise, abbiamo difficoltà ad individuare risorse che permettano all’azienda di potersi adeguare per operare con sicurezza. Questo è un aspetto.
L’altro aspetto da affrontare è l’estensione delle ore lavorative. Signor Presidente, in un momento di grande crisi economica, congiunturale ma anche strutturale del mondo agricolo, abbiamo l’ulteriore difficoltà di dover fare i conti con un’economia che non considera più l’ora lavoro. Il nostro imprenditore ha allungato la giornata lavorativa. Si tratta spesso di imprese a carattere familiare, con pochi dipendenti o persone che collaborano all’impresa le quali, paradossalmente, stanno dilatando le ore lavorative fino ad arrivare alle vecchie 12-14 ore giornaliere. Quello che era già un nonsenso nel lavoro manuale diventa estremamente pericoloso quando poi si traduce in lavoro notturno, effettuato in parte con mezzi d’opera magari obsoleti. Tutto questo è fuori controllo. A mio avviso va valutata la possibilità di ammodernare le infrastrutture in senso lato, altrimenti non si può procedere. Nel contempo, però , va considerata la difficoltà del comparto che ci porta a modificare l’allungamento della giornata lavorativa. Su questo avremo sempre più difficoltà a gestire la sicurezza e a garantire le normative esistenti. Questo secondo aspetto è per me fondamentale perché ne va della dignità e dell’etica del lavoro.
Occorre poi considerare la possibilità di effettuare degli audit con le ASL e gli organi che si occupano della repressione, perché nel nostro caso si tratta di una materia completamente nuova. A Palermo abbiamo riscontrato un atteggiamento di notevole disponibilità da parte dei dirigenti del
settore, venuti in azienda a simulare un accesso. È stata un’esperienza estremamente utile perché spesso quando si parla di imprenditore agricolo si va da un livello molto basso di scolarizzazione ad uno elevatissimo, dal momento che in questa forbice è ricompreso l’agronomo, il tecnico agrario ma anche colui che per età o volontà ha un livello di scolarizzazione molto basso. Pertanto, toccare con mano questa realtà, al di là del momento d’incontro negli uffici o nelle aule, è molto importante. In alcuni casi abbiamo trovato ASL collaborative nell’effettuare esperimenti di questo genere mentre altre si mostrano più chiuse. Una normativa nazionale che vada in tale direzione, e che noi peroriamo, potrebbe essere utile per consentire un confronto dei primi accessi affinché non siano di sanzione ma di verifica in modo da consentire un successivo adeguamento. Questo è quanto ritenevo importante rappresentare alla Commissione.

PRESIDENTE
Vorrei sappiate che questa Commissione si sta occupando molto dell’agricoltura, in particolare del problema delle macchine agricole. Al riguardo abbiamo svolto diverse audizioni con rappresentanti del Ministero dei trasporti e costruttori di macchine agricole, al fine di capire – e questo è un compito della politica che non va concepita come una realtà astratta perché, a volte, è molto concreta – come intervenire in un settore fortemente deregolamentato. Bisogna assolutamente porre mano al problema in quanto, al di là delle strade pubbliche, l’utilizzo nelle proprietà private delle macchine agricole – dalle più vecchie, con più di cinquant’anni, a quelle modernissime e non meno pericolose per chi non ne conosce la complessità di gestione – non è soggetto ad alcuna regolamentazione. Non c’è un punto di riferimento per le revisioni né per il rilascio di un patentino. Su questo, in qualità di associazioni del settore, vi chiediamo un aiuto perché la politica, nel prendere decisioni di una certa portata, può incontrare degli ostacoli. Tuttavia se trova una sponda nelle associazioni può intervenire più facilmente.

