SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni



Resoconto stenografico


Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»


Lunedì 2 aprile 2012


Audizioni svolte presso la prefettura di Torino

Presidenza del presidente TOFANI

Audizione del prefetto di Torino
Audizione dell’assessore al lavoro e formazione professionale, del dirigente del settore sanità, del vice direttore regionale istruzione e formazione e lavoro, dei funzionari dei settori lavoro e formazione, sanità e formazione continua della Regione Piemonte
Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino
Audizione del direttore regionale dell’INAIL e del direttore regionale del lavoro
Audizione del comandante della legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta e del direttore regionale dei Vigili del fuoco
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane


Audizione del prefetto di Torino

Intervengono il prefetto di Torino, dottor Alberto Di Pace, accompagnato dal vice prefetto, dottor Maurizio Gatto.

PRESIDENTE
Diamo inizio ai nostri lavori con l’audizione del prefetto di Torino, dottor Alberto Di Pace, accompagnato dal vice prefetto, dottor Maurizio Gatto.
Signor prefetto, a nome della Commissione desidero innanzitutto ringraziarla per l’attenzione e il supporto che ha voluto dare per la realizzazione di questo incontro. Come lei certamente sa, stiamo svolgendo una serie di audizioni in tutte le Regioni italiane per verificare, ove fosse necessario, lo stato di applicazione delle nuove norme, in modo particolare di quelle recate dal cosiddetto Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008), che attribuiscono competenze in capo al territorio, al fine di avere un quadro nazionale e capire se c’è uniformità nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme e, conseguentemente, per trarne le opportune conclusioni.
L’incontro di Torino è stato però funestato dai gravissimi incidenti sul lavoro che si sono recentemente verificati e dai lutti che ne sono conseguiti. Tali eventi fanno emergere quindi l’esigenza di comprendere meglio la gestione della sicurezza in questo territorio e di avere spiegazioni per interpretare quanto sta accadendo, anche per la ripetitività delle modalità con cui alcuni infortuni mortali si sono determinati.

DI PACE
Signor Presidente, mi permetta innanzitutto di dare a lei e ai componenti della Commissione il mio benvenuto nella prefettura di Torino. Le prefetture del Piemonte, nell’esercizio del loro ruolo di raccordo e coordinamento sul territorio, sono interessate a promuovere la cultura della legalità ad ampio spettro, quindi anche in relazione al rispetto delle normative sulla sicurezza del lavoro, e a fare da stimolo per intensificare l’attività di contrasto all’inosservanza delle stesse. Da quest’ampia attività dei colleghi di tutto il Piemonte è emerso un quadro che io anticiperei subito all’inizio di questa audizione, perché la loro idea è che il mancato rispetto della normativa sia diffuso soprattutto presso le piccole e medie imprese, specificamente per quanto riguarda i ponteggi e gli impianti elettrici di cantiere, spesso non a norma. I prefetti hanno notato una mancanza di specificità dei piani di sicurezza rispetto ai rischi dei cantieri aperti: le aziende spesso si muniscono di piani tipo che però non sempre tengono conto delle specifiche esigenze del singolo cantiere. Si è notata anche una sensibile crescita del fenomeno degli artigiani fittizi connesso alla pratica del subappalto, assai diffusa nell’edilizia; è quindi sempre più frequente il ricorso a pseudoartigiani iscritti alla Camera di commercio, quindi in regola dal punto di vista formale, ma privi di autonomia economica e di fatto dipendenti degli imprenditori appaltanti. Questo particolare fenomeno desta in noi preoccupazione non solo sotto il profilo fiscale e contributivo, ma soprattutto per quanto riguarda le conseguenze sulla sicurezza dei prestatori d’opera, che spesso sono stranieri e non completamente informati sulle misure di sicurezza.
I dati INAIL fanno registrare un costante decremento degli infortuni sul lavoro dal 2006 al 2010, anno che si è chiuso con un totale di 60.038 incidenti in Piemonte, di cui 75 mortali; la variazione fra il 2006 e il 2010 è stata quindi in diminuzione del 18,9 per cento. Naturalmente, il periodo di cui parliamo è stato fortemente caratterizzato dalla crisi economica e dalla recessione; quindi questi dati vanno contestualizzati; dal punto di vista puramente statistico, facendo dunque riferimento alla graduale riduzione del numero degli occupati, che passa da 1.851.439 del 2006 a 1.844.283 del 2010, l’indice di incidenza segna una diminuzione del 18,6 per cento. Non vi è, dunque, grande differenza tra il dato assoluto (18,9 per cento) e quello relativo, calcolato sulla base dell’indice di incidenza, che come dicevo si colloca al 18,6 per cento.
Occorre però considerare che dal 2007 ad oggi lo scenario economico è completamente cambiato, specialmente in Provincia di Torino; ad esempio, il bilancio della San Paolo, che rappresenta una cartina di tornasole per la suddetta provincia, nel 2006 si era chiuso con un avanzo netto triplo rispetto al 2012 pari a 460 milioni di euro. Vorrei ricordare che nel 2007 Torino aveva concluso molto brillantemente l’esperienza olimpica, la sua più grossa industria (la FIAT) era appena uscita da una crisi che sembrava esistenziale e anzi cominciava ad essere in fase di ripresa, la sua prima banca era protagonista di una fusione che la portava ai vertici dell’industria bancaria italiana e fra le prime in Europa. Soprattutto, nel 2007 nella Provincia di Torino il tasso di disoccupazione era del 4,7 per cento, ben al di sotto della media nazionale; quel dato oggi è salito al 9,4 per cento, con una punta per quanto riguarda i giovani che supera il 30 per cento, quindi di gran lunga superiore alla media nazionale giovanile del 25 per cento.
In questo periodo, dunque, Torino ha conosciuto una contrazione della presenza sia di imprese manifatturiere sia, per altro verso che meno ci interessa in questa sede, di servizi; ciò rende molto sospetto il decremento degli infortuni sul lavoro, al di là dell’indice di incidenza che è rapportato semplicemente al numero degli occupati, perché in realtà si riscontra un crollo macroscopico del sistema occupazionale sul piano manifatturiero. Nel 2011 – sono ancora dati provvisori – nella Regione Piemonte si sono registrati 55.648 infortuni, di cui 60 mortali; i primi tre mesi del 2012 hanno fatto registrare 17 infortuni mortali, di cui 8 nella Provincia di Torino, l’ultimo dei quali avvenuto proprio sabato scorso, come il Presidente ricordava.
Sempre per il 2011, nelle singole Province il maggior numero di incidenti si è registrato a Torino, con 26.569 infortuni, e a Cuneo, con 10.191 infortuni, con una maggiore incidenza nel settore dell’industria dei servizi. Nella provincia di Cuneo nel 2011 si è verificato un numero significativo di infortuni (2.020) anche in agricoltura, data la rilevanza che tale settore riveste in quel territorio.
Quanto alle attività poste in essere, vorrei riferirmi in particolare all’opera di prevenzione dei Vigili del fuoco, che compiono ispezioni di propria iniziativa ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 139 del 2006: nel 2011 sono state 119, nel 2012 finora sono state 7. Tuttavia, una direttiva del dipartimento dei Vigili del fuoco a livello nazionale del 19 marzo 2012 dà impulso all’attività di vigilanza dei Vigili del fuoco e fissa in 404 il numero minimo di controlli per il Piemonte, prevedendo in particolare visite a campione nel settore agricolo, con particolare riguardo ai luoghi a rischio di incendio, quali silos di granaglie e polveri alimentari, luoghi di produzione e di stoccaggio, rispetto ai quali i Vigili del fuoco sono invitati a verificare i rischi interferenziali delle attività soggette al controllo, sulle quali in esercizio insistono grandi cantieri o opere in costruzione. Sono inoltre chiamati a verificare i rischi interferenziali nell’installazione di impianti fotovoltaici presenti nei complessi citati all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011 e infine a verificare le condizioni di sicurezza, con particolare riferimento ai sistemi di gestione antincendio negli stabilimenti e impianti dove si producono o si impiegano sostanze esplodenti.
A proposito dei Vigili del fuoco, essendomi personalmente meravigliato del fatto che non pervenissero mai richieste di sospensione delle attività ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge n. 139 del 2006, nei mesi scorsi ho incaricato il vice prefetto vicario di presiedere una piccola commissione informale per approfondire il meccanismo attraverso il quale possono avere seguito le citate richieste di intervento per la sospensione di attività, che il prefetto discrezionalmente può disporre nel caso i Vigili del fuoco riscontrino il mancato rispetto delle normative in materia di prevenzione incendi sui luoghi di lavoro. Ne è emerso che il sistema, così come configurato in questo momento, è ritenuto soddisfacente dal comando provinciale dei Vigili del fuoco di Torino, il quale opera in stretta sinergia con la magistratura, e che rispetto a tale sistema viene applicata una normativa che consente di regolarizzare l’attività nel termine di sei mesi o un anno e di sanare la situazione col pagamento di un’ammenda.
Altro discorso riguarda invece l’attività del comitato regionale di coordinamento, di cui all’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e all’articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2007. Esso è stato istituito nella Regione Piemonte con delibere di giunta n. 27 del 2 settembre 1998 e n. 28 del 19 marzo 2001 e, con successiva delibera di giunta n. 8 del 9 dicembre 2008, ne è stata approvata una nuova composizione, adeguando il comitato a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2007, con l’individuazione delle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative a livello regionale. Il citato comitato regionale lavora e si articola in più settori; tra questi, in particolare, il settore prevenzione veterinaria della direzione sanitaria è quello che partecipa più intensamente ai lavori del comitato. Lo sottolineo perché a breve avrete in audizione il dottor Corgiat Loia, che è il dirigente di questo settore della direzione sanità della Regione. Ho riscontrato che il comitato non si era più riunito dallo scorso anno.

PRESIDENTE
Chiedo scusa, cosa intende quando fa riferimento allo scorso anno?

DI PACE
Dalla fine del 2011, quindi per i primi tre mesi del 2012 ancora non risulta una riunione del comitato regionale di coordinamento. Per questo ho sentito i componenti della direzione regionale dei Vigili del fuoco che partecipano al comitato, affinché si facessero parte attiva per arrivare ad una convocazione; da ultimo ho sentito il presidente Cota, il quale mi ha invece informato che avrebbe disposto a brevissimo, anche sulla scorta degli ultimi incidenti sul lavoro, una nuova riunione del comitato regionale di coordinamento.
Per quanto riguarda le attività poste in essere dalla prefettura di Torino, voi già sapete che al suo interno opera fin dal 2007 un comitato provinciale permanente di studio e coordinamento, in virtù di un protocollo sottoscritto con tutti gli attori che, in varia misura, si occupano di sicurezza sul lavoro (a parte evidentemente la magistratura). Questo comitato ha lavorato, dalla precedente audizione del 2010 fino ad oggi, ed ha completato quello che era in fieri all’epoca. È stato realizzato nel primo semestre del 2011, con la partecipazione dell’ente scuola CIPET, un progetto formativo denominato «I documenti della sicurezza», con il coinvolgimento di 128 Comuni e con quasi 500 partecipanti, rivolto al personale dei Comuni e della pubblica amministrazione direttamente interessato alle procedure di scelta del contraente. Ulteriori progetti sono stati realizzati allo scopo di accrescere la sensibilizzazione al tema della sicurezza sul lavoro, soprattutto tra i più giovani. Per questo è stato realizzato un progetto con la dirigenza dell’istituto penale minorile Ferrante Aporti, perché gli operatori della polizia penitenziaria e i volontari che operano nell’istituto potessero essere messi in grado di educare alla cultura della sicurezza gli ospiti dell’istituto.
Da ultimo, c’è il problema della sicurezza nei cantieri per le grandi opere, che, come sapete, sono a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Proprio nei giorni scorsi, l’azienda sanitaria locale competente per l’area del cantiere di Chiomonte, dove si sta preparando lo scavo della galleria geognostica della linea ferroviaria Torino-Lione, ha prospettato un dubbio circa la competenza a svolgere attività di ispezione e di controllo sulla sicurezza del cantiere, atteso che l’area dello stesso è stata dichiarata sito di interesse strategico nazionale e quindi poteva sorgere il dubbio, secondo la ASL (ma io non credo che sorga), che il cantiere fosse equiparabile a sito di lavoro delle forze di polizia e quindi sottratto alla vigilanza degli ordinari organismi di controllo. Noi abbiamo risposto – e in questo abbiamo avuto il conforto anche della procura, che ha risposto in parallelo – che l’azienda sanitaria locale non poteva a nostro avviso assolutamente esimersi dall’effettuare i controlli sul cantiere, atteso che quello è anzitutto un cantiere, sebbene tutelato delle forze dell’ordine per la sua qualificazione di sito di interesse strategico nazionale. Questa qualificazione evidentemente non priva il sito della qualificazione primaria di cantiere e di luogo ordinario di lavoro. Sul versante delle grandi opere opera il gruppo interforze tratta alta velocità (GITAV), un organismo interforze che compie indagini e segnala i risultati delle stesse in merito ai partecipanti a tutta la catena di appalti e subappalti per le grandi opere, allo scopo di individuare per tempo eventuali contaminazioni da parte della criminalità organizzata. L’esito del lavoro del GITAV viene poi comunicato ai gruppi interforze della prefettura per le informative previste dalla normativa antimafia.

PRESIDENTE
Questo comitato presso la prefettura di Torino come si rapporta con il comitato regionale? Noi infatti stiamo vivendo anche un’altra vicenda molto strana e complessa. In molte prefetture d’Italia, prima ancora dell’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, già c’erano questi comitati, per iniziativa ed opera dei prefetti sul territorio. In qualche modo il decreto legislativo n. 81, nel definire questo coordinamento regionale (sia pure sulla base di un precedente DPCM del 2007), specifica che lo stesso si dispiega e si articola sul territorio. Questi due aspetti coincidono oppure parliamo di questioni diverse?

DI PACE
Sono due aspetti che non coincidono. Anzitutto, le attività sono completamente diverse. Il comitato della prefettura svolge una serie di studi ed analisi del fenomeno, che poi mette a disposizione dei soggetti che partecipano al comitato. La maggior parte di questi soggetti opera anche nel comitato di coordinamento regionale; quest’ultimo ha una serie specifica di competenze di pianificazione e di programmazione degli interventi di controllo e di verifica della sicurezza, oltre che di chiarimento in termini legislativi nei limiti della competenza della Regione, e può sfruttare il lavoro del comitato della prefettura. Il comitato della prefettura, in presenza del comitato regionale di coordinamento e sulla base della normativa attuale, funziona da organo di sensibilizzazione culturale o poco più.

PRESIDENTE
Su questo punto bisognerebbe chiarirsi meglio, per lo meno laddove ce n’è necessità. I comitati regionali si dispiegano sul territorio attraverso i comitati provinciali. Se c’è una fonte di notizie di riferimento, ben venga. Noi stiamo notando tuttavia che in varie parti d’Italia continuano a vivere i vecchi comitati presso le prefetture che, laddove costituite, non colloquiano con le nuove strutture; succede addirittura che si seguano percorsi diversi, anche per le competenze proprie delle prefetture.
Da questo punto di vista, c’è una simmetria che potrebbe essere capitalizzata e rappresentare un elemento di maggiore utilità. Sarebbe quindi opportuno che si valutasse questo aspetto, anche perché le attività di coordinamento, ma anche le attività strategiche di intervento e di impegno, che si dovrebbero dispiegare nel comitato regionale, dovrebbero rappresentare un po’ un unicum, al di là di tutte le fonti che possono fornire maggiori elementi. Questo è il nostro auspicio. Domanderemo poi ai responsabili regionali del comitato se essi inviano annualmente le relazioni ai Ministeri del lavoro e della salute, come sono tenuti a fare. Noi notiamo un vulnus nel rapporto, che spesso in molte situazioni non si concretizza. In assenza di questo rapporto, viene a mancare anche un momento di sintesi, né è possibile immaginare che i tavoli tecnici tra Stato e Regioni suppliscano a questa assenza. Il nostro quindi è un auspicio.

