Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

 

Resoconto stenografico

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

 

Lunedì 17 settembre 2012

 

Audizioni svolte presso la prefettura di Bologna


Presidenza del presidente TOFANI

 

Audizione del presidente e dell’assessore alla salute della Regione Emilia-Romagna
Audizione del procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Bologna
Audizione del direttore regionale dell’INAIL e delle unità operative di vigilanza tecnica e ordinaria della direzione regionale del lavoro
Audizione del comandante regionale dell’Arma dei carabinieri, del Comandante del gruppo carabinieri per la tutela del lavoro responsabile per il Centro Italia e del direttore regionale dei vigili del fuoco
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane


Audizione del presidente e dell’assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna

Intervengono il presidente della Regione Emilia-Romagna, dottor Vasco Errani, e l’assessore regionale alle politiche per la salute, dottor Carlo Lusenti, accompagnato dai dirigenti del servizio sanità pubblica, dottor Giuseppe Monterastelli e dottoressa Emanuela Bedeschi, e dal responsabile del servizio lavoro dell’assessorato al lavoro, dottoressa Paola Cicognani.

PRESIDENTE
Buongiorno. Diamo inizio ai nostri lavori con l’audizione del presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani e dell’assessore regionale alle politiche per la salute Carlo Lusenti, che ringrazio per la loro presenza.
La nostra missione in questo territorio non è legata a fatti specifici accaduti in Emilia-Romagna, ma all’impegno che ci siamo dati di verificare sul campo lo stato di attuazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e di avere un confronto diretto, in modo particolare con le Regioni.
È necessario approfondire alcuni argomenti e, soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008), riteniamo che ci sia la necessità di accelerare (questo non riguarda le Regioni, ma il Governo) l’emanazione degli atti amministrativi secondari per addivenire alla sua completa definizione. Vorremo quindi dare luogo ad uno scambio di riflessioni, in occasione di questo incontro con le Regioni su un tema così delicato, che riguarda la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ringraziandola, presidente Errani, per aver accolto il nostro invito, le lascio la parola.

ERRANI
Signor Presidente, vorrei rivolgere innanzitutto un apprezzamento per questa iniziativa che state svolgendo in tutte le Regioni, che considero quanto mai opportuna. Evidentemente, anche se la sicurezza è uno dei temi più importanti nello svolgimento delle attività economiche, sappiamo che tuttora, nonostante gli indirizzi contenuti nel Testo unico, devono essere affrontate alcune problematiche in relazione alla necessità di dare un coordinamento, un indirizzo unitario integrato, ai diversi soggetti operanti nel campo della sicurezza. Sappiamo che da questo punto di vista è certamente indispensabile imprimere un’accelerazione e fare un salto di qualità, perché, come spesso accade nel nostro Paese, vi sono esperienze a macchia di leopardo. Le questioni in campo riguardano diverse amministrazioni e livelli istituzionali: il Governo, per quanto riguarda tutti gli atti amministrativi relativi al Testo unico, e le Regioni, il cui ruolo è fondamentale per la necessità di rendere effettivamente operativo il coordinamento delle diverse amministrazioni. Più avanti lascerò la parola all’assessore Lusenti per fare il punto della nostra esperienza, ma ritengo che occorra lavorare d’intesa alla realizzazione di un salto di qualità che potrebbe tradursi in un lavoro anche con la Conferenza delle Regioni in relazione alla conclusione della vostra analisi sullo stato dell’arte nelle singole Regioni.
Devo anche far presente un’altra importante circostanza che stiamo attraversando in questi mesi dopo il terremoto. Come sapete, delle 26 vittime del sisma, molte si sono verificate nell’ambito delle attività produttive. Rispetto ad esse credo di poter dire che sono state fatte scelte molto significative, soprattutto per quanto riguarda i capannoni, che si sono rivelati come gli elementi di maggiore criticità. A questo proposito abbiamo infatti preso decisioni – mi permetto di dirlo – abbastanza innovative per il Paese, perché abbiamo dato indicazioni precise e obbligatorie relativamente alla messa in sicurezza anche delle strutture non danneggiate. Come sapete, questa scelta è stata recepita prima nel decreto-legge n. 74 del 2012 e poi nel decreto-legge n. 95 del 2012 sulla revisione della spesa, dove sono state individuate procedure puntuali in questo senso. Credo sia la prima volta che in Italia si realizza una politica preventiva dopo un evento sismico, perché, al di là degli interventi sulle imprese danneggiate, di questo si tratta. Non è stato agevole farlo, perché non è sempre facile spiegare a chi non ha avuto danni che deve fare lavori, ma è certamente molto importante; inoltre, abbiamo concluso una pre-intesa con l’INAIL, sulla base delle risorse a sua disposizione, (altro aspetto presente nel decreto-legge) per la predisposizione di politiche di messa in sicurezza delle imprese. Tutte queste iniziative vanno nella direzione di realizzare una politica di prevenzione.
Mi permetto di aggiungere un’ultima cosa e poi chiederò all’assessore Lusenti di fare il punto della situazione. Grazie anche all’impulso del Presidente della Repubblica, in questi ultimi anni il tema della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro è stato posto maggiormente all’attenzione dell’opinione pubblica, ma la cultura della prevenzione ha bisogno di una programmazione strutturata, che ancora manca. Anche se ritengo, infatti, che sia molto opportuno procedere con controlli nei confronti delle imprese, va fatto un salto di qualità nella cultura della prevenzione, partendo dalle scuole e, per quanto riguarda l’edilizia, ponendo problemi, a livello di interventi normativi, in relazione alle modalità con cui si avvia un’impresa edile in questo Paese. Non pongo in nessun modo l’obiettivo di creare nuova burocrazia; tuttavia, dovremmo riflettere sul fatto che possano nascere imprese edili semplicemente con l’iscrizione alla camera di commercio, senza standard definiti soprattutto, per come sta evolvendo il mercato, in relazione al tema dei subappalti e delle relative dinamiche. Naturalmente questo è un compito del legislatore e non riguarda questa Commissione, ma è evidente che le normative sugli appalti rivestono un ruolo di primo piano rispetto alla sicurezza e quindi, affrontando i nostri problemi di coordinamento, che sappiamo essere serissimi, bisognerebbe anche procedere ad una revisione più complessiva della legislazione per fare un salto di qualità da questo punto di vista. Come voi sapete meglio di me, il mercato dell’edilizia è segnato dalla crisi, anzi forse è il settore con le ricadute più pesanti in termini economici, cosa che produce chiusure e aperture su cui, affrontando i temi della legalità e trasparenza, una riflessione si rende necessaria.

PRESIDENTE
Mi sembra opportuno comunicarle una forte attenzione della Commissione su questo tema. Nelle nostre relazioni annuali abbiamo espressamente posto questi temi al Governo, così come lei li ha rappresentati in modo chiaro e corretto, perché sicuramente sono punti importanti. Non ci si può, infatti, inventare titolari di aziende edili di costruzioni, tenuto conto che mentre nel settore pubblico si seguono regole precise per la partecipazione a bandi, nel privato vi è maggiore libertà.

ERRANI
È un problema che stiamo affrontando ora in relazione alla ricostruzione.

PRESIDENTE
Lo credo. Noi siamo molto in sintonia con le riflessioni che ha fatto su questo tema. Abbiamo anche forzato la mano sulle procedure di appalto e sollecitato i prefetti perché si attivassero per valutare se si potessero ridurre le stazioni di appalto. Questo è, infatti, un problema complesso perché spesso i piccolissimi Comuni non sono all’altezza della situazione nella predisposizione delle gare, quindi una pluralità di stazioni di appalto crea ulteriori criticità, soprattutto in talune zone dell’Italia dove vi sono già altri problemi. Del resto, come lei sa, non possiamo cancellare il massimo ribasso, ma solo aggirare il problema ricorrendo all’organizzazione di gare d’appalto con altri sistemi. Quest’ultimo aspetto riguarda le pubbliche amministrazioni, quindi va posta in essere una sollecitazione, volta a chiarire che sarebbe opportuno evitare gare al massimo ribasso, perché è lì che si annida la problematicità che anche lei ha citato.

ERRANI
Sono estremamente d’accordo con lei. Noi abbiamo stretto un accordo con tutte le associazioni d’impresa che, per la ricostruzione, esclude gli appalti al massimo ribasso. Naturalmente però, visto che bisogna considerare le cose per come stanno, nelle operazioni tra privati questo è un auspicio. Ora, poiché si fatica a fare di più, bisogna pensare a qualcosa di innovativo.

LUSENTI
Signor Presidente, esprimo anche io il mio apprezzamento per il lavoro che la Commissione sta facendo con continuità; lo dico anche sulla base di ripetute occasioni d’incontro che abbiamo avuto.
Per ragioni di precisione e completezza, darò lettura di una relazione sintetica riguardo all’attività di tutela della salute nei luoghi di lavoro che si svolge nella Regione Emilia-Romagna. Sarà inoltre mia cura consegnare a lei copia della relazione completa recante tutta la documentazione che riguarda questo tema.
«Pur in presenza di una flessione degli infortuni negli ultimi anni, si conferma la necessità di superare le carenze e le contraddizioni da tempo rilevate nelle azioni volte alla salvaguardia della salute dei lavoratori e nella diffusione degli strumenti di sicurezza sui luoghi di lavoro. Un’ulteriore riflessione merita l’accertato tasso di crescita delle denunce per malattie professionali: si tratta di un fenomeno che sta emergendo anche in virtù di una migliore sensibilizzazione sul tema e che merita la più attenta vigilanza considerata la natura spesso silente di patologie fatali». Queste parole, tratte dal messaggio inviato dal Capo dello Stato il 10 luglio 2012, in occasione della presentazione dei dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali, tracciano la rotta per il lavoro che ci attenderà in Emilia-Romagna nei prossimi anni.
Gli andamenti degli infortuni e delle malattie professionali in questa Regione sono coerenti con quelli segnalati dal Capo dello Stato. La serie storica degli infortuni è in costante diminuzione: gli eventi denunciati nel 2001 furono 148.777 e 99.713 quelli nel 2011. Il decremento nel periodo è stato – quindi – del 33 per cento. Anche gli infortuni mortali sono diminuiti: nel 2001 furono 168, mentre nel 2011 sono stati 84, pari al 50 per cento in meno. Per la prima volta in questa Regione, nel 2009, gli infortuni mortali sono scesi sotto la soglia psicologica dei 100 infortuni mortali all’anno; nel 2009 gli eventi furono 92, l’anno successivo 90 ed 84 nel 2011.
Quello degli infortuni mortali è un percorso drammatico scandito nei decenni: più di 300 morti ogni anno fino al 1980, più di 200 fino al 1990, più di 100 fino al 2009. In questa Regione sono accadute grandi tragedie che sembravano lontane nel tempo, come la strage avvenuta nel 1987 nella stiva della MecNavi ancorata nel porto di Ravenna: quel giorno morirono 13 persone. Si tratta di tragedie che sembravano superate, ma che si ripresentano inaspettate, con modalità del tutto diverse e più complesse nelle cause: gli edifici industriali che collassano a causa del terremoto ed uccidono 17 operai intenti al loro lavoro.
Al contrario, le malattie professionali hanno un percorso inverso, essendo in forte crescita: in Italia 28.933 nel 2007 e 46.558 nel 2011 (con un incremento pari al 60 per cento); in Emilia-Romagna 3.933 nel 2007 e 7.153 nel 2011 (con un incremento pari all’82 per cento).
Tutti gli indicatori segnalano che l’incremento delle malattie professionali non è dovuto ad un repentino peggioramento delle condizioni di salubrità dei luoghi di lavoro, bensì alla progressiva riduzione del fenomeno della cosiddetta sottodenuncia.
Finalmente stanno emergendo quelle malattie che erano definite perdute. Alla loro emersione, almeno in questa Regione, hanno contribuito l’istituzione di specifici osservatori, ricerche condotte con università e INAIL e programmi coordinati e realizzati con le aziende sanitarie. Gli obiettivi di questi interventi sono la prevenzione, la diagnosi precoce, la terapia e la riabilitazione, anche allo scopo della riammissione al lavoro.
Quanto alle cause degli infortuni gravi e mortali occorsi nelle ordinarie condizioni di lavoro e alle malattie professionali, le ricerche e le indagini segnalano una progressiva trasformazione degli elementi determinanti: non più macroscopiche condizioni di insicurezza, ma – spesso – procedure lavorative non sufficientemente sorvegliate o in contraddizione tra loro, soprattutto nei casi in cui sono più frequenti la destrutturazione e l’esternalizzazione delle lavorazioni e la contemporanea interferente attività di più aziende.
Gli strumenti storicamente impiegati devono pertanto essere aggiornati. Occorre disporre di un sistema di prevenzione capace di affrontare i fattori causali storici, come, ad esempio, gli ambienti di lavoro e le macchine pericolose. Allo stesso tempo, occorre un sistema di prevenzione capace di contrastare fattori causali ancora scarsamente indagati, quali l’organizzazione del lavoro che, in ragione del riesame dei fattori responsabili degli infortuni e delle malattie professionali, ne risulta sempre più spesso il reale elemento causale. Infine, occorre un sistema di prevenzione capace di attuare reali politiche di promozione della salute negli ambienti di lavoro e di adattarsi rapidamente a contrastare nuovi ed imprevisti fattori di rischio.
La riflessione sugli elementi sommariamente riportati ha portato alle seguenti ulteriori osservazioni. Il sistema di intervento regionale può aspirare a proporsi come uno strumento di reale promozione della salute negli ambienti di lavoro nel modo indicato dal decreto legislativo n. 81, qualora sia garantita la complessiva azione concertativa con le parti sociali, anche al fine di promuovere interventi innovativi nel contesto degli organismi paritetici regionali e di altre forme rappresentative al fine di amplificare gli effetti delle azioni preventive; siano superati approcci parziali o discontinui a favore di forme stabili di coordinamento dell’attività di prevenzione e di vigilanza; siano sperimentate forme innovative di intervento e abbandonate pratiche meramente burocratiche od obsolete, perché non più adeguate all’attuale contesto.
La Regione Emilia-Romagna ha ridefinito il proprio modello di intervento, costituendo il sistema della Regione Emilia-Romagna, diretto alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori ed alla promozione della qualità del lavoro. Il sistema regionale identifica la propria cabina di regia nel comitato regionale di coordinamento della pubblica amministrazione. La leale collaborazione assicurata dai componenti del comitato, nel rispetto delle reciproche competenze e responsabilità, costituisce il volano del sistema.
Il comitato di coordinamento istituito nel 2008 è pienamente funzionante dal 2009. Nel periodo 2009-2011 e in questa prima parte del 2012, il comitato ha agito garantendo qualità e coerenza nei rapporti tra i componenti, privilegiando forme strutturate di coordinamento (quali accordi con enti ed istituzioni locali e una collaborazione stabile con le parti sociali e gli organismi paritetici) ed operando nell’ambito delle coordinate definite a livello nazionale e regionale. In questo ambito sono stati realizzati – o sono in corso di attuazione – diversi programmi, tra cui la promozione di interventi diretti a garantire la qualità della formazione. Il confronto e la concertazione con le parti sociali ha costituito la modalità con cui sono stati progettati e realizzati il piano della formazione per la sicurezza relativo al triennio 2009-2011 (finanziato con 7.842.000 euro) e il piano 2011-2012 (finanziato con 2.275.000 euro). Sono inoltre stati realizzati interventi in settori specifici caratterizzati da elevata incidentalità (edilizia ed agricoltura); realizzati impegni assunti con il patto per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro e con il piano regionale per la prevenzione 2010-2012; realizzati progetti a supporto dell’azione di miglioramento della sicurezza dei lavoratori finanziati con reinvestimento finalizzato di tutti i proventi derivanti dalle sanzioni in materia di tutela della sicurezza sul lavoro. I proventi relativi all’anno 2010 sono stati pari a 5.310.000 euro.
Il comitato di coordinamento opera attraverso l’ufficio operativo regionale e gli organismi provinciali – sezioni permanenti. Il comitato regionale di coordinamento e l’ufficio operativo regionale hanno dato indicazione ai nuovi organismi provinciali della Regione Emilia-Romagna affinché operino nell’ambito di programmi regionali territoriali in maniera pianificata e non occasionale. Il valore aggiunto di questa attività è rappresentato dalla contemporanea coerenza alla sua realizzazione di professionisti appartenenti agli enti aventi competenze in materia. La multidisciplinarità e la multiappartenenza del gruppo di intervento hanno consentito di effettuare azioni impossibili da realizzarsi qualora fosse opposta la separazione delle competenze.
Passo, infine, al tema dell’attività delle aziende sanitarie. Il sistema della Regione Emilia-Romagna è diretto alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e alla promozione della qualità del lavoro e, per poter funzionare, deve essere dotato di una struttura adeguata ai compiti assegnati dalla legge. Tale struttura è individuata nei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro e nelle unità operative antinfortunistiche dei dipartimenti di sanità pubblica delle aziende ASL. Nel 2011 l’organico dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro era di 396 operatori, di cui 345 ufficiali di polizia giudiziaria. L’organico dell’unità operativa antinfortunistica era di 120 operatori, di cui 109 ufficiali di polizia giudiziaria. Il personale complessivamente disponibile nel 2011 era – quindi – di 516 operatori, di cui 454 ufficiali di polizia giudiziaria.
La Regione ha fissato, quale obiettivo di copertura dell’attività di vigilanza, il controllo di almeno il 9 per cento delle aziende attive sul territorio, superando, in questo modo, l’obiettivo nazionale, che è pari al 5 per cento. Conseguentemente, le aziende ASL hanno progressivamente incrementato la loro attività: nel 2011 le aziende controllate sono state 22.369, pari al 10,5 del totale delle aziende operanti nel territorio regionale.
Due indicatori segnalano l’efficacia delle azioni svolte, a cominciare dall’indice di violazione regionale. Nel 31,9 per cento delle aziende controllate sono state rilevate violazioni della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. L’indice di violazione non deve però essere considerato come un indice di illegalità, in quanto le aziende controllate non sono state scelte con criteri statistici, bensì sulla base di specifici indicatori finalizzati ad individuare le aziende a maggior rischio di irregolarità. L’indice di conformità caratterizza – invece – gli interventi ispettivi che sono svolti ad un elevato livello di efficacia, misurato appunto dall’indice di conformità ai provvedimenti che segnala, rispetto alle aziende ove sono state rilevate irregolarità, quante hanno rimosso i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori rilevati al momento del controllo. Nel 2011 l’indice di conformità ai provvedimenti è stato superiore al 95 per cento.
Passo ora al tema del sistema regionale e dell’innovazione. Il sistema regionale, al fine di garantire la ricerca e l’innovazione, si è avvalso della collaborazione delle università della Regione, in particolare dell’Università di Bologna, con cui è stato sottoscritto uno specifico protocollo di intesa, con la realizzazione di un programma di ricerca su lavoro e salute. Il protocollo di intesa è stato presentato alla Presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro in distinti incontri con l’Università e la Regione. Il relativo piano di attività tiene conto delle osservazioni formulate in quelle occasioni e delle indicazioni che furono dettate dalla stessa Commissione in occasione dell’audizione che si tenne a Bologna il 31 gennaio 2011. In particolare, il programma prevede azioni rispetto alla prevenzione dei rischi lavorativi nel sistema degli appalti, con l’analisi dettagliata degli schemi contrattuali adottati tra le imprese ed i loro rapporti in termini di gestione e congruità con le norme poste a presidio della tutela della sicurezza dei lavoratori, nonché la sperimentazione di un modello di integrazione funzionale tra le polizie municipali e gli operatori della ASL in materia di controlli in edilizia. Il programma prevede, inoltre, interventi in merito all’efficace applicazione delle norme nei settori delle cooperative sociali e delle organizzazioni di volontariato della protezione civile. In seguito al sisma dello scorso mese di maggio, il programma di lavoro è stato integrato con ricerche in merito alla prevenzione dei danni ai lavoratori in caso di nuovi eventi sismici e ai lavoratori impegnati nella fase di ricostruzione.
Mi avvio alla conclusione citando ancora il Capo dello Stato. A margine della «Giornata nazionale di studio sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro» tenutasi a Roma lo scorso 25 giugno, il Capo dello Stato ha rilevato che «Resta ancora molto da fare, anche dal punto di vista del sistema degli accertamenti, dei controlli e delle sanzioni, sul fronte del contrasto agli infortuni e alle malattie professionali». Queste parole possono essere lette contestualmente alle osservazioni critiche rivolte alle Regioni dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro quanto al funzionamento del comitato regionale di coordinamento. Tali osservazioni sembrano dirette a stigmatizzare l’incapacità delle Regioni di svolgere il ruolo di coordinamento degli enti componenti il comitato stesso, rinunciando, in questo modo, allo sviluppo di qualsiasi politica attiva in materia. L’inadeguato coordinamento tra le parti di un unico sistema costituisce, senza dubbio, una possibile causa di quanto rilevato da più parti: carenze in alcuni settori di intervento e nella modalità di intervento e contraddizioni nell’applicazione delle norme. In questa Regione le contraddizioni segnalate sono state affrontate e – si crede – superate grazie al fattivo funzionamento del comitato regionale di coordinamento istituito ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 81. Il comitato è presieduto dal presidente della giunta e affidato alla diretta responsabilità gestionale dell’assessorato alle politiche per la salute. La leale collaborazione assicurata da tutti i componenti del comitato ha consentito, nel rispetto delle reciproche competenze e responsabilità, di costituire proprio quel sistema regionale diretto alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori cui si è già fatto cenno.
Indubbiamente il percorso sarà ancora lungo, tuttavia si ritiene che i risultati raggiunti in questa Regione siano apprezzabili e che la realizzazione degli obiettivi fissati sarà in grado di garantire la tutela del benessere fisico, psichico e sociale dei lavoratori.

