Cassazione Penale, Sez. 4, 14 febbraio 2013, n. 7450 - Mobilizzazione di un masso e violazione di norme sulla sicurezza


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da: F.A. N. IL (Omissis);
P.E. N. IL (Omissis); Z.S. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 5480/2011 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TRENTO, del 13/12/2011; visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DELL'UTRI Marco; Udito il Procuratore Generate in persona del Dott D'Ambrosio Vito, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore avv. (Ndr.: testo originale non comprensibile) R., del foro di Trento, per P., Z. e avv. Mattei G., del foro di Trento, per F. che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.



Fatto


1. - Con sentenza resa in data 13.12.2011, il Tribunale di Trento ha applicato, ad F.A., P.E., C.M. e Z.S., su congiunta richiesta degli imputati e del pubblico ministero, la pena della reclusione, variamente determinata tra gli stessi (sostituita con la sanzione della multa rateizzata nel tempo), in relazione al reato di disastro colposo loro ascritto in cooperazione, verificatosi in (Omissis).
Con la stessa sentenza, il Tribunale di Trento ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Z.S., in ordine alla contravvenzione allo stesso contestata in relazione alla violazione di disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, siccome estinto il reato per intervenuta oblazione, e ha infine assolto tutti gli imputati dalla restante accusa di lesioni colpose aggravate, per insussistenza del fatto. Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di F.A., P.E. e Z.S..
2.1. - Con il proprio ricorso, il difensore di F.A., invocata l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., ai fini della proscioglimento nel merito dell'imputato, censura la sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale in riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di disastro colposo, ai sensi dell'art. 449 c.p., avuto riguardo alla modesta dimensione degli effetti determinati dalle omissioni contestate all'imputato, consistiti nella mobilizzazione di un singolo masso scivolato per pochi metri fino ad appoggiarsi all'edificio delle persone offese.
2.2. - Il difensore di P.E. censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all'art. 449 c.p. e in ordine alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., nonchè per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermata sussistenza dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 449 c.p..
In particolare, il ricorrente contesta il ricorso, nella specie, dei presupposti per il riconoscimento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 449 cit, essendo a tal fine necessario il verificarsi di un evento disastroso e non il mero pericolo dello stesso.
In occasione dell'ipotesi oggetto dell'odierno giudizio, viceversa, l'evento esaminato, certamente dannoso, non aveva avuto tuttavia alcuna portata, nè attitudine distruttive, con pericolo per la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, essendosi risolto nella mobilizzazione di un singolo masso, scivolato per pochi metri sino ad appoggiarsi a un edificio circostante.
2.3. - Il difensore di Z.S. (premessa la richiesta estensione a tutti i coimputati dei motivi di diritto formulati avverso la sentenza impugnata, ad esclusione di quelli d'indole soggettiva) censura la sentenza del tribunale di Trento per violazione di legge in relazione all'art. 449 c.p. e per la mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., oltrechè per vizio di motivazione in relazione al totale travisamento del fatto in relazione alla posizione soggettiva di garanzia dell'imputato e in relazione alla stessa sussistenza dell'omissione allo stesso contestata.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per l'erronea qualificazione del fatto come "disastro", avuto riguardo alla modesta proporzione dell'evento verificatosi, tanto in relazione alla sua entità, quanto con riferimento ai concreti effetti prodotti.





Diritto

 


3. - Tutti i ricorsi - congiuntamente esaminabili in ragione della sostanziale comunanza delle questioni dedotte - sono infondati.
Preliminarmente, con riguardo all'invocata applicazione dell'art. 129 c.p.p., osserva la corte come l'obbligo della motivazione, imposto al giudice dall'art. 111 Cost. e dall'art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione.
Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. dev'essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell'enunciazione -anche implicita - che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. 1, n. 752/1999, Rv. 212742; Cass. Sez. 1, n. 4721/2000, Rv. 216789; Cass., Sez. 1, n. 6711/2000, Rv. 218050).
Nel caso di specie, l'argomentazione concretamente sollevata dai ricorrenti a sostegno delle impugnazioni proposte attiene alla pretesa erronea qualificazione giuridica del fatto contestato da parte dei paciscenti e del giudice autore della sentenza impugnata.
Sul punto, in tema di patteggiamento, rileva questa corte come l'erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell'accordo delle parti e recepito dal giudice, può essere certamente denunciata in sede di legittimità, in quanto la qualificazione giuridica del fatto è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l'errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) (Cass., Sez. 5, n. 14314/2010, Rv. 246709).
Occorre, peraltro, rilevare come alla corte di legittimità non è consentito spingersi all'esame nel merito dei fatti sottoposti alla verifica del primo giudice, potendo unicamente limitarsi al controllo della logica configurazione concettuale del fatto, così come prospettata dall'accordo delle parti e recepita nella descrizione dello stesso nella motivazione della sentenza.
Al riguardo, varrà evidenziare come, in relazione a una sentenza di applicazione della pena su accordo delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione del fatto dev'essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l'eventualità che l'accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre dev'essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione prospettata dal ricorrente presenti margini di opinabilità (Cass., Sez. 4, n. 10692/2010, Rv. 246394).
Nel caso oggetto dell'odierno esame, deve ritenersi certamente sussistente il ricorso di larghi margini di opinabilità, nella considerazione oggettiva del fatto, in cui la qualificazione come "disastroso" del fenomeno esaminato appare insuscettibile dell'essere giudicata come espressiva di un errore "manifesto" (tale da trasformare, l'accordo sulla pena, in un accordo sul reato), apparendo viceversa pienamente lineare e coerente, sul piano logico, la prospettata riconduzione, alla ridetta fattispecie criminosa, dell'evento così come descritto, nelle proporzioni, nell'entità e negli effetti, nella motivazione sentenza impugnata, dotata di indiscutibile coerenza e linearità argomentativa, tanto sul piano logico, quanto su quello giuridico.
Tanto appare sufficiente ai fini del riscontro della radicale infondatezza di tutti gli odierni ricorsi, con il conseguente relativo integrale rigetto.
4. - Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2013. Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013