DI PACE
Che personalmente raccolgo.

PRESIDENTE
La ringraziamo per il suo contributo, signor prefetto. Dichiaro chiusa l’audizione.

Audizione dell’assessore al lavoro e formazione professionale, del dirigente del settore sanità, del vice direttore regionale istruzione e formazione e lavoro, dei funzionari dei settori lavoro e formazione, sanità e formazione continua della Regione Piemonte

Intervengono l’assessore al lavoro e formazione professionale, dottoressa Claudia Porchietto, il dirigente del settore sanità, dottor Gianfranco Corgiat Loia, il vice direttore regionale istruzione, formazione e lavoro, dottoressa Giuliana Fenu, e i funzionari dei settori lavoro e formazione, dottor Franco Chiaramonte, sanità, ingegner Salvatore La Monica, e formazione continua, signor Gianfranco Buratti, della Regione Piemonte.

PRESIDENTE
I motivi della nostra presenza non sono tanto legati agli ultimi eventi tragici che si sono determinati in questa Provincia e, più in generale, in questa Regione. Essi sono legati piuttosto ad un’osservazione che la Commissione ha deciso di svolgere in tutte le Regioni d’Italia, per comprendere sul territorio, e quindi con gli amministratori del territorio e con le altre istituzioni che si interessano dell’attuazione del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, come stanno andando le cose e se vi sono problematicità, in modo da avere un confronto più diretto. Poiché abbiamo incontrato grosse difficoltà nel riuscire a svolgere un’unica riunione con tutti gli assessori delle Regioni italiane, per motivi che potete immaginare, abbiamo ritenuto opportuno svolgere specifiche missioni nei vari territori. Questo ci offre anche l’occasione di incontrare tutti i soggetti che operano nel settore della prevenzione, della formazione e del contrasto e di poterci fare un quadro a livello di singole Regioni ed arrivare poi ad una sintesi nazionale. Tutto questo nasce da una scarsa relazione tra le Regioni e lo Stato centrale, nel senso che, pur avendo la Regione Piemonte attuato da tempo il coordinamento regionale, riconfermato subito dopo le elezioni del 2010, questi coordinamenti non dialogano in modo completo, così come dovrebbero (non conosco esattamente il caso della Regione Piemonte, non a caso siamo qui oggi), con i rispettivi Ministeri del lavoro e della salute, pur prevedendo la normativa una relazione annuale e quindi dando la possibilità a questi Ministeri di avere un quadro della situazione. Come sapete, parliamo di materie a legislazione concorrente, se non addirittura di competenza specifica delle Regioni; questo crea dei grossi problemi nell’inquadramento generale della gestione della disciplina, che sempre più a noi pone il problema della necessità di trovare un momento di sintesi. Le competenze delle Regioni, infatti, sono tali da consentirvi di avere delle vostre normative. C’è quindi il momento della legislazione concorrente, ma c’è anche l’elemento delle prerogative proprie di ogni Regione; questo non ci dà la configurazione di una strategia unica nazionale sul grande tema della sicurezza. Stiamo allora cercando di capire come muoverci, per poter poi arrivare a momenti di sintesi.
Concludo questa brevissima introduzione, che ho voluto fare anche per tarare il ragionamento di questa mattina, per lo meno rispetto alle cose sulle quali siamo interessati, senza escludere eventualmente altri argomenti che riterrete opportuno riferirci. Vorremmo cercare di capire se è possibile avere una «sicurezza» – chiamiamola così – dal Nord al Sud dell’Italia, per proporre quindi al Parlamento – sono già arrivati dei segnali in questo senso e noi li stiamo dando – la necessità di avere un coordinamento, considerando la ripetitività dei fenomeni legati agli infortuni (anche agli infortuni mortali), e per stabilire se questa materia deve essere concorrente oppure deve essere di competenza esclusiva dello Stato, sia pure nel rispetto del ruolo che debbono avere le Regioni. Nelle altre nazioni europee questa è materia di esclusiva competenza dello Stato (ci siamo documentati), anche nelle stesse nazioni federali, come la Germania, dove, pur avendo le organizzazioni territoriali delle competenze specifiche, rientra tutto in una cornice unica nazionale, che permette di svolgere meglio tutte le attività.
Questo, in poche parole e in sintesi, è il motivo del nostro incontro, che si inscrive ovviamente nella drammaticità dei giorni che stiamo vivendo in Piemonte per i fatti che sono accaduti. Purtroppo qui abbiamo avuto anche altri fatti drammaticamente gravi, che in qualche modo hanno coinvolto questa Commissione; mi riferisco in modo particolare al gravissimo incidente della ThyssenKrupp. Vi saremmo grati, pertanto, se ci forniste le vostre riflessioni sul tema che abbiamo proposto.

PORCHIETTO
Signor Presidente, se voi concordate, poiché la parte più complicata e pregnante di quello che la Regione Piemonte sta facendo è in capo all’assessorato alla sanità, vorrei lasciare poi la parola al dottor Corgiat Loia.
In qualità di rappresentante del governo piemontese, ci tengo a precisare alcuni passaggi. In primis, vorrei scusare l’assenza dell’assessore Monferino. In questo momento in Consiglio regionale è in corso l’ultimo dibattimento sulla riforma del piano sanitario; l’assessore alla sanità deve essere presente in aula e quindi si scusa per non poter essere qui presente. Vorrei cogliere alcuni dei passaggi che lei ha svolto pochi minuti or sono, signor Presidente, in particolare sul tema del rapporto tra Regioni, Governo (in primis) e Parlamento. La IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome ha titolo per dibattere su temi che vanno dal lavoro alla sicurezza sul posto di lavoro. Credo di poter parlare anche in nome e per conto dei colleghi assessori delle varie Regioni italiane, con i quali si sta svolgendo un grosso lavoro di sintesi su vari temi; credo che non ci siano assolutamente problemi a fare un lavoro di sintesi anche di quello che stiamo facendo, per quanto riguarda la IX Commissione, in tema di sicurezza sul posto di lavoro.
Non è la prima volta che evidenziamo – lei lo ricordava, Presidente – una scarsa comunicazione tra i governi regionali e il Governo centrale. Fino a poco tempo fa, in realtà, abbiamo interloquito in modo sistematico con il Governo; oggi mi permetto di dire che è un po’ più difficile perché l’attuale Esecutivo ha altre priorità, che probabilmente non collimano con quelle della Commissione IX della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Vi posso però assicurare che c’è sempre stata un’informativa attenta e puntuale rispetto ai lavori della Commissione; pertanto, auspico che tale rapporto possa continuare perché a mio avviso è fondamentale. Infatti, a prescindere dal fatto che la normativa debba essere di carattere nazionale piuttosto che regionale, credo che le Regioni in primis, e chiaramente le Province, per quanto di loro competenza, hanno la conoscenza specifica del territorio, ragion per cui diventa difficile trasferire tali conoscenze a carattere nazionale. Quindi, invito la Commissione a valutare attentamente il lavoro di informazione e di attenzione al territorio che le varie Regioni puntualmente svolgono.
Per quanto riguarda la Regione Piemonte – sarò lieta di aggiungere eventuali informazioni sul lavoro che questa Giunta regionale ha svolto da quando si è insediata, nel marzo 2010 – relativamente al tema della prevenzione degli infortuni ma anche della formazione, ci siamo rivolti non soltanto ai lavoratori ma anche agli imprenditori e alle scuole. Riteniamo infatti fondamentale che la prevenzione degli infortuni, quindi la conoscenza di come questa debba avvenire, debba partire dalle scuole. Questo è un lavoro che abbiamo fatto attraverso le delibere che la Regione Piemonte ha attuato, soprattutto dando supporto a quelle famiglie che, ahimè, sono state vittime di infortuni drammatici sul posto di lavoro. Ad ogni modo, le percentuali che l’INAIL ha evidenziato nelle ultime analisi dimostrano come la Regione Piemonte abbia saputo lavorare molto bene negli ultimi anni, tanto che gli incidenti mortali sui posti di lavoro sono diminuiti, così come gli incidenti mortali in itinere, quelli nel tragitto casa-lavoro e viceversa, che pure rientrano tra quelli annoverati.
È chiaro che la vostra presenza sul territorio – della quale vi ringraziamo – è dovuta soprattutto ai fatti che si sono verificati in questi ultimi giorni.
Lascio ora la parola al dottor Corgiat Loia, direttore del settore prevenzione e veterinaria, dal momento che molte delle deleghe in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro riguardano anche l’assessorato alla sanità e alle politiche sociali, che ha competenze specifiche sugli SPRESAL, quindi fa un lavoro che viene ancora prima del nostro.

CORGIAT LOIA
Come diceva l’assessore Porchietto, la Regione Piemonte sta attraversando, almeno per quanto riguarda la sanità, un momento molto delicato nel settore prevenzione e veterinaria. Tale difficoltà è legata a tre elementi di una certa rilevanza: il piano di rientro, la riforma del piano sanitario regionale e la riorganizzazione dell’assessorato alla sanità. Questa è probabilmente una delle cause che l’anno scorso e all’inizio di quest’anno hanno fatto sì che l’azione di coordinamento e di raccordo tra i vari soggetti che agiscono nel settore della prevenzione nella nostra Regione abbia subito un rallentamento. Pur dirigendo questo settore da un paio di mesi, prendo atto della necessità di riallacciare i rapporti che negli ultimi mesi dell’anno scorso si sono leggermente allentati.

PRESIDENTE
C’è stata una motivazione di questo allentamento?

CORGIAT LOIA
No, Presidente. La motivazione sta nel fatto che la riorganizzazione dell’assessorato, con la conseguente redistribuzione delle funzioni, e la necessità prevalente di rientrare da una voragine di debiti che la nostra Regione da qualche anno ha accumulato, ha fatto sì che l’attenzione dell’assessorato si concentrasse su elementi ritenuti prioritari. Questo non vuol dire che non ci siano state attività di collegamento con altri soggetti che operano nella prevenzione, ma che abbiamo la possibilità di fare meglio da qui in poi, non appena avremo assestato questa prima parte importante.
Dal momento che si è fatto cenno ad alcuni episodi accaduti nella nostra Regione recentemente, in particolare quello di Villastellone, ma non solo, è curioso vedere che alcuni indirizzi di altri settori produttivi, come quello della gestione dei rifiuti in generale, possano avere introdotto elementi di novità nell’ambito del settore della prevenzione. Gli episodi che si sono riscontrati derivano dalla raccolta differenziata, l’accumulo di rifiuti sporchi che possono ancora essere pericolosi perché contenenti gas. In particolare, il meccanismo della raccolta dell’alluminio, delle lattine e delle bombolette, e i fenomeni di compressione per ridurre il volume di questi materiali, costituiscono un elemento nuovo che non è mai stato preso in considerazione. La responsabilità è certamente da ricercare nell’assenza di un’analisi del rischio da parte delle imprese che effettuano questo lavoro, ed è uno degli aspetti che fa riflettere sulla necessità che, in tema di prevenzione, non ci si assesti soltanto sul noto ma che si riesca ad esaminare processi nuovi.

PRESIDENTE
Eppure, nel luogo dove si è determinato questo evento, che, fortunatamente, non ha avuto un finale tragico, non era la prima volta che si verificavano fenomeni di questo tipo; quindi, non è una novità.

CORGIAT LOIA
È una novità nel panorama regionale, ma non in quell’area, dove è il secondo episodio segnalato, probabilmente legato ad un sistema di raccolta che non differenzia abbastanza il rifiuto.

PRESIDENTE
Facevo solamente riferimento al fatto che non è una novità; quando c’è un fatto precedente non c’è più la novità.

CORGIAT LOIA
Se parliamo di due episodi in un unico luogo bisogna capire le ragioni del fenomeno. C’è un’inchiesta in corso; su questo aspetto il dottor Argentero, con il quale abbiamo parlato la settimana scorsa, vi fornirà elementi di dettaglio sicuramente interessanti.
L’altro fenomeno che si registra, che non è certamente una novità ma un dato consolidato sul quale si sta lavorando, concerne gli incidenti in agricoltura e nell’ambito della forestazione. Anche su questo fronte sono in atto alcuni programmi in collaborazione con l’assessorato all’agricoltura per utilizzare le fonti informative dell’agricoltura a beneficio degli interventi che gli SPRESAL mettono in campo, soprattutto per fare in modo che siano più mirati e possano aiutare il comparto ad indirizzare meglio le risorse comunitarie nell’ambito degli investimenti che le aziende agricole effettuano. Tuttavia, devo ammettere che le politiche comunitarie e quelle nazionali non sembrano essere perfettamente coerenti perché nell’ultima PAC l’acquisto di macchine agricole non è più consentito, ragion per cui bisogna trovare un modo per far sì che il parco macchine vecchio, spesso alla base di questi incidenti, possa essere rinnovato anche con un contributo o un concorso pubblico.
I temi su cui la nostra Regione lavora nell’ambito della prevenzione sono numerosi e l’attenzione dedicata alla materia è rilevante. Basti vedere il numero dei gruppi di lavoro che stanno esaminando aspetti, producendo atti e relazioni. Il problema, a mio modo di vedere – sempre considerando che dirigo questo settore da due mesi – è l’esigenza di un raccordo tra una cinquantina di gruppi di lavoro che si esprimono su temi diversi, che non è affatto semplice; raccordo che, probabilmente, risulta eccessivamente sfilacciato. Questa partecipazione democratica dal basso verso l’alto nella definizione di programmi e di attività rischia di far perdere alla Regione quella possibilità di coordinare queste decine o centinaia di persone che lavorano nel settore della prevenzione. È per questo motivo che nel 2012 bisognerà mettere mano sia sul fronte della prevenzione sia sul versante dell’epidemiologia per cercare di far sì che la componente epidemiologica che supporta le attività di prevenzione abbia un punto di convergenza regionale unico, e che i servizi di prevenzione ritornino a dialogare con la Regione Piemonte, che negli ultimi anni ha decisamente affievolito l’organico strutturato nell’ambito della sanità.

PRESIDENTE
Dottor Corgiat Loia, il decreto legislativo n. 81 assegna competenze specifiche al coordinamento regionale, che, come lei sa sicuramente, prevede che determinati soggetti ne facciano parte, nonché la necessità di darsi delle strategie, a partire da un piano regionale, per poi riverberarsi sul territorio a livello provinciale. Quindi, se ci sono altri 50 o 100 comitati o associazioni che sensibilizzano sul tema, ben venga, ma non possono essere visti come soggetti nell’istituzione. Al riguardo, credo che un punto delicato – e chiediamo anche il vostro aiuto in tal senso – sia stato proprio quello di non avere colto appieno questo comitato regionale, che per noi, da un punto di vista legislativo, è stato oggetto di molte discussioni e di grande approfondimento.
A noi è sembrato corretto e giusto che fosse la Regione a trovare un momento di sintesi rispetto a tutto questo discorso, però il comitato regionale non deve allontanarsi dalle proprie competenze, perché altrimenti non raggiungeremo mai quel senso di unicità che abbiamo cercato, ma piuttosto una dispersione, sia pure importante, di dati e di elementi senza arrivare ad una sintesi.
Prima dicevo al signor prefetto che i comitati o gruppi – non so come chiamarli – che vi sono nelle singole prefetture, e che sono retaggio di epoche precedenti il decreto n. 81, debbono uniformarsi a questa unica struttura regionale. In caso contrario, ognuno va per conto proprio, e ciò non è più possibile, altrimenti ci ritroviamo nelle stesse condizioni verificatesi nel mese di marzo, quando, secondo dinamiche più o meno identiche, sono morte due persone nella costruzione dell’inceneritore. In tal senso, chiediamo la vostra attenzione, altrimenti rischiamo di fare tutti letteratura, che pure è importante, nella scrittura dei testi. È necessario fare di più.

NEROZZI
L’assessore Porchietto ha fatto riferimento alla IX Commissione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e ha detto che nel passato, prima dell’attuale Governo, questa aveva funzionato sulle questioni specifiche.
Assessore, è interessante perché potremmo cadere in equivoci.