PRESIDENTE
Assessore Lusenti, desidero ringraziarla non solo per la compiuta relazione che ci ha fornito, ma anche per la soddisfazione che deriva alla nostra Commissione dall’apprendere, in occasione di questi incontri, che quanto era previsto nel decreto legislativo n. 81 del 2008, in modo particolare per il comitato di coordinamento, sta funzionando, anzi, sta progredendo nel migliore dei modi. Fa piacere anche che si sottolinei la collaborazione che questa Commissione ha già avuto con la Regione Emilia-Romagna e che lei ha voluto ricordare cogliendo uno degli aspetti della nostra attività sul territorio maggiormente legati alla vicinanza tra le istituzioni, e si tratta di un passaggio che abbiamo apprezzato.
Desidero inoltre ringraziare il presidente Errani per la collaborazione e le indicazioni di dettaglio che ci ha voluto fornire, anche tramite la sua relazione, assessore Lusenti. Ci aspettiamo da lei che riesca a risolvere il problema di un maggior coordinamento, non solo a livello regionale, ma in questo caso a livello nazionale.

MARAVENTANO
Signor Presidente, vorrei fare i miei complimenti agli auditi per l’ottimo lavoro svolto e, al tempo stesso, chiedere loro, se possibile, di farci avere copia della relazione finale, che presumo sia già stata inviata al Ministero della salute, frutto dei molti incontri del comitato regionale.

LUSENTI
Non solo è possibile, senatrice Maraventano, ma è doveroso inviarvi copia di tutte ciò che abbiamo trasmesso al Ministero della salute sul tema per via telematica. Nel frattempo, consegno alla Presidenza una copia cartacea del materiale a nostra disposizione.

MARAVENTANO
Nel ringraziarla, non posso fare a meno di manifestarle tutta la nostra soddisfazione per il lavoro che state svolgendo.

PRESIDENTE
Sono d’accordo con l’importante aspetto sollevato dalla senatrice Maraventano, perché – come saprete meglio di me – dobbiamo rilevare che, nostro malgrado, da parte della stragrande maggioranza delle Regioni d’Italia al Ministero della salute non arrivano comunicazioni, nonostante la normativa lo preveda. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Bologna

Interviene il procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Bologna, dottor Luigi Persico.

PRESIDENTE
Colleghi, riprendiamo i nostri lavori, ringraziando il dottor Persico per la sua presenza, che ci permette di approfondire un aspetto molto importante della nostra indagine, ossia le modalità con cui la magistratura affronta il tema di cui ci occupiamo, che per noi riveste un’enorme rilevanza.

PERSICO
Signor Presidente, nel ringraziare il dottor Le Donne per avermi affidato questo incarico, anche per l’esperienza maturata negli anni nella mia veste di sostituto procuratore presso la Corte d’appello di Bologna (sono il più anziano pubblico ministero di tutta l’Emilia Romagna), vorrei fornirvi i dati in mio possesso circa gli infortuni sul lavoro dal punto di vista giudiziario.
Quando ho iniziato ad occuparmi della materia, le strutture disponibili erano limitatissime: sul territorio avevamo carabinieri, polizia e alcuni ispettori tecnici dell’ispettorato del lavoro. Trascorsi tanti anni, il quadro attuale dell’Emilia Romagna si presenta multiforme, caratterizzato da molte strutture specializzate. Ricordando una famosa proposizione di San Tommaso d’Aquino, verrebbe anzi da dire che entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem, perché eventuali problemi, se ve ne sono, sono legati proprio al coordinamento fra tutte le strutture esistenti.
Nella Regione Emilia-Romagna è attivo il comitato regionale di coordinamento, che al proprio interno ha un centro operativo e che immagino riunisca intorno ai tavoli tecnici, soprattutto per lo scambio di notizie, molti di quegli organi tecnici che interessano alla magistratura, esercitando le tipiche funzioni di polizia giudiziaria rispetto alla sicurezza del lavoro e all’incolumità generale.
Per avere un dato aggiornato, che rispondesse ad una richiesta del procuratore generale rivolta ai procuratori distrettuali, ci siamo permessi di raccogliere tutti i dati in nostro possesso, che vorremo consegnare agli atti della Commissione.

PRESIDENTE
La ringrazio.

PERSICO
Tra le tante segnalazioni, mi preme ricordare un dato molto interessante, segnalato dal procuratore di Rimini, il dottor Giovagnoli, circa taluni fenomeni che ha riscontrato nel suo circondario, relativamente alla presenza di molti lavoratori stranieri, coinvolti in episodi di infortunio.
A mio avviso, è facile rispondere sul merito, dal momento che sono da considerare i rapporti di lavoro irregolari, in nero e «clandestini», ma soprattutto la scarsa educazione dei lavoratori. Ricordiamo, infatti, che per impedire gli infortuni sul lavoro vi sono alcuni obblighi per l’imprenditore, uno dei quali fondamentale, come si evince in tutti i nostri testi legislativi in materia, e che consiste nell’educare il lavoratore ad un minimo di sicurezza.
Un altro punto interessante è stato segnalato dalla procura di Bologna – della quale per altro fino a tre anni fa ero componente – relativamente alla necessità che le strutture tecniche dell’AUSL – che, per quanto ne so, funzionano molto bene – siano in grado di assicurare la cosiddetta reperibilità completa (questo vale per la Provincia di Bologna, ma la tematica è la medesima ovunque). Oggi si usa l’espressione H24, per intendere la disponibilità di ispettori tecnici ad accorrere immediatamente sul luogo. Credo che la stessa esperienza valga anche per le altre procure, ma il procuratore di Bologna, trattandosi di un impegno molto forte, sostiene di non sapere fino a che punto le AUSL corrispondano una qualche voce di indennità come corrispettivo di tali reperibilità. Certamente, la nostra esperienza ci insegna che quello che si perde nelle prime ore dopo un infortunio difficilmente si recupera.
La Commissione, qualche anno fa, ebbe ad occuparsi di quel drammatico incidente dello scoppio chimico di Sasso Marconi: allora ero in procura, quindi sovrintendendo conobbi la situazione. Giudiziariamente abbiamo avuto un esito che non ritengo si possa definire poco soddisfacente, incentrandosi la pronuncia sull’imprevedibilità dei fenomeni chimici, ma certo è un discorso molto complicato: si è trattato di un infortunio certamente insolito, che ha avuto una sua storia giudiziaria.
Normalmente, però, nella nostra Regione sono numericamente molto frequenti gli infortuni nel settore delle costruzioni e dell’edilizia, che, almeno per la mia esperienza, sembrerebbero di non difficile soluzione giudiziaria. Spessissimo, abbiamo constatato la violazione dei precetti elementari di sicurezza previsti dai vari testi unici susseguitisi nel tempo, a partire dal 1955. Essendoci diverse misure precauzionali, c’è da chiedersi perché al giorno d’oggi qualche imprenditore le ometta, ma questo è un discorso di diritto penale sostanziale.
Vi sarebbe poi da fare un’ulteriore riflessione: l’esito giudiziario di tutta la materia degli infortuni sul lavoro è soddisfacente? Come sappiamo tutti, la medaglia ha due facce: repressione e prevenzione. Una volta però ci insegnavano che per prevenire, quand’è dolorosamente necessario, bisogna anche reprimere; si è portati però a reprimere meno, se si ha un’efficace opera di prevenzione.
Alcuni osservatori specializzati hanno stilato diverse statistiche e ho notato che specialmente nella Regione Emilia-Romagna vi è un grande lavorio di acquisizione di notizie e informazioni, per rispondere al seguente interrogativo: come vanno a finire i processi in materia di infortuni sul lavoro, soprattutto nei casi di omicidio colposo? Parlerò poi dell’amianto, che costituisce un capitolo a sé.
Dovrebbe trattarsi di processi facili, perché indiscutibilmente disponiamo di organi di polizia giudiziaria preparati: non li cito tutti perché non vorrei fare torto a nessuno, ma certamente vanno menzionati l’articolazione dei servizi di prevenzione delle AUSL – che è ottima, sia a Bologna che a livello regionale – nonché l’opera preziosa dei vigili del fuoco, che in occasione di certi infortuni sul lavoro dimostrano a loro volta capacità diagnostica. Gli ufficiali dei vigili del fuoco, infatti, sono ufficiali di polizia giudiziaria, che spesso abbiamo anche utilizzato per avere notizie del genere.
L’osservatore profano potrebbe obiettare che, in presenza di un’organizzazione così documentata ed articolata, l’opera repressiva giudiziaria dovrebbe portare ad ottimi risultati. Su questo è difficile esprimersi, perché tali fenomeni si scontrano o forse si confrontano – scelga la Commissione il vocabolo più appropriato – con le molte limitazioni del processo penale, per come è attualmente regolato, perché dura molto e vi si perde molto tempo. Siamo partiti da un sistema processuale che prevedeva i principi dell’oralità e della concentrazione: la prima va bene, ma senza trascrizione stenografica di tutti gli interrogatori e di tutti i discorsi, non si va avanti; il nostro Ministero non ha i fondi sufficienti per ricorrere alle magnifiche macchine Michela che utilizzate voi in Senato. Da noi si utilizzano marchingegni che a volte funzionano a volte no, ma soprattutto i dibattimenti si prolungano nel tempo, perché le udienze si accavallano: ha poco senso, allora, far passare anni per arrivare ad una pronuncia finale, di condanna o di assoluzione che sia. Una prima esigenza, quindi, ritengo sarebbe quella di stabilire corsie preferenziali almeno per i processi che riguardano gli omicidi colposi sul lavoro, se non per la generica massa di quelli concernenti gli infortuni sul lavoro.
Questo lo si è sempre fatto e la Commissione non ignorerà certo che, siccome gli uffici giudiziari in questi ultimi anni sono stati spesso sovraccaricati, abbiamo prima inventato e poi abolito le procure circondariali, per poi inventare il giudice di pace penale; si sono così accumulati sovraccarichi. Di qui il tentativo di qualche procura di stabilire le cosiddette priorità nella trattazione dei processi. Posso garantire che i magistrati e, perlomeno, le procure hanno sempre considerato di massima priorità la materia degli infortuni sul lavoro, non solo per un’esigenza repressiva, ma anche per dare risposta ai congiunti delle vittime. Questo fatto, però, cioè dell’aver attribuito priorità non sempre ha portato a conclusioni favorevoli: alcuni processi durano parecchi anni e dolorosamente talvolta arrivano alla declaratoria di prescrizione, cosa che si pone veramente in contrasto con un’esigenza giudiziaria, ma soprattutto sociale. Se ci sono infatti dei processi che non dovrebbero «morire» di prescrizione, sono proprio quelli legati agli infortuni sul lavoro. Tra i rimedi si potrebbe pensare di stimolare ancora di più concetti quali priorità e, se possibile, corsie preferenziali; aumentare i termini di prescrizione, perché nel nostro Paese per certi reati si prevedono oggi termini più limitati di una volta. Penso anche a norme speciali per cui la prescrizione viene interrotta ogni volta che nel corso di un processo si fanno più perizie, sia d’ufficio che su impulso di parte, perché se perizie o consulenze (a seconda della fase) sono indispensabili per la comprensione, tale esigenza non deve poi trascinarci verso la prescrizione. Ad esempio, uno dei casi da me trattati è stato lo scoppio di San Benedetto del Querceto, avvenuto a Natale 2006, per il quale non è ancora stata emessa una pronuncia finale di primo grado. In quel caso l’ipotesi era quella di disastro con componente anche d’infortunio sul lavoro, perché purtroppo morì un vigile del fuoco, quindi per lui fu un incidente sul lavoro nel contesto di un disastro.
Vi è stato un momento in cui nelle procure si istituivano i cosiddetti gruppi specializzati, un’altra questione ricorrente nella nostra vita giudiziaria, perché si ritiene che istituendo i gruppi specializzati i magistrati siano più preparati e bravi; ovviamente su questo vigono le direttive del CSM nonché una capacità auto-organizzativa di ogni singola procura, perché la nostra giurisdizione penale parte da una competenza diffusa sul territorio (qualcuno diceva che ogni procura è una repubblica). Sono stati dunque istituiti dei gruppi di lavoro e ricordo che uno dei primi fu quello concernente gli abusi sessuali sui minori.
Personalmente, durante il periodo in cui, come procuratore aggiunto in sede vacante, diressi la procura di Bologna, istituii il gruppo amianto, un capitolo non ancora chiuso – ahimè – come segnala la procura di Bologna. Io affidai a tre magistrati il compito di occuparsi, tra le molte altre cose, dell’amianto perché era un periodo in cui attendevamo le prime sentenze della Cassazione. Siccome a Bologna in un certo periodo c’è stata un’industria ferroviaria (un’officina riparazioni delle ferrovie), abbiamo questo dolorosissimo fenomeno. Sono malattie professionali che rappresentano l’altra faccia dell’infortunio sul lavoro: quest’ultimo, infatti, è un fatto istantaneo, mentre esse manifestano i loro effetti dopo un periodo di latenza.
La procura di Bologna riferisce che ancora oggi ci trasciniamo un numero di fascicoli per morte da asbestosi e nessuno può prevedere quanti ne arriveranno in futuro. Certamente vi sono gravi problemi di interpretazione delle norme, perché anche secondo le pronunce della Cassazione non è facile stabilire quando è cominciata l’azione lesiva, tanto che adesso si vorrebbe identificare il momento in cui fu assorbita la prima scheggia microscopica di amianto. Mi astengo da ogni commento, ma credo siano indagini diaboliche quelle che cercano di stabilire in che giorno una persona che ha lavorato per venti anni a scoibentare vecchie carrozze ferroviarie ha assunto la prima scheggia.
Un’altra segnalazione che il mio capo mi ha raccomandato di fare alla Commissione riguarda il fatto che vi sono dei casi in cui le procure, atteso che ciascuna è competente per il circondario del proprio tribunale, possono evidenziare fenomeni particolari. Nulla esclude che, ad esempio, un’industria situata in Provincia di Ravenna, come quelle per la lavorazione di grassi, possa avere un distaccamento in Provincia di Forlì o di Rimini; intendo dire che un imprenditore può avere due stabilimenti nei quali applica lo stesso processo produttivo e in uno dei due si può verificare un infortunio: ad esempio, è accaduto spesso in Romagna che alcuni operai calatisi all’interno di silos per effettuare le pulizie del caso siano morti per l’inalazione di gas letali.

