Cassazione Penale, Sez. 6, 08 maggio 2013, n. 19760 - Reato di maltrattamenti in una grande azienda: rapporto para-familiare?


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANTONIO AGRO' - Presidente
Dott. ARTURO CORTESE - Consigliere
Dott. CARLO CITTERIO - Rel. Consigliere
Dott. ANNA PETRUZZELLIS - Consigliere
Dott. ERCOLE APRILE - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA



sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO
nei confronti di:


avverso la sentenza n. 2620/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del 04/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. .... che ha concluso per il rigetto dei ricorsi
Udito per la parte civile l'avv. ... per l'accoglimento del ricorso della parte civile;
Uditi i difensori avv. ... per il rigetto.



Fatto

 


1. ... dirigente di ... spa in servizio presso la sede di Palermo, era imputato di maltrattamenti in danno della dipendente ... in relazione a condotte consistite tra l'altro nell'immotivata estromissione da un gruppo di lavoro, nel provocare senso di mortificazione e stress emotivo con atteggiamenti astiosi, nell'adibire a mansioni e compiti non adeguati a titoli e competenze, nell'impedimento di avanzamento a qualifica superiore.
E' stato assolto in primo e secondo grado (GUP Palermo 4.2.2010; Corte d'appello di Palermo 4.5-29.8.2011) perché il fatto non sussiste.

2. Avverso la sentenza d'appello ricorrono sia la parte pubblica (per dichiarata sollecitazione della persona offesa) che la parte civile.


2.1 Il pubblico ministero enuncia unico motivo di mancanza e "illogicità" della motivazione nonché violazione ed erronea applicazione dell'art. 572 c.p., eccependo che il Giudice d'appello si è limitato a considerazioni giuridiche preliminari, ritenute di fatto assorbenti per la decisione, avendo giudicato non configurabile il reato in ragione delle dimensioni dell'azienda (sia pure sede solo territoriale), incompatibili, con le nozioni di 'famiglia' e convivenza e con le pertinenti relazioni che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, senza tuttavia essersi confrontato con le peculiarità del caso concreto.


2.2 La parte civile enuncia unico articolato motivo di violazione ed erronea applicazione degli artt. 81, 572 c.p. e 125 c.p.p. nonché vizi alternativi della motivazione.
Lamenta che la Corte distrettuale si sia 'estraniata' dalla vicenda specifica della ... nonostante con argomentazione contraddittoria abbia associato alle dimensioni della azienda (dall'organizzazione complessa ed articolata) le modalità della concreta quotidiana convivenza, e per più anni, in un medesimo open space (p. 3 ric.), quale anche descritta "dalla documentazione allegata ai motivi dì gravame" e dall'interrogatorio del medesimo imputato, concludendo solo assertivamente che il pur quotidiano rapporto tra dirigente e sottoposto nelle imprese di una certa dimensione non sarebbe di tipo familiare, così trascurando gli aspetti del lavoro quotidiano nel medesimo ambiente, della frequentazione di comuni riunioni conviviali e di lavoro, della conoscenza dettagliata di particolari delle rispettive vite familiari. In definitiva, sarebbe mancata alcuna risposta ai motivi d'appello di cui pur la sentenza aveva dato conto.
Ulteriore errore della Corte distrettuale sarebbe consistito nell'essersi fermata, in via preliminare, alla ritenuta impossibile sussunzione delle condotte nella fattispecie incriminatrice per cui si procedeva, tuttavia finendo con il confermare una formula assolutoria (insussistenza del fatto) pregiudizievole per ogni seguito di natura civile, invece di adottarne altra (il fatto non costituisce reato, il fatto non è previsto dalla legge come reato) che avrebbe consentito utile pronuncia in sede civile: ciò, pur a fronte di motivi che avevano contestato specificamente l'insussistenza della condotta attribuita al erroneamente ritenuta dal GUP.
Secondo la ricorrente, "il rigoroso vaglio di tutto il materiale acquisito avrebbe dimostrato, senza ombra di dubbio, l'esistenza del cd 'consorzio familiare'" e, comunque, la sussistenza materiale delle condotte, la cui eventuale irrilevanza penale avrebbe dovuto a quel punto imporre la qui sollecitata diversa formula assolutoria.