PORCHIETTO
Ho fatto un ragionamento di tipo diverso e ho detto che l’anno precedente la IX Commissione aveva un raccordo sistematico con il Ministero e con il Ministro e che in questo momento vi sono priorità diverse; non è che non ha funzionato, anzi sta continuando a lavorare sulle tematiche legate alle sue competenze, che non sono quelle delle Commissioni che si raccordano con l’assessorato alla sanità. Noi invece stiamo parlando della formazione. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha trasferito alle Regioni risorse – di cui possiamo parlare – per la formazione e la prevenzione.

NEROZZI
Io avevo capito bene. Si approvano leggi che prevedono degli organismi, poi ci possono essere altre modalità di funzionamento, ma l’importante è che ci siano. Non mi interessa parlare dell’attuale Governo: non stiamo facendo un dibattito sulle differenze tra l’Esecutivo attuale e quello precedente; tra qualche mese faremo altre valutazioni, ma per il momento non mi interessa. Lei sostiene che questo rapporto tra le Regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sugli argomenti specifici c’è stato; eventualmente ci sarà stata qualche mancanza nelle comunicazioni, ma almeno questo aspetto, che andrà verificato anche con il Ministero, è un elemento di coordinamento.

PRESIDENTE
Però c’è un dettaglio, rispetto al quale vorrei intervenire perché forse così potremo chiarirci e l’assessore potrà aiutarci.

NEROZZI
È la prima volta che questo emerge.

PRESIDENTE
Le tematiche più strettamente riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro vengono trattate da un’altra Commissione, cioè dalla VII Commissione sanità.

PORCHIETTO
Infatti ho sottolineato che stavo facendo riferimento alla IX Commissione.

PRESIDENTE
L’assessore sta parlando della Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca, mentre il nostro problema si crea nella Commissione sanità, tant’è vero che noi abbiamo auspicato di poter riunire tutti gli assessori alla sanità o i loro delegati delle varie Regioni, anche perché le competenze dell’assessorato al lavoro e alla formazione sono minime in questo senso. Infatti, l’assessore rimarcava come la formazione si colleghi alla sicurezza sul lavoro, ma per il resto la competenza è in capo all’assessore alla sanità.

PORCHIETTO
È una competenza complementare.

PRESIDENTE
Infatti noi continuiamo ad avere questo problema.

NEROZZI
Visto che per il settore lavoro è stato fatto, vorrei proprio arrivare a capire per quali ragioni non si è proceduto allo stesso modo per la sanità.

CORGIAT LOIA
In realtà non è che nella sanità non è stato fatto; le Regioni hanno gruppi tecnici che a livello nazionale si confrontano periodicamente con il Ministero della salute.

NEROZZI
C’è una differenza che volevo mettere in rilievo. Vorrei far notare che se nel computo degli incidenti consideriamo anche le ore di cassa integrazione, purtroppo nel 2010 e 2011 il risultato è drammatico, perché si registrano aumenti non di poco conto.

PORCHIETTO
È chiaro che la ponderazione con le ore di cassa integrazione fa cambiare completamente il dato.

NEROZZI
Soprattutto in una Provincia come quella di Torino in questi ultimi due anni, la dimensione della cassa integrazione è enorme: sono preoccupanti sia i dati del 2010 che del 2011.

PRESIDENTE
Direi anche nel 2012, visto che nei primi tre mesi dell’anno ci sono stati 17 morti. Il segnale che vogliamo dare risponde quindi all’esigenza di richiamare tutti a una maggiore attenzione.
Ci siamo detti quello che dovevamo dirci; spero che ci siamo capiti e che abbiate colto il nostro obiettivo, che è stato abbastanza chiaro ed esplicito. A mio avviso dovremo collaborare più di quanto facciamo adesso e far funzionare meglio gli organismi di cui disponiamo. Ci viene detto che gli ispettori sono pochi, ma tutti i soggetti coinvolti a vario titolo in quest’attività di prevenzione e di contrasto (le aziende sanitarie, gli ispettorati del lavoro, il nucleo dei Carabinieri, gli ispettori INAIL, i Vigili del fuoco) non sono poi così pochi, come emerge anche dal raffronto con altre nazioni. Spesso i controlli non procedono in maniera coordinata e si sovrappongono, per questo come legislatori – forse sbagliando – abbiamo pensato al coordinamento regionale, su cui puntiamo molto, perché altrimenti ogni ente prosegue per la sua strada. Finora – lo dico con grande serenità e dispiacere – nessuna Regione italiana ha inviato, come avrebbe dovuto, una relazione annuale ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della salute. Ci dicono che i rapporti vengono intrattenuti nell’ambito della competente Commissione, ma di quest’ultimo aspetto abbiamo parlato prima e indubbiamente non ci riferivamo alla IX Commissione. Vi chiediamo pertanto una maggiore collaborazione.
Se ci sono ulteriori elementi da comunicarci potrete farceli pervenire in forma scritta; in sintesi, spero che il nostro incontro sia l’inizio di una collaborazione, perlomeno questo è il nostro obiettivo.

PORCHIETTO
Vi ringrazio. Io mi farò carico di parlarne con il presidente Cota e con l’assessore Monferino (che oggi non poteva essere presente), affinché, con le deleghe di cui dispone, faccia un’azione di moral suasion per quanto riguarda il coordinamento della sua commissione.

PRESIDENTE
Se non ci sono altre osservazioni, ringrazio gli ospiti intervenuti e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Torino

Interviene il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino, dottor Marcello Maddalena.

PRESIDENTE
Proseguiamo i nostri lavori con l’audizione del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino, dottor Marcello Maddalena, che ringrazio per la partecipazione.
La nostra Commissione sta svolgendo un’indagine su tutte le Regioni d’Italia e, ascoltando i soggetti a vario titolo competenti, cerchiamo di comprendere l’andamento delle attività di contrasto e prevenzione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, con l’auspicio che esse trovino un momento di sintesi. Per noi è quindi molto interessante capire l’approccio della magistratura su questi temi. Del resto, abbiamo avuto la fortuna di conoscere e incontrare già da qualche anno il dottor Guariniello, che segue la materia con grande attenzione e mi posso permettere di dire, se lei me lo consente, che sta facendo scuola per quanto riguarda l’approccio, la procedura e quindi le competenze della magistratura in rapporto a questi fenomeni. Vorremmo quindi avere anche da lei un quadro su questi argomenti.

MADDALENA
Signor Presidente, se avete ascoltato il dottor Guariniello, ritengo che non possiate avere maggiori informazioni e sicuramente non dal sottoscritto, anche perché, come lei ha detto, il dottor Guariniello ha fatto e fa scuola non soltanto all’interno della magistratura, ma anche per l’opera che ha condotto all’interno della pubblica amministrazione; tant’è vero che scherzosamente a volte gli ho detto che fa opera di supplenza e lui chiaramente, essendo una persona molto intelligente, dice che è verissimo, ma che se non lo fa lui non lo fa nessuno. Questa è la realtà.
Tanto per dare un riferimento, l’osservatorio sulle malattie professionali presente a Torino dal 1990 (e forse anche da prima) è un quid unicum nel panorama italiano; tra l’altro, ciò comporta che arrivino alla procura della Repubblica di Torino notizie qualificate come notizie di reato, ma che in realtà sono notizie di malattie, a seguito delle quali viene svolta tutta un’indagine per vedere se all’esito emerge una malattia di natura professionale e questo è quello che fa il dottor Guariniello. Le dico di più : dato che, come le ho detto, egli sicuramente fa opera di supplenza e io, come procuratore della Repubblica, gliel’ho lasciata fare, molti luminari della medicina mi hanno detto che i passi in avanti che ha fatto fare Guariniello alla medicina non li ha fatti fare nessuno e non perché si arroghi e abbia competenze di natura medica, ma perché attraverso le sue indagini ha messo a disposizione della scienza medica un gran numero di dati che altrimenti non avrebbe avuto e sulla cui base si sono fatti progressi sotto il profilo delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro.
Debbo anche dire che complessivamente in Piemonte c’è una notevole sensibilità rispetto a questo tema e anche in altre procure sono state adottate delle disposizioni, dei raccordi, con i Servizi prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro (SPRESAL) e con le forze di polizia giudiziaria per indirizzare le indagini in un certo modo. Non è stato fatto nulla di analogo all’osservatorio messo in piedi dal dottor Guariniello, ma sicuramente l’attenzione è notevole.
Dovendo dire quelli che io credo siano i temi che possono interessare degli organi legislativi e di Governo, direi che il primo tema che si dovrebbe affrontare (non solo nella materia degli infortuni sul lavoro) riguarda il fatto che all’interno del corpo della magistratura, quando un magistrato ha raggiunto una certa specializzazione e un certo livello e quindi può dare il meglio di sé stesso, è costretto a cambiare lavoro. Al dottor Guariniello questo non è successo per una serie di contingenze fortunate; essendo lui passato dalla pretura alla procura presso la pretura e alla procura presso il tribunale come aggiunto e poi essendo tornato, ogni volta ricominciava a decorrere il termine. Ma la regola è che, al massimo dopo dieci anni, si deve cambiare specializzazione e mestiere, il che è nefasto in questa ed in qualunque altra materia (per esempio anche nella DDA o in materia di reati fiscali, economici e relativi alla pubblica amministrazione); quando un magistrato ha raggiunto una certa specializzazione, se ne deve andare. Del resto, mi sembra persino paradossale il fatto che il dottor Guariniello, all’età di 71 anni che adesso ha compiuto, si ritrovi ad essere un semplice sostituto, cioè un soldato semplice (perché questa è la normativa). E meno male che il dottor Caselli gli attribuisce dei compiti di coordinamento; in teoria, non dovrebbe avere neanche questi compiti. La cosa peggiore per voi è che questa temporaneità nella trattazione degli affari, che è stata inserita nella legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, ma che prima era stata introdotta anche dal Consiglio superiore della magistratura, in sostanza è stata fortemente voluta dai magistrati. Io, fin da allora, ho detto che questo è stato ed è un grave errore, le cui conseguenze sono sicuramente negative. Però così è e quindi questo è il dato di fatto.
Vengo ora al secondo aspetto. So che il dottor Guariniello e il dottor Caselli vi hanno già parlato, quindi non torno sul tema della possibile istituzione di una procura nazionale, che pure è un tema che ha i suoi aspetti di validità, anche se una procura nazionale in questa materia avrebbe delle ragioni totalmente diverse rispetto a quelle che ha in materia di mafia o in altri settori in cui sono state create una procura nazionale o delle procure distrettuali. Si potrebbe tuttavia tentare di realizzare un coordinamento regionale, attraverso la pratica di un istituto presente nell’ordinamento, l’istituto della coassegnazione, in base al quale un magistrato della procura di Torino, ad esempio, può essere coassegnato per certe materie anche ad altre procure vicine, così da creare un qualche cosa. Però anche qui ci sono delle delibere del Consiglio superiore della magistratura che limitano molto questa possibilità e, in pratica, la rendono difficilmente praticabile; essa viene usata solo per supplire quando manca qualcuno, ma non per coordinare e per svolgere un’attività di unificazione. Nel giugno del 2011 ho posto una serie di quesiti al Consiglio superiore della magistratura, perché, come procuratore generale, vorrei tentare di avviare questo istituto, in questo ed in altri settori; esso incontra notevoli resistenze da parte dei magistrati, perché l’idea di doversi muovere non è che piaccia molto (si preferisce restare fissi dove ci si trova). Però, dalla fine di giugno dell’anno scorso ad oggi, il Consiglio superiore della magistratura non ha ancora fornito una risposta a questi quesiti. Credo che non abbia fornito una risposta in quanto anche lì ci sono molte resistenze ad applicare un istituto che incontra una grossa resistenza da parte degli stessi magistrati destinatari. Sono abituato a parlare con molta franchezza: il potere legislativo, secondo me, come farebbe bene in certe occasioni a seguire le indicazioni dei magistrati, così in altre farebbe bene a non seguirle e ad adottare, nell’interesse del servizio, delle misure che giovino ai cittadini e al buon funzionamento, anche se possono incontrare delle resistenze più o meno corporative. Io dico sempre ai miei sostituti o quando sono in consiglio giudiziario che l’obiettivo non deve essere quello di gratificare chi fa il lavoro, ma quello di svolgere un servizio che serva per i destinatari del servizio, anche se non gratifica chi lo fa. Se poi si riescono a combinare le due cose, tanto meglio; ma l’obiettivo primario deve essere quello. In questa materia, quindi, sarebbe utile un coordinamento, come in tutti i settori, anche perché altrimenti non si riesce a capire perché in certi uffici le cose vanno in un modo ed in altri uffici vanno in un altro modo.

PRESIDENTE
La ringraziamo, signor procuratore, anche perché è entrato in un dibattito – come del resto lei ha avuto modo di sottolineare – che le è noto e che è noto anche a questa Commissione. Non più di un mese fa abbiamo audito il dottor Guariniello e il dottor Caselli. Quindi il suo è stato anche un contributo sulla via della fattibilità di una maggiore qualificazione, senza grandi stravolgimenti.

MADDALENA
Tra il tutto e il niente ci sono delle vie di mezzo. Io sono dell’idea che si debba cominciare a migliorare quello che si può migliorare. Delle vie per migliorare le vedo, ma bisogna collaborare tutti.

PRESIDENTE
La ringrazio a nome della Commissione per la sua presenza, signor procuratore, e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del direttore regionale dell’INAIL e del direttore regionale del lavoro

Intervengono il direttore regionale dell’INAIL, dottor Pietro Spadafora, accompagnato dal vice direttore del medesimo ente, dottoressa Virginia Tenore, e il direttore regionale del lavoro, dottor Luigi Corrente, accompagnato dal responsabile dell’area tecnica della direzione regionale del lavoro, ingegner Maurizio Magri.

PRESIDENTE
Buongiorno. Vi ringraziamo per la vostra presenza, anche perché l’INAIL è sempre particolarmente attivo e dinamico su questo importante fenomeno, soprattutto per i dati che ci fornisce, i quali ci consentono, a noi che cerchiamo di studiarli e di comprenderli, di capire come stanno andando le cose. La nostra presenza – sono avvezzo a ripeterlo ad ogni incontro – non è legata agli ultimi eventi che si sono verificati a Torino, anche se certamente non possiamo non tenerne conto. Tuttavia la nostra presenza è legata ad un’indagine che stiamo portando avanti e che riguarda tutte le Regioni italiane; essa ci offre anche la possibilità e l’occasione di incontrare i vari soggetti che istituzionalmente si interessano del tema della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta quindi di un incontro ravvicinato tra istituzioni, che ci permette, al di là delle note scritte o dei freddi numeri che possono arrivarci, di svolgere una riflessione e quindi un approfondimento. Questi sono i nostri intenti, che ovviamente non possono prescindere da quanto si sta determinando, se è vero – e voi magari potete anche confortarci su questo punto – che negli ultimi tre mesi (cioè nei primi tre mesi di quest’anno) ci sono stati ben 17 morti in Piemonte, 8 dei quali (il 50 per cento circa) solo a Torino e nella sua Provincia. Gradiremmo pertanto da voi delle riflessioni in questo senso; vorremmo inoltre sapere come state impostando la vostra attività di istituto, per quanto riguarda sia le azioni preventive che quelle repressive.

