Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2013, n. 11487 - Infortunio mortale durante l'attività di smontaggio di un'auto gru cingolata e mancanza di istruzioni


 

 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da: P.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 283/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 21/12/2011; visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore Avv. Agostani Giovanni del foro di Roma per la parte civile (N.d.r.: testo originale non comprensibile), il quale deposita conclusioni e nota spese, chiedendo il rigetto del ricorso.


Fatto

 


1. Il Tribunale di Mantova, con sentenza del 13/4/2010 assolse P.P., legale rappresentante della C.P.L. s.r.l. e P.G., direttore di fatto del cantiere ove operava C.T., operaio alle dipendenze della C.P.L., dal delitto di omicidio colposo aggravato ai danni di quest'ultimo, il quale, a causa di colpa generica dei due imputati, per il solo P. P. di colpa derivante dalla violazione del D.P.R. n. 626 del 1994, art. 6, (ndr D.Lgs.) comma 3 (aver omesso di vigilare perchè le istruzioni di montaggio e smontaggio di un'auto gru cingolata fossero presenti in cantiere e fossero seguite) e dell'art. 38, lett. a) del medesimo corpo normativo (avere omesso di formare il lavoratore a riguardo di quella macchina) e per entrambi gli imputati, dalla violazione dell'art. 37, lett. a) e b) del medesimo testo normativo (avere omesso d'istruire il lavoratore sull'uso delle attrezzature messe a disposizione), decedette a causa delle gravi ferite riportate a seguito dello schiacciamento procurato da uno dei bracci della gru, che l'operaio stava smontando, senza seguire le istruzioni e con modalità erronee e pericolose.
1.1. La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 21/12/2011, giudicando a seguito dell'impugnazione proposta dalle sole parti civili, dichiarata la penale responsabilità del solo P. G. ai soli effetti civili, condannò il predetto a risarcire il danno procurato alle parti civili medesime, da liquidarsi in separata sede, ponendo a carico del predetto provvisionale di Euro 50.000,00 in favore di ciascuna parte civile.
2. P.G. proponeva ricorso per cassazione avverso quest'ultima sentenza.
3. Questo il fatto, in sintesi, siccome risulta ricostruito giudiziariamente. La s.r.l. C.P.L. gestiva in subappalto i lavori di realizzazione di una banchina fluviale ad uso commerciale sul fiume Po, in territorio del comune di (OMISSIS). Per lo svolgimento dei detti lavori aveva preso a noleggio una gru mobile su cingoli, costituita da una torretta di comando e un traliccio con collegati sei bracci, ognuno dei quali lungo 6 m. La mattina dell'incidente la gru doveva essere smontata e restituita alla ditta Locapal. C.T., operaio alle dipendenze della C.P.L., abbassato il traliccio fino al suolo, aveva cominciato a smontare il quarto braccio, omettendo, tuttavia, di seguire le istruzioni del libretto della macchina, le quali spiegavano le modalità da seguire perchè l'operazione potesse essere svolta in sicurezza e, ponendosi, inoltre, in ginocchio, al di sotto del medesimo braccio (operazione, questa, espressamente vietata nel libretto d'istruzioni), era stato improvvisamente travolto dal braccio al quale stava lavorando, allentatosi improvvisamente, decedendo sul colpo.
4. Il ricorrente prospetta due motivi di censura.
4.1. Con il primo motivo viene denunziata contraddittorietà e manifesta infondatezza della sentenza sotto i profili di cui appresso. La Corte territoriale aveva ribaltato l'opinione del Tribunale, il quale aveva ritenuto che il nesso di causalità fosse stato interrotto dal comportamento abnorme del lavoratore, il quale, nonostante la contraria intimazione di P.G., mentre quest'ultimo si era allontanato per breve tempo aveva continuato da solo a smontare la gru.
La Corte territoriale per ribaltare la sentenza di primo grado aveva giudicato inattendibile la deposizione di D.M., il quale aveva riferito di aver sentito il P. dire all'operaio di non toccare nulla in sua assenza. La Corte di merito aveva fondato suo convincimento sulle seguenti circostanze: a) il collega di lavoro della vittima, A.G., presente a fianco del D., nel momento in cui il C. si era fermato per chiedere una sigaretta, non ricordava affatto il pronunciamento di una tale frase, che certo gli sarebbe dovuta restare impressa nella memoria, date che il tragico incidente accadde immediatamente dopo; b) inverosimile doveva ritenersi che un operaio dipendente, lasciato per qualche decina di minuti in libertà dal datore di lavoro, si ostini a continuare a lavorare, come chi abbia, al contrario, ricevuto l'incarico di continuare nello svolgimento dell'operazione, facendosi coadiuvare da uno degli autisti presenti.
Tali argomenti erano viziati da illogicità e contraddittorietà.

