• Amianto
  • Datore di Lavoro
  • Dispositivo di Prrotezione Individuale
 
Responsabilità del legale rappresentante di una ditta di scavi per aver proceduto a lavori di demolizione di materiale contenente amianto senza predisporre un piano di lavoro atto a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente esterno - Omissione anche della predisposizione dei necessari dispositivi di protezione individuale - Sussiste.
 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRASSI Aldo - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. MARMO Margherita - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) B.E. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 13/02/2007 TRIBUNALE di BERGAMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MANCINI FRANCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO F., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. Scacchi Francesco.



Fatto

Con sentenza del 13.2.2007 il tribunale di Bergamo ha inflitto a B.E. la pena, interamente condonata, di Euro 2000,00 di ammenda avendolo riconosciuto colpevole, nella veste di legale rappresentante della C. scavi SpA, del reato previsto e punito dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 34 e 50 per avere la sua impresa proceduto a lavori di demolizione di materiale edile contenente amianto senza previamente predisporre un piano di lavoro atto a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente esterno ed altresì del reato di cui al D.P.R. n. 626 del 1994, artt. 4 e 89 per non avere munito un lavoratore dipendente dei dispositivi individuali di protezione; uniti i due reati nel vincolo della continuazione.
L'imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione protestando la propria innocenza sul rilievo che nessuno aveva avvertito la sua impresa della presenza dell'amianto che peraltro non poteva essere percepita dato che il tetto era ricoperto di sterpaglia.



Diritto

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
La circostanza che il committente i lavori non abbia informato l'impresa incaricata della demolizione del manufatto - e dunque l'odierno ricorrente - della presenza dell'amianto nel materiale usato per la realizzazione del manufatto stesso e addirittura che lo abbia rassicurato dicendogli contrariamente al vero che tale realizzazione era avvenuta con materiale "ecologico" (secondo quanto asserito dalla difesa del ricorrente) non vale certo ad escludere la sua responsabilità in ordine alle contravvenzioni ascrittegli posto che l'obbligo dell'imprenditore sancito dall'art. 2087 c.c. di "adottare le misure ...necessarie a tutelare la integrità fisica dei prestatori di lavoro ..." ha carattere strettamente personale, non è surrogabile e non ammette equipollenti (tanto che grava rigorosamente su di lui l'onere di fornire la prova di avere puntualmente assolto l'obbligo medesimo, come affermato fra altre da Cass. civ. Sez. 1^ n. 10441 del 2007 Rv 596579).
E' peraltro certo che detta presenza era prevedibile come ritenuto dal giudicante, il quale richiama la deposizione della teste funzionario della ASL che ispezionando il cantiere ebbe subito il dubbio che il materiale oggetto della demolizione contenesse amianto (dubbio che le successive analisi dimostrarono essere fondato).
Nè la relativa problematica era di fatto sconosciuta al ricorrente posto che - come nota la sentenza impugnata - la sua impresa era già stata sanzionata dalla ASL per fatti analoghi.
In definitiva dunque l'imputato era sicuramente nelle condizioni di porsi in regola, usando la ordinaria diligenza, con la normativa che disciplina la materia munendo il proprio dipendente dei necessari dispositivi di protezione e predisponendo il piano, da sottoporre all'organo di vigilanza, per la sicurezza e salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente.
Alla stregua delle considerazioni che precedono le censure mosse alla impugnata sentenza non possono essere condivise.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2008