CHIARELLI
La ringrazio per queste sue parole. Le faremo avere un documento integrativo nel quale faremo il punto della situazione e indicheremo le prospettive. Tuttavia mi preme sottolineare che pur in presenza del miglior parco macchine del mondo, adeguato alle esigenze moderne, non si esce dal problema se non si individuano parametri per limitare l’abuso dell’uso. Non si può continuare a lavorare recuperando solo sulle ore di lavoro dell’impresa, perché anche se il macchinario è adeguato il lavoratore alla sedicesima ora accuserà il colpo di sonno. Se si lavora per sedici ore, il colpo di sonno può esserci, così come se, dopo aver fatto il turno di notte, sono costretto a lavorare anche durante il giorno.
È necessario quindi andare a verificare anche questo tipo di situazioni in agricoltura, perché il rischio è di avere mezzi a norma, ma non una riduzione del numero degli infortuni.

GUERRIERI
Buongiorno a tutti, sono il presidente regionale della CIA. Non ripeterò quanto è già stato detto dal collega Chiarelli, alle cui considerazioni mi associo. Continuando sulla stessa linea, vorrei dire che, di fronte alla situazione drammatica in cui ci troviamo, con infortuni spesso anche gravi, non è possibile in alcun modo chiudere gli occhi su quegli eventi che, a nostro avviso, potrebbero determinare anche un peggioramento della situazione.
In particolare, isolare la problematica delle spese per la salute e per la sicurezza sui luoghi di lavoro da un contesto economico-produttivo comunitario e, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura, anche intra-comunitario, significa scaricare sulle sole aziende quei costi che pure esse moralmente dovrebbero sostenere, anche se spesso diventa quasi impossibile farlo. Accade così che, in un contesto in cui all’agricoltura si guarda in alcuni casi con un’accezione eccessivamente positiva, come ad un settore ricco e poco tassato, in altri casi, al contrario, come ad un settore marginale e di poca attrazione, non si riesce a cogliere quella che è la reale portata che questo tipo di attività riveste in alcune Regioni, come ad esempio in Sicilia, dove l’agricoltura continua ad essere il perno dell’economia, per non parlare poi del fatto che potrebbe anche essere uno di quei fattori capaci di determinare il riscatto della Sicilia in una logica di moderno sviluppo ecosostenibile, ma questo è un altro discorso.
Non bisogna, tuttavia, dimenticare il confronto che avviene sul mercato sulla base del prezzo più basso, e non solo, e che si traduce nella concorrenza tra imprenditori, dai Paesi dell’Est al Nord Africa. Come fa un’azienda che deve competere sul mercato internazionale ad avere regole diverse? Questo vale per l’agricoltura, così come per altri settori. Nella situazione di grande crisi che oggi stiamo vivendo il rischio è che il numero degli incidenti sul lavoro si riduca drammaticamente, o per il fatto che le aziende chiudono, e allora, essendoci meno lavoratori, ci sono anche meno infortuni; oppure – questa è un’altra ipotesi – per il fatto che aumentano le aziende che operano in nero, con un conseguente incremento del rischio di infortuni sul lavoro. Questo è il punto cui è arrivata oggi la situazione economica.
Condividendo dunque le considerazioni svolte dal collega Chiarelli, vorrei lanciare un allarme alle istituzioni, in questo caso al Senato della Repubblica: non affrontare la questione dello stato di salute dell’economia, o comunque negarla, significa rischiare di non affrontare questo tipo di problematiche. Magari ognuno di noi considera il tema importante e si sente anche moralmente impegnato a fare il massimo e a concludere, ad esempio, accordi con l’INAIL o a concordare azioni con le ASP, con i medici della medicina del lavoro, facendo perno anche sulla volontà delle stesse aziende di essere totalmente coperte. Vi è però un momento – e questo è quello che si sta vivendo, e penso non soltanto in Sicilia, né solo nel settore dell’agricoltura – in cui si è ad un bivio, ed allora bisogna pensare a come agire, oltre che a come rafforzare l’azione di persuasione culturale, anche attraverso un sistema di controlli non repressivi, ma informativi e collaborativi.
C’è per la verità un problema di fondo, se si considera che davanti a questa situazione sarebbe necessario un ammodernamento delle aziende: su 220.000 aziende classificate in Sicilia come aziende agricole, 110.000 – quindi la maggior parte – sono quelle oggi attive. L’ammodernamento del parco macchine richiede però cifre enormi. Qualcuno fa riferimento ai contributi comunitari che, voglio ricordarlo, al netto dell’IVA, sono però al 15 per cento. Ritengo che le istituzioni debbano cominciare ad affrontare tale questione, cercando di individuare soluzioni che non siano soltanto repressive o di mero richiamo all’impegno morale degli imprenditori, ma che possano invece incentivare l’abbattimento dei costi per gli adeguamenti strutturali. Non abbiamo soluzioni a questo problema; tuttavia, se di fronte alla crisi che dura ormai da tempo – se il 2012 sarà drammatico, il 2013 forse sarà ancora peggio – non cominciamo a dare un input alle imprese e a far capire che non si tratta soltanto del rispetto di regole rigide, la scelta per le aziende non può che essere tra la chiusura o l’illegalità totale.
Lo ripeto, non abbiamo soluzioni, ma poniamo qui il problema perché a nostro avviso bisogna averlo ben chiaro.