PRESIDENTE
Non solo in Romagna, purtroppo.

PERSICO
Certo. Il dottor Le Donne ritiene che si debbano segnalare questi aspetti, perché da queste audizioni la Commissione può trarre suggerimenti per proporre al Parlamento eventuali integrazioni. L’articolo 118-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale istituisce un meccanismo che ha tentato di risolvere il problema dei collegamenti e dei contrasti tra procure, sulla base dei delitti molto gravi previsti dall’articolo 407.
Stando a quanto si legge sulla stampa il problema non è risolto; qualche contrasto tra pubblici ministeri e qualche mancato collegamento si può verificare, ma il dottor Le Donne si chiede perché nessuno abbia pensato al collegamento anche nella materia degli infortuni sul lavoro più rilevanti, gravi o speciali che siano. Ci permettiamo quindi, a puro titolo di contributo, di consegnare un breve testo, che potrebbe essere utilizzato come suggerimento, in cui si propone di integrare il citato articolo 118-bis, attribuendo al procuratore generale del distretto la facoltà di coordinamento e di collegamento anche per taluni casi. Ovviamente, lo ripeto, torno a dire che gli infortuni sul lavoro normali sono migliaia e in quei casi c’è poco da coordinare; il procuratore di Rimini sostiene di sanzionare con contravvenzioni tutti i processi possibili, ma in questo caso si pensa ai grandi accadimenti o a quelli che, per la loro risonanza, preoccupano tutta la collettività nazionale. Questo potrebbe avere un’utilità nel senso che, ad esempio, estendendo l’interpretazione della norma, il procuratore generale di Bologna ha svolto una funzione di contatto dopo gli eventi sismici recenti. Non si tratta di infortuni sul lavoro, ma dopo gli eventi sismici si sono verificati degli infortuni sul lavoro gravi, che hanno generato sgomento. Il procuratore generale ha segnalato ai procuratori interessati (soprattutto quelli di Modena, Reggio Emilia e Ferrara) di studiare se è possibile collegare soprattutto l’attività peritale di accertamento, cioè se possiamo utilizzare qualche dato in comune, anche in considerazione del fatto che ogni consulenza e perizia ha un costo. Non è questione di spilorceria, ma di celerità: se più consulenti o periti si occupano di episodi, forse derivati da un’unica causa, che poi è il sommovimento della terra, in casi di questo genere le procure possono, non solo risparmiare soldi per il pagamento di tali figure, ma anche trarre conclusioni più omogenee. In questo senso, la citata proposta di integrazione potrebbe avere un grande significato quando vi sia una grande società (di cui non faccio nomi), magari siderurgica, che ha più unità produttive in Regioni diverse. In questo caso, se i procuratori generali non si trovano, occorrerebbe il coordinamento del procuratore generale della Cassazione.
Avviandomi a concludere, devo riferire che proprio su questi fatti gravissimi da qualche parte si prospetta la proposta, che vale la pena esaminare dal punto di vista intellettuale, di istituire un organo centrale in analogia ad altri e tutti corrono col pensiero alla procura nazionale antimafia. Quando ha istituito quella procura, il legislatore aveva in mente fenomeni che hanno una loro struttura centralizzata, almeno come ipotesi; stranamente, il procuratore nazionale antiterrorismo non è stato istituito, perché il legislatore, ritenendo di fare riferimento alle strutture del Ministero dell’interno e dell’Arma dei carabinieri, ha semplicemente attribuito la materia del terrorismo alle procure del capoluogo di distretto. Poi sui giornali si legge, con un’espressione sbagliata, che del terrorismo si occupa la direzione distrettuale antimafia (DDA), ma è un errore, perché se ne occupa la procura del capoluogo di distretto. Qualcuno si chiede se potrebbe essere utile istituire qualcosa di analogo per gli infortuni sul lavoro.
Avendo studiato tanti documenti, ho notato che, a parte l’Emilia-Romagna, dove il comitato regionale di coordinamento funziona bene, ci sono organi da sempre deputati allo studio degli infortuni sul lavoro su base epidemiologica, cioè statistica: primo tra tutti l’INAIL, che produce rapporti annuali e studi che poi, dall’esame dei grandi numeri e classificati secondo le circostanze degli accadimenti, possono dare suggerimenti. Il pensiero del dottor Le Donne, che mi ha chiesto di rappresentare il pensiero di gente che si occupa da anni di queste cose, è di fare attenzione a non disperdere la ricchezza di questo patrimonio di dati e valutazioni. Tra l’altro, a questi studi concorrono anche dei privati perché, oltre al servizio istituzionale del Ministero del lavoro e dell’INAIL, questi dati, alcuni dei quali fanno riflettere, vengono raccolti e comunicati anche da società di ingegneria. Secondo queste statistiche il giorno in cui accadono più infortuni sul lavoro è il venerdì; mi verrebbe da dire che ciò accade perché l’operaio ha lavorato tutta la settimana.
Qual è la nazionalità straniera più colpita dagli infortuni sul lavoro? Quella rumena. Ciò non mi meraviglia, perché i rumeni sono di più e sono anche in numero maggiore – purtroppo – come lavoratori in nero. Nell’ultimo anno due infortuni sul lavoro hanno riguardato cittadini del Bangladesh, che sono molti meno dei rumeni, e del Marocco, che occupano invece il secondo posto in classifica.
Vi sono forze molto attive, che lavorano positivamente e che collaborano, almeno relativamente all’Emilia-Romagna e sulla base di quanto il nostro ufficio della procura generale può riferirvi. Bisogna continuare ad attivare alcuni di questi corpi specializzati, che sono quelli tradizionali: mi riferisco ai nuclei di tutela dei carabinieri e ai vigili del fuoco, per cui – personalmente – nutro da sempre profondissima e lunga stima, in particolare dal 2 agosto 1980.
È possibile immaginare un organo che, avvenuto un grave infortunio sul lavoro, corra sul sito? La Commissione ebbe modo di sapere dello strano scoppio avvenuto a Sasso Marconi, ma è chiaro che un organo che parte da Roma non sa niente della situazione del momento perché secondo la nostra esperienza, per capire le origini e le cause di un infortunio sul lavoro, occorre partire dalla conoscenza dell’attività di impresa produttiva. Sono le USL che hanno gli schedari e che possono acquisire immediatamente le licenze, le concessioni e le autorizzazioni. Talvolta, nei casi gravi, l’infortunio sul lavoro nasconde anche un reato ambientale o una lesione ambientale, come un inquinamento. Gli organismi interessati sono quindi le USL, le ARPA e finanche le prefetture, che, se non ricordo male, dovrebbero tuttora avere in cassaforte i piani di emergenza delle industrie classificate come pericolose di prima categoria, che poi sono quelle dove gli incidenti possono accadere.
Non abbiamo da segnalare carenze. Ci sembra che in Emilia-Romagna occorra intensificare questo coordinamento già in atto, apprezzando tutti gli apporti di questi organismi. Ben venga, quindi, qualsiasi attività di raccolta di dati e di interpretazione di questi dati. Credo che nessun procuratore della Repubblica a livello locale, con riferimento all’Emilia-Romagna, gradirebbe l’arrivo di strutture che vengono da lontano e che, comunque, dovrebbero basarsi su tutti i documenti e i dati in possesso di altri e, soprattutto sull’intervento che deve avvenire in pochi minuti e non ad horas. Infatti, sappiamo – ce lo ha segnalato anche il procuratore di Rimini – che spesso, dopo un infortunio sul lavoro, vi sono tentativi di modificare l’apparenza o la struttura del luogo. Penso soprattutto ai cantieri delle costruzioni: qualche disgraziato modifica i luoghi, anche se poi – per fortuna – spesso i tecnici riescono a capirlo. Direi, quindi, che nell’attuale sistema giudiziario, l’attività inquirente è svolta con sufficienti risultati. Ciò che – forse – un po’ delude le attese, soprattutto delle vittime dei reati, sono i tempi di conclusione dei processi.
Questa è la sintesi di una conoscenza del fenomeno. Rimango ora a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE
Dottor Persico, la ringrazio per la sua relazione, che è stata ampiamente esauriente e ha toccato argomenti su cui questa Commissione si è impegnata. Ad esempio, essa è interessata all’ipotesi di una procura nazionale, che è stata lanciata da un suo collega.

PERSICO
Sia chiaro che conosco il collega Guariniello e nutro la massima stima per la sua competenza. È un’istituzione. Adesso sta facendo un tour presso tutte le USL con convegni e insegnamenti.

PRESIDENTE
Lo seguiamo con attenzione e c’è un ottimo rapporto di collaborazione con lui.

PERSICO
Anche io ho avuto un rapporto di collaborazione con lui.

PRESIDENTE
Credo sarebbe necessaria un’autoriflessione, anche interna alla magistratura, ad esempio come organizzazione del lavoro presso la procura generale della Corte di appello. Occorre cercare di capire meglio come muoversi sul territorio, perché è vero che spesso la scena dell’infortunio viene manomessa e non considerata la scena del delitto. È pur vero – forse – che una maggiore specializzazione da parte di alcuni magistrati aiuterebbe gli inquirenti a svolgere il lavoro.

PERSICO
Nelle procure di primo grado dovrebbe esserci il gruppo di lavoro infortuni. Si tratta, per altro, di una vecchia questione, che molti procuratori hanno affrontato in un modo o nell’altro e che io stesso affrontai quando ero reggente. Se accade qualche cosa alle ore 7,30 di mattina, chi è che deve andare sul posto? Ogni procura ha un sostituto di turno esterno.

PRESIDENTE
Altrimenti si fa alzare qualcuno.

PERSICO
Allora inventammo questa regola. Il sostituto di turno va sul posto e – possibilmente – si mette in contatto con gli ispettori della USL. Appena ha le idee chiare, torna in ufficio e, con il capo dell’ufficio, si decide se è una cosa modesta che lui stesso può portare avanti, oppure se la si assegna al gruppo specializzato sugli infortuni sul lavoro. All’epoca fu trovata questa soluzione.

PRESIDENTE
Mi sembra una buona soluzione.

PERSICO
Qualche procuratore diceva: se mi arrivano dei sostituti giovani e non li incarico di occuparsi degli infortuni sul lavoro, quando mai impareranno a fare i processi su questo tema?

PRESIDENTE
Questo è un discorso di organizzazione e non possiamo delegare a terzi le proprie responsabilità, perché altrimenti facciamo quel gioco all’italiana che non piace né a lei, né a me. Dico questo nonostante sia orgoglioso di essere italiano. Siamo orgogliosi di essere italiani.

PERSICO
Condivido.

PRESIDENTE
Facciamo in modo che ognuno si assuma le proprie responsabilità ed iniziative, perché i terzi non ci possono dare quello che dobbiamo dare noi.
Dottor Persico, la ringrazio per il contributo che ci ha fornito. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del direttore regionale dell’INAIL e delle unità operative di vigilanza tecnica e ordinaria della direzione regionale del lavoro

Intervengono il direttore regionale dell’INAIL, dottor Alessandro Crisci, e le unità operative di vigilanza tecnica e ordinaria della direzione regionale del lavoro, ingegner Luca Cavallone e dottor Gabriele Civolani.

PRESIDENTE
Rivolgo un saluto a tutti voi, pregandovi cortesemente di avere capacità di sintesi, ovviamente senza nulla togliere ai contenuti, anche perché, se non avessimo gli elementi essenziali, non avrebbe senso questa missione a Bologna.
Non siamo qui per motivi particolari, anche se domani dedicheremo la nostra attività ai luoghi del terremoto. Stiamo facendo analoghe missioni in tutte le Regioni d’Italia per avere il quadro della situazione più diretta e per poterci confrontare con i soggetti e le istituzioni che operano sul territorio. Vorremmo quindi avere con voi uno scambio di elementi di riflessione e un momento di vicinanza.
All’interno di questo quadro, vi chiediamo qual è, a vostro parere, la situazione con riferimento alle nuove normative, risalenti a ormai 4 anni fa, che si condensano nel Testo unico in tema di infortuni e malattie professionali.

CRISCI
Buongiorno, sono Alessandro Crisci, direttore dell’ufficio regionale dell’INAIL. Parto dai dati sugli andamenti infortunistici, quanto meno per grandi linee, per capire se quello che si fa in termini di azioni di sostegno ha un riscontro. Infatti, potremmo dire tante cose, per poi però essere contraddetti.
Il fatto importante che caratterizza la Regione Emilia-Romagna è che negli ultimi 6-7 anni l’andamento infortunistico è stato favorevole, portando ad una riduzione progressiva degli infortuni anche prima dell’inizio della crisi economica. La crisi economica ha poi influito parecchio, perché nessuno di noi può immaginare che il calo negli infortuni avvenuto soprattutto nel 2009, ma anche nel 2011 – il 2012 è un anno più tranquillo sotto questo aspetto –, sia frutto soltanto delle azioni migliorative in materia di prevenzione. È chiaro che la crisi economica, riducendo le ore lavorate e
aumentando il ricorso alla cassa integrazione, ha influito moltissimo, producendo un calo degli infortuni. Infatti, c’è stato un calo dei rischi. Ciò nonostante, dal momento che questo è un trend che viene da lontano, sicuramente le componenti della salute e della sicurezza – quindi azioni migliorative – hanno avuto la loro importanza.
Una delle caratteristiche di questa Regione è che, per una tradizione ampia e consolidata, è un fatto abbastanza acquisito che le varie istituzioni lavorino insieme. È vero che le questioni da affrontare non sono semplici, ma i meccanismi sono abbastanza oleati.
L’istituto che rappresento lavora con una certa facilità insieme agli organismi paritetici che rappresentano le parti sociali, le associazioni di categoria e i sindacati. Ciò avviene sia in agricoltura che in edilizia, come del resto nell’artigianato, grazie anche al fatto che si viaggia su binari conosciuti. Abbiamo portato avanti dei progetti per l’agricoltura, un settore che a livello infortunistico ha avuto grande rilievo, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, tenuto conto della gravità degli eventi. In particolare, si è cercato di andare al nocciolo della questione che attiene al settore, dal momento che i trattori, sia nell’agricoltura di pianura che di collina, sono un elemento di rischio fondamentale. Insieme, siamo riusciti a predisporre le schede di modifica per la messa a norma dei trattori, tenuto conto che purtroppo tutti i trattori datati sono fuori regola. Grazie alle schede tecniche elaborate dall’INAIL e dall’ISPESL insieme alla Regione Emilia-Romagna, si è trovata una soluzione tecnica che, con un costo di 3.000 euro, permetteva di mettere in sicurezza i trattori.

PRESIDENTE
Le chiedo scusa, dottor Crisci, ma conosciamo questi aspetti perché ci confrontiamo con i vostri organi nazionali; abbiamo seguito tutti i processi e abbiamo presentato un disegno di legge su questo tema. Vorremmo sapere a che risultati siete arrivati. Quanti di questi trattori sono stati messi a norma?

CRISCI
Oggi non sono in grado di dirlo. Noi facciamo attività promozionale, nel senso che il trattore non viene modificato dalle istituzioni, ma dalle officine private.

PRESIDENTE
Lo sappiamo.

CRISCI
Noi ci siamo preoccupati di raggiungere ogni coltivatore diretto. La Regione Emilia-Romagna ha fatto una pubblicazione e abbiamo anche scritto una lettera ai coltivatori diretti.

PRESIDENTE
Dottor Crisci, ha qualche dato? Nel caso, ce lo può anche spedire successivamente.

CRISCI
Abbiamo detto che modificare il trattore poteva costituire oggetto di finanziamento. Mi riferisco ai famosi click day.

PRESIDENTE
Avete erogato questo finanziamento?

CRISCI
Sì, abbiamo erogato finanziamenti nei pochi casi in cui c’è stato richiesto.

PRESIDENTE
Quindi i casi sono pochi. Se si racconta il tema, bisogna capirne lo svolgimento. Quindi, la conclusione è che pochi trattori sono stati messi a norma.

CRISCI
Questa attività non è finita, deve andare avanti nel tempo.

PRESIDENTE
Potrà anche andare avanti in eterno, ma non è questo il problema: bisogna fare il punto rispetto a quanto si è realizzato, perché il mancato accoglimento del finanziamento da parte dell’INAIL dipende dal de minimis. Abbiamo presentato un disegno di legge, attualmente all’esame delle Commissioni competenti del Senato, per far capire all’Unione europea che dare un finanziamento ai fini della sicurezza non rappresenta un aiuto. Mi sono quindi permesso di interromperla, perché stiamo studiando la situazione da anni e vorremmo sapere se vi è stato qualche risultato, dato che quelli attuali non sono edificanti.