SPADAFORA
Signor Presidente, i dati non sono ancora consolidati, ma comunque, anche in considerazione degli ultimi eventi, i numeri sono quelli che lei ha indicato. Chiaramente stiamo valutando quali sono le cause che hanno prodotto questi infortuni. C’è da dire comunque che dalle prime istruttorie che stiamo facendo emerge una certa incidenza legata all’infortunistica stradale, sia negli anni precedenti che nell’anno in corso. Parlo di infortunistica stradale senza stare a distinguere, perché poi dobbiamo accertare bene le cause, cioè verificare se si tratta di infortuni in itinere o se si tratta invece di infortuni legati a lavoratori che utilizzano il mezzo di trasporto come normale attività di lavoro; quindi stiamo verificando anche queste situazioni.
Sicuramente i dati generali degli infortuni in Piemonte presentano una situazione un po’ altalenante, se riferiti agli anni precedenti. Infatti, secondo i dati consolidati del 2010, gli infortuni mortali nella Regione sono stati 75, laddove il dato del 2011 si attesta sui 60. Se poi si considera il 2009, si noterà una riduzione rispetto al 2010, a testimonianza di un fenomeno un po’ a zig zag; si tratta di capire bene quali sono le cause che lo determinano. Probabilmente, ciò è anche dovuto all’andamento del mercato del lavoro, a situazioni che spesso sfuggono anche all’analisi del dato statistico percentuale. D’altra parte, considerando la tipologia di questi infortuni, credo che una certa incidenza possa essere legata al fenomeno dei subappalti di ditte che lavorano all’interno di strutture e che devono naturalmente interfacciarsi, quindi coordinarsi, anche con altre società; un aspetto sul quale a mio avviso dobbiamo riflettere.
Anche negli anni precedenti ci sono stati fenomeni che hanno richiamato la nostra attenzione come INAIL al fine di mirare alcune politiche di prevenzione, per cercare di contenere fenomeni di questo tipo. Mi riferisco ad alcuni infortuni mortali, come gli eventi del Molino Cordero di qualche anno fa, la ThyssenKrupp, recentemente l’infortunio avvenuto a Villastellone, un altro a Biella (anche in quel caso piuttosto rilevante) legato a fenomeni di scoppio di polveri o materiali immagazzinati. Quindi, partendo da questi fatti che si ripetevano, abbiamo avviato indagini e, con il coinvolgimento del Politecnico di Torino, abbiamo intrapreso una ricerca volta a studiare il fenomeno delle polveri esplosive. Si tratta di un progetto tuttora in corso, finanziato quasi interamente con i fondi dell’INAIL; un elemento specifico che caratterizza l’intervento che noi come Regione stiamo mettendo in atto per cercare di studiare il fenomeno. Allo stesso tempo, ci stiamo occupando di altre situazioni rilevanti, quali infortuni mortali legati alle attività dei cantieri edili.

MARAVENTANO
Vorrei che ci desse qualche chiarimento rispetto a questa ricerca che state promuovendo.

SPADAFORA
Secondo i ricercatori universitari del Politecnico di Torino in tutti i luoghi dove c’è stoccaggio di materiali tendenzialmente c’è il rischio di esplosione. Di solito si pensa a polveri da sparo, mentre non sempre il fenomeno è legato a quel tipo particolare di materiale. Un episodio del genere si è verificato, per esempio, in un magazzino tessile del biellese, dove c’era uno stoccaggio di materiali che, poiché soggetti alla fermentazione, producono gas che possono esplodere, comportando determinati rischi.

MARAVENTANO
L’INAIL cosa c’entra?

SPADAFORA
Tra le attività alle quali il Presidente accennava, l’INAIL non ha competenze repressive nei confronti delle violazioni delle norme di sicurezza...

PRESIDENTE
Però ispettive sì.

SPADAFORA
Sì, noi facciamo attività ispettiva, anche se le nostre ispezioni sono soprattutto legate all’individuazione di irregolarità, quali il lavoro nero o la classificazione errata ai fini del pagamento del premio. Per quanto riguarda invece le violazioni delle norme di sicurezza, si tratta di una materia che rientra nelle competenza degli SPRESAL e nella competenza della direzione territoriale del lavoro per quanto riguarda i cantieri edili, mentre l’INAIL ha un ruolo fondamentale per quanto concerne le politiche di prevenzione e la diffusione della cultura della sicurezza, che facciamo utilizzando i fondi che nei bilanci abbiamo a disposizione per realizzare queste attività. L’INAIL Piemonte, per esempio, nel bilancio 2011 ha a disposizione un budget di 2.650.000 euro, che stiamo spendendo integralmente per avviare politiche di prevenzione sul territorio, in collaborazione e con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e dei comitati paritetici. Cerchiamo in tal modo di valorizzare la bilateralità, che in Piemonte è abbastanza presente, avviando progetti mirati a diffondere la cultura della sicurezza a 360 gradi, attraverso corsi di formazione, informazione, campagne di sensibilizzazione e ricerca.
In Piemonte abbiamo la fortuna di avere una università e un politecnico all’avanguardia per quanto riguarda questo tipo di attività, e proprio con il politecnico abbiamo una convenzione attiva ormai da anni; nell’ambito di queste attività di collaborazione abbiamo avviato una ricerca sulle polveri esplosive. È stato quindi allestito un laboratorio, di cui è responsabile l’ingegner Marmo, il quale mi diceva che in Italia, per accertare il rischio di esplosioni, le aziende devono fare riferimento ad un laboratorio operativo a Milano, oppure devono addirittura recarsi all’estero, e molto spesso si rivolgono a laboratori esteri per acquisire questo tipo di informazione. Essendo quindi un’attività poco presente in Italia, l’obiettivo è quello di allestire un laboratorio che possa servire alle imprese per accertare questo tipo di rischi, ai quali, sempre stando a quanto mi diceva l’ingegner Marmo, sostanzialmente tutte le aziende sono soggette. Il discorso non riguarda solo imprese agricole, silos, piuttosto che industrie tessili, ma anche quelle industrie che producono vernici o che svolgono qualunque altro tipo di attività. Con il Politecnico abbiamo inoltre altre collaborazioni.
Rispetto al discorso dell’edilizia, della catena e del subappalto – il 24 aprile ci sarà un convegno a Vercelli sul tema – abbiamo avviato una ricerca sui rischi da interferenze con l’Unione industriale di Vercelli, proprio finalizzata a studiare come funziona nella catena dei subappalti– la legge stabilisce che le aziende devono elaborare il DUVRI (documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze) – la correlazione tra aziende diverse che operano all’interno della stessa impresa. Abbiamo fatto questo esperimento in un’impresa industriale e vorremmo ripetere l’esperienza anche nell’edilizia; infatti, abbiamo già un accordo con il Politecnico e con l’Unione industriale di Vercelli per studiare qualcosa di analogo nei confronti dei cantieri.
In Piemonte ci sono i lavori della TAV, i lavori per il secondo traforo del Frejus, a Torino è in corso la costruzione di alcuni grattacieli importanti, c’è il cantiere del termovalorizzatore. Inizialmente ero un po’ scettico rispetto alla possibilità di finanziare un progetto di questo tipo, perché sembrava uno studio eccessivamente ampio e un po’ dispersivo; l’obiettivo è di concentrarci su alcuni settori particolari da individuare e studiare come, in maniera organizzata e un po’ scientifica, si possa pianificare un sistema di sicurezza, magari anche sperimentando tecnologie innovative.
Sempre qui in Piemonte, qualche anno fa era stato avviato un progetto, in collaborazione con l’Unione industriale di Torino, per studiare dispositivi di protezione sensibili, con chip microelettronici, in modo da far scattare campanelli d’allarme nel momento in cui il lavoratore non usasse le cinture di sicurezza piuttosto che il casco: sistemi elettronici che potessero intercettare la violazione di un obbligo. Naturalmente, è necessario l’intervento di tecnici – io non sono un tecnico – ma l’obiettivo è quello di cercare di integrare un sistema organizzato con l’uso di tecnologia. Pensavamo quindi di utilizzare le nostre disponibilità finanziarie per progetti di questo tipo.

PRESIDENTE
La ringrazio intanto per tutti gli elementi che ci ha fornito, nonché per la vivacità e la dinamicità del lavoro che state portando avanti. Penso di poter aggiungere un elemento che sicuramente lei non smentirà, ovvero che, tra gli altri soggetti coi quali lavorate, in modo particolare ci sono le scuole.

SPADAFORA
A Torino abbiamo finanziato e stiamo promuovendo, insieme con la direzione scolastica regionale, la rete della sicurezza delle scuole, per la quale stiamo anche incrementando i fondi. Quest’anno infatti abbiamo messo a disposizione di questa rete risorse finanziarie pari a circa 300.000 euro: siamo convinti che bisogna insistere molto al livello delle scuole per diffondere questo messaggio.

PRESIDENTE
Sappiamo anche che fate parte di un tavolo presso il Ministero del lavoro con il Ministero della pubblica istruzione, e di ciò vi diamo atto come istituto. Vorrei chiedere un particolare: dal momento che voi fate parte del comitato di coordinamento della Regione, vorremmo avere qualche elemento ulteriore di conoscenza di questo comitato, e soprattutto le vostre riflessioni in merito.

SPADAFORA
Premetto che sono direttore regionale da sette mesi, quindi posso essere testimone della realtà di questo periodo: la Regione Piemonte è stata una delle prime ad istituire il comitato per la sicurezza.

PRESIDENTE
La mia è una domanda più diretta: partecipate a qualche riunione?

SPADAFORA
Sì sì, il comitato è anche molto attivo; è diviso in sottocomitati. In particolare, quello che si occupa di formazione sta elaborando linee guida per emanare i bandi per gestire le attività formative con i fondi che rientrano nella disponibilità delle Regioni. In questo senso, stiamo elaborando il nuovo regolamento per l’emanazione di questi bandi.

PRESIDENTE
Sul tema della formazione abbiamo già avuto elementi di conoscenza rispetto alle varie attività, però lo spirito del coordinamento va molto più in là della formazione.
C’è stato un grande dibattito sul ruolo di quel coordinamento delle Regioni, perché è l’unico punto di sintesi di tutti i soggetti coinvolti nell’attività di prevenzione e di tutela della salute e della sicurezza, ma anche perché è l’unico punto di sintesi che in qualche modo deve rapportarsi con il Governo centrale, tanto è vero che sono previste relazioni sia al Ministero della salute sia al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Stiamo lavorando molto su questo dato, che dalle indagini che stiamo conducendo sulle varie Regioni ci sembra molto debole. Tra l’altro, sapete bene quanto è importante non solo la costituzione del coordinamento ma anche le attività di pianificazione, di monitoraggio, ovvero tutto quel processo di conoscenza delle problematiche esistenti, che poi si dispiegano anche sui territori provinciali. Questo è uno dei nostri argomenti centrali, per poter capire meglio come coordinare tutti questi soggetti, che sono molti istituzionalmente e che rientrano nelle attività relative al tema di cui ci stiamo occupando.
Oggi abbiamo sollecitato in questo senso anche gli esponenti della Regione, perché altrimenti non abbiamo collegamenti. Del resto, ormai ci stiamo sforzando per capire se occorre un elemento di sintesi o se bisogna fare altro, atteso che la conoscenza e lo studio di ogni infortunio ci può aiutare a evitarne un altro, perché spesso i meccanismi si ripetono. In effetti, anche senza andare troppo indietro con la memoria, il mese di marzo ci ha dato questa conferma con i due incidenti mortali molto simili che si sono verificati presso l’inceneritore.
Noi vi chiediamo di trattare questi temi con la nostra stessa attenzione. È vero che i dati fornitici dall’INAIL, per i quali ringraziamo, presentano un trend in diminuzione, ma sono molto altalenanti perché da più di 100 morti del 2006 e del 2007 si scende a 76 nel 2008, a 56 nel 2009, poi si torna 75 nel 2010 e infine a 60 nel 2011 (confermerete quest’ultimo dato a luglio 2012); tuttavia l’informazione di maggior rilievo è che già nei primi tre mesi 2012 abbiamo 17 morti. Un altro dato molto importante riguarda gli occupati. In Province e Regioni come queste si registrano molte ore di cassa integrazione; l’ISTAT considera occupati i lavoratori in cassa integrazione, ma per noi questo ragionamento non vale, perché non stanno svolgendo un lavoro. Pertanto, se eliminiamo questi lavoratori dal conteggio degli occupati, ci rendiamo conto che non c’è stata una grande diminuzione o perlomeno non è talmente significativa da giustificare l’ingente impegno che tante istituzioni stanno ponendo in essere. Ciò significa quindi che c’è qualcosa che non va e nelle nostre missioni sul territorio vogliamo cercare di indagare anche questo aspetto; gradiremmo quindi che ci aiutaste a capire questi elementi.

SPADAFORA
Lo faremo sicuramente. Lei prima parlava della Regione e, pur non volendo entrare in certe questioni, ho visto che in questi sette mesi c’è stato un avvicendamento anche presso la direzione regionale sanità. Lei sa che il comitato regionale di coordinamento è espressione dell’assessorato alla tutela della salute e sanità della Regione che lo coordina, quindi in presenza di un avvicendamento si verifica sempre qualche ritardo o difficoltà a rimettere in moto i meccanismi. Ciò detto, al di là delle posizioni verticistiche, c’è comunque una collaborazione a livello istituzionale ed è attiva una convenzione con la Regione per quanto riguarda un osservatorio.

PRESIDENTE
Direttore, io ne sono convinto, ma le sto dicendo un’altra cosa. Dato che parliamo tutti la stessa lingua, sia pure con accenti e cadenze diverse perché l’Italia si sviluppa da Nord a Sud, il nostro obiettivo è cercare di puntualizzare e coordinare meglio le nostre attività: ciò che vi stiamo chiedendo, quindi, è la collaborazione. Abbiamo degli elementi e li vorremmo capire meglio; questo è un dato importante che ancora non ci fa comprendere lo spirito della norma. Infatti, anche se è stato costituito e si tengono degli incontri, il comitato regionale di coordinamento non avrà colto l’impulso del legislatore se non darà seguito alle sue competenze di pianificazione, monitoraggio e vigilanza, se non stabilirà priorità, programmi d’intervento e strategie e non si dispiegherà anche a livello provinciale. Dato che voi fate parte d’ufficio di questa struttura, noi avanziamo nei vostri confronti una richiesta in questo senso, perché l’atto istitutivo del comitato descrive i suoi compiti, quindi non è complicato. Noi attribuiamo molta importanza a questo aspetto.