PRESIDENTE
Neppure io ho la soluzione, ma la ringrazio per il suo contributo.

SCARITO
Buongiorno a tutti voi. Sono il vice presidente della Confapi Sicilia, che raggruppa le piccole e medie imprese, per la maggior parte del settore metalmeccanico e dell’edilizia.
Come avranno fatto certamente le altre organizzazioni, abbiamo provveduto anche noi a diffondere fra i nostri associati la cultura della sicurezza, una cultura che è peraltro perfettamente condivisa dai nostri iscritti, la maggior parte dei quali, oltre ad essere imprenditore, è anche lavoratore, per cui non si tratta di salvaguardare solo la sicurezza dei propri dipendenti, ma anche quella propria. Viviamo tuttavia in un contesto, come quello attuale, in cui alla cultura bisogna associare qualche altra cosa, vale a dire la disponibilità, il lavoro e tanti altri aspetti che permettono di andare avanti.
La situazione che oggi viviamo è veramente drammatica: come ha detto prima qualcuno, o le aziende decidono di chiudere oppure devono continuare in questa maniera, perché manca ogni tipo di sostegno. Molte aziende pur sapendo quello che devono fare non hanno la possibilità di realizzarlo, perché la cultura è una cosa, l’adeguamento è un’altra. Per adeguarsi bisogna ristrutturare gli immobili, ammodernare i macchinari; bisogna cioè spendere soldi, che nessuno oggi mette a disposizione. Nonostante qualche contributo da parte dell’INAIL o gli incentivi previsti da qualche disposizione di legge, di fatto non si riescono a coprire i costi per l’ammodernamento. Oggi l’imprenditore non è in grado di andare in banca e dire che deve cambiare il parco macchine o attrezzare l’officina di un impianto di aerazione. Ma se non c’è soluzione a questo, come faranno mai gli imprenditori ad adeguarsi? Non ci sono alternative.
Quello che dicevano i colleghi è quello che sappiamo tutti: non è che l’imprenditore non voglia garantire certi standard, semplicemente non ha la possibilità di farlo materialmente. Quindi, o troviamo dei sistemi che permettano di fare questo tipo di investimenti a condizioni particolari, oppure non arriveremo mai ad avere sicurezza sul lavoro.