CRISCI
Mi permetto di insistere, signor Presidente, solo sulla necessità di non sottovalutare il fatto che sarebbe utile avere gratis schede tecniche per conoscere il modello di modifica.

PRESIDENTE
Questo perché l’ISPESL ha predisposto tali schede prima di essere assorbito dall’INAIL: conosciamo la storia, ma a noi interessa la conclusione, ossia che poi le cose si facciano.

CRISCI
L’ISPESL le ha fatte attraverso le associazioni di categoria dell’agricoltura e le abbiamo portate nelle fattorie: come lei giustamente ha ora evidenziato, bisognerebbe capire quanti vi hanno aderito.

PRESIDENTE
Lo dovreste sapere già, in base a quanti finanziamenti avete concesso ed erogato.

CRISCI
Il discorso dei finanziamenti dell’INAIL è molto insidioso, sotto questo profilo, perché riuscire ad ottenerli non significa soltanto presentare un progetto, ma anche realizzarlo.

PRESIDENTE
Può farci sapere adesso quanti finanziamenti avete dato?

CRISCI
Sappiamo quanti finanziamenti abbiamo dato a livello macro, ma non conosciamo il numero esatto dei trattori singoli.

PRESIDENTE
Non date il finanziamento al soggetto che ve lo richiede?

CRISCI
Certo, signor Presidente, ma avremo quest’informazione nel momento in cui verrà realizzato il progetto: nei termini indicati dal click day, è stata presentata soltanto l’istanza; nel momento in cui si arriverà alla fase di rendicontazione, sapremo anche se e quanti trattori hanno effettivamente aderito.

PRESIDENTE
Puntiamo molto su questo tema importante, perché più di 100 persone l’anno muoiono per questo motivo.

CIVOLANI
Signor Presidente, rivolgendo un saluto ed un ringraziamento a lei ed alla Commissione tutta per la presente occasione, desidero innanzi tutto precisare che noi rappresentanti della direzione regionale del lavoro siamo qui nelle veci del nostro direttore, che – come tutti i direttori d’Italia – oggi è a Roma presso la direzione generale.
In materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, il Testo unico assegna alla nostra competenza non un ruolo globale, come alle AUSL, ma uno limitato soltanto ad alcuni settori. Per questo motivo, la scelta della nostra amministrazione è stata di cercare d’indirizzare al meglio le risorse verso l’attività ispettiva pura. In Regione siamo circa 500 (300 ispettori e una decina di tecnici).

PRESIDENTE
State portando avanti un’operazione volta a porre rimedio a tale spropositato rapporto tra ispettori amministrativi e ispettori tecnici, come si sta facendo in molte altre Regioni? Data la difficoltà di poterne assumere altri, è in atto un processo di riqualificazione – o di nuova qualificazione, definizione che mi sembra più giusta – e quindi di transito da un’attività tecnica ad una amministrativa?

CIVOLANI
Sì, signor Presidente, si tratta di una mobilità volontaria proposta dal Ministero, cui però, a seconda delle professionalità, non tutti hanno aderito.

PRESIDENTE
Vorrei conoscere i dati: quante richieste di mobilità vi sono, se ve ne sono, tra l’attività d’ispezione amministrativa e la qualificazione d’ispettore tecnico? Ci interessa molto saperlo.

CIVOLANI
Nella Regione ci muoviamo sempre sulle poche unità, anche perché, proprio in virtù del ridotto numero di ispettori tecnici, si è scelto di dare massima rilevanza all’attività di coordinamento con le altre istituzioni che operano sul territorio. A Bologna esiste, addirittura dall’epoca dei mondiali di calcio del Novanta, un coordinamento fra la nostra struttura e quella dell’AUSL, che invece, solo nella Provincia di Bologna, ha un centinaio di persone: la vigilanza tecnica viene dunque svolta da noi in modo estremamente coordinato con la struttura dell’AUSL.

PRESIDENTE
Ci permettiamo di rappresentarvi quest’esigenza, chiedendovi di sollecitare un tale transito. Abbiamo portato avanti grandi battaglie parlamentari per l’assunzione di poche decine di ispettori nel vostro settore e – come sapete – ci siamo riusciti a tranche, fino ad arrivare ai famosi 700: ciò significa che diamo rilevanza anche ai vostri ispettori, quindi vi saremmo grati se poteste aiutarci in tale processo.

CIVOLANI
Possiamo fare poco, noi che siamo stati assunti per questi concorsi.

PRESIDENTE
Non vi sto chiedendo di andarli a prendere domani, ma se potete aiutarci in un tale processo. Le aziende sanitarie lamentano di non avere molti ispettori rispetto all’enorme mole di attività da portare avanti, anche se ne compete una grossa fetta anche a voi, per altro in un settore assai delicato, tra quelli più a rischio e che risentono maggiormente della crisi economica, nel quale quindi si inserisce anche una serie di trappole. Il nostro obiettivo è di potenziare e mettere il più possibile in armonia quest’attività: abbiamo appreso con grande soddisfazione che il comitato regionale di coordinamento in questa Regione funziona molto bene, quindi miriamo ad una massa critica più ampia, per arrivare a soddisfare la sollecitazione che le ho sottoposto, con i dati che ci sono stati forniti per l’Emilia-Romagna, che per altro già conoscevamo. Si era già giunti, in effetti, al 10 per cento di visita nelle aziende, di fronte al 5 per cento che il Ministero si era proposto come minimo, quindi si tratta di un fatto importante.

CIVOLANI
Questa vicenda è quotidiana, dato che chiediamo soprattutto un’immissione in ruolo continua – non a spizzichi, come questa – per la quale riteniamo particolarmente utile la vostra opera.

PRESIDENTE
Temo che non ci siamo compresi: non c’è più personale da mettere in ruolo. Il concorso è finito e non ve ne saranno altri. Le ho chiesto se intendete aiutarci facendovi promotori di tale istanza presso il vostro direttore, che oggi non è presente. Abbiamo bisogno di farvi pervenire una maggiore sollecitazione e sensibilizzazione sul tema, nonché di auspicare che intervenga un maggior riequilibrio tra ispettori amministrativi e tecnici. Questo è il problema da affrontare, perché non entreranno nuovi ispettori: in base alle condizioni in cui versano le politiche di assunzione nella pubblica amministrazione, è difficile immaginare l’indizione di nuovi bandi concorsuali. Se si riuscisse a portarlo avanti, questo sarebbe già un grande lavoro di collaborazione.
Ringraziando i nostri ospiti per il loro contributo, ricordo loro che sul sito del Senato potranno trovare il testo del disegno di legge presentato presso l’11ª Commissione permanente, che riguarda il de minimis. Potrà esservi molto utile. Essendo già stato espresso il parere dalla 14ª Commissione, speriamo di poter approvare il provvedimento prima della fine della legislatura, dal momento che è stato sottoscritto trasversalmente da tutti i componenti della Commissione. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del comandante regionale dell’Arma dei carabinieri, del comandante del gruppo carabinieri per la tutela del lavoro responsabile per il Centro Italia e del direttore regionale dei Vigili del fuoco

Intervengono il comandante regionale dell’Arma dei carabinieri, generale di brigata Antonio Paparella, il comandante del gruppo carabinieri per la tutela del lavoro responsabile per il Centro Italia, tenente colonnello Aniello Speranza, e il direttore regionale dei vigili del fuoco dell’Emilia-Romagna, ingegner Giovanni Nanni.

PRESIDENTE
Colleghi, riprendiamo i nostri lavori, dando il benvenuto ai nostri ospiti, che ringraziamo per la loro presenza e con i quali mi scuso per il ritardo accumulato: come sempre accade, si pensa di poter chiudere una riflessione in un certo lasso di tempo, ma poi si sfora regolarmente.
Ricordo che la Commissione si trova qui a Bologna nell’ambito dell’indagine che sta svolgendo in tutte le Regioni d’Italia per capire, alla luce dell’emanazione del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008), come stiano andando le cose su un tema così importante e delicato come la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Non meno importante è un ulteriore elemento che desidero portare alla vostra conoscenza, ossia che ci tratterremo anche nella giornata di domani, per recarci nei Comuni colpiti dal terremoto, con particolare attenzione agli aspetti relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Vorremmo dunque avere da voi un quadro dell’attività di prevenzione, che è fondamentale, ma anche di quella di sanzione, quando necessario, in riferimento all’argomento di cui ci interessiamo.

PAPARELLA
Signor Presidente, onorevoli senatori, signore e signori, in ordine alla problematica rappresentata, sottolineo come al delicato tema della sicurezza sul lavoro l’Arma abbia sempre manifestato particolare attenzione. Quest’ultima è testimoniata dalla presenza di uno specifico comando a livello centrale, qui rappresentato dal tenente colonnello Speranza, comandante del gruppo con competenza su tutta l’area centrale, che coordina le attività dei nuclei degli ispettorati del lavoro, anche in ambito regionale, e le articolazioni a livello provinciale. L’Arma ha sempre monitorato costantemente il settore per l’osservanza delle prescrizioni sancite dal citato decreto legislativo n. 81 del 2008, allo scopo di garantire la massima sicurezza in termini generali, in piena aderenza con le sollecitazioni rivolte al riguardo anche dal Presidente della Repubblica e dalle altre autorità politiche, con particolare riferimento al fenomeno delle morti bianche.
Nello specifico, la diffusa capillarità sul territorio dei presidi dell’Arma consente di assicurare una proficua attività che si auspicherebbe solo di prevenzione, ma che inevitabilmente talvolta si traduce in forme repressive delle violazioni di legge. Tale attività, che per l’Arma territoriale si manifesta in particolare nella vigilanza sulla verifica della manodopera, si amplia ulteriormente grazie ad una piena sinergia con i nuclei carabinieri presso l’ispettorato del lavoro, le direzioni regionali e provinciali e l’interessamento delle altre componenti istituzionali, alle quali la normativa attribuisce più specifiche e approfondite competenze (come le AUSL, la medicina del lavoro e i vigili del fuoco), con cui vengono effettuati costanti e coordinati monitoraggi. La sensibilità istituzionale trova inoltre suffragio nei servizi disposti periodicamente, anche a livello centrale, dal comando generale, con l’attivazione delle diverse articolazioni ordinative.
In sintesi, i comandi territoriali curano la fase del primo intervento in occasione di incidenti sul lavoro, con il supporto delle AUSL e degli ispettorati del lavoro competenti, del sostegno a richiesta di organi o enti specializzati presenti a livello provinciale, assicurando l’immediato intervento di rinforzo, appoggio e supporto, nonché quello di comunicazione di elementi d’interesse agli organi o enti competenti e dell’inoltro delle segnalazioni che si redigono per situazioni di lavoro irregolare o riguardanti la violazione delle norme sulla sicurezza negli stessi ambienti di lavoro. Nel quadro della convenzione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quello della difesa, l’Arma assicura: incontri trimestrali tra i comandanti provinciali e i direttori provinciali del lavoro ai quali partecipa il comandante del gruppo per la tutela del lavoro, qui presente; la presenza di un rappresentante delegato per i contatti operativi e le riunioni di definizione degli interventi programmati con i responsabili del servizio ispezione del lavoro e i comandanti dei vari nuclei a livello provinciale; un flusso informativo utile per l’attività ispettiva, anche tramite i nuclei, con le direzioni provinciali del lavoro per la segnalazione di fenomeni riscontrati localmente nel campo del lavoro e finalizzati a concordare interventi coordinati o congiunti; ancora, l’organizzazione di attività formative per il personale sulla sicurezza nei cantieri edili; particolare attenzione alla segnalazione tempestiva di situazioni di evidente pericolosità nel settore edile per omissioni nell’applicazione delle norme di sicurezza, che consentano l’immediato intervento degli ispettori del lavoro. Infine, l’Arma assicura, anche tramite le stazioni, la segnalazione tempestiva di incidenti sul lavoro gravi o mortali per l’intervento degli ispettori degli organi competenti. Questa Regione, infine, d’intesa con la direzione regionale del lavoro, ha da tempo avviato un ciclo di conferenze o seminari sulla sicurezza nei cantieri edili che ha visto interessati in particolare tutti i comandanti di tenenza e di stazione; alle conferenze ha sempre preso parte anche il direttore regionale del lavoro o un suo delegato. Inoltre, su richiesta della legione, la direzione regionale ha approntato un prontuario vademecum, già distribuito a tutti i reparti dipendenti, finalizzato a individuare le principali mancanze previste dalla legislazione speciale di settore e i provvedimenti da adottare; si tratta, quindi, di un utile strumento che consente l’immediata verifica e adozione di provvedimenti conseguenti.
Per quanto riguarda un’analisi della situazione infortunistica in senso lato con riferimento ai primi semestri dell’anno 2011 e 2012, si può affermare che dal raffronto si è registrato un trend costante degli incidenti mortali (15 nel primo semestre e 14 nel 2012, tre dei quali legati agli effetti del terremoto del 20 maggio scorso), mentre si rileva un aumento degli incidenti sul luogo del lavoro (51 nel primo semestre 2011 e 74 nel 2012). Questi ultimi però, da una semplice disamina, appaiono più legati a casi fortuiti che a vere e proprie inosservanze delle norme di sicurezza.
L’attività di prevenzione e contrasto mediante l’esecuzione di mirati e specifici servizi a tema, con il coinvolgimento delle altre istituzioni interessate al problema, ha sortito i seguenti risultati: per quanto concerne l’applicazione della vigente normativa a tutela delle leggi e dei regolamenti speciali nel lavoro abbiamo avuto un incremento dell’attività ispettiva (619 nel primo semestre del 2012 a fronte dei 594 del 2011), aumento delle infrazioni contestate (76 nel 2011 e 135 nel 2012), incremento delle persone denunziate (70 nel 2011 e 104 nel 2012) e un calo nelle somme recuperate (1.533.000 nel 2011 e 1.216.000 nel 2012) tra le infrazioni contestate e il mancato versamento di contributi previdenziali. Infine, in merito alle attività di contrasto allo sfruttamento di lavoratori extracomunitari in condizione di irregolarità, riferite principalmente ai lavoratori e ad attività gestite da soggetti di origine cinese, abbiamo avuto un incremento anche in questo caso delle ispezioni (nel primo semestre 2011 sono state 7 e nel primo semestre 2012 sono 17) e una diminuzione di arresti e denunzie per lo sfruttamento di manodopera clandestina (25 nel 2011 e 22 nel 2012).
In sintesi, si può affermare che vi è piena sintonia e una totale sinergia tra le componenti che operano nello specifico settore, quindi penso che i risultanti possano dimostrare in modo abbastanza eloquente che non vi sono grosse problematiche di sorta.

SPERANZA
Signor Presidente, onorevoli senatori, dal 2010 vi è stata un’evoluzione ordinativa. A ciò che ha detto il generale vorrei solamente aggiungere che la legge n. 183 del 2010, il cosiddetto collegato lavoro, all’articolo 33, la cui rubrica recita «Accesso ispettivo, poteri di diffida e verbalizzazione unica», ha permesso di estendere il potere di diffida in materia di lavoro a tutti gli ufficiali agenti di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, a prescindere dalla qualifica di ispettore del lavoro. Detta previsione normativa ha quindi permesso di incrementare le attività svolte dai carabinieri (quindi parlo dell’Arma territoriale e non dei carabinieri ispettori) che operano nella Regione Emilia-Romagna in materia di legislazione sociale e prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro.
La riforma della normativa sulla sicurezza sui luoghi lavoro, con la promulgazione del Testo unico del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modifiche, è di fondamentale importanza per ribadire le competenze del personale ispettivo dell’Arma. Per l’articolo 13 del Testo unico, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e anche dell’Arma è competente in materia di sicurezza per alcuni ambiti (si tratta di competenze fissate per legge), mentre conservano competenza generale e più ampia le aziende sanitarie locali e di conseguenza le Regioni.
Passerei ora ad illustrare l’attività di vigilanza e ispezione svolta dai nuclei ispettorato del lavoro della Regione Emilia-Romagna.

PRESIDENTE
Quanti uomini avete?