CORRENTE
Signor Presidente, premettendo che ho preparato una breve sintesi che posso depositare agli atti, vorrei iniziare il mio intervento dall’ultimo aspetto che lei ha toccato: il coordinamento regionale non funziona. Prima avete ascoltato i rappresentanti della Regione e devo dire che l’ufficio operativo, che era la componente più importante, si è riunito solo una volta e il suo riflesso sul territorio è stato pari a zero: le indicazioni e gli input che bisognava dare al territorio non sono venuti. Personalmente, ho partecipato più volte a queste riunioni e, visto che sul piano operativo non riuscivano a indicare le cose da fare al di là dell’attività di coordinamento, abbiamo cominciato a operare per conto nostro.
Le dico solo alcuni documenti molto importanti che abbiamo lasciato al comitato di coordinamento. Per quanto riguarda l’agricoltura, abbiamo proposto di effettuare controlli sui trattori per evitare il rischio da ribaltamento che, come sapete, è uno dei problemi maggiori; le macchine agricole non sono a norma, non hanno i roll-bar né le cinture di sicurezza. Addirittura abbiamo fatto una ricognizione delle macchine attualmente in uso sul territorio e dalle fotografie scattate si capiva che bisognava bloccarle perché non andavano utilizzate. Al di là degli infortuni accaduti la settimana scorsa, lei sa che un agricoltore ha perso la vita per il ribaltamento del trattore. Questa proposta mi convinceva molto e ne avevo parlato all’assessore della precedente e dell’attuale giunta; abbiamo anche detto che potevamo fare noi questi controlli in quanto gli ispettori del lavoro sono ufficiali di polizia giudiziaria, tuttavia non voglio arrivare a un punto di rottura sulle competenze, che sono anche basate su un equilibrio.
Peraltro, all’indomani della riforma sanitaria le competenze sono passate completamente alle Regioni; noi abbiamo una competenza, concorrente e non esclusiva, limitatamente all’edilizia e in più svolgiamo qualche attività sui cantieri delle ferrovie, ma la nostra competenza è a latere rispetto a quella delle Regioni. Nonostante questo, sul totale delle aziende controllate nel 2011, particolare attenzione è stata dedicata al settore edile, su cui si è concentrato il 25 per cento delle verifiche, pari a quasi 2.500 aziende del comparto. Il rischio o gli illeciti che maggiormente abbiamo contestato sono sottovalutazione delle cadute dall’alto (31 per cento), mancata formazione e informazione, non corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (16 per cento), scarsa attenzione ai rischi connessi all’energia elettrica e alle attrezzature da lavoro (15 per cento).
Altra proposta che abbiamo fatto sempre all’ufficio operativo presso la Regione, che è la mano operativa del comitato di coordinamento, era legata ai cosiddetti ambienti confinati, cioè quelli legati a manutenzione e pulizia, dove l’anno scorso si sono verificati incidenti per intossicazione e asfissia. Nonostante qualche episodio in cui lo SPRESAL ha collaborato a livello territoriale, noi abbiamo fatto da soli 21 accertamenti, nella metà dei quali sono state riscontrate irregolarità non solo in materia di sicurezza, ma soprattutto di appalti. Le attività di manutenzione e pulizia degli ambienti confinati vengono appaltate e non erano appalti genuini.
Per le attività tecniche la Regione mette in campo 22 ispettori tecnici e vorrei porre l’accento sul fatto che agli interventi che svolgiamo nei cantieri edili partecipa un ispettore tecnico, un ingegnere, e un ispettore amministrativo; quindi il nostro controllo è completo, perché non solo verifichiamo il rispetto delle norme in materia di sicurezza, ma anche la regolarità della posizione lavorativa del lavoratore e si sa che dove non vengono rispettate le norme di sicurezza spesso si trovano lavoratori irregolari. A mio avviso, l’unico ente che fa controlli completi in cantiere è l’ispettorato del lavoro e non a caso avanzo questa proposta, recepita nel decreto legislativo n. 81 del 2008 (mi sembra all’articolo 13), per la quantificazione, con il contributo dei dati dell’INAIL, dei settori più a rischio. Lei sa che la norma ci dà competenza per quanto riguarda l’edilizia, ma non esclude la possibilità di evidenziare i settori più a rischio e, con decreto del Presidente del Consiglio, dietro proposta del Ministro del lavoro, sentita la Conferenza Stato-Regioni, questo accertamento può essere esteso dagli ispettori del lavoro anche ai settori considerati più a rischio. Prima ho fatto l’esempio dell’agricoltura (non so se il collega ha comunicato i dati sui rischi nel settore), quindi possiamo procedere a livello sperimentale e valutare se mettere in campo più forze nel settore, perché sono fermamente convinto che l’attività di accertamento ha una funzione prevenzionistica.
Credo che il collega abbia già detto che questa sfida non si vince solamente con l’attività di accertamento o di vigilanza. Manca la cultura; a livello di società civile dobbiamo considerare un disvalore il fatto che un imprenditore non rispetti le norme in materia di sicurezza. È vero che oggi rispettarle comporta un costo, che però è quantificato dalla legge. Il collega ha fatto riferimento all’episodio dell’esplosione delle polveri presso l’azienda Pettinatura italiana in provincia di Biella, dove io abito; si è trattato del primo caso verificatosi in Italia e nessuno di noi sapeva che le polveri contenute nelle balle di lana provenienti dalla Nuova Zelanda e dall’Australia condensate a un certo grado di concentrazione potevano essere esplosive. All’indomani di quel grosso infortunio, di nostra iniziativa e in comune accordo con lo SPRESAL, abbiamo organizzato una decina di corsi di formazione per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, è stato redatto un protocollo d’intesa che le posso far avere (risale a diversi anni fa, al decreto legislativo n. 626 del 1994) e abbiamo fortemente interessato le scuole, non limitando il contatto a un’informazione, ma rendendo gli studenti partecipi addirittura con rappresentazioni teatrali, dando loro i ruoli del datore di lavoro, del lavoratore e spiegando le norme. È stata un’esperienza abbastanza importante e non a caso allora avevo proposto che questi interventi di informazione e promozione potessero essere fatti anche con il riconoscimento della più alta carica dello Stato, del Presidente della Repubblica, addirittura premiando la scuola che rappresentava maggiormente le problematiche in materia infortunistica.
Dalla visione di alcuni supporti multimediali risulta evidente che i ragazzi sono estremamente partecipi al problema e condividono l’esigenza di rispettare il ruolo e la figura del lavoratore e soprattutto di tutelare il bene massimo proprio di ognuno di noi: la vita. Quindi in Piemonte di esperienze ne abbiamo fatte tante; ma ahimè – questo glielo confido qui come cittadino – a volte mi sembra che sia una battaglia contro i mulini a vento, nonostante ci si metta in campo e ci si proponga di agire. Per me scatta una sensibilità come individuo e come persona. Abbiamo fatto prima l’esempio della Pettinatura italiana: questo era un caso clamoroso, eppure mi sono messo in campo e devo dare atto al direttore dello SPRESAL di allora di aver portato avanti una bellissima iniziativa. Le parlavo addirittura di una rappresentazione teatrale dei ragazzi; noi abbiamo fatto la sceneggiatura e loro l’hanno interpretata.

PRESIDENTE
Gli strumenti didattici sono fondamentali.

CORRENTE
Io non mi illudo, signor Presidente, ma chiaramente le attività di accertamento sono insufficienti. Non è il caso che le dica qual è il numero delle aziende edili presenti sul territorio; ne abbiamo controllate 2.500, ma i dati della cassa edile parlano di 40.000 aziende. Quindi è una grossa illusione dire che controlleremo o che riusciremo a controllare l’universo delle aziende edili. Però il fatto che ci siano delle forze in campo a svolgere attività di accertamento ha una grossa componente prevenzionistica, al di là dell’attività di formazione e di informazione. La nostra attività di intervento va coordinata maggiormente con quella della Regione. Io ce la metto tutta; però, quando dall’altra parte le risposte non vengono... Le ho fatto l’esempio degli ambienti confinati.

PRESIDENTE
Si ripetono. E dobbiamo crederci.

CORRENTE
Io ci credo. Infatti non a caso le ho fatto l’esempio, che viene riportato nella relazione, degli ambienti confinati; sebbene non ci fossero state risposte, ne abbiamo controllati 21. L’abbiamo fatto per conto nostro, con le forze che abbiamo in campo sul territorio della Regione.

SPADAFORA
Signor Presidente, se permette, visto che si parla di vigilanza, vorrei sottolineare un dato. C’è comunque un fenomeno di irregolarità abbastanza diffuso, che i dati evidenziano in maniera addirittura eccezionale; questo è dovuto anche al fatto che si tratta di indagini mirate, frutto di un’attività di intelligence preliminare. Come INAIL in Piemonte, con 30 ispettori sul campo, abbiamo ispezionato 1.727 aziende, di cui 1.546 sono state trovate irregolari; siamo all’89,5 per cento. Questa è sicuramente la conseguenza di verifiche preliminari, legate anche ad uno scambio preliminare di dati, quindi andiamo quasi sul sicuro; però il 90 per cento di aziende irregolari è sicuramente un dato che ci fa preoccupare. Per quanto riguarda i lavoratori, noi abbiamo cambiato in qualche modo la tipologia degli accertamenti. Fino a qualche anno fa, l’INAIL si preoccupava soprattutto di svolgere accertamenti legati al fenomeno assicurativo; andavamo a verificare il rischio e andavamo a colpire le aziende classificate male, ai fini del recupero del rischio. Oggi abbiamo invece puntato l’attenzione soprattutto sul lavoro nero. In queste aziende abbiamo trovato 5.429 lavoratori irregolari e, di questi, oltre 600 completamente sconosciuti all’INAIL. In una realtà come il Piemonte, questo è comunque un dato che ci deve far preoccupare.

PRESIDENTE
Su quanti lavoratori? Questo è un dato importante.

SPADAFORA
Si tratta di 5.429 lavoratori irregolari su 1.727 aziende ispezionate.

PRESIDENTE
Mi scusi, dottor Spadafora. Questo dato è importante, ma diventa significativo quando c’è un raffronto con il numero di lavoratori regolari. Per noi è importante capire queste cose, perché il dato da solo non ci dà l’elemento di equilibrio e di rapporto.

NEROZZI
In questo caso, nelle aziende che avete ispezionato, servirebbe sapere quanti sono i lavoratori regolari e quanti i lavoratori parzialmente o completamente irregolari. Voi fate senz’altro un ottimo lavoro. Dal 2006 al 2009 c’è stata una riduzione degli incidenti; però, se si considerasse anche la cassa integrazione, si vedrebbe che nel 2010, nel 2011 e nel 2012 c’è stato un aumento. Questo è interessante, perché dal 2010 in poi c’è stata anche la crisi economica, che stiamo ancora attraversando; ciò significa che gli elementi di sicurezza sono stati messi in secondo piano. Per questo a noi interessa avere i dati completi. Capisco che l’ISTAT non li fornisce, però il Ministero del lavoro e delle politiche sociali comunica i dati relativi alla cassa integrazione; bisognerebbe quindi tentare un paragone di questo genere.
Vorrei chiedere inoltre all’INAIL se può farci avere lo studio sulle polveri, che in senso lato è interessantissimo. In forme diverse, avevamo colto anche noi, in un altra Regione, che proprio questo è un terreno nuovo e molto pericoloso. Ci interesserebbe anche sapere quando è stata fatta presente alla Regione la questione dell’agricoltura. È già da due anni che noi abbiamo indicato, in tre relazioni, quel fenomeno di cui si parlava, ottenendo qualche fondo e sperando di sbloccare i fondi INAIL. Quello agricolo è, in proporzione, il settore che ha più mortalità, anche più dell’edilizia. Ci interesserebbe sapere, per curiosità, l’anno in cui ciò è stato detto; noi l’abbiamo indicato in maniera pesante nella prima relazione e in maniera pesantissima nella seconda e nella terza, nella seconda individuando anche pochi euro per ottenere dei benefici dalla rottamazione e nella terza lavorando per sbloccare la questione INAIL con l’Europa, che è complicata, e per permettere il rinnovo del materiale. Lei quando l’aveva segnalato, dottor Corrente?

CORRENTE
L’abbiamo segnalato due anni fa.

BUGNANO
Vorrei porre due domande molto secche al direttore regionale del lavoro. Lei ha parlato, dottor Corrente, di 22 ispettori tecnici in Piemonte; vorrei sapere se questo numero è sufficiente per il lavoro che dovete svolgere o se siete sotto organico.
In secondo luogo, molto spesso noi parliamo, nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, di formazione dei datori di lavoro e dei lavoratori stessi. Lei ritiene che ci sia anche un problema di formazione e di aggiornamento nel vostro settore e che quindi ci sia la necessità di fornire anche a voi, allo SPRESAL e a tutti gli operatori che si occupano degli accertamenti una maggiore formazione e un maggiore aggiornamento?

CORRENTE
Per quanto riguarda l’organico, gli ispettori tecnici, cioè quelli abilitati a svolgere accertamenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (in particolare nell’edilizia), sono chiaramente sotto organico: ce ne sono solo 22. Nonostante questo, nel 2011 abbiamo controllato 2.500 aziende edili. Abbiamo addirittura degli uffici, come la DTL di Biella, che non hanno un ingegnere; quindi un ingegnere dal regionale si deve spostare per coprire questa vacanza di organico della direzione territoriale di Biella.
Sul versante della formazione-informazione non credo che ci sia una grossa carenza. L’ingegner Magri, qui presente, recentemente ha addirittura scritto un testo in materia di sicurezza, pubblicato e molto apprezzato. Quindi, anche per quanto riguarda gli aggiornamenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, non credo che ci sia una mancanza di formazione del nostro personale. Gli aggiornamenti vengono svolti e le direttive che emana la nostra direzione generale dell’attività ispettiva sono direttive per tecnici, di utilizzo abbastanza facile. Tra l’altro, visto che si è accennato alla TAV, vorrei dire che noi abbiamo istituito da anni, insieme alla Rhône-Alpes, un comitato sulle problematiche della sicurezza nelle gallerie. Abbiamo predisposto un documento, siglato da noi e dai responsabili della Rhône-Alpes. Nel momento in cui questi cantieri partiranno, abbiamo stabilito anche le modalità dell’intervento (è stato formalizzato un accordo bilaterale). Proprio la settimana scorsa, con l’ingegner Magri e con un altro ispettore mi sono recato presso quello che c’è del cantiere della TAV; per adesso c’è poca roba, in sostanza, perché stanno facendo i sondaggi. Noi abbiamo fatto un ragionamento molto semplice: considerando che si tratta di un cantiere «fortificato» (perché è tutto chiuso), eravamo convinti che le imprese che lavorano nel cantiere si sentissero al di sopra di ogni possibilità di accertamento. Invece abbiamo visto che non c’era niente, perché è ancora tutto fermo. Quindi, sotto l’aspetto della formazione e dell’aggiornamento direi che non c’è nessuna carenza, senatrice Bugnano; per quanto riguarda l’organico, invece, la carenza c’è. Noi però pensiamo che le più grosse problematiche in materia di sicurezza possano essere conosciute anche attraverso processi di riqualificazione del nostro personale amministrativo, per lo meno per quanto riguarda le cose più importanti. L’idea, in sostanza, è di creare, all’interno delle strutture regionali o provinciali, una struttura squisitamente tecnica, che esamini le grosse problematiche in materia di sicurezza che si verificano nei cantieri. Per quanto riguarda gli accertamenti operativi diretti, io ritengo che, con adeguati costi di riqualificazione, questi possano essere svolti anche da personale amministrativo, di cultura giuridica o giuslavoristica.

PRESIDENTE
In alcune realtà d’Italia lo stanno già facendo.

CORRENTE
Mi fa piacere saperlo, signor Presidente.

PRESIDENTE
Lei ci ha fornito il dato relativo agli ispettori tecnici.
Ci dia anche quello relativo agli amministrativi.

CORRENTE
In questo momento non dispongo del dato esatto. Comunque è un dato numerico che posso fornire senz’altro.

PRESIDENTE
Questo è un elemento che sta emergendo anche in altre Regioni e che noi in qualche modo stiamo attenzionando. Il rapporto tra gli ispettori tecnici e gli impiegati amministrativi è di uno a dieci. Mi sembra peraltro che ci sia la buona volontà e la disponibilità degli stessi interessati a seguire dei percorsi di riqualificazione. Il suo mi sembra pertanto un discorso molto interessante e credo anche molto in linea con le altre Regioni. Le do questa notizia, perché magari non ha l’opportunità di incontrare altri suoi colleghi facilmente.

SPADAFORA
Signor Presidente, vorrei aggiungere una questione che credo sia importante sul piano politico. Si è parlato prima di mettere in sicurezza i trattori agricoli e del rischio legato all’utilizzo di questi mezzi. Noi avevamo pensato ad un progetto, finanziato con le disponibilità che avevamo, per studiare un simulatore di guida, perché i trattori sono mezzi complicati, che però stranamente vengono dati in mano a persone non preparate.

PRESIDENTE
Abbiamo un confronto aperto con la Commissione europea per fare in modo che vengano esclusi dal limite comunitario del de minimis, previsto per gli aiuti di Stato, quei contributi per la sicurezza sul lavoro che voi dell’INAIL date e che alcune aziende agricole non stanno prendendo perché fanno cumulo con i contributi pubblici concessi per altre finalità; in secondo luogo, voi avete inglobato l’ISPESL, che ha studi specifici sul tema in oggetto della sicurezza delle macchine agricole, nonché progetti, anche poco costosi, per l’adeguamento delle macchine stesse per fare in modo che i maggiori rischi vengano contenuti. Sappiamo bene quello che si sta facendo; non c’è nulla da inventare. Bisogna continuare a farlo e la politica – faccio un’autocritica – deve decidere cosa fare in riferimento alle regole che presiedono la gestione dei mezzi e delle macchine agricole. Questo è il punto centrale, che non compete a voi ma a noi.

SPADAFORA
È questo che volevo sottolineare.