RIBISI
Buongiorno, signor Presidente. Sono il presidente regionale di Confartigianato e qui in rappresentanza anche di Rete Imprese Italia.
Condivido quanto detto dai colleghi che mi hanno preceduto perché, anche se rappresentiamo settori diversi, le problematiche molto spesso sono abbastanza simili; vorrei sottolineare però un’altra questione. Uno dei temi legati alla sicurezza sul lavoro in Sicilia riguarda il mondo delle cosiddette «imprese non imprese»; mi spiego meglio. Il problema va ricercato molto spesso anche nel lavoro nero; e quando parlo di lavoro nero mi riferisco a lavoratori e ad imprese totalmente in nero. Si tratta di un fenomeno che in Sicilia è molto diffuso, per diversi motivi; pertanto, accanto ad imprese che scelgono di lavorare in nero ce ne sono anche molte che decidono di cancellarsi dalla Camera di commercio e lavorare poi in nero. Proprio quello delle aziende in nero è un settore in cui il fenomeno degli infortuni è molto diffuso: come penso risulterà anche dai dati in possesso della Commissione, molti incidenti avvengono proprio dove ci sono lavoratori in nero, dove cioè è più difficile fare una politica per la sicurezza.
Presso le nostre imprese noi stiamo promuovendo la sicurezza su lavoro e questo, debbo dire, sta dando parecchi risultati. Come Confartigianato abbiamo predisposto dei codici etici che impegnano le nostre imprese ad adottare misure per la sicurezza sul lavoro, ma ciò riguarda essenzialmente quel mondo imprenditoriale che noi riusciamo in qualche modo a controllare. Il problema è capire che cosa accade in quelle imprese che nessuno riesce a controllare, e qui torniamo alla questione del lavoro nero. Il danno che si determina nel caso di aziende totalmente in nero è duplice: il danno maggiore è rappresentato sicuramente dagli incidenti sul lavoro, al quale va ad affiancarsi poi quello alla concorrenza alle imprese sane, che talvolta sono anche costrette ad abbassare i prezzi – non è certo mia intenzione giustificarle – o magari ad assumere qualche lavoratore in nero, con un evidente danno sociale, che ricade in questo caso sull’intera collettività. Penso che bisognerebbe dunque riservare un’attenzione particolare a questo mondo e a questa ulteriore distorsione del mercato, perché poi sappiamo in mano a chi vanno e da chi vengono gestite, controllate o coperte queste imprese. L’INAIL ha fatto un controllo serio in questa direzione.
Per quanto ci riguarda, siamo convinti che la proposta di istituire un’autorità nazionale che controlli il rispetto della normativa sulla sicurezza sul lavoro sia da condividere, sia perché si può arrivare in questo modo ad istituire una banca dati unica, sia perché i vari controlli da parte di diversi enti, istituzioni ed ispettori non fanno altro che appesantire le imprese che lavorano seriamente, aggravandone i costi e, se mi si consente, anche esasperandole un po’. Pertanto, ove vi fosse un’unica autorità che sa già tutto e che controlla tutto, questo potrebbe essere un passo in avanti verso una sicurezza reale più che verso una sicurezza burocratica.
Mi fermo qui, perché è inutile che io ripeta quanto è già stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto.

SGARLATO
Sono il vice presidente della Confcooperative provinciale di Palermo e rappresento qui oggi il mondo delle cooperative in Sicilia, a nome del quale ringrazio la Commissione per la sensibilità che ha avuto nel volerci incontrare sul nostro territorio.
Anche noi ci siamo posti naturalmente il problema della sicurezza, di cui discutiamo negli incontri che periodicamente abbiamo a livello provinciale, cercando di sensibilizzare sul tema tutto il mondo delle cooperative, da quelle del settore agricolo, a quelle edili, della pesca e dei servizi, in modo da rendere più efficace la prevenzione contro gli infortuni. Tengo a precisare che ci siamo limitati finora soltanto ad incontri provinciali, ma in questo ambito abbiamo comunque sensibilizzato le cooperative all’utilizzo dei fondi destinati alla sicurezza sul lavoro e molti sono i progetti che si sono portati avanti.
Quello che vi chiediamo in questa sede è di prevedere un incremento dei fondi destinati alla formazione in materia di sicurezza sul lavoro, nonché al rinnovo delle attrezzature e dei mezzi di cui le imprese necessitano. Altra questione importante – qualcuno vi ha fatto cenno e vorrei focalizzarla – è rendere obbligatorie, specialmente nelle gare di appalto o negli affidamenti dei servizi, le spese incomprimibili per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
Sono obbligatorie.