SPERANZA
In Emilia-Romagna abbiamo nove nuclei con una forza organica di 33 addetti; in questo momento la forza effettiva è di 30 unità, quindi ne mancano tre, di cui due su Bologna e una su Ferrara. Tuttavia, proprio oggi è iniziato il 64º corso di legislazione sociale, che formerà 20 carabinieri come ispettori del lavoro, e verosimilmente entro i primi mesi dell’anno prossimo due o tre posizioni saranno coperte.
L’attività di vigilanza va distinta tra ordinaria e tecnica. Per quanto riguarda la prima, appare opportuno evidenziare che il comando carabinieri per la tutela del lavoro e i nuclei ispettorato del lavoro, oltre ai compiti descritti all’articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008, non assembla dati su infortuni, atteso che la norma tuttora vigente prevede in capo al datore di lavoro l’obbligo di denunciare l’incidente ai commissariati di pubblica sicurezza (dovrebbe essere una norma del 1978). Per quanto riguarda l’attività operativa, nel primo semestre e nel periodo estivo i nuclei operanti nella Regione hanno ispezionato 701 aziende, rilevando che il 45,5 per cento di esse, cioè un totale di 312, presentava delle irregolarità. Le verifiche maggiori hanno riguardato le imprese operanti nel settore edile (302), alberghiero e dei pubblici esercizi (112), industria e commercio (60 e 59). Stiamo parlando di attività svolta dai nuclei ispettorato del lavoro, con o senza il concorso dell’Arma territoriale o degli ispettori delle direzioni provinciali competenti. Sono stati intervistati 1.881 lavoratori, 1.186 sono quelli regolari, 341 gli irregolari e 354 quelli in nero. Di questi, quasi la metà (148) erano stranieri, gli altri erano italiani, quindi abbiamo una percentuale del 63 per cento di lavoratori regolari e del 37 per cento di irregolari, in nero il 19 per cento di essi. Nel periodo di riferimento, l’attività dei nuclei in Regione ha permesso di recuperare evasioni contributive per circa 1,5 milioni di euro. Con l’applicazione dello strumento della diffida, di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004, che è stato applicato in 1.360 casi, nonché con le altre 1.013 sanzioni dirette, i nuclei della Regione hanno contestato sanzioni amministrative per oltre 1,7 milioni di euro.
Per quanto riguarda invece la vigilanza tecnica, i nuclei carabinieri presso l’ispettorato del lavoro nella Regione Emilia-Romagna hanno conseguito i seguenti risultati: 52 ispezioni complessive, 69 prescrizioni comminate ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 758 del 1994 (prescrizione e mancato adempimento), 15 sospensioni di attività operate ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 81 del 2008, in presenza di una percentuale del 20 per cento o maggiore di lavoratori in nero sul totale delle maestranze, 60 ammende contestate per un importo pari 62.534 euro. Analizzando in dettaglio l’attività svolta nella Regione nel settore della sicurezza si evidenzia che le violazioni contestate più ricorrenti hanno riguardato in 24 casi l’omessa formazione e informazione dei lavoratori (articoli 36 e 37), in 17 casi l’omissione di regole di prevenzione per i lavori nelle costruzioni in quota, in 15 casi l’omessa osservanza della normativa sull’igiene sul lavoro, in 8 l’omissione dell’uso dei dispositivi di protezione individuale e in due casi l’omessa osservanza delle norme sulla sicurezza dei cantieri temporanei e mobili. L’attività ha permesso di constatare che le maggiori criticità rilevate nei cantieri ispezionati riguardano prevalentemente l’esecuzione di attività simultanee ma incompatibili, l’impreparazione professionale dei lavoratori addetti, l’omesso utilizzo delle precauzioni e dei dispositivi di protezione individuale, l’inadeguatezza dei piani di sicurezza e coordinamento (PSC), la carenza di misure tecniche e procedurali, molto spesso gli impianti elettrici non conformi alle norme CEI e lo scorretto uso delle previste attrezzature tale da sovresporre gli operai a rischi per la loro incolumità, specie per cadute dall’alto.
Oltre alle descritte attività è utile sottolineare l’importanza della campagna straordinaria per l’edilizia denominata «Mattone sicuro», indetta dal comando generale dell’Arma dei carabinieri d’intesa con la direzione generale attività ispettiva del Ministero del lavoro, che proseguirà per tutto il mese di settembre e che ha permesso di ispezionare altri 156 cantieri edili in sinergia con l’Arma territoriale; quest’attività è stata svolta non solo dai nuclei carabinieri ispettorato del lavoro con l’Arma territoriale, ma anche da ispettori del lavoro – senza la partecipazione dei nuclei – con l’Arma territoriale. L’importante era sviluppare questa sinergia tra Arma territoriale e Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale attività ispettiva. Quest’attività ha consentito di sospendere sei cantieri, di far emergere 18 lavoratori in nero e di deferire all’autorità giudiziaria
55 persone responsabili a vario titolo di 96 violazioni al testo unico in materia di sicurezza; sono state comminate ammende per circa 109.000 euro e la campagna terminerà alla fine del corrente mese.

NANNI
Signor Presidente, onorevoli senatori, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco opera con una struttura organizzata su base provinciale e regionale, oltre che ovviamente a livello nazionale, con competenze in materia ispettiva e di controlli sulla sicurezza, sia per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza sul lavoro che quelli più generali, con competenze essenzialmente concentrate in capo ai comandi provinciali. L’attività della direzione regionale attiene agli aspetti dell’indirizzo, del controllo, del supporto a quella dei comandi provinciali e comunque per gli aspetti delle industrie a rischio di incidenti rilevanti, per le quali espleta la competenza in materia di autorizzazione, valutazione dei rapporti di sicurezza nell’ambito del comitato tecnico regionale presieduto da chi vi parla.
L’attività ispettiva e di controllo in materia di sicurezza in generale è coniugata con quella volta a garantire la sicurezza sul lavoro. Essa si articola e si coniuga con gli adempimenti propri e conseguenti alle competenze del corpo nazionale, che traggono origine dal decreto del Presidente della Repubblica 1º agosto 2011, n. 151, che stabilisce tutte le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. In particolare, l’articolo 4 dispone i controlli ispettivi per la verifica di sicurezza delle aziende, anche sotto il profilo della sicurezza sul lavoro. L’entrata in vigore di questa norma ha consentito di snellire di molto l’attività di controllo, prima preventivo, ora in fase anche non necessariamente preventiva (esso avviene, infatti, nell’arco di 60 giorni successivi all’avvio dei lavori, previa presentazione della segnalazione certificata di inizio attività).
Con queste norme e nuovi strumenti è stato possibile evadere circa il 90 per cento delle pratiche giacenti, ossia effettuare controlli per il 90 per cento delle attività non controllate prima. Si è trattato di una sorta di espletamento a tappeto e di recupero del terreno perduto a causa del carico di lavoro esuberante rispetto alle potenzialità offerte dagli organici del Corpo. Come dicevo, con questi strumenti siamo riusciti a smaltire il 90 per cento delle giacenze e ad attestarci sulla condizione di regime per tutto il nuovo avvento di pratiche presentate, con tempi di espletamento all’interno di quelli stabiliti dalle nuove norme: 30 giorni per l’esame dei progetti e 60 giorni, mediamente, per le pratiche di sopralluogo.
Nel 2010 sono stati espletati circa 54 interventi di soccorso, di cui 50 relativi ad incidenti sul lavoro (sottolineo i dati forniti dal generale). Sono stati poi espletati, oltre a quelli in fase di avvio o immediatamente post-avvio, tutti i controlli stabiliti dal decreto n. 151. In parallelo, sono stati espletati controlli ispettivi pianificati, sulla base di indirizzi governativi, che hanno riguardato tutta una serie di attività, a partire da quelle agricole, industriali ed artigianali. Nel 2011 sono stati espletati 400 controlli su indirizzo governativo, ai sensi del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 (mi riferisco in particolare all’articolo 19). Purtroppo, si è dovuto constatare che, nel circa il 50 per cento dei casi, i controlli hanno fatto registrare inadempimenti o inosservanze delle norme sugli infortuni sul lavoro, per quanto riguarda gli aspetti della prevenzione incendi e della gestione delle emergenze. Questo è il quadro generale per quanto riguarda le verifiche del corpo nazionale in ambito regionale.
Faccio ora riferimento agli aspetti delle attività a rischio di incidenti rilevanti, che – ovviamente – comportano un livello di rischio superiore a quello delle attività ordinarie, e che coinvolgono, in caso di incidente, ambiti esterni agli insediamenti produttivi. In ambito regionale vi sono oltre 100 insediamenti: si tratta di circa 114 insediamenti. Nell’anno 2011 abbiamo espletato 14 istruttorie e 20 verifiche ispettive: circa il 20 per cento delle attività sono quindi state sottoposte a verifica ispettiva. Non ci sono state osservazioni di difformità sostanziali. In questi settori, dove il rischio è particolarmente elevato e il controllo è particolarmente attento e pressante, anche l’attenzione datoriale si è dimostrata all’altezza della situazione.
Per quanto riguarda gli aspetti delle competenze in materia di sicurezza sul lavoro, ricordo che il corpo espleta anche attività di formazione nei confronti dei soggetti che operano nel mondo del lavoro: lavoratori, addetti alla sicurezza, addetti ai servizi di prevenzione e protezione, responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e datori di lavoro. Il corpo ha abilitazione alla formazione ed opera costantemente, formando le squadre aziendali per gli aspetti della gestione dell’emergenza, ex articolo 12 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
Sulla base della nostra esperienza, in questo campo ci sono margini per fare di più, anche sul piano legislativo, ma – soprattutto – per tradurre in cultura lo sforzo che viene fatto in termini di attività formativa negli insediamenti produttivi, nelle attività e nelle aziende. Ripeto: dovremmo cercare di fare in modo che questo patrimonio venga capitalizzato e tradotto in cultura diffusa. Solo allora potremo attenderci dei risultati sostanzialmente più soddisfacenti e massicci. Quindi, dobbiamo fare di più in questo senso. Sul piano legislativo, il legislatore potrà darci un grosso aiuto, semplificando il sistema dei controlli attraverso forme di snellimento e razionalizzando le competenze nel settore.

PRESIDENTE
Ingegner Nanni, le saremmo grati se, su questo tema, potesse farci avere una nota con indicazioni più precise.

NANNI
Senz’altro, signor Presidente. Mi riservo di farvi avere una relazione.

PRESIDENTE
Glielo chiedo perché, quando si parla di temi molto importanti, come la semplificazione, la chiarezza e la riduzione di burocrazia (che sono forieri di eventi positivi), occorre entrare nel merito.
Illustrandoci le vostre proposte, potete fornirci un valido aiuto per cogliere gli aspetti atti a semplificare l’attività in generale, compresa la vostra. Le audizioni che stiamo svolgendo ci servono ad avere un contatto diretto con chi opera. A volte la norma, che può apparire anche la più giusta e logica possibile, si può scontrare, nell’applicazione sul territorio, con situazioni che appesantiscono. Quindi, siamo molto grati a lei e all’Arma dei carabinieri per le indicazioni che vorrete fornirci. La nostra Commissione è pronta a recepirle e a farsene carico e, nel momento in cui le dovesse ritenere necessarie, opportune e compatibili, a portarle avanti.

NANNI
Signor Presidente, sarà mia cura farvi pervenire un contributo in tal senso.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per la vostra presenza e per gli importanti contributi che ci avete fornito. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono il responsabile regionale del dipartimento salute e sicurezza della CGIL Emilia-Romagna, signor Gino Rubini, il segretario generale regionale e il responsabile del dipartimento sviluppo sostenibile CISL Emilia-Romagna, signor Giorgio Graziani e dottor Claudio Arlati, il vice segretario regionale della UIL Emilia-Romagna, signor Giuliano Zignani, e il segretario regionale della UGL, dottoressa Tullia Bevilacqua.

PRESIDENTE
Rivolgo un saluto a tutti voi.
La presenza della Commissione a Bologna quest’oggi è legata ad un’indagine che stiamo svolgendo in tutta Italia. Non vi sono particolari ragioni, almeno per quanto riguarda la mattinata di oggi, in quanto nel pomeriggio di oggi e domani ci recheremo nelle zone terremotate, affrontando quindi un discorso più mirato e diretto.
Vi chiediamo cortesemente di dirci qual è, dal vostro punto di vista, la situazione in riferimento alle nuove normative contenute nel Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, oltre a fornirci eventuali elementi di riflessione e di proposta. La Commissione ritiene opportuno compiere questo genere di incontri sul territorio, direttamente con chi opera, al fine di avere degli elementi di suggerimento e di approfondimento, di cui faremo sicuramente tesoro.

RUBINI
Buongiorno a tutti, intervengo in rappresentanza della CGIL Emilia-Romagna.
Colgo anzitutto l’occasione per ringraziare la Commissione, anche a nome dei colleghi, per l’attenzione e l’impegno profuso da tempo, nonché per il lavoro che avete svolto. Abbiamo letto le relazioni intermedie della vostra attività e abbiamo apprezzato molti degli aspetti di conoscenza e di riflessione in esse contenuti.
Con i colleghi della CISL e della UIL abbiamo presentato un documento unitario, che vi consegniamo. Cercherò di illustrarlo brevemente nei punti salienti e mi riservo, alla fine, di fare alcune brevi notazioni che appartengono più alla sigla CGIL (sono solo delle caratterizzazioni minime, in quanto la sostanza vera è contenuta nel documento).
Riteniamo che, nonostante la crisi (che rappresenta oggi un problema molto consistente e che comporta un rischio di allentamento della gestione dei rischi a livello di impresa, date la contrazione dei fatturati e delle disponibilità delle risorse), si debba tenere ben salda la gestione e che tutti gli interventi a livello sindacale ed istituzionale debbano avere questo tipo di obiettivo. Pensiamo debba esserci una scelta di indirizzo politico generale, che sia quella dello sviluppo, in modo tale che il valore aggiunto delle produzioni sia tale da consentire, per l’appunto, un margine per una gestione alta della sicurezza stessa. È altresì opportuno che vi siano azioni di ricerca e sviluppo tese a migliorare il sistema di produzione.
Il terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna ha messo in luce delle difficoltà e dei problemi veri – penso alla qualità edilizia dei capannoni industriali –, che mettono in luce l’esigenza di cifre molto rilevanti per la messa in sicurezza degli edifici industriali (sia quelli attuali, che quelli futuri). È stato infatti dimostrato che le valutazioni di rischio sismico che erano state fatte erano inadeguate. Ciò richiede, nel tempo, un piano pluriennale e una messa in sicurezza, con un assorbimento di risorse non indifferente.
Per quanto riguarda il decreto legislativo n. 81, si registra un problema di attuazione: i decreti attuativi stentano ad essere emanati, o comunque vengono adottati con molto ritardo. Penso, in particolare, alla messa in opera del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, che è lo strumento vero di interfacciamento tra Stato centrale e periferia, per disporre delle medesime informazioni, conoscenze e database, così da far fronte alla programmazione degli interventi da parte dei servizi.
Si registra inoltre un problema di valorizzazione del lavoro degli organismi paritetici che vengono creati tra associazione dei datori di lavoro e organizzazioni sindacali. In Emilia-Romagna abbiamo avuto un’esperienza molto positiva nel campo artigianale di gestione della sicurezza. Riteniamo che essa debba costituire un punto di riferimento per dimostrare che si possono fare cose molto rilevanti, specialmente per la piccola impresa (che, da sola, non ha sufficienti risorse per sviluppare attività di formazione ed informazione), al fine di dare gli strumenti operativi ai piccoli imprenditori che – a volte – non sono in grado, da soli, di sviluppare una capacità gestionale.
Alcuni aspetti relativi al quadro istituzionale presentano invece un punto di differenza rispetto alle valutazioni emerse dall’ultimo rapporto della Commissione. Pensiamo, infatti, che non tutte le Regioni siano uguali e che la storia dello sviluppo dei servizi di prevenzione a livello di AUSL in Emilia-Romagna abbia dato buona prova nel tempo, anche se ovviamente si sarebbe potuto fare di più . Il contesto è complesso, perché presenta circa 400 operatori che intrattengono nel territorio un rapporto continuativo con le realtà associative, ma soprattutto con quelle che esplicano una vigilanza intelligente, non soltanto ai fini della ricerca del reato, ma della trasformazione della condizione di lavoro da insicura a sicura.
Certo, se la prevenzione fosse centralizzata, saremmo preoccupati dell’introduzione di cambiamenti nel suo quadro organizzativo, che implicherebbe la perdita di una serie di riferimenti a livello territoriale che oggi funzionano. Pur sapendo che ve ne sono alcune che non hanno fatto il loro dovere, non hanno istituito i servizi e non hanno creato le premesse per avere la legittimità di presentarsi sul campo a dichiarare di aver fatto quanto dovevano, pensiamo che non tutte le Regioni siano uguali e nutriamo una serie di preoccupazioni. Un cambiamento del modello organizzativo della prevenzione comporterebbe per altro un periodo di assestamento che implicherebbe una scopertura dal punto di vista dell’operatività che potrebbe durare nel tempo, conoscendo la lenta tempistica richiesta in Italia per la traduzione delle norme in sistemi organizzativi funzionanti.
Dal punto di vista sostanziale spero di aver fornito un quadro di riferimento, anche alla luce dell’ultimo accordo Stato-Regioni per la formazione dei lavoratori, ma è importante anche mettere in opera un sistema tale per cui questa venga svolta davvero e in modo effettivo. Si tratta di un passaggio delicato, perché mentre vi è un’effettività della formazione delle figure gestionali dell’impresa, vi è un vero e proprio buco nero in tutta la struttura produttiva, anche emiliana, rappresentato da un’adeguata formazione ed informazione dei lavoratori, soprattutto in ragione del fatto che oggi essi cambiano spesso il posto di lavoro, ma non sempre vengono formati in modo adeguato rispetto ai rischi legati a quello nuovo. Si pone quindi un problema di affinamento dei sistemi gestionali, oggi non adeguati.

PRESIDENTE
Nella relazione non abbiamo parlato di tutte, ma della stragrande maggioranza delle Regioni: purtroppo è così, ma non abbiamo voluto inserire anche quelle virtuose, ci terremmo a chiarirlo.

NEROZZI
Comprese quelle che si considerano virtuose e i cui operatori dicono di essere virtuosi.