PRESIDENTE
Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del comandante della legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta e del direttore regionale dei Vigili del fuoco

Intervengono il comandante della legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, generale di brigata Pasquale Lavacca, accompagnato dal responsabile del nucleo Carabinieri presso l’ispettorato del lavoro di Torino, maresciallo aiutante Marco Comazzi, e il direttore regionale dei Vigili del fuoco, ingegner Davide Meta.

PRESIDENTE
Do il benvenuto al comandante della legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, generale di brigata Pasquale Lavacca, accompagnato dal comandante del nucleo Carabinieri presso l’ispettorato del lavoro di Torino, maresciallo aiutante Marco Comazzi, e al direttore regionale dei Vigili del fuoco, ingegner Davide Meta.
L’attività di questa Commissione parlamentare di inchiesta mira a studiare e ad approfondire il fenomeno delicato e grave relativo alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Siamo oggi a Torino nell’ambito di un’inchiesta generale che sta coinvolgendo tutte le Regioni d’Italia, benché in coincidenza con i gravi fatti verificatisi, che comunque catturano completamente la nostra attenzione. Fornisco questo elemento perché, pur essendo il nostro obiettivo quello di avere un quadro più ampio sulla situazione relativa al tema al quale ho fatto riferimento, qualora ci fossero elementi a vostra conoscenza riguardanti gli ultimi due incidenti accaduti, vi saremmo grati se li comunicaste.

LAVACCA
Buongiorno a tutti, sono il comandante della legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta. Esordisco dicendo che ho il coordinamento dei controlli che vengono fatti sul territorio delle due Regioni, che più specificamente è affidato ai comandanti provinciali, in accordo con le direzioni territoriali del lavoro. Si tratta di un’attività specifica sul territorio, in costante sinergia con i nostri organismi dei reparti speciali, che sono i nuclei ispettorati del lavoro, collegati alla direzione territoriale. Ciò non toglie che, come legione, abbiamo la cognizione di quanto avviene sul territorio, ma soprattutto l’onere, e a volte anche il dovere, di sollecitare tali controlli perché, avendo i comandi provinciali le compagnie e 343 stazioni, per noi rappresentano il primo sensore, quello più ravvicinato alle realtà territoriali e alle comunità, costituendo pertanto un campanello d’allarme. Sono coloro che prendono informazioni e quindi attivano sul circuito i reparti speciali, soprattutto i controlli affidati ad altre istituzioni, come le Regioni e le ASL. Per la capillarità del territorio, spesso il primo intervento nei casi di infortuni, o anche nel caso di segnalazioni rispetto a varie anomalie, viene fatto dalle stazioni dei Carabinieri, che attivano questo circuito.
Normalmente, le attività sul territorio, attraverso le pattuglie ma anche i servizi coordinati (quando impieghiamo tutta la forza dedicata al controllo del territorio) riguardano settori particolari, dall’edilizia al lavoro nelle campagne, al lavoro nero. A questo proposito, ci ha rafforzato nell’attività ispettiva la norma che attribuisce il potere di diffida a qualunque ufficiale di polizia giudiziaria si trovi nelle condizioni di operare in termini di controllo sulla sicurezza e in termini di formazione, per quanto riusciamo a fare in collaborazione con le direzioni territoriali. Infatti, abbiamo avviato un’attività di formazione, un aggiornamento più specifico su taluni aspetti concernenti le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Al livello regionale, anche per non interrompere questa osmosi costante tra le direzioni territoriali del lavoro e i comandi provinciali, in sinergia con gli ispettori del lavoro del NIL di Torino – parlo del Piemonte ma la situazione è identica per la Valle d’Aosta – tutte le volte ci chiediamo se l’infortunio capitato è veramente dipendente da problematiche legate alla sicurezza sul lavoro o se ci sono altre situazioni. Qualche giorno fa, un extracomunitario del Marocco è stato schiacciato da una macchina all’interno di una ditta di autodemolizioni. Ebbene, proprio ieri abbiamo avuto cognizione che probabilmente non si è trattato di un infortunio sul lavoro ma di altro, per cui stiamo procedendo ad un’attività di verifica puntuale delle situazioni e dei movimenti. Sembrerebbe che non si tratti di un mero sgancio del ragno, ma probabilmente di un episodio avvenuto ad hoc.
Per quanto concerne gli ultimi fatti, non procediamo noi ma anche in quel caso cerchiamo di appurare le cause che hanno condotto all’infortunio. Mi riferisco soprattutto all’infortunio occorso al Gerbido; mi trovavo casualmente con il ministro Fornero e con il prefetto, e non appena abbiamo avuto notizia dell’accaduto, abbiamo cercato di capire se si trattava di un problema di sicurezza o meno. D’altra parte, in quello stesso cantiere, a distanza di pochi giorni, si è verificato un doppio infortunio, e probabilmente sia i Vigili del fuoco sia soprattutto la ASL riscontreranno – o hanno già riscontrato – nel primo caso o anche nel secondo qualche problema.

PRESIDENTE
Quali problemi hanno trovato? Lei non può accennare e poi non dire.

LAVACCA
Mi pare che nel primo caso si trattasse di un difetto di imbracatura.

PRESIDENTE
Allora stiamo parlando di infortunio sul lavoro?

LAVACCA
Dai dati che abbiamo risulta questo.

PRESIDENTE
Vorrei capire se le sue perplessità sono legate al fatto che comunque lei ritiene si tratti di infortunio sul lavoro oppure se anche in questo caso può esistere qualche altro problema sottostante.

LAVACCA
I primi accertamenti portano inevitabilmente verso l’infortunio sul lavoro. Ci poniamo sempre il problema, qualche volta con ragione, come nel caso del marocchino, nel qual caso procediamo noi. Se lo ritiene opportuno, Presidente, le lascio copia dei dati relativi ai servizi effettuati e alla situazione degli infortuni.

COMAZZI
Sono il maresciallo aiutante Marco Comazzi, responsabile territoriale del NIL.

PRESIDENTE
Quante unità sono disponibili nei nuclei?

COMAZZI
In totale, tra Piemonte e Valle d’Aosta, siamo 32 Carabinieri sulla carta, ma effettivamente operiamo in 25. Il problema nostro è che non effettuiamo quasi mai vigilanza tecnica, ovvero controlli sugli infortuni sul lavoro o prevenzione di tali infortuni. Nel caso della Edil Due del Gerbido e nel caso di Lafumet abbiamo verificato se i lavoratori infortunati in questione fossero in regola; in questi due casi sono risultati regolarmente assunti.
Come ho scritto nella relazione che ho preparato, e che lascerò agli atti, facciamo poca vigilanza tecnica sulla sicurezza nei luoghi di lavoro perché non siamo formati a tal fine, tanto è vero che nel 2011 abbiamo fatto solo 83 ispezioni per la sicurezza, legata alla mancanza di DPI, cosiddetti dispositivi di protezione individuale, ma non verifiche rispetto alla struttura di un ponteggio, per esempio, se fosse o meno compatibile con il peso da sopportare.

PRESIDENTE
Dato che questo argomento è stato affrontato anche da altri vostri colleghi, mi è sembrato di capire che l’Arma voglia andare verso una qualificazione nei vostri confronti. È così?

COMAZZI
Sì. Come ho scritto nella relazione, alcuni nuclei, tramite i comitati paritetici territoriali, hanno svolto corsi di formazione, anche se di livello abbastanza elementare, per poter svolgere meglio le attività legate alla sicurezza nei cantieri.

PRESIDENTE
Quindi, c’è questa volontà?

COMAZZI
Sì.

LAVACCA
Presidente, vorrei aggiungere che per fare quel tipo di accertamento e di verifica occorre un background culturale e professionale che solo un ingegnere sostanzialmente può avere. Laddove abbiamo queste professionalità all’interno dei nuclei ispettorati del lavoro, cerchiamo di portarle avanti in termini di intervento.
Il discorso è complesso, e lei sa bene che comunque l’Arma dei Carabinieri è proiettata a riqualificare o qualificare ancora meglio e a professionalizzare gli ispettori del lavoro; è chiaro però che a monte ci vuole una professionalità acquisita, altrimenti si rischia qualche problema. I vigili fuoco sono molto più competenti ad entrare nel dettaglio della sicurezza o comunque della capacità dell’infrastruttura collegata al cantiere, soprattutto ai cantieri edili.

PRESIDENTE
Dato che si sta ponendo questo argomento, considerata anche una migliore e maggiore strutturazione che vi siete dati in tutta Italia e al di là del titolo accademico di riferimento, vi è anche l’esigenza di conoscere maggiormente questa tematica. A questo facevo riferimento, perché in effetti sono forze che possono aggiungersi e dare un supporto a 360 gradi, perché essendo Carabinieri hanno una competenza più ampia che potrebbe veramente fornire un sostegno maggiore; gli ispettori, infatti, sono in numero contenuto e quindi non si tratterebbe di una sostituzione, ma di un supporto.

COMAZZI
Consideri che a Torino, presso la direzione territoriale del lavoro, sono soltanto tre gli ispettori che fanno vigilanza tecnica.

PRESIDENTE
Sono 21 in tutta la Regione. Vorrei sapere se anche da voi c’è questa tendenza.

COMAZZI
Sì.

META
Signor Presidente, anche i Vigili del fuoco hanno un’organizzazione su base provinciale ed infatti il controllo sulle attività del territorio sostanzialmente è svolto dai comandi provinciali; presso la direzione regionale è invece presente un settore che si occupa della prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti: faccio riferimento alla direttiva Seveso, tanto per esplicitare i compiti dei Vigili del fuoco. Per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro siamo anche organo di vigilanza, quindi in questa attività i comandi sono indirizzati dalla direzione regionale. Ai controlli obbligatori per legge sugli insediamenti civili, commerciali, industriali, produttivi e artigianali noi aggiungiamo un’attività di vigilanza che negli anni è stata prevalentemente e massicciamente rivolta alla progettazione, al cosiddetto parere preventivo, nonché i controlli per il rilascio del certificato di prevenzione incendi; inoltre, da alcuni anni effettuiamo verifiche aggiuntive con l’obiettivo di attuare le aspettative della legislazione sulla sicurezza sul lavoro e quindi ulteriori controlli.
Tanto per dare qualche ordine di grandezza, in media negli ultimi dieci anni, in Piemonte sono stati esaminati circa 20.000 progetti di attività industriali, civili, artigianali e commerciali l’anno e sono state effettuate alcune migliaia di sopralluoghi. Gli otto comandi provinciali del Piemonte hanno posto in essere circa 4.500 attività, cui vanno aggiunte, come obiettivo specifico della sicurezza sul lavoro e quindi fuori sacco, in media 500 verifiche aggiuntive l’anno, allo scopo di rendere il controllo non prevedibile; le altre verifiche, infatti, sono prevedibili perché avvengono in fase di attuazione di una procedura per la quale ci sono domande e tempi per i controlli. Aggiungendo le attività autonome di polizia giudiziaria (i comandi, infatti, si muovono anche autonomamente a seguito di esposti e su iniziativa del comandante) in Piemonte arriviamo a una media di circa 600 controlli l’anno, che si sommano a quelli obbligatori previsti dalle procedure di prevenzione incendi.
Questo dato statistico vale per il Piemonte e non penso possa essere considerato come media nazionale, perché l’Italia è molto variegata; tuttavia, il 10 per cento di questi controlli ha evidenziato situazioni che potrebbero provocare infortuni gravi, quindi abbiamo provato a capire. Se questo dato può essere confermato, potremmo provare a fornire un elemento di riflessione alla Commissione dicendo che in qualche modo l’azione aggiuntiva che espletiamo sul territorio si traduce in infortuni mancati: cioè, se il dieci per cento di questi controlli evidenzia situazioni gravi dal nostro punto di vista, per le quali bisogna intervenire (come facciamo in modo massiccio), si può ritenere che laddove siamo riusciti a intervenire, forse abbiamo evitato l’infortunio grave. Pertanto, anche per lo stimolo generato da questa audizione, ci siamo interrogati sul nostro contributo: come Corpo nazionale siamo in grado di fare una valutazione, di certo molto sommaria, ma che comincia a dare dei numeri? Quanto può valere quest’opera aggiuntiva, questo impegno straordinario del Vigili del fuoco nei controlli? A nostro avviso, nel caso del Piemonte abbiamo raggiunto un valore orientativo di quattro o cinque mancati infortuni gravi al mese, quindi circa 60 infortuni all’anno; a livello nazionale si arriverebbe quindi a quel migliaio che – grosso modo – da anni pensiamo sia una valutazione attendibile e che per combinazione è il numero di infortuni gravi e di morti che si verificano. Pertanto, secondo questi dati, l’attività che svolgiamo con le forze di cui oggi disponiamo dà un risultato paragonabile al numero degli infortuni che ancora ci sono; se non ci fossimo ci aspetteremmo il raddoppio degli infortuni. È pur vero che gli incidenti continuano a esserci, quindi vorremmo fare di più.
Dall’anno scorso abbiamo modificato il regolamento e abbiamo fatto una scelta dettata dalla grave penuria di risorse finanziarie e umane; quindi, a parità di personale e senza poter contare su stanziamenti ulteriori, abbiamo deciso di spostare tutti i nostri controlli (che numericamente non potranno aumentare) dall’attività preventiva sui progetti prevalentemente riferiti all’attività civile, commerciale e normata, alle realtà più rischiose, delegando di fatto il professionista privato (questo abbiamo fatto con l’ultimo decreto del Presidente della Repubblica) ad effettuare i controlli nelle numerosissime attività normate, dove abbiamo riscontrato che gli infortuni sono diminuiti moltissimo e sono diventati quasi rari. Abbiamo deciso di spostare la nostra attenzione anche alle piccole o medie realtà produttive che, come quella di Villastellone, presentano un rischio medio-alto (perché vi si mettono in ciclo sostanze pericolose dal punto di vista chimico, per la loro esplosività, per l’inquinamento) e che non sono coperte da una regola tecnica specifica, diversamente da autorimesse, teatri, alberghi e scuole, che sono coperti da regole tecniche ormai consolidate e presso i quali quindi si è creata una cultura diffusa di prevenzione incendi. Dal 2012 i circa 400-500 controlli che dovrò distribuire ai comandi provinciali saranno prioritariamente indirizzati all’agricoltura, che è sempre stata tralasciata (penso ad esempio a depositi, silos e realtà considerate ai margini delle attività produttiva), o a contribuire all’opera del comitato regionale di coordinamento delle politiche della sicurezza sul lavoro per effettuare controlli presso attività che nel registro di altri enti possano risultare non completamente regolari. Ci siamo quindi dati l’obiettivo di insistere sulle realtà produttive e di dare la nostra disponibilità; io l’ho fatto e nelle prossime riunioni del comitato regionale di coordinamento vedremo quali decisioni prenderemo per supportare anche l’azione di altri enti, qualora i dati – che noi abbiamo solo in modo parziale – sulla irregolarità di talune attività dovessero rendere utile un nostro impegno in tal senso.
Vorrei dare ancora due informazioni sugli incidenti che sono accaduti, anche se nel primo caso dello stabilimento di Villastellone, dove è avvenuta l’esplosione, le indagini e la perizia dei nostri tecnici sono ancora in corso. Si è trattato di un’esplosione, quindi i vapori infiammabili prodotti dallo scarto, dalla pulitura e dal reimpiego di contenitori hanno trovato un facile innesco; ciò non doveva accadere perché, essendo un tipo di lavorazione che dà per scontata la creazione di inneschi, la parte del deposito o dei vapori dovrebbe prevedere una formazione in un luogo diverso da quello dove possono esserci gli inneschi e le scintille. Non è stato così perché l’esplosione si è verificata, quindi adesso dobbiamo verificare se, come è probabile, con il tempo, a causa di una manutenzione e di un controllo non continuo, quindi con una gestione della sicurezza quotidiana non particolarmente attenta, la situazione non sia più stata sotto controllo e sia diventata a rischio grave anche per un impianto nato a regola d’arte. Sembrerebbe poi che un errore umano sia alla base dell’infortunio avvenuto sul cantiere. Sembrerebbe cioè che, per un errore di manovra di una gru, un carico movente ha urtato il ponteggio in costruzione su cui c’era una persona. Sto parlando dell’infortunio avvenuto sabato mattina, che sembrerebbe essere stato causato da un errore di manovra in cui una persona è stata coinvolta nel crollo parziale del ponteggio. Per quanto riguarda l’altro caso dobbiamo capire la causa dell’esplosione.