Solo a seguito di contestazione il teste A. ha dichiarato che "ad un certo punto della mattinata C. è venuto da noi dicendo che P. era andato a prendere le sigarette. Ha fumato una sigaretta con noi, poi è tornato verso la gru e non l'ho più visto", quindi non aveva espressamente negato che l'imputato avesse ordinato al C. di non toccare nulla. Inoltre, la vittima, al contrario di quanto assume la Corte di merito, il suo intervallo di libertà se l'era preso. Andava, di poi, considerato che il giorno successivoera festivo (il 2 Giugno) e, pertanto, era interesse dei lavoratori terminare il prima possibile il lavoro, così da iniziare il "ponte" festivo. In questa ottica non doveva sorprendere che la vittima avesse notiziato i colleghi di lavoro che aveva ricevuto l'ordine di aspettare il datore di lavoro, cosa che lui non aveva fatto, evidentemente credendo di aver accumulato sufficiente pratica nel corso della mattinata. La Corte d'appello, inoltre, non aveva adeguatamente smentito l'argomento tratto dal Tribunale dalla deposizione dell'autista B., il quale, pur non avendo sentito il contenuto del colloquio, aveva visto che il P. prima di allontanarsi aveva parlato con la vittima.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione della legge penale.
La condotta del lavoratore, al contrario di quanto reputato dalla Corte territoriale, doveva considerarsi abnorme e, quindi tale da recidere il nesso di causalità (art. 41 c.p., comma 2): il C. era un semplice manovale chiamato a collaborare con il P. nello smontaggio della gru e del tutto imprevedibilmente, approfittando del momentaneo allontanamento del secondo, il quale gli aveva intimato di non toccare nulla, aveva proseguito nel lavoro, così ponendosi volutamente in una condizione di pericolo.

 

Diritto

 

5. Il primo motivo si appalesa inammissibile. Il ricorrente, proponendo una ricostruzione dell'evento diversa da quella operata dalla Corte territoriale, non mostra di aver tenuto adeguato conto della norma processuale la quale consente riesame in sede di legittimità del percorso motivazionale (salvo l'ipotesi dell'inesistenza) nei soli casi in cui lo stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente, vistosamente, ictu oculi) illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio risultare, oltre che dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori, espressamente richiamati (art. 606, comma 1, lett. e).
Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.
Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n. 15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione. E' stato utilmente chiarito (sentenza 6/11/2009, n. 43961 di questa Sezione) che il giudice di legittimità è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. Pertanto, ove si deduca il vizio di motivazione risultante dagli atti del processo non è sufficiente che detti atti siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua complessiva ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice. Occorre, invece, che gli atti del processo, su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
5.1. la sentenza d'appello non presta il fianco alle gravi incongruenze evidenziate col ricorso.
Il giudice di secondo grado demolisce la credibilità del teste D. attingendo a plurimi e razionali argomenti: come si è intravisto attraverso quanto riportato nelle critiche impugnatorie non rassicurava l'attendibilità del predetto il fatto che il collega di lavoro A., presente al suo fianco, non ha mai riferito (neppure nell'immediatezza) la conversazione riportata dal D.;
era apparso illogico che la vittima, lavoratore dipendente, al quale era stato interdetto di continuare a lavorare, così come lui stesso avrebbe riferito, si fosse intestardita a fare il contrario; se fosse stata effettivamente impartita la disposizione di sospendere il lavoro, il comando avrebbe dovuto avere come destinatari anche i due camionisti, che attraverso la gru posta sugli autocarri consentivano la prosecuzione delle operazioni; del tutto incongruamente, poi, il lavoratore, invece che riposarsi per qualche decina di minuti, avrebbe preferito continuare in un'opera di smontaggio sulla quale non aveva avuto alcuna indicazione.
Da quanto esposto si rileva la puntuale pertinenza della motivazione del giudice di secondo grado e la palese incongruenza delle ulteriori congetture, sprovviste di persuasività, introdotte dal P. con il ricorso (il fatto che il giorno successivo fosse festivo non significa affatto che il lavoratore dipendente avesse un particolare interesse ad accelerare i tempi di lavorazione, non potendo così anticipare la fine della giornata lavorativa; paradossale, poi, appare l'interpretazione del silenzio del teste A. sul punto qui in rilievo).
Alla stregua di quanto prima chiarito, pertanto, deve radicalmente escludersi che la sussistenza dei gravi vizi motivazionali evidenziati.
5.2. La razionale ricostruzione del fatto operata dal giudice dell'appello rende evidente la macroscopica infondatezza del secondo motivo.
Correttamente scrive la Corte territoriale che l'imprudente condotta del lavoratore, "perchè caratterizzata dall'essersi posto proprio sotto il braccio nel punto di giuntura con il precedente, non ha, tuttavia, caratteri di abnormità tali da recidere, ex art. 41 c.p., comma 2, il nesso causale con la condotta omissiva colposa del datore di lavoro che, unico a conoscenza delle procedure corrette di smontaggio sul punto della specifica competenza del ricorrente il giudice di secondo grado si intrattiene, senza essere smentito, a pag. 5, in corso d'opera, si allontanava dal cantiere lasciando sul posto l'operaio e i due autisti, che sino ad allora lo avevano coadiuvato e che, in sua assenza, procedevano nelle operazioni che cagionavano il sinistro".
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. 4, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. 4, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. 4, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. 4, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. 4, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. 4, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poichè l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento;
abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
6. Consegue all'esposto declaratoria d'inammissibilità del ricorso a causa della sua manifesta infondatezza.
Di conseguenza il P. deve essere condannato alle spese processuali, e al pagamento della sanzione pecuniaria stimata di giustizia; nonchè a rifondere delle spese legali le patti civili nella misura di cui in dispositivo.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonchè alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che, unitariamente e complessivamente, liquida in Euro 3.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2013