SGARLATO
Sì ma dobbiamo sensibilizzare tutte le stazioni appaltanti, perché spesso così non è; quindi dobbiamo dare un impulso affinché l’organismo di cui lei parlava, il Comitato di coordinamento regionale, formato da quattro rappresentanti dei lavoratori e da quattro rappresentanti delle aziende, funzioni e operi meglio. Occorre sensibilizzarlo anche per cercare di effettuare controlli nelle aziende, facendo in modo che diventi un organismo unico e che possa attuare una prevenzione efficace. Da quanto ho potuto notare e dai dati che lei ci ha fornito, Presidente, mi pare che gli infortuni siano in aumento dello 0,6 per cento.

PRESIDENTE
È la media degli ultimi cinque anni, dal 2006 al 2010. I dati del 2011 non sono ancora disponibili perché l’INAIL li certifica a luglio, però , da indiscrezioni, sembra che dovrebbero essere positivi per la Sicilia: il numero degli infortuni dovrebbe scendere da 34.000 a 32.000 e a 56 quello degli incidenti mortali, a fronte di 71 nel 2010. Tuttavia, bisogna tenere conto delle ore lavorate e della crisi in corso: ecco perché non enfatizzo questi numeri; lo farei se fossimo in una situazione normale, ma nell’attuale sarebbe ipocrita enfatizzare un dato simile. Basti pensare che la cassa integrazione nei primi tre mesi del 2012 si è impennata in modo vertiginoso: a marzo coinvolge più di 450.000 lavoratori.
Non rispondo alle considerazioni che avete fatto non perché non voglia ma perché non ho argomenti per poterlo fare, perché c’è una crisi in corso. Apprezzo comunque la riflessione e l’impegno dimostrato per uscirne; dobbiamo studiare la situazione anche in prospettiva, non possiamo solo additarci l’un l’altro, sarebbe terribile. Speriamo che l’attività della Commissione, per le alte competenze che ha, sia funzionale a questo scopo.

SGARLATO
Una proposta concreta sarebbe utilizzare le tecnologie per informare tutte le aziende in merito alla prevenzione e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Penso sia compito dell’INAIL.

PRESIDENTE
Sarebbe compito delle associazioni. L’INAIL vi fornisce i dati, ma non è quello il punto. Le associazioni debbono svolgere un ruolo forse anche di supplenza in un momento di difficoltà come quello che stiamo vivendo. Quindi, più che il dato, è l’azione che conta.
Io seguo con attenzione l’ANCE per quello che fa; è un punto di riferimento, però non per questo non si verificano più infortuni nell’edilizia. Si tratta di continuare su questa strada, anche in un momento estremamente difficile come quello attuale. Il problema del trattore esiste, però incominciamo col prevedere qualche piccola regola sulla gestione dei trattori, che non costa niente; incominciamo a fare qualche modifica ai trattori ai fini della sicurezza – in base agli studi che l’ISPESL ha fatto ci sono già target precisi che costano 1.000-2.000 euro – per evitare magari una situazione di rischio. Incominciamo ad agire concretamente, perché altrimenti è un mondo che rimane così: si sono verificati 150-160 incidenti mortali essenzialmente per ribaltamento del mezzo.

GURRIERI
Non volevo assolutamente dare la sensazione di un rifiuto o rigetto. Volevo semplicemente dire che complessivamente la problematica ha una sua dimensione, che pure in questi anni è stata affrontata con risultati più o meno adeguati; il problema però cresce davanti ad un certo tipo di difficoltà e allo stringersi delle problematiche. Ci sono centinaia, migliaia di piccoli trattori illegali; quelli che fanno la raccolta delle olive, delle carrube, delle mandorle sono tutti illegali.

PRESIDENTE
Se entriamo nell’ottica che la crisi può giustificare ogni cosa è meglio lasciare stare.

GURRIERI
Questo no, però non possiamo pensare che tutto prosegua come prima della crisi; le condizioni sono ben diverse.