ZIGNANI
Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la Commissione per l’impegno profuso in questi anni e per quello che verrà ancora speso nei mesi che mancano da qui a fine legislatura.
Per quel che riguarda la Regione Emilia-Romagna, i problemi sono relativi, in primo luogo, al notevole aumento della cassa integrazione (che all’inizio dell’autunno è già pari ad 8 milioni di ore, molte delle quali in deroga): ciò vuol dire che esistono grossi problemi anche al di là delle aree del terremoto, infatti anche la stessa Romagna è duramente colpita dalla cassa integrazione. A questo va aggiunto un problema che è andato crescendo negli ultimi anni, quello del sistema degli appalti, che oso definire «al massimo ribasso», soprattutto con l’affidamento di subappalti con i quali spesso perdiamo di vista il filo conduttore.
In questo periodo, infatti, abbiamo visto aziende aggiudicarsi un appalto nella regolarità e applicare poi contratti non firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative sul territorio nazionale, ma depositati comunque al CNEL, che presentavano situazioni di peggior favore rispetto a quelli che firmiamo noi (ad esempio con riferimento alle ferie, alla malattia ed alla tredicesima mensilità). Si tratta di un sistema che dobbiamo contrastare, onde evitare di passare ad un livello culturale che sfugge di mano ad una Regione che ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello per alcune questioni, soprattutto dal punto di vista del lavoro.
Vi è poi il rischio di un aumento delle infiltrazioni malavitose, soprattutto in alcune zone dell’Emilia. Ho voluto citare questi dati per sottolineare un aspetto che potrebbe sembrare semplice, mentre è assai complesso: il rischio è che, prima o poi, si arrivi ad un abbassamento dell’attenzione verso la sicurezza dei lavoratori nei posti di lavoro. Quando si cerca di far risparmiare il più possibile, dall’altra parte si fa leva su due questioni: una è costituita dai contratti, quindi dal problema salariale dei lavoratori, l’altra dalle norme di sicurezza più elementari, che rischiano di essere duramente colpite.
Appena vi sarà la tanto attesa ripresa lavorativa – e mi auguro il prima possibile, perché dobbiamo essere fiduciosi che prima o poi arriverà, anche se nulla sarà più come prima – ci troveremo di fronte a lavoratori che hanno cambiato mansioni e ad aziende ristrutturate. Anche in questo caso, quindi, come ricordava il collega Rubini poco fa, occorre lavorare e investire molto sulla formazione, perché, se si procede senza investire in questo campo, si rischia che aumentino gli infortuni.
Questa, signor Presidente, ai fini della brevità, era la sintesi del contenuto del documento che vi ha consegnato il mio collega.

GRAZIANI
Signor Presidente, mi associo all’apprezzamento espresso dai miei colleghi per la presente audizione, che rappresenta l’occasione per venire nelle Regioni a comprendere direttamente le condizioni e gli andamenti reali.
Dai dati presenti sul piano nazionale e regionale, non ritengo di poter dire che le cose stiano procedendo in modo da darci grande soddisfazione, che invece si ottiene quando si tende a risultati davvero significativi e quando poi questi si conseguono. Il calo degli infortuni e delle morti sul lavoro si evidenzia, comunque, anche in questa Regione: siamo passati dagli 87 morti del 2011 ai 52 di agosto, dei quali 17 purtroppo sono stati causati dal terremoto. Stiamo parlando di numeri ancora significativamente negativi, perché sulle morti bisogna procedere con l’obiettivo zero, per quanto ambizioso. Nello stesso tempo, è chiarissimo che questo è un indicatore che se ci darà i risultati attesi, negli ultimi quattro mesi dell’anno, essi saranno significativi.
Come hanno detto i miei colleghi, certo la crisi colpisce in maniera paradossale su due fronti: da una parte, vi è meno lavoro, cosa che incide anche in relazione all’abbassamento degli infortuni, dall’altra, però, le irregolarità aumentano, perché in questa situazione si può configurare un abbassamento della guardia in relazione a temi così caldi.
Parimenti, abbiamo elaborato un protocollo regionale sulla legalità, per quanto riguarda la gestione dei lavori sul terremoto, nel quale è significativamente scritto che non è previsto l’appalto al massimo ribasso. Si tratta di un’intuizione di tutte le parti sociali e della Regione che merita grande apprezzamento, perché non era scontato che si lavorasse per un protocollo del genere.

PRESIDENTE
Abbiamo avuto modo di sentire ed apprezzare la notizia questa mattina da parte del presidente Errani.

GRAZIANI
Abbiamo apprezzato sia l’accoglimento di questa nostra richiesta da parte del Presidente, perché ponemmo noi il problema del protocollo, sia l’intuizione di tutte le parti sociali, in verità, non delle parti datoriali.
La cosa, attraverso la Regione, ha funzionato, anche se non so quanto funzionerà nella pratica: è comunque previsto che l’offerta più vantaggiosa sia l’elemento di riferimento e il massimo ribasso oggettivamente non è previsto in quest’ambito. Per altro, nei luoghi colpiti dal sisma quest’elemento proverà a caratterizzare la ricostruzione, che è già in atto.
Avendo appreso da voi che vi recherete direttamente sulle aree colpite, non mi dilungherò sulla loro descrizione, ma è chiaro che quello per noi costituisce un elemento di grande monitoraggio, in termini di prospettiva, perché da lì dobbiamo ripartire in termini culturali per ricostruire in sicurezza, quindi in termini di allargamento del fronte fuori dal cratere del sisma.
Da questo punto di vista, ritengo che le normative in Italia siano avanzatissime: abbiamo apprezzato i contenuti del decreto legislativo n. 81 del 2008, nonostante le difficoltà della sua applicazione e della sua messa in opera. Nel resoconto che vi abbiamo consegnato, è contenuto molto di quello che pensiamo: è chiaro che per noi tutto questo deve essere sempre fatto in una condizione di coesione sociale, quindi di messa a sistema. Il protocollo regionale sulla legalità e alcuni altri elaborati a livello provinciale in questa Regione, in sede di prefettura, per mirare agli interventi in termini di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, purtroppo di solito sono conseguenti a gravissimi infortuni. In un modo o nell’altro, però, sono stati costruiti, quindi costituiscono un elemento cardine da affiancare al quadro normativo. Sotto questo profilo, visto che sono diretta emanazione del Governo centrale, i prefetti vanno sensibilizzati a promuovere ulteriormente questi elementi, che possono applicare in maniera relazionale una norma che, attraverso diverse questioni, fatica ad essere applicata in tutte le sue parti.
Gli elementi della salute e della sicurezza non riguardano soltanto noi, perché si tratta di un investimento, non di un costo per le imprese: investire in materia significa farlo sulle proprie risorse umane e il progressivo abbassamento del livello degli infortuni, in questa Unione europea che fatica a collocarsi in termini politici e di governo economico, significa anche competitività per un Paese, quindi un’applicazione vera della normativa, che è forse la più avanzata dei Paesi europei, sarebbe un vero segno di ripresa in un momento tanto difficile.
Sul quadro dei contenuti, tenendo conto delle considerazioni fatte dai miei colleghi, vorrei ricollegarmi in particolare a due passaggi del documento che vi abbiamo consegnato, il primo dei quali riguarda gli organismi paritetici. Il Sistema informativo nazionale per la prevenzione di infortuni e malattie professionali (SINP) è fondamentale per riuscire a garantire l’informazione, che è importante in tutte le sue forme e in questa in particolare, nelle varie aziende e negli organismi paritetici. Chiaramente, noi siamo per una bilateralità diffusa e l’organismo paritetico può diventare l’elemento centrale in cui le parti possono confrontarsi attraverso il SINP. È altrettanto chiaro che, come vi dicevo, i protocolli sono determinanti per la costruzione di azioni mirate e per distribuire meglio le forze messe in campo, perché ci sono gli organismi di controllo, le direzioni provinciali del lavoro e le ASL. Noi riteniamo che l’esperienza delle ASL in merito alla capacità di prevenire e di decodificare quali elementi strutturali di un’azienda possono minare la salute e la sicurezza al suo interno o in quel settore sia centrale e insostituibile, quindi noi ribadiamo con forza l’opportunità che tutti i soggetti rimangano coinvolti in questa forma di prevenzione e contenimento degli infortuni nei luoghi di lavoro. Da questo punto di vista, il Servizio prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro (SPESAL) della ASL, che ci permette di usufruire di alcune informazioni e di intervenire, col quale collaboriamo fortemente, è per noi un valore insostituibile. Riteniamo che vi siano tutte le condizioni per poter continuare questo lavoro, fermo restando che, come state facendo, la collaborazione e l’ascolto reciproci nella messa in opera degli interventi in applicazione della normativa sono davvero importanti.
Prima o poi si dovrà tener conto anche di un elemento determinante, come il coinvolgimento della stessa responsabilità sociale dell’impresa. Infatti, mantenere il numero degli infortuni vicino allo zero o – con grande ambizione – a livello zero significa avere una responsabilità sociale nel Paese e quindi all’interno di ogni luogo di lavoro.

BEVILACQUA
Come i colleghi, vi ringrazio anche io per la vostra presenza e per l’impegno a tenere alta l’attenzione sugli infortuni sul lavoro. Noi abbiamo ricevuto i dati forniti dall’INAIL a novembre 2011 e in questa Regione gli infortuni sono in calo, anche se non si arriva a zero. Di contro, l’aumento degli incidenti stradali e anche di quelli in itinere che si riscontra fa presupporre che la fretta non è amica della sicurezza, ma anche che la difficoltà di conciliare i tempi di vita e di lavoro è ancora un problema molto forte che può essere all’origine di infortuni.
Mi associo a quanto detto dai colleghi, quindi non ripeto la necessità di puntare sulla formazione e sui controlli, soprattutto in questo momento di crisi in cui, nonostante il protocollo sottoscritto in Regione, c’è una maggior disponibilità (dovuta alla crisi economica) dei lavoratori a lavorare in nero, quindi gli infortuni che si verificano non vengono censiti. Noi dell’UGL consideriamo i suicidi avvenuti a causa della crisi come morti sul lavoro o, se preferite, sul non-lavoro, quindi andrebbero considerati in tale ottica.
Tuttavia, in questo momento, visto che l’argomento è stato ben centrato dai colleghi, vorrei esprimere una forte preoccupazione rispetto al futuro. Noi sappiamo che la legge Fornero ha spostato molto in avanti l’età pensionabile; sicuramente quando è stata presa quella decisione non c’era altra scelta e non voglio colpevolizzare il Ministro, ma ritengo che si debba fare un’analisi puntuale delle diverse tipologie di lavoro, perché dal nostro punto di vista ci sono attività lavorative che, svolte in età avanzata, possono essere pericolose per effetto della minore attenzione e idoneità fisica. Faccio due esempi per chiarire il concetto: i ferrovieri oggi viaggiano ad agente solo, i macchinisti sono soli e il carico di lavoro non solo è enorme, ma lo è anche la responsabilità. Sono lavoratori sottoposti a visite periodiche, ma credo che innalzare l’età pensionabile a 66 anni sia un problema da affrontare. Ad esempio, non si può pensare che i vigili del fuoco possano arrampicarsi sui tetti oltre una certa età. Oggi mi premeva chiedervi di considerare questo problema, perché credo che davvero in futuro svolgere certe attività in età avanzata possa essere pericoloso.
Per il resto, non ho molto da aggiungere, se non ribadire la necessità della formazione e comunque delle ispezioni, che credo funzionino da deterrente.

PRESIDENTE
Ringrazio tutti voi per il contributo che avete portato. Sicuramente c’è ancora molto da fare e noi siamo consapevoli che, al di là di realtà molto avanzate dal punto di vista organizzativo come l’Emilia-Romagna, per quanto riguarda il coordinamento in altre Regioni non si stanno conseguendo gli stessi risultati. Noi abbiamo a cuore un interesse fondamentale e credo sia anche vostro, al di là della provenienza di ognuno di noi: vogliamo cioè che in Italia vi sia un sistema che garantisca tutti e che non si proceda a velocità diverse o a macchia di leopardo. Ci stiamo impegnando per tentare di rafforzare il sistema e speriamo di riuscirvi, non necessariamente con una norma da approvare entro la fine della legislatura, che si sta concludendo anche con tutte le tensioni politiche che conosciamo; ci auguriamo piuttosto di poter inserire anche questo elemento nella relazione finale che voteremo entro gennaio, perché dobbiamo rafforzare tutto ciò che si organizza sul territorio. Mi riferisco quindi inevitabilmente al comitato regionale di coordinamento, che fa da sintesi, si ripropone sul territorio e in cui convivono i rappresentanti delle Regioni e del Governo, con le emanazioni dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della salute. Abbiamo l’esigenza di fare in modo che questa macchina sia proiettata meglio, anche considerando tutte le problematicità che voi incontrate, per esempio il ritardo nell’emanazione da parte del Governo degli atti amministrativi connessi al decreto legislativo n. 81 del 2008: voi avete fatto riferimento al SINP, che sicuramente è fondamentale, ma vi sono altri atti in pendenza e questo crea problemi.
Vi sono poi altri elementi che vanno messi a regime. Ad esempio, tra gli ispettori si registra una presenza fortemente significativa di unità amministrative e di un numero contenuto di tecnici, tuttavia non si ricorre alla mobilità, pur avendo dato via libera a tale procedura. Occorre dunque rivedere questa realtà e procedere a degli accorpamenti perché di risorse ne abbiamo molte, ma vanno ottimizzate ed è ciò che la Commissione sta cercando di fare, anche se non è facile muoversi perché, come è naturale, si creano sedimentazioni e quindi si teme che ogni piccola variazione possa essere una perdita di operatività. L’obiettivo, però, non è questo, bensì cercare di razionalizzare al meglio le risorse, anche perché il decreto legislativo n. 81 del 2008 ottenne i pareri delle Commissioni parlamentari competenti a legislatura conclusa, quando si erano già sciolte le Camere, e indubbiamente ha bisogno di una verifica quantomeno circa la sua attuazione, quindi stiamo cercando di lavorare al meglio per questo.

NEROZZI
Vorrei evitare un equivoco, oltre a quello che ha schivato il Presidente, precisando che la Commissione fa riferimento alla maggioranza delle Regioni. Siccome so che l’Emilia ha una realtà associativa molto forte e quindi è in collegamento con tutte le associazioni di questo settore, comprese quelle pugliesi e venete (per citarne due a caso), vorrei precisare che non abbiamo mai pensato di accentrare le competenze, ma di far funzionare meglio (e oggi abbiamo avuto un incontro molto positivo con la Regione) il coordinamento nazionale, che non esiste. Lo dico perché c’è stato del fraintendimento e perché ognuno pensa di far bene anche quando a volte non è così: infatti, pensando ai casi di Porto Marghera e Barletta, bene non è stato fatto né dallo Stato, né dalle realtà locali.
Vorrei chiarire che noi vogliamo questo; poi se un dirigente della ASL vuole dirigere tutto, compreso lo Stato, tornerà in un altro mondo, ma non in questo. Intanto faccia il suo mestiere a Porto Marghera e a Barletta.

PRESIDENTE
Sono stati creati degli allarmismi. Del resto, la funzione della nostra Commissione è capire le problematicità, se ci sono, portarle alla luce, farlo con un linguaggio abbastanza chiaro (e se avete letto le nostre relazioni intermedie lo avrete visto, perché non abbiamo fatto sconti di carattere politico a nessuno) e poi cercare di trovare soluzioni. Se il Parlamento non le vorrà accogliere, ce ne assumeremo la responsabilità, ma noi avremo svolto la nostra funzione; altrimenti, se questi comitati non funzionano, noi riteniamo che sarebbe il caso di chiuderli. Noi ci preoccupiamo anche del centro, perché li c’è qualche problema.
Ringraziando nuovamente tutti gli intervenuti, dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane

Intervengono il vice presidente regionale della Confindustria, dottor Paolo Maggioli, accompagnato dai funzionari dell’area relazioni istituzionali e lobby, dottor Gianluca Rusconi e avvocato Federica Balestri, il vice presidente vicario della CNA Emilia-Romagna, dottor Fabio Giovannini, il funzionario della Confcommercio Emilia-Romagna, dottor Sergio Donati, il vice presidente e il direttore regionale delle OO.PP.AA (C.I.A.-Coldiretti-Confagricoltura), dottor Ivan Bertolini e dottor Corrado Fusai, il responsabile per le relazioni sindacali di Confartigianato, dottoressa Barbara Maccato, il responsabile per i problemi del lavoro della Confesercenti Emilia-Romagna, dottor Marco Pasi, il rappresentante dell’ufficio della legislazione del lavoro dell’Alleanza cooperativa italiana (A.C.I.), dottor Marco Palma (Legacoop), il responsabile per la sicurezza nel lavoro e ambiente della Confapi Emilia-Romagna, dottor Ivan Farioli, i funzionari della Coldiretti, dottor Corrado Poggi e dottoressa Elisabetta Ortolan.

PRESIDENTE
Proseguiamo i nostri lavori con l’audizione di rappresentati delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane, che ringrazio per la aver accolto il nostro invito a partecipare a questa seduta.
La Commissione, che è qui presente con una propria delegazione, è a Bologna non per particolari eventi, anche se nel pomeriggio e domani effettueremo dei sopralluoghi nelle zone interessate dagli eventi sismici del maggio scorso. L’incontro odierno è legato ad un’attività che stiamo svolgendo in tutte le Regioni italiane, dove cerchiamo di incontrare direttamente i soggetti interessati e coinvolti al fine di contrastare gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali, che rappresentano un altro grande problema di cui non si parla con la dovuta attenzione, atteso che le stesse stanno aumentando, perlomeno dal punto di vista delle denunce.
Vorremmo quindi ascoltare le vostre riflessioni su questo tema e sulla normativa attuale, anche se siamo consapevoli che la stessa non è stata ancora completamente attuata.
La Commissione ha sollecitato i Governi che si sono succeduti in questa legislatura – sia il precedente, che l’attuale – affinché vengano adottati gli atti amministrativi secondari previsti dal Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro e si torni a riflettere su talune procedure che possono apparire complesse e che vanno snellite. Occorre anche interrogarsi sulla necessità di particolari focus su aspetti che interessano la nostra società, specie tenuto conto degli ultimi quattro anni, che non sono stati normali. Il tema della salute di chi va a lavorare e di chi sta lavorando è importante e sentito da tutti. Quando parliamo di lavoro non intendiamo solamente il lavoro dipendente, perché spesso si registra la morte di datori di lavoro insieme a lavoratori dipendenti. Si tratta, quindi, di un quadro unico su cui dobbiamo operare.
Vi chiediamo di renderci partecipi delle vostre riflessioni, in quanto l’incontro di oggi consente un’occasione di confronto diretto. Ci stiamo recando in tutte le Regioni d’Italia con la finalità parlarci, incontrarci e vederci. Il «Palazzo», che è sempre più lontano (in questo momento, forse, anche assediato), ha trovato una strada per venire a chiacchierare, nel senso buono del termine.