PRESIDENTE
Ci sono stati due morti all’inizio e alla fine di marzo, a seguito di due incidenti nel cantiere dell’inceneritore, e vorrei sapere se lei è nelle condizioni di dirci se sono stati ambedue errori di manovra.

META
Non sono in grado di dare informazioni sull’incidente avvenuto all’inizio di marzo.

PRESIDENTE
Se non ci sono altre notizie, vi ringraziamo per la collaborazione, vi auguriamo buon lavoro e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono in rappresentanza della segreteria generale regionale della CGIL Piemonte, la signora Laura Seidita, accompagnata dalla responsabile del dipartimento salute e sicurezza CGIL, signora Graziella Silipo, il segretario generale regionale della CISL Piemonte, signor Marcello Maggio, il segretario provinciale della CISL di Torino, signor Franco Milanesio, accompagnati dal funzionario CISL, signor Mario De Lellis, il funzionario della UIL Piemonte, signora Patrizia Vario, l’esperto sicurezza UIL Piemonte, signor Ezio Benetello, il segretario generale regionale della UGL, signor Armando Murella.

PRESIDENTE
Buongiorno a tutti e grazie di essere venuti. Questa Commissione è qui per comprendere come si è strutturata ed organizzata, dopo il decreto legislativo n. 81 del 2008, l’attività di coordinamento che è in capo alla Regione; di tale coordinamento voi sicuramente fate parte. Vorremmo cercare di comprendere anche noi, come Commissione e in senso più generale come Parlamento, se ci sono gli opportuni raccordi tra istituzioni territoriali ed istituzioni centrali, che riteniamo necessari in questo settore; se mancano o possono essere migliorati, vorremmo capire come migliorarli. Quindi non siamo qui per i gravi fatti che si sono determinati in questi ultimi giorni (il mese di marzo è stato un mese particolarmente funesto), sebbene anche su questo desideriamo ricevere notizie. L’audizione tuttavia era stata programmata già prima e non nasce a ridosso dei tragici eventi che si sono determinati; essa va inserita nell’ambito di un ciclo di missioni che stiamo svolgendo in tutte le Regioni d’Italia, proprio per avere un incontro con le istituzioni e per ottenere un quadro di relazione e di rapporto con il territorio. Altrimenti, si rischia di vedere sempre queste realtà come lontane e mai dialoganti; forse questa è proprio un’occasione di avvicinamento.

SEIDITA
Signor Presidente, sono Laura Seidita, in rappresentanza della CGIL Piemonte. Noi abbiamo alcune considerazioni importanti da fare. La prima è che nel 2008, con la Regione Piemonte, CGIL, CISL e UIL hanno stipulato un protocollo d’intesa sulla questione della sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta di un accordo estremamente significativo ed importante (che lasceremo agli atti della Commissione), nel quale sostanzialmente si ponevano tre questioni fondamentali: la costituzione del coordinamento regionale, come prevede l’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, una serie di assunzioni, in modo particolare di ispettori, e una serie di progetti finalizzati alla prevenzione e alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Gli argomenti che avevamo reputato prioritari in quel contesto erano la sicurezza nei luoghi di lavoro per le donne e per gli immigrati e la formazione permanente degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza). Questo accordo per noi è stato particolarmente importante, perché in Piemonte, come in diverse altre Regioni, la questione della sicurezza è sempre stata un punto di riferimento forte dell’assessorato regionale. La formazione e la riqualificazione hanno rappresentato un punto fondamentale anche nei rapporti con l’INAIL. In Piemonte il rapporto con l’istituto INAIL è sempre stato un rapporto corretto e coerente rispetto ai dettami legislativi; c’è stata una collaborazione forte rispetto alla realizzazione dei progetti da noi presentati, a volte come CGIL, CISL e UIL e a volte insieme anche alla Confindustria e ad altri soggetti. L’ultimo progetto approvato (siamo già alla sua conclusione) è estremamente interessante, perché ci ha permesso di verificare lo stato del lavoro delle donne rispetto ai servizi destinati alla persona e i rischi che incontrano le donne nell’espletare alcune funzioni. Questo progetto è stato finanziato dall’INAIL regionale; si è trattato di un’indagine conoscitiva di estremo interesse, che si è conclusa e che presenteremo prossimamente.
Oggi siamo fortemente preoccupati, perché negli ultimi due anni, da quando si è insediata la nuova Giunta, tutta la problematica inerente alla prevenzione e alla sicurezza nei luoghi lavoro non è stata più tenuta in considerazione e non è stata neanche finanziata. Si è arrestato il processo delle assunzioni e dell’espletamento dei concorsi, in modo particolare per quanto riguarda le 100 assunzioni che avevamo previsto. Ancor più drammatico è il fatto che il comitato di coordinamento regionale, che dovrebbe essere convocato almeno tre volte l’anno, da quando c’è questa Giunta viene considerato un problema non prioritario, tant’è vero che nell’ultima lettera che abbiamo fatto, come CGIL, CISL e UIL, abbiamo richiesto un incontro per la convocazione del comitato; ma ad oggi non ci è arrivata risposta.

MARAVENTANO
Negli anni precedenti, quando c’era l’altra Giunta, tutti gli anni si presentava la relazione al Ministero? Lei ci può fornire questi dati?

SEIDITA
Non so se veniva presentata una relazione al Ministero, ma so che il comitato di coordinamento veniva riunito.

MARAVENTANO
Ci sono dei verbali? Ce li può fornire?

SEIDITA
Certo, i verbali sono in possesso della Regione e possiamo farveli pervenire.

FOSSON
Con che frequenza veniva convocato?

SEIDITA
Veniva rispettata la legge, quindi come minimo tre volte l’anno, ma anche di più, perché venivamo convocati trimestralmente. Da quando c’è questa Giunta, siamo stati convocati una o due volte, una volta con l’assessore precedente e una volta con l’assessore attuale, che infatti abbiamo visto una sola volta. Reputiamo la situazione attuale estremamente grave; non voglio riprendere l’ordine del giorno di cui parlano tutti gli organi di stampa, ma otto morti negli ultimi mesi a Torino è un problema che desta forte preoccupazione. Tuttavia sono stata richiamata a non intervenire sui casi avvenuti sabato.

PRESIDENTE
Lei può intervenire senz’altro su questi temi. Io ho solo chiarito che la Commissione non è qui per questo motivo, anche perché la missione era stata organizzata prima. Tuttavia, se ci fornite degli elementi, noi ve ne siamo grati.

SEIDITA
Anche su questo punto siamo fortemente preoccupati, perché non c’è una pianificazione e non c’è un intervento strutturato rispetto ai controlli nei vari cantieri. Noi siamo a conoscenza del fatto che nel 2010 è stato stipulato un protocollo d’intesa tra i soggetti istituzionali; però questa intesa non viene sostanzialmente applicata, perché i controlli non vengono svolti in modo adeguato. Lo stesso SPRESAL ha carenza di personale per svolgere i controlli. Avevamo fatto un accordo per l’assunzione di 100 operatori in tutto il Piemonte, ma allo SPRESAL non vengono assunti, per cui chi è chiamato ad effettuare i controlli ha poco tempo e riesce a fare quello che può. Noi siamo fortemente preoccupati. La nostra segnalazione e denuncia è che noi siamo fortemente preoccupati di quello che sta avvenendo in Piemonte.

MAGGIO
Signor Presidente, sono Marcello Maggio, segretario della CISL Piemonte. Vorrei fare una sottolineatura su quanto diceva poc’anzi la mia collega Seidita, che forse vale la pena riprendere. Quest’anno, con grande insistenza da parte nostra, la Regione ha confermato in bilancio la stessa cifra dello scorso anno, quando invece, già nel protocollo d’intesa che è stato ricordato prima, si prevedeva comunque un incremento fino a raggiungere il 5 per cento del bilancio regionale, in particolare per la prevenzione nei luoghi di lavoro. Invece, a causa delle ristrettezze e della situazione della sanità piemontese, che rispecchia quella di tutta Italia, c’è stato un restringimento delle risorse e con grande fatica sono state confermate le risorse dello scorso anno. Questa è una cosa preoccupante, perché, se non si fanno dei passi in avanti, anche dal punto di vista economico, è difficile che si possano realizzare degli investimenti concreti.
In secondo luogo, il dipartimento regionale di prevenzione in Piemonte (non conosco la situazione delle altre Regioni) si occupa anche di altri tipi di prevenzione. Esso infatti non si occupa solo di prevenzione sui luoghi di lavoro, ma anche di prevenzione agroalimentare, di zooprofilassi, eccetera. Come si sa, il Piemonte è una Regione ancora fortemente agricola, nonostante vi sia stato un forte ridimensionamento, ed ha un grande patrimonio zootecnico; c’è quindi una grandissima attenzione sulla prevenzione per quanto riguarda la zooprofilassi. Ciò ovviamente ben venga, non diciamo certo che si tratta di un aspetto negativo; però, facendo un tutt’uno con il titolo «prevenzione», ciò va un po’ a discapito della prevenzione nei luoghi di lavoro. Questa è una sottolineatura che forse valeva la pena fare.
Vorrei segnalare altre due questioni. Rispetto agli incidenti, anche quelli più recenti (le indagini sono in corso, quindi sarebbe prematuro e scorretto arrivare a delle conclusioni), c’è un dato generale che secondo me andrebbe ripreso, attinente al tema degli appalti. La problematica degli appalti non riguarda solo gli appalti nell’edilizia, ma anche quelli negli altri settori produttivi (nell’agricoltura e nel manifatturiero molti lavori si svolgono ormai in appalto); noi abbiamo l’impressione che l’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008 sia un po’ sottovalutato, sia dalle imprese che dagli organi competenti che dovrebbero vigilare su questo punto. Credo pertanto che la tematica degli appalti, su cui noi ovviamente riprenderemo e concentreremo la nostra iniziativa sindacale, dovrebbe essere messa al centro da parte di chi ha la titolarità e il dovere di vigilare ed attenzionare questa problematica.
La terza questione riguarda il discorso della prevenzione intesa come formazione. Noi crediamo ovviamente che si debba fare prevenzione potenziando gli organismi ispettivi. La mia collega ricordava come la Regione non abbia ottemperato all’accordo che prevedeva l’assunzione di 100 nuovi ispettori in Regione; anzi, poiché nel frattempo qualcuno è andato in pensione, gli ispettori sono addirittura diminuiti rispetto all’organico di tre anni fa (queste sono le notizie che abbiamo). Ma si fa prevenzione anche e soprattutto attraverso il concetto molto usato, e forse anche un po’ abusato, della cultura della sicurezza. È il discorso della formazione dei lavoratori, degli addetti, dei preposti e delle figure aziendali. Su questo punto, come sapete, oltre a quello che prevede la legge, c’è anche un importante accordo Stato-Regioni di dicembre dello scorso anno che ha al centro, oltre a molte altre questioni, anche l’aspetto della formazione, in particolare dei lavoratori. Noi stiamo cercando di razionalizzare le tante risorse che possono essere messe in campo in questa direzione; si citavano le risorse dell’INAIL, ma ci sono anche le risorse della Regione (di recente è stata emanata una direttiva regionale), le risorse statali e i fondi interprofessionali. Si tratta probabilmente di cercare di coordinare queste varie tipologie di intervento, che a volte non dialogano fra di loro. A volte si corre il rischio di un accavallamento su alcune questioni, mentre se ne trascurano altre che dovrebbero essere prese in maggiore considerazione.
Quindi, da un lato vorremmo cercare, nel limite del nostro intervento, di razionalizzare queste risorse, che hanno natura diversa e provengono da fonti diverse; dall’altro, partendo dal presupposto che soprattutto in alcuni settori crediamo opportuno che la questione relativa alla prevenzione e alla formazione si affronti con la bilateralità – e l’accordo Stato-Regioni prevede in modo esplicito che la formazione debba essere svolta in collaborazione con gli organismi paritetici – vogliamo rilanciare tali organismi, e in alcuni casi costituirli; proprio in questi giorni avremo incontri con alcune associazioni datoriali. D’altra parte, alcuni di questi organismi paritetici funzionano molto bene (penso a quelli dell’artigianato, per esempio) mentre in altri settori, quali quello industriale ma anche agricolo, mancano completamente, o sono poco più che sulla carta. Vorremmo quindi rilanciare questi organismi e costituirli dove non ci sono, perché riteniamo che siano lo strumento che ci consente, anche bilateralmente, di intervenire attraverso la formazione ai fini della prevenzione. Crediamo infatti che questo sia un tassello fondamentale che andrebbe anche maggiormente potenziato.

MURELLA
Buongiorno a tutti, sono il segretario generale regionale dell’UGL Piemonte.
Anzitutto condivido quanto è stato detto finora. Anche noi abbiamo siglato un protocollo di intesa con la Regione Piemonte, nel quale abbiamo evidenziato tutte le problematiche legate alla questione delle assunzioni degli ispettori che, ahimè, anziché aumentare sono diminuiti, considerate le problematiche legate alle pensioni (chi era nelle condizioni di andare in pensione lo ha fatto). Il problema pertanto è abbastanza reale.
Nell’analizzare lo stato dell’arte, vorrei avanzare una proposta, prendendo come esempio la situazione del Trentino, dove lo SPRESAL è in carico all’assessorato al lavoro, a quanto pare, con buoni risultati. Anche noi abbiamo chiesto più volte incontri all’assessorato ma, purtroppo, date le varie vicissitudini, ancora oggi stiamo aspettando di essere ascoltati su questa problematica specifica.
Sono consapevole della delicata situazione finanziaria, che non ha consentito alla Regione di investire maggiori risorse rispetto allo scorso anno, così come ci era stato prospettato. Ad ogni modo, è necessario ricostruire questo Paese partendo dalla cultura della sicurezza, più specificamente dalle scuole, per spiegare ai giovani e alla società tutta che la sicurezza è fondamentale e, come tale, non può essere trascurata. Non possiamo aspettare che ci siano vittime per muoverci; basti pensare solo ai morti della ThyssenKrupp, del Molino Cordero di Fossano, all’ultimo incidente alla Lafumet di Villastellone. Il sindacato da sempre porta avanti la sua denuncia.
Un nostro rappresentante sindacale aveva denunciato tutto quanto si verificava alla Lafumet; avevamo richiesto un incontro alla presenza dell’ispettore della ASL. Ebbene, sapete cosa è successo? Il ragazzo è stato licenziato per questioni economiche. Si parla tanto di articolo 18; questo è il risultato: quando in questo Paese si denunciano certe situazioni il problema viene annientato in questo modo. Allora, vogliamo metterci in testa che la sicurezza è un problema davvero importante? Non si può partire da casa con la paura di non ritornare. È necessario rivedere tutto il sistema di sicurezza, e per farlo bisogna trovare le risorse; la prevenzione deve entrare nella cultura dei lavoratori e soprattutto di quegli imprenditori coinvolti in un sistema degli appalti che vede il lavoratore come anello più debole e, nel momento in cui questi denuncia talune situazioni, di fatto si trova senza lavoro.
La nostra denuncia è effettivamente abbastanza allarmante; se è vero che i dati dimostrano che gli infortuni sul lavoro sono diminuiti, è altrettanto vero che sono aumentati gli incidenti mortali, soprattutto nei settori agricolo, edile e dei trasporti, ragion per cui bisogna accendere i riflettori e sensibilizzare fortemente sul tema in oggetto. Il Parlamento deve prendere di petto questa situazione. Non è possibile limitarsi alle sanzioni; vengono fatte ispezioni sempre e solo alle stesse imprese, che magari sono pure in regola, e per le altre si fa finta che tutto funzioni. Iniziamo ad adottare un sistema repressivo e non la semplice multa, che ad un’azienda grossa non arreca alcun danno; prevediamo di interrompere l’attività per un anno, ad esempio; a quel punto voglio proprio vedere cosa accade. Cerchiamo di imparare qualcosa dagli inglesi, che su questa materia sono un tantino più avanti. A tal proposito chiedo una dimostrazione di sensibilità da parte delle istituzioni sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro. Abbiamo anche denunciato una situazione allarmante per quanto concerne lo stress lavoro-correlato, soprattutto per le donne.
Relativamente all’incidente della Lafumet, si è parlato di fatalità. Ma quale fatalità? Sono fatti noti, non fatalità. Ad ogni modo, ribadisco l’eventualità di spostare lo SPRESAL dall’assessorato alla sanità a quello al lavoro.