PRESIDENTE
Ma anche prima della crisi non si è fatto nulla. Questa crisi ci sta colpendo ormai da tre anni e mezzo, ma stiamo parlando di macchine che hanno sessant’anni!

GURRIERI
In questo modo rischiamo di ridurla; è come dire che su 200.000 aziende tutte sono illegali o illegittime laddove in Sicilia c’è un importante processo avviato e sviluppato; ci sono 10 milioni di giornate di lavoro...

PRESIDENTE
Mi faccia parlare; non le sto dicendo che ci sono 200.000 aziende fuori dal mercato. Sto dicendo che è vero che c’è la crisi ma, nella forma in cui la stiamo vivendo, ci sta colpendo da tre anni. È vero pure che abbiamo trattori che hanno più di cinquant’anni e che nessuno ha toccato quando non c’era questa crisi. Allora, voglio dire che è anche una questione di mentalità. Prevedere un patentino per portare un trattore credo c’entri poco con la crisi; stabilire che dopo i 75 anni di età non si porta più il trattore non c’entra più con la crisi; stabilire che un ragazzino di 13 anni non può portare il trattore non ha niente a che fare con la crisi. Vi prego cortesemente di non ascrivere tutto alla crisi, altrimenti non cogliamo le radici del problema. Che poi c’è la crisi è un altro discorso.

FERLITO
Signor Presidente, dovremmo smetterla anche noi, da buoni siciliani, di approfittare di ogni occasione per fare richieste. Non è questo il problema vero. Oltre a fare questo mestiere ho una piccolissima azienda, che porto avanti con tanti sacrifici. Dobbiamo smetterla di piangerci addosso se vogliamo ottenere risultati; il trattore conterà l’uno, il due o il tre per cento. Il problema è la politica agricola; dove vendiamo i prodotti: complessivamente siamo tagliati fuori, e questo ormai da anni, al di là del trattore.

GURRIERI
Se dobbiamo aprire un sondaggio sulla situazione c’è tanto da dire nel merito.

FERLITO
Il problema non è del trattore ma è molto più profondo; questo volevo significare.

GURRIERI
Conosco il mondo agricolo abbastanza bene. PRESIDENTE. Il nostro problema a volte è uno solo: immaginiamo di conoscere tutto ma non è così. Se dovessimo parlare di agricoltura avremmo bisogno di un seminario di almeno un anno. Dobbiamo incominciare ad accollarci un problema serio: abbiamo ammazzato, massacrato, marginalizzato l’agricoltura, e mi assumo tutte le responsabilità.
Condivido quanto lei dice, dottor Gurrieri, ma questo non può giustificare che non si faccia nulla o che ci si appiattisca; sarebbe drammatico: dobbiamo fare ciò che è possibile.

GURRIERI
Vorremmo evitare che ci possa essere un peggioramento.

VECCHIO
Buongiorno a tutti, intervengo come past president dell’ANCE Catania e accompagno il geometra Ferlito. Il problema molto serio è quello delle istituzioni, dei controlli latenti.
Con la regionalizzazione il legislatore ha introdotto tutta una serie di duplicazioni di strutture e istituzioni che si sono rivelate molto dannose per tutto il sistema. Allora, sull’onda di quanto diceva lei prima, Presidente, ovvero di riportare la competenza in materia di infortuni sul lavoro al Governo centrale, le chiediamo anche di cercare di raggruppare tante funzioni che sono state delegate alle Regioni, che non sono altro che duplicazioni di compiti. Le amministrazioni locali funzionano malissimo e la burocrazia è alla base di tutti i mali dei quali abbiamo parlato oggi.

PRESIDENTE
Nel ringraziare tutti gli intervenuti, vorrei dirvi di non ritenere esaustivo l’incontro odierno ma di considerarlo l’inizio di una collaborazione. Per qualsiasi motivo, la nostra Commissione è a vostra disposizione.
Dichiaro concluse le odierne audizioni.