MAGGIOLI
Buongiorno, sono Paolo Maggioli, vice presidente di Confindustria Emilia-Romagna.
Per quanto riguarda il tema della sicurezza sul lavoro, riteniamo di aver fatto – e di stare facendo tutt’oggi, in una fase così calda come quella attuale – tanto. Oggi, il terremoto ha accentuato ancora di più l’attenzione rivolta al tema. Come dicevo, nel corso degli anni abbiamo fatto molto, nella convinzione che i costi della non sicurezza nelle aziende sono sicuramente superiori ai costi della sicurezza. Quello che è avvenuto in questi anni lo dimostra sotto tutti i punti di vista.
Mi collego all’accenno fatto al tema dello snellimento delle procedure, che riteniamo sia uno degli aspetti più importanti, atteso che la sicurezza riguarda tutti gli attori del mondo del lavoro e non solo le imprese. Partiamo da due presupposti: un numero importante di incidenti avviene durante i trasferimenti tra le abitazioni e le aziende e altrettanti incidenti sul lavoro avvengono per manovre autonome di singoli. Ritengo che si debba dedicare attenzione al tema, con riferimento alla semplificazione e alla normativa da promuovere.

PRESIDENTE
Chiedo scusa, ma non vorrei essere frainteso. Per me semplificazione non significa abbassamento delle tutele.

MAGGIOLI
Assolutamente, tutt’altro. La semplificazione riguarda il mondo delle imprese e occorre considerare che il 90 delle imprese di questo territorio impiegano attorno alle 10 persone. Quindi, una semplificazione in questo senso è assolutamente auspicabile: l’innalzamento dell’attenzione è un aspetto importante e fondamentale. Riteniamo che, per una maggiore attenzione alla sicurezza, non vi sia la necessità di cambiare le norme costituzionali: è auspicabile una migliore attività di coordinamento tra le varie istituzioni, a livello nazionale e regionale.
Inoltre, non possiamo prescindere dal fare cenno al problema del terremoto, facendo due considerazioni e due segnalazioni. La prima considerazione è che noi registriamo un aumento importante di richieste di iscrizione alle camere di commercio della Regione: una grande attenzione, quindi, deve essere rivolta al tema della legalità nella fase della ricostruzione. In questo momento sono tante le aziende che si propongono per ricostruire e, quindi, occorre prestare grande attenzione alla malavita che approfitta di occasioni come questa.

PRESIDENTE
Ricordo la decisione assunta dalla Regione: le stazioni appaltanti non procederanno con gare al massimo ribasso. Credo che questo sia un segnale molto, ma molto importante, proprio in riferimento a quanto lei sta dicendo. La do come notizia, qualora dovesse sfuggire, in quanto mi sembra giusto sottolinearla.

MAGGIOLI
C’è un’altra cosa abbastanza anomala che sta accadendo in Regione. La normativa prevede che, nel momento della ricostruzione, anche le aziende non colpite dal sisma debbano adeguarsi alla normativa. Ciò è massacrante per la Regione, in quanto, come tutti ben sappiamo, non parliamo di interventi spot e non si può prescindere dal fermare l’attività delle aziende e – quindi – dal chiudere i capannoni. Ciò metterà in difficoltà le nostre aziende, perché, al di là dell’essere stati o meno danneggiati, operare in una zona colpita da un sisma crea già di per sé dei problemi. In più, l’obbligo di mettersi a norma, anche in assenza di danneggiamenti, influirà senz’altro negativamente sulle nostre imprese. Bisognerebbe vedere se ci possono essere delle possibilità di finanziamento per le imprese non danneggiate. Per le imprese danneggiate ciò è previsto, mentre per le altre non c’è – ad oggi – alcun meccanismo di finanziamento.

PRESIDENTE
Non so; si tratta di un argomento che fuoriesce dalle nostre competenze. Non voglio sfuggire alla sua domanda, però mi sembra che, già nel reperire finanziamenti laddove si sono determinati gli eventi legati al terremoto, si sia dovuto tener conto del quadro generale di riferimento. A tal proposito, un mese fa abbiamo ritardato la nostra presenza qui perché si votava in Senato il provvedimento che vi riguardava e, quindi, ci è sembrato più giusto rimanere in sede. Ad ogni modo, questo è un discorso che si vedrà, però – onestamente – non lo vedo di agevole risposta, almeno nell’immediato.

GIOVANNINI
Buongiorno a tutti, sono Fabio Giovannini, vice presidente vicario della CNA Emilia-Romagna. Noi rappresentiamo il mondo delle piccole e piccolissime imprese, per lo più artigiane.
Prima il Presidente ha fatto riferimento alla numerosità degli addetti nel nostro tessuto economico, che sappiamo essere costituito per lo più dalle piccole e piccolissime imprese: la media è di 7 addetti per ogni impresa e il 90-95 per cento delle aziende ha meno di 10 addetti. Nelle imprese che rappresentiamo, il rapporto tra lavoratore dipendente e datore di lavoro è molto stretto e, a differenza della grande impresa, il datore di lavoro e il lavoratore dipendente sono davvero due colleghi che condividono lo stesso panino, lo stesso macchinario e lo stesso camioncino. Essi – quindi – condividono anche gli stessi rischi; oltre al rapporto umano, vi è quindi anche una grande consapevolezza del rischio. Il datore di lavoro ed i soci della piccola azienda (società in nome collettivo) o dell’azienda familiare conoscono benissimo i rischi che corre il proprio dipendente perché sono anche i loro. In questo contesto, il patrimonio umano (ossia i collaboratori) è il maggior valore delle imprese. Se in altri contesti il valore del capitale e della produzione dei macchinari è molto importante, nelle piccole imprese il valore delle risorse umane è ancora maggiore rispetto a quanto si registra nelle grandi imprese. In questo ambito, quindi, l’attenzione è massima. I processi di formazione e di addestramento avvengono quotidianamente, perché è nell’interesse del datore di lavoro che ciò avvenga.
La burocrazia non è nelle corde degli artigiani e i suoi costi sono spesso difficilmente compatibili con i bilanci esigui di aziende che hanno 1, 2 o 3 dipendenti. In realtà come queste, un impianto burocratico molto pesante può correre il rischio di esaurire alcune risorse economiche. Vi sono piccole aziende che, dopo aver messo a posto tutti i documenti, non riescono poi a mettere in atto altre cose più concrete ed utili.

PRESIDENTE
Credo che su questo aspetto, al di là di quanto che si potrà fare sul piano della semplificazione, le associazioni dovrebbero farsi carico di alcuni adempimenti. Comprendiamo benissimo che il piccolo imprenditore non ha forse neanche un’esatta contezza di quello che deve fare. Ritengo che proprio le associazioni dovrebbero svolgere questo ruolo.

GIOVANNINI
Questo le associazioni lo fanno. Ciò non toglie, però, che per mettere in atto queste procedure occorrono risorse economiche che non sempre sono nella disponibilità delle piccole e piccolissime imprese, in particolare in questo periodo di crisi, che ormai si prolunga dalla fine del 2008 – inizio del 2009. Posto che la sicurezza, per i motivi che ho detto prima, rimane sempre al primo posto nell’ambiente di lavoro delle piccole e piccolissime aziende artigiane, occorre anche una maggiore attenzione su come impostare l’impianto burocratico: ciò potrebbe essere di aiuto al fine di avere un impianto di sicurezza maggiore.
Un altro aspetto che dovrebbe essere preso in considerazione è quello della storicità. Nella stragrande maggioranza delle imprese, da decenni non si verificano infortuni sul lavoro: questo dato dovrebbe essere un indicatore del fatto che le buone prassi, anche se non sono formalizzate, comunque esistono. Se per decenni nelle aziende non si verifica mai un infortunio, non è perché si è fortunati, ma perché l’attenzione alla sicurezza sul lavoro è massima e spinta ai massimi livelli: non sempre è formalizzata, ma segue delle procedure. Occorre tener conto della realtà della situazione e fare una fotografia delle piccole e piccolissime imprese. Cosa succede? C’è un andamento positivo? Il saldo dell’INAIL di tutti gli anni è assolutamente positivo. Effettivamente, non c’è un gran numero di infortuni sul lavoro. Anche questa fotografia è un risultato empirico di ciò che si fa nelle piccole e piccolissime imprese per la sicurezza. Ricordo che in queste realtà il rapporto è tale per cui il datore di lavoro è il primo ad essere interessato a che, all’interno della propria azienda, la sicurezza sia alta.

DONATI
Signor Presidente, vorrei sottolineare due punti, il primo dei quali è relativo al fatto che le imprese che rappresentiamo come Confcommercio fanno parte di una tipologia a basso rischio di infortuni sul lavoro. Nonostante questo, siamo molto attivi attraverso le nostre associazioni territoriali con percorsi di formazione, come i seminari, al fine di evitare gli infortuni sul lavoro. Attualmente, abbiamo coinvolto le nostre associazioni territoriali, che stanno avviando progetti di formazione riguardanti un certo numero di persone (circa 3.000 soggetti), che potranno essere formate, per entrare in possesso delle indicazioni che servono a prevenire gli infortuni sul lavoro.
Rifacendomi a quanto ricordato poc’anzi dai colleghi che mi hanno preceduto, faccio presente a mia volta che, in effetti, questi seminari e questi progetti richiedono risorse. Quelle che vengono messe a disposizione non sempre sono sufficienti ad ottemperare allo scopo, anche per le nuove imprese che stanno sorgendo e che quindi, poiché stanno entrando nel mercato, avrebbero bisogno di avere tali indicazioni.

BERTOLINI
Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare lei e la Commissione tutta per l’invito a partecipare all’odierna audizione, che ci offre la possibilità di interloquire ed esprimere il nostro pensiero sul mondo agricolo, il quale ha pensato di predisporre un documento unitario, che sarà nostra cura consegnare agli atti della Commissione.

PRESIDENTE
La ringrazio.

BERTOLINI
Per favorire la presente discussione sulle problematiche e sui temi che abbiamo evidenziato nel suddetto documento, non starò qui a leggervelo, dato che è abbastanza corposo, per lasciare invece la parola al dottor Fusai, che ve ne illustrerà i punti salienti.

FUSAI
Signor Presidente, nel tentativo di non sottrarvi ulteriore tempo rispetto a quello che i colleghi che mi hanno preceduto hanno già utilizzato, desidero innanzi tutto manifestare il nostro piacere per la sua precisazione sul fatto che, quando parliamo di infortuni sul lavoro e malattie professionali, lo facciamo non solo con riferimento ai lavoratori dipendenti – che rimangono comunque il soggetto al quale prestare la massima attenzione in questo senso – ma anche ai lavoratori autonomi.
Al riguardo, abbiamo due osservazioni da proporvi, a mio avviso abbastanza puntuali. A partire dai lavoratori dipendenti, come lei ha ricordato, nel Testo unico sulla sicurezza su lavoro (il decreto legislativo n. 81 del 2008) vi sono alcune norme che non hanno ancora avuto attuazione. Una di queste, che riguarda il settore agricolo, è attesa dalle nostre aziende con un’impazienza ormai al limite: mi riferisco al comma 13 dell’articolo 3 del Testo unico, dove sarebbe prevista una semplificazione degli adempimenti in materia di formazione, informazione e sorveglianza sanitaria per le aziende che occupano solo lavoratori stagionali che non svolgono un numero di giornate che superano le 50 ciascuno. Stiamo parlando quindi di aziende piccole, le quali, fintanto che non sarà stato concretizzato il decreto ministeriale che prevede tale semplificazione, devono comportarsi come se fossero la FIAT, cosa che riteniamo sproporzionata, incongrua e vessatoria anche per lo stesso lavoratore dipendente. Non nascondiamoci che la normativa in materia di sorveglianza sanitaria non viene applicata e non vi sono neppure proteste da parte dei sindacati in merito, ma se dovesse essere applicata alla lettera, i lavoratori avventizi – che nelle campagne rappresentano la stragrande maggioranza – che lavorano poche giornate svolgendo le stesse mansioni in un gran numero di aziende, dovrebbero preventivamente essere sottoposti alla visita medica presso ciascun datore di lavoro. Se ne effettua una, che vale per un anno o due, magari presso il servizio pubblico, e ne viene presentato l’esito a ciascun datore di lavoro.
Oltre a ciò, sono attese semplificazioni anche in materia d’informazione e formazione, nonché di addestramento. Ci premeva segnalare questa lacuna e questa carenza, che riteniamo molto grave, perché ribadisco che impone ad aziende molto piccole di comportarsi esattamente come se fossero quella diretta dal dottor Marchionne.
Sul versante dei lavoratori autonomi, vorremmo segnalare nel nostro settore la presenza di quello che anche nel documento unitario abbiamo definito come il «sommerso legale». Un tempo, esattamente fino a tutto il giugno del 1993, proprio per le caratteristiche dell’attività che viene svolta in agricoltura, era prevista la possibilità – anche per soggetti che non ricadevano nell’obbligo assicurativo pensionistico nel settore agricolo – di essere assicurati presso l’INAIL per infortuni e malattie professionali. Si trattava di aziende che sfioravano – senza raggiungerli – i requisiti previsti per l’assicurazione obbligatoria pensionistica, ma che vedevano comunque la presenza di lavoratori perlopiù autonomi.
Il legislatore, con il decreto-legge n. 155 del 1993, eliminò tale possibilità, parificando i requisiti per l’assicurazione INAIL dei lavoratori autonomi del settore agricolo a quelli per l’assicurazione obbligatoria presso l’INPS. Non sarà stato un caso che, dal 1994 in poi, l’INAIL abbia registrato un drastico calo degli infortuni nel settore (e i relativi dati sono ovviamente disponibili). Quelle persone, però, non avevano smesso di lavorare, ma hanno continuato a svolgere la propria attività in quelle realtà e, se è richiesta una tutela, se la devono procurare privatamente. Non sappiamo quanto questo sia corretto: è vero che un’ordinanza della Corte costituzionale ha dichiarato infondato il dubbio di legittimità su quella norma, ma il legislatore, così come ha preso quell’iniziativa, potrebbe anche assumerne una diversa, ripensando a quella norma e introducendo qualche elemento che in questa sede non è possibile approfondire, altrimenti la sua trattazione occuperebbe troppo tempo.
Un ulteriore aspetto su cui riflettere riguarda l’articolo 74 del decreto attuativo della legge Biagi (il decreto legislativo n. 276 del 2003), che stabilisce che non fanno parte del mercato del lavoro – quindi ne esulano letteralmente – le prestazioni occasionali o ricorrenti di breve periodo rese nelle aziende agricole da parenti e affini entro il quarto grado. La norma è stata introdotta nel suddetto decreto come punto d’arrivo di un percorso che partiva in realtà dalla finanziaria dell’anno precedente, che conteneva una norma simile, la quale prevedeva l’assicurazione ai fini INAIL di queste persone. Nella norma che ritroviamo nel decreto attuativo della legge Biagi, invece, tale obbligo non è presente e molte nostre aziende scelgono una tutela privatistica, ma non sappiamo quanto sia giusto anche questo aspetto: forse il punto potrebbe essere ripensato per far emergere un elemento di sommerso molto evidente.
Sul tema delle malattie professionali vorrei rilevare che, anche grazie ad un atteggiamento positivo da parte dall’INAIL, non in tutte le Province della Regione, ma quasi, a fronte di una presa d’atto e di coscienza della sottostima del fenomeno, ma anche di tante denunce, cominciamo ad avere diversi riconoscimenti. Ecco l’elemento che dà ragione del lavoro che le organizzazioni di sensibilizzazione, le stesse strutture sanitarie e l’INAIL stanno svolgendo nella nostra Regione: constatiamo un atteggiamento non uniforme sul piano regionale, anzi, a macchia di leopardo, del quale potremo fornirvi i dettagli a parte.

PRESIDENTE
L’ultimo argomento che sta trattando è contenuto nella nota che ci avete consegnato?

FUSAI
No, signor Presidente, ma possiamo fornirvelo in un secondo momento. Il tema purtroppo è nazionale: avendo l’incombenza per il mio patronato di seguire gli infortuni e le malattie professionali di livello nazionale, anche se per la mia organizzazione lavoro qui a Bologna, in Emilia-Romagna, sono in possesso di un dato a macchia di leopardo nazionale. Nella Provincia di Ravenna, abbiamo 100 denunce per il settore agricolo ed un 60 per cento di accoglimento e riconoscimento dei danni. Ad Alessandria, ad esempio, a fronte di 100 denunce, ne sono state accolte quattro. C’è qualcosa di strano e non sono disposto a credere che siano false 96: forse da parte di qualche sede provinciale dell’INAIL c’è un atteggiamento più aperto, mentre da qualche altra ve n’è uno più restio a considerare adeguatamente il fenomeno.