BENETELLO
Signor Presidente, a mio avviso il problema principale sta in un’applicazione effettiva del decreto legislativo n. 81 nella sua interezza, dal momento che già quel testo contiene previsioni molto importanti, che in effetti sono soltanto in fase di attuazione. Voglio fare un esempio, tanto per incominciare: la formazione obbligatoria dei lavoratori è in scadenza. Come voi sapete, sono nati immediatamente organismi paritetici, chiamiamoli impropri, che vendono formazione non corretta, che non hanno alcun tipo di relazione con i veri organismi paritetici. Da qui la necessità di chiarire bene quali sono gli organismi paritetici con cui le aziende devono collaborare.
Ci sono poi problemi legati all’utilizzo delle tecnologie più innovative, comunque previste dal decreto legislativo n. 81, sicure fin dalla fase di progettazione; nel settore degli appalti non si possono fare sconti sulla sicurezza. Sappiamo tutti – è inutile nasconderselo – che la situazione economica non è affatto facile; la crisi che stiamo vivendo è di grandi dimensioni ed è abbastanza evidente quanto questo si ripercuota anche sul tema della sicurezza. Che cosa si può fare?
Cerchiamo nel nostro piccolo – già i colleghi si sono espressi al riguardo – di fare tutto quanto è nelle nostre possibilità; soprattutto chiediamo l’applicazione delle norme esistenti, anche perché è chiaro che prima di poter dire che qualcosa non funziona bisogna applicare ciò che già esiste, che in effetti già sarebbe molto.
Rispetto all’utilizzo di tecnologie più innovative, in Piemonte abbiamo fatto qualche tentativo di utilizzo di tali tecnologie per quanto concerne la tracciabilità delle persone e i sistemi di sicurezza, con risultati anche abbastanza apprezzabili, ma soprattutto, per le ricerche che sono state fatte precedentemente, con riferimento all’ambiente industriale e non al comparto cantieristico. Attualmente c’è una ricerca in corso, finanziata dalla Regione Piemonte, che coinvolge proprio il cantiere TRM (Trattamento rifiuti metropolitani) del termovalorizzatore. In virtù di questa sperimentazione in atto, ho partecipato ad una riunione di coordinamento, coordinata dal soggetto appaltatore del TRM, che a me è sembrato, almeno dal punto di vista formale, ineccepibile. Eppure, come vedete, gli incidenti capitano lo stesso; quindi, bisogna cercare di passare – ecco l’imperativo che emerge da queste situazioni – da un aspetto documentale e cartaceo a qualcosa di più concreto. Infatti, questo cantiere sulla carta era in regola, eppure lì si sono verificati incidenti.
Bisogna accertare se le tecnologie utilizzate sono le più moderne e sicure; dobbiamo cominciare ad applicare le tecnologie odierne, che sono assolutamente alla portata di tutti e neanche costose. Perché non prevedere, ad esempio, una cintura di sicurezza anche in cantiere, come quelle dell’automobile, che si mette a suonare quando non la si allaccia? Ci sono aspetti assolutamente alla nostra portata; dobbiamo solo pretendere che diventino un sistema diffuso e assolutamente obbligatorio. Soltanto così si passerà dal livello cartaceo ad un’applicazione concreta.
Gli organismi paritetici e l’INAIL qui in Piemonte hanno intenzione di sostenere questa sperimentazione; credo che partirà e spero possa essere diffusa quanto più possibile proprio a cominciare da questa Regione che, purtroppo, ha registrato tanti incidenti sul lavoro, così come molti casi di malattie professionali dati dall’amianto. Intendiamo continuare a lavorare perché si possa intervenire su questo tema, che è di gran lunga sottostimato, senza aspettare il verificarsi di casi come quelli di Casale Monferrato.

MILANESIO
Signor Presidente, la mia provenienza dal settore dell’edilizia mi porta a fare molto velocemente poche considerazioni concrete, soprattutto in merito alla sicurezza nei cantieri edili. Da foto scattate presso il cantiere dell’inceneritore di Gerbido si vedono dei casseri rampanti collocati in altezza che man mano seguono l’evoluzione dell’opera. Questa tecnica di costruzione è molto particolare e non sono molte le imprese specializzate in questo tipo di costruzioni. Il fatto che in un mese si siano verificati ben due incidenti mortali nella stessa opera e nello stesso luogo significa – dal nostro punto di vista – che andrebbero accertati i requisiti tecnici dell’impresa che sta svolgendo il lavoro. Come sindacato delle costruzioni da tempo portiamo avanti una richiesta di questo tipo, cioè che alle imprese vengano assegnati dei punteggi, una sorta di patente a punti: nel caso si verifichino incidenti mortali, un’azienda non dovrebbe essere in condizione di continuare a lavorare, almeno fino a quando non vengono accertati tutti i requisiti tecnici e di competenza specifici per quel tipo di lavorazione. Tra l’altro, la gara d’appalto per il termovalorizzatore di Gerbido è stata vinta da una grande impresa di costruzioni che sta iniziando a costruire anche il grattacielo della Regione Piemonte, quindi occorrerà fare molta attenzione alla filiera dei subappalti anche presso gli altri cantieri, perché queste aziende tendono a portarsi dietro le imprese subappaltatrici che solitamente lavorano per loro.
Inoltre, vorrei dire che il nostro sindacato avverte anche il bisogno di una maggiore autotutela dei lavoratori, a partire dalle loro rappresentanze e in questo caso dal rappresentante per la sicurezza. Infatti, è vero che, come è stato detto, non ci sono abbastanza controlli, ma pensiamo che possa essere giunto il momento di fare un passo ulteriore perlomeno nei grandi cantieri, dove è possibile; chiediamo cioè che vi possa essere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e che la sua attività consista nel vigilare sull’applicazione delle norme di prevenzione man mano che si eseguono i lavori, assegnandogli anche la possibilità di un’interruzione immediata dei lavori qualora presentino delle caratteristiche di rischio. Rispetto a questo, un precedente – che funziona benissimo – nel codice dei contratti dà ai rappresentanti del sindacato la facoltà di intervenire sui committenti quando sono inadempienti nei confronti dei lavoratori per quanto riguarda il trattamento economico; si potrebbe quindi pensare di fare altrettanto rispetto al tema della sicurezza, intervenendo cioè direttamente sul committente, interrompendo i lavori immediatamente quando questi presentino rischi per il lavoratore; siccome in Piemonte ci accingiamo a costruire – speriamo – opere significative (dal grattacielo della Regione, la seconda canna del traforo del Frejus e l’alta velocità), pensiamo che almeno in questi grandi cantieri si possa sperimentare, con un supporto legislativo adeguato, questa modalità che comporta l’assunzione di più competenze e più possibilità di intervento da parte dei rappresentanti dei lavoratori per bloccare i lavori in presenza di grandi rischi. In passato, quando qui a Torino si sono verificati incidenti mortali nel settore dell’edilizia è stato avviato un grande lavoro anche per impulso dell’allora Ministro competente, che coinvolse la prefettura con cui arrivammo a fare dei protocolli d’intesa sulla legalità e la sicurezza nei cantieri edili. Facendo anche tesoro – purtroppo – dei gravi fatti che si sono verificati in questi giorni, si potrebbe riprendere il predetto lavoro, dando un nuovo impulso affinché non cali l’attenzione sulla sicurezza nei cantieri e nelle attività economiche in genere.

NEROZZI
Signor Presidente, se, come diceva il signor Murella, un lavoratore è stato licenziato dopo aver denunciato un evento che si è verificato, vorremmo avere tutta la documentazione, perché tale questione non è irrilevante in questo momento nel dibattito generale ed è gravissimo che sia avvenuta. Siccome io le credo sulla parola, le chiedo di darci tutto il materiale di cui dispone, in modo da consentirci di intraprendere delle iniziative e presentare delle interpellanze.

MURELLA
Sarà mia cura fornire alla Commissione il materiale. Allo stesso modo, visto che qui abbiamo la tradizione legata all’amianto, vi sarà mandata anche la documentazione relativa alle ammine aromatiche, che rappresenta un altro problema da affrontare. Il sindacato fa denunce, ma subisce il ricatto delle aziende che minacciano di lasciare i lavoratori a casa; tuttavia bisogna assumersi delle responsabilità, perché la gente deve lavorare in sicurezza.

NEROZZI
Noi ci arrabbiamo quando le denunce non vengono fatte, non quando ci sono. Se lei le ha fatte, noi la aiuteremo.

FOSSON
Il problema è avere la documentazione di questo caso specifico.

NEROZZI
Noi ci preoccupiamo quando le cose non vengono denunciate, perché qualche volta succede.

MURELLA
Sarà mia cura fornirvi le informazioni.

BENETELLO
Per quanto concerne la questione delle ammine aromatiche, sono sufficientemente vecchio per ricordare il problema della Valle Bormida e credo che a tutt’oggi i risarcimenti per quella vicenda non siano arrivati.

MURELLA
Questa problematica riguarda l’azienda francese Michelin. Le multinazionali, specie quelle francesi, che vengono in Italia riservano un cattivo trattamento al lavoro; tuttavia i diritti dei lavoratori li abbiamo ottenuti con i sacrifici di chi ci ha preceduto e non permetteremo a nessuno di calpestarli per fare profitti.

SEIDITA
La nostra preoccupazione più forte è che ci sia una caduta di tensione in termini complessivi rispetto ai problemi legati alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta di un dato oggettivo che ci rammarica parecchio anche perché in una situazione come quella attuale il datore di lavoro non si impegna a erogare la prima formazione non solo per i RLS, che è prevista per legge, ma per gli stessi lavoratori, ancor più quando cambiano competenze, quindi avrebbero bisogno di una formazione finalizzata e sovente ciò non avviene. Faccio riferimento, ad esempio, agli immigrati, che in Piemonte sono numerosi (circa 380.000) e sovente non conoscono neanche la lingua; sebbene il decreto legislativo n. 81 del 2008 preveda che il datore di lavoro è impegnato a garantire una formazione, parecchie persone non denunciano neanche gli infortuni che subiscono sul luogo di lavoro nel timore di essere mandate via; ad esempio, in una situazione come quella attuale una serie di strumenti di dotazione dei lavoratori non viene erogata: queste notizie arrivano ai nostri uffici, ma per prima cosa gli interessati dicono di non fare i loro nomi perché temono di essere licenziati. Serve un’assunzione di responsabilità dei datori di lavoro nell’applicare le norme, perché non si rendono conto (probabilmente fanno finta di non rendersene conto) che fare prevenzione non è solo un fatto culturale, ma che impiegare risorse economiche per la prevenzione e la sicurezza è un investimento utile e non il contrario, non solo per i datori di lavoro, ma per l’insieme della società e in particolare per lo Stato che, quando avvengono degli infortuni, deve mettere a disposizione a livello nazionale un’assistenza sanitaria che ha un costo elevato. La nostra grande preoccupazione nasce dalla presa d’atto che non c’è più attenzione, impegno o sensibilizzazione nei confronti della legge.

MARAVENTANO
Ci sono casi di sfruttamento di minori?

SEIDITA
Non abbiamo segnalazioni in questo senso.

MARAVENTANO
Questo è positivo.

SEIDITA
Ad oggi, ai nostri uffici non sono pervenute; sono arrivate denunce di infortuni, però non vogliono fare richieste al nostro patronato. Non sono arrivate segnalazioni, ma comunicano verbalmente che hanno avuto un infortunio sul lavoro. Ai nostri uffici non sono mai arrivate segnalazioni riguardanti minori.

MAGGIO
È possibile che si sia verificato qualche incidente di apprendista, ma non è un fenomeno così rilevante in Piemonte.

NEROZZI
Quello che diceva la senatrice Maraventano non riguarda gli apprendisti.

PRESIDENTE
Vorrei concludere l’audizione con un ringraziamento nei vostri confronti. Questo clima di incertezza, che anche la signora Seidita ha fatto presente, si sente; credo però che tutti, soprattutto le forze sociali, dobbiamo rilanciare questo tema, perché non vorrei che in questo clima sonnolento le punte di riferimento possano avere momenti di distrazione. Dico questo perché, ad esempio, mi piacerebbe sapere se avete i nominativi di tutti gli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza). Questo è importante.

SEIDITA
Questo è un bel tema.

PRESIDENTE
È un bel tema, perché il sindacato si dovrà porre queste tematiche.

BENETELLO
Noi ce le siamo poste più volte.

PRESIDENTE
Noi abbiamo questo problema. Al di là di quelli che voi conoscete, perché fanno parte delle vostre organizzazioni, ve ne sono anche altri sconosciuti ed ignoti. Bisognerebbe allora sapere se l’INAIL vi fornisce o meno questi nominativi.

BENETELLO
Non ce li fornisce.

PRESIDENTE
Benissimo. Ora stiamo parlando di problemi concreti; sul discorso generale relativo alla cultura della sicurezza siamo tutti d’accordo. Il sindacato – voi me lo insegnate, io qualcosa mi ricordo, dal momento che ho svolto questa attività – è operatività, sia pure in una cultura, perché non è che si muova senza bussola. Il problema degli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali) si sente o non si sente? Che dicono le piccole imprese? Danno spazio a soggetti che non sono della propria azienda e che si interessano della sicurezza? Lì infatti nasce il vulnus e si va a creare l’infortunio. Come voi sapete, la maggior parte degli infortuni si verifica nelle piccole imprese; spesso muoiono i datori di lavoro insieme ai lavoratori. Ciò avviene proprio nel meccanismo che voi avete denunciato (noi raccogliamo e condividiamo tale denuncia); mi riferisco al meccanismo degli appalti, sia in verticale che in orizzontale. Io credo che dovremmo tutti sostenere un po’ di più queste punte avanzate che abbiamo come «struttura sociale» (chiamiamola così, forse ci capiamo meglio), sia voi che coloro che hanno sensibilità su questo tema (ognuno ha le proprie sensibilità). Infatti è da lì che possiamo capire come stanno andando le cose e quali sono i rischi e gli infortuni che si possono evitare. Se non riusciamo ad avere queste antenne, che sono poi i lavoratori che svolgono il ruolo di responsabili per la sicurezza, è difficile per noi fare le leggi, è difficile per voi per gestire una quotidianità di azione ed è difficile per tutti. Vi ringrazio e vi rassegno questa utile riflessione. Credo che sulle antenne vada svolto un ragionamento ad hoc, magari proteggendo le persone che si espongono e coinvolgendo le persone disposte a difendere e a sostenere le persone che si espongono (alcune di queste sono di fronte a voi).

MILANESIO
Vorrei aggiungere un’osservazione sulla questione degli RLST, avendo conoscenza del settore dell’edilizia. Per noi è un’esperienza importante, perché nelle imprese sotto i 15 dipendenti avere un RLS di impresa è pressoché impossibile. Laddove ci sono, lei sa che vengono nominati dal titolare. Dunque avere qualcuno che sia svincolato dal rapporto di subordinazione con l’impresa è importante, perché può muoversi più liberamente.

SEIDITA
Vorrei aggiungere anch’io una breve considerazione sulla banca dati degli RLS. Ogni organizzazione ha i propri