2.3 E' stata depositata memoria difensiva nell'interesse dell'Imputato.
Si deduce che il Giudice d'appello avrebbe risposto ai motivi devolutigli, espressamente facendo proprie le argomentazioni del primo Giudice, con l'integrazione delle considerazioni in diritto. Osserva l'imputato che il nucleo essenziale delle doglianze della parte civile, sull'insuperabile intrinseca contraddittorietà del presupposto logico di partenza del ragionamento della Corte d'appello, sarebbe solo esito di 'suggestivo' copia e incolla di quella parte della motivazione, mutilata nell'argomentazione di collegamento tra i due brani, per sé invece del tutto idonea ad escludere alcuna contraddittorietà: ovvero, la considerazione che nelle imprese di una certa dimensione il rapporto tra dirigente e sottoposto, ancorché quotidiano, non è mai di tipo 'familiare', perché proprio quelle dimensioni marginalizzano i rapporti intersoggettivi esaltando l'aspetto gerarchico, tra soggetti che operano su piani differenti. L'imputato deduce poi che la ricorrente non si sarebbe confrontata con le considerazioni dei Giudici del merito in ordine alla falsità delle proprie rappresentazioni difensive, che enumera, evidenziando pure che già dal 2005 aveva lasciato Palermo per trasferimento. La memoria richiama e allega inoltre l'ulteriore conferma di assoluzione, da parte dì altra sezione della Corte palermitana (con sentenza 29.2-4.4.12), in ordine al concorrente reato di lesioni personali colpose, la cui imputazione aveva tratto origine dalla medesima originaria denuncia ed era stato trattato autonomamente solo a seguito delle vicende endoprocedimentali.

Diritto


3.1 Il motivo del ricorso della parte pubblica è generico. Nulla di specifico deduce infatti sulle quindi solo assertive peculiarità del caso concreto che, se non trascurate dal Giudice d'appello, avrebbero dovuto condurre alla sussunzione delle condotte nella fattispecie dei maltrattamenti ex art. 572 c.p., nonostante le ammesse dimensioni 'non familiari' del contesto di lavoro.
3.2 Il motivo di ricorso della parte civile è manifestamente infondato nelle sue varie articolazioni.
La deduzione di contraddittorietà, essenziale nell'economia dell'argomentazione del motivo quanto all'aspetto della dedotta natura 'familiare' dell'impresa e del contesto lavorativo, come efficacemente colto nella memoria depositata dalla difesa dell'imputato si fonda su un palese travisamento del ragionamento svolto dalla Corte distrettuale, cui la ricorrente perviene a seguito di uno strumentale 'taglio' di parte decisiva di quel ragionamento, che esprime uno specifico apprezzamento in fatto sull'Irrilevanza del convivere per anni in un 'open space' quale prova della 'familiarità' della relazione lavorativa (p. 6 sent.). Tale puntuale apprezzamento di fatto è immune da vizi di ordine logico e la sua contestazione si risolve in preclusa censura di merito.
Del resto, sul piano logico sono proprio gli ulteriori elementi in fatto descritti dalla ricorrente (la frequentazione di riunioni, la conoscenza di informazioni sulla vita personale dei colleghi, il lavoro quotidiano nel medesimo ambiente) che si caratterizzano per l'assoluta incapacità di segnare differenze tra un 'normale' ambiente di lavoro organizzato ed un ambiente lavorativo 'parafamiliare'. Come argomentato in Sez.6, sent. 12571/12, "in definitiva, è vero che l'art. 572 c.p. ha 'allargato' l'ambito delle condotte che possono configurare il delitto di maltrattamenti anche oltre quello solo endo-familiare in senso stretto. Ma pur sempre la fattispecie incriminatrice è inserita nel titolo dei delitti della famiglia ed indica nella rubrica la limitazione alla famiglia ed ai fanciulli sicché non può ritenersi idoneo a configurarla il mero contesto di generico, e generale, rapporto di subordinazione/sovraordinazione. Da qui la ragione dell'indicazione del requisito, del presupposto, della parafamiliarità del rapporto di sovraordinazione, che si caratterizza per la sotto posizione di una persona all'autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l'affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto all'azione di chi ha ed esercita l'autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità. Se così non fosse, ogni relazione lavorativa caratterizzata da ridotte dimensioni e dal diretto impegno del datore di lavoro per ciò solo dovrebbe configurare una comunità (para)familiare, idonea ad imporre la qualificazione in termini di violazione dell'art. 572 c.p. di condotte che, di eguale contenuto ma poste in essere in contesto più ampio, avrebbero solo rilevanza in ambito civile (il cd mobbing in contesto lavorativo, cui fa riferimento tra le altre la sentenza Sez. 6, 685/2011) con evidente irragionevolezza del sistema".
Risulta così corretta l'impostazione della sentenza d'appello che, dopo avere fatto propria la ricostruzione in fatto operata dalla prima sentenza, esplicitamente richiamata nella parte iniziale della motivazione (pagg. l-2 e 4), ha motivatamente preso atto dell'assoluta mancanza in fatto, nel caso di specie, delle caratteristiche indefettibili per la configurazione di un rapporto di lavoro para-familiare (spiegando perche le relazioni interne ad una sede locale dell'... comunque inserita in un azienda di grandi dimensioni e complessa organizzazione, non potessero essere ricondotte al rapporto tra un datore di lavoro che agisce con ampia discrezionalità ed informalità ed un dipendente che ad esso 'si affida fiducioso').
Anche la formula assolutoria risulta coerente con l'imputazione rivolta all'imputato, atteso che i Giudici del merito hanno entrambi escluso la sussistenza del reato di maltrattamenti nei termini in fatto concretamente contestati.
3.3 All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna della parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende. Cosi deciso in Roma, il 16.4.2013

DEPOSITATO IN CANCELLERIA il giorno 8 Maggio 2013