PRESIDENTE
Non è certo, ma verosimile.

FUSAI
Infatti, signor Presidente, ho detto che è probabile e non mi sono azzardato ad asserirlo con certezza.

NEROZZI
Lei ha citato il decreto-legge n. 155 del 1993 e successivamente il decreto attuativo della legge Biagi, norme che fanno riferimento ai parenti del datore di lavoro impiegati in agricoltura o a persone che, avendo un altro lavoro, vi si dedicano solo il sabato e la domenica: è anche di questo che stiamo parlando?

FUSAI
Per alcuni versi sì.

NEROZZI
Quindi lei sostiene che vi sia stata una norma che ha impedito l’assicurazione su questo fronte? Glielo chiedo perché stiamo lavorando sul punto.

FUSAI
Sì, senatore Nerozzi. Nel documento questa parte è citata puntualmente.

NEROZZI
Molti delle morti e degli incidenti avvengono proprio per questo, ma anche perché in agricoltura vi sono regole di conduzione dei trattori diverse da quelle dell’auto: una persona di 11 anni non può guidare l’auto, ma il trattore sì, e viceversa una di 87 dovrebbe guidare il trattore solo dopo sette o otto visite mediche ogni 15 giorni, ma ciò non succede. Quello che lei dice ci è utile per la regolamentazione di un fenomeno molto complesso, che ha bisogno di regole: se il patentino serve per guidare un motorino, a maggior ragione dovrebbe servire per guidare un trattore o un’altra macchina di quelle dimensioni, perché stiamo parlando di un settore nel quale avvengono molti incidenti.
Da qui scaturisce un altro quesito, al quale magari potranno rispondermi i rappresentanti non della CNA, ma della Confartigianato: il Presidente ha ricordato il problema che nelle piccole imprese muoiono i lavoratori, ma anche i datori di lavoro. Probabilmente qui si cela un problema di utilizzo delle risorse: in Emilia, ma anche in Veneto e in Lombardia, le risorse degli enti bilaterali si utilizzano in un certo modo, mentre in altre Regioni in uno diverso. C’è un problema che riguarda le associazioni con riferimento al modo in cui avviare la cultura della sicurezza anche presso i datori di lavoro: la piccola impresa non è grande, quindi quello che può andare bene o male per la seconda può non essere adatto alla piccola; fare di un artigiano un Marchionne significa far morire Marchionne, perché datore di lavoro e lavoratore lavorano insieme, quindi, se succede il disastro, muoiono tutti e due.
Stiamo notando che purtroppo per i vostri associati, non solo in Emilia ma più in generale, rispetto alla cultura della sicurezza si evidenziano carenze e questo vale anche per l’agricoltura a livello nazionale. Il problema non riguarda solo i dipendenti, ma anche i vostri associati che in percentuale muoiono più dei lavoratori dipendenti nei settori che vi interessano.
Rispetto alla questione della camera di commercio, sollevata dal dottor Maggioli, vorrei far presente che a livello nazionale Confartigianato ha sollevato il problema delle associazioni e degli enti bilaterali falsi, cioè di come emergano associazioni imprenditoriali e sindacali che, in realtà, non corrispondono a quelle nazionali e che partecipano a gare al massimo ribasso. Sta a voi, però, prestare attenzione a questi fenomeni, perché l’eccesso di liberismo in questi settori ha determinato conseguenze tali per cui siete voi i primi a rimetterci. È importante quindi occuparsi della cultura della formazione e anche prestare attenzione a chi si associa perché in una parte del Paese sta crollando tutto e in qualche settore, come l’edilizia, il problema rischia di espandersi. È un vostro compito occuparvi di questo anche con i vostri associati, perché purtroppo sono i primi a rimetterci, atteso che nelle piccole imprese ultimamente la percentuale dei datori di lavoro morti sul lavoro è superiore a quella dei dipendenti; nell’agricoltura questo fenomeno è in aumento, mentre tutto il resto è in calo.
Sarebbe opportuno che ci deste dei suggerimenti su questi temi, anche in riferimento alla questione sollevata sulla concorrenza generale, che riguarda in primo luogo la piccola impresa. Va poi detto che le risorse disponibili sono spese male e questo vale anche per il commercio; concludo dicendo che la questione della rappresentanza diventa importante, perché si traduce in risorse.

DONATI
I corsi di cui parlavo riguardano anche i datori di lavoro, perché sono loro che trasmettono il sapere ai loro dipendenti.

MACCATO
Signor Presidente, onorevoli senatori, il senatore Nerozzi mi ha fornito un assist rispetto a quello che avevo intenzione di dire. In Emilia-Romagna da quasi vent’anni il mondo dell’artigianato si è misurato su questi temi, attraverso la bilateralità, che il senatore credo conosca.

NEROZZI
Sono stato primo firmatario di un accordo sulla bilateralità in altra veste.

MACCATO
Infatti sulla sicurezza c’è sempre stata un’attenzione molto forte, anche se si tratta di un tema su cui, forse, non è mai sufficientemente forte, nel senso che purtroppo continuiamo a misurarci con dati sicuramente non confortanti. Accolgo tuttavia con favore l’assist sulla cultura della sicurezza, perché è il vero elemento su cui si dovrebbe fare uno sforzo comune. Noi stiamo tentando di farlo con fatica, nel senso che raggiungere un numero così elevato di piccole e piccolissime imprese non è sempre semplice.
A nostro avviso, un messaggio molto concreto su quali attenzioni vanno poste in tema di sicurezza è più efficace di plichi di carta che restano negli archivi. Non vorrei essere fraintesa su questo aspetto, ma lo sottolineo perché sapete che entro fine anno le imprese con meno di dieci dipendenti non potranno più redigere il documento unico per la valutazione rischi attraverso autocertificazione, ma dovranno avvalersi di consulenti. Anche su questo, il senatore diceva giustamente che serve una forte attenzione alle associazioni e alla rappresentatività; credo però che analoga attenzione vada riservata anche alle consulenze, perché notiamo che si stanno affacciando sul mercato persone che vendono timbri più che vera assistenza tecnica. Ciò detto, noi tentiamo di essere sempre presenti e punto di riferimento per le imprese, ma le imprese sono molte. Lo stesso discorso è valido per la formazione.
A nostro avviso su questi aspetti vanno trovate delle soluzioni che abbiano maggior capacità di arrivare all’imprenditore e ai lavoratori delle piccole imprese. Intendo dire che la formalizzazione di alcuni elementi non è sempre sufficiente ed efficace rispetto all’obiettivo che ci si è prefissi. Ormai da tempo stiamo cercando di realizzare una volta l’anno, in collaborazione dell’INAIL e la Regione Emilia-Romagna, una produzione che fa parte della collana chiamata «Impresa sicura», in cui ogni anno esaminiamo un settore: ci siamo occupati della cantieristica navale, della meccanica, dei dispositivi di protezione individuale, della calzatura, in collaborazione con i colleghi delle Marche e con il sindacato dei lavoratori. Si tratta di uno strumento che può essere utilizzato dal lavoratore, dall’imprenditore e dalla consulenza, nel senso che ha vari livelli di comprensione e di complessità. Questi sono gli strumenti che secondo noi possono essere più efficaci, tuttavia siamo aperti a ricevere suggerimenti in questo senso. Abbiamo reso accessibile questo materiale attraverso il sito dell’ente bilaterale in modo gratuito, per cui è solo necessaria la registrazione ed è immediatamente disponibile per lavoratori e imprese. Sono piccolissimi passi, ma stiamo tentando di andare nella direzione della cultura della sicurezza.

PRESIDENTE
Vorrei fare due brevissime riflessioni. Come potrete leggere nelle nostre relazioni intermedie, noi ci siamo molto interrogati sulle questioni attinenti i consulenti e i formatori, perché ci siamo anche chiesti chi si occupa di formare i formatori. Ci stiamo quindi ponendo il problema perché in un mercato aperto, come diceva lei, dottoressa, è difficile capire chi incontrare. In una situazione di crisi come quella presente è facile che l’offerta migliore possa essere ritenuta la più adeguata, senza pensare che potrebbe produrre effetti devastanti qualora si dovesse determinare un incidente. La nostra Commissione si sta dunque ponendo questo problema, cercando di capire se sarà necessario un albo per tutelare chi si rivolge a certe figure, anche se nel dibattito politico l’albo sta diventando una realtà desueta, ma per talune cose credo che ancora abbia un significato.
Per quanto riguarda l’agricoltura, noi ci siamo abbastanza impegnati quando abbiamo avuto notizia che i finanziamenti relativi alla sicurezza delle macchine agricole concorrevano alla formazione del tetto del de minimis. Da allora, circa due anni fa, abbiamo cercato di avviare un dialogo con l’Unione europea e sembra che si stia arrivando ad un esito, anche perché l’INAIL ha disponibilità di risorse e non riesce a erogarle.

FUSAI
Noi abbiamo trovato un espediente.

PRESIDENTE
Lo so, ma alcuni soggetti non hanno questa opportunità, inoltre si tratta di un principio che non riguarda solo l’agricoltura. Se ho un finanziamento pubblico per la sicurezza delle macchine, questo non può concorrere a formare il tetto del de minimis o addirittura essere considerato concorrenza sleale, perché sono elementi diversi. È molto difficile ragionare con le istituzioni europee, ma noi stiamo cercando di farlo, siamo a buon punto, tanto che tutti i membri della qui presente Commissione d’inchiesta hanno presentato un disegno di legge, che è in fase avanzata di discussione presso la 11ª Commissione del Senato e ci auguriamo che possa diventare legge prima della fine di questa legislatura.

PASI
Ringrazio la Commissione e i suoi componenti per l’incontro odierno, che ha ad oggetto l’attuazione sul territorio delle normative vigenti, uno degli aspetti più rilevanti della sicurezza. Pur occupandoci di settori dove il rischio è basso, come diceva il collega di Confcommercio, la nostra associazione ha investito molto in questi anni, tuttavia lo abbiamo fatto proprio per aumentare la cultura della sicurezza, soprattutto presso gli imprenditori. Chiaramente, però, questo processo necessita di normative adeguate, chiare, semplici e applicabili.
In particolare, il tema dell’applicabilità è assolutamente fondamentale per la microimpresa. La normativa attuale prevede l’emanazione di procedure standardizzate in materia di sicurezza per questa tipologia d’imprese, perché scade il termine entro il quale può essere utilizzata l’autocertificazione, una modalità che è giusto superare. Secondo alcune bozze di cui abbiamo preso visione, queste procedure standardizzate somigliano molto agli ordinari documenti per la valutazione rischi adottati per le altre tipologie d’impresa, ma se così fosse, credo sarebbe un errore. Di fatto, per questa tipologia d’impresa un aumento degli oneri burocratici non significa un incremento della tutela, ma sicuramente una crescita dei costi e probabilmente una diminuzione della sicurezza. Bisogna quindi assumere questo dato in termini pregnanti, perché l’esigenza di queste aziende è quella di avere procedure standardizzate realmente semplificate, il che naturalmente non significa diminuire il livello di sicurezza e di tutela delle persone, siano esse imprenditori o dipendenti del settore.
Un altro tema specifico, sempre rimanendo nel concreto e sul tema che ci avete posto, è quello della formazione. Gli accordi tra Stato e Regioni – mi riferisco sia a quello per i dipendenti che a quello per i titolari di impresa – prevedono, a nostro giudizio, una platea un po’ troppo ampia di soggetti abilitati all’erogazione della formazione. Proprio in virtù della delicatezza del tema, ci sarebbe bisogno di affinare meglio questo aspetto, restringendo la platea dei soggetti e individuando bene coloro in grado di fornire garanzie affinché la formazione diventi un elemento di tutela. C’è un aspetto che riguarda i neo-assunti, sempre con riferimento alla tipologia della micro-impresa. Il termine perentorio di 60 giorni è un po’ stretto: bisognerebbe ragionare con più flessibilità per consentire qualche ulteriore margine, anche perché spesso l’offerta formativa non è disponibile entro questo termine.
Vi sono inoltre alcuni elementi specifici e settoriali, su cui – però – ci riserviamo di mandarvi una nota scritta. In particolare, un tema riguarda l’impianto di carburante. L’intera normativa è orientata alla responsabilizzazione dei gestori, tuttavia questi ultimi non hanno alcuna possibilità di intervento sugli impianti, che sono di proprietà delle compagnie petrolifere. Ciò, quindi, innesca un meccanismo di irresponsabilità dei singoli e di impossibilità di intervento che, alla volte, mette in difficoltà questa tipologia di imprese. Occorrerebbe pertanto intervenire e inserire il meccanismo. Ripeto, però, che su questi aspetti settoriali mi riservo di farvi avere una nota scritta, in modo tale che possiate avere elementi puntuali.

PALMA
Buongiorno, sono il dottor Marco Palma, di Legacoop Bologna rappresentante unico di ACI, ossia dell’Alleanza delle cooperative italiane.
L’Alleanza delle cooperative italiane è il coordinamento tra LegaCoop, Confcooperative e AGCI, nella ricerca di una loro collocazione unica in rappresentanza della cooperazione. La cooperazione ha problematiche trasversali, perché opera in ogni settore con dimensioni grandi, piccole e piccolissime. Per questa ragione, mi ritrovo molto nelle problematiche che i colleghi hanno anticipato e che sono sostanzialmente comuni a tutta la cooperazione.
Vorrei fare un approfondimento in materia di appalti. Ormai si parla sempre più di imprese organizzate a rete e vi è una esternalizzazione quotidiana di moltissime attività. L’osservatorio della cooperazione, come tutti gli altri, ci vede una volta committenti e una volta appaltatori. L’approccio è di ogni tipo. Registriamo esperienze ben fatte, ma anche moltissime non realizzate; a volte – inoltre – la sicurezza è attuata soltanto sulla carta e – quindi – in maniera molto formalistica. Occorre poi considerare l’aspetto della cooperazione spuria, che è quella che – purtroppo – introduce e diffonde il binomio lavoratore non regolare – lavoratore non sicuro. Sotto questo aspetto, la cooperazione a livello regionale ha organizzato pressoché dappertutto degli osservatori attraverso i quali si cerca di contrastare questo tipo di fenomeno.
Anche la nostra associazione punta molto a diffondere presso le imprese l’implementazione dei modelli organizzativi di impresa. Infatti – faccio riferimento a chi mi ha anticipato –, è vero che nelle aziende, soprattutto piccole, è molto difficile implementare una funzione della sicurezza che tenga conto delle esigenze, delle risorse economiche, della dimensione, e – soprattutto – della pericolosità. Mi riferisco al fatto che vi sono cooperative che, pur essendo di piccole dimensioni, svolgono la loro attività in situazioni molto pericolose e – quindi – avere un modello organizzativo è l’unico modo per poter organizzare in sicurezza la propria attività.
A tal proposito, rilevo che la nostra associazione ha redatto una guida semplificata, partendo dall’esempio concreto di una cooperativa di movimentazione con 40 soci (che è considerata di piccole dimensioni). Abbiamo impartito delle indicazioni al responsabile amministrativo e ai responsabili e ai rappresentanti della sicurezza dell’azienda, costituendo così una sorta di vademecum volto ad accompagnare ogni piccola azienda che voglia redigere il proprio modello organizzativo. Il modello organizzativo spaventa, perché sembra quasi che occorra contattare un consulente e spendere tanti soldi, mentre a volte la volontà dell’azienda è di creare lo strumento in casa. Abbiamo quindi cercato di fare in modo che l’azienda abbia una guida operativa. Se vi interessa, posso farvi avere copia del documento, che è in via di pubblicazione e con una prefazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Trattandosi, nel caso specifico, di un supporto di consulenza, abbiamo fornito un modello di organizzazione, gestione e controllo (MOG) gratis. L’azienda ci ha seguito in questo nostro progetto e tutto è stato fatto in un paio di mesi.
Nelle cooperative di lavoro l’attenzione alla sicurezza dei lavoratori rappresenta un patrimonio di auto-tutela, in quanto è il socio che, per primo, deve avere considerazione per la propria salute e il proprio benessere.
Quanto alle proposte, ci associamo a quanto hanno anticipato i colleghi sulla necessità di avere un approccio non burocratico alle situazioni e, soprattutto, di un’operatività molto facilitata per le aziende. Ciò richiede, ovviamente, l’emanazione dei decreti attuativi richiesti dal decreto legislativo n. 81.
Per quanto riguarda le problematiche dell’appalto, notiamo che spesso vi è un recepimento formale delle normative e delle metodologie della sicurezza e – quindi – occorre un impegno collettivo per far crescere la cultura della sicurezza, perché – altrimenti – si rischia di firmare il documento unico valutazione rischi interferenti (DUVRI) senza entrare in alcun modo nel merito dell’effettività di ciò che rappresenta. A completamento di quello che è stato già detto dai colleghi, vorrei soprattutto far emergere le problematiche quotidiane relative allo svolgimento degli appalti.

PRESIDENTE
Ringrazio tutti gli intervenuti per la collaborazione. Ci auguriamo che all’incontro di oggi possano seguire ulteriori comunicazioni e – quindi – vi preghiamo di farci pervenire vostre eventuali osservazioni e proposte. In fondo, infatti, chi sta in trincea sente il fischio delle pallottole, mentre gli altri rischiano di immaginare che si tratti solamente di fuochi artificiali.
Dichiaro quindi concluse le audizioni odierne.


Fonte: Senato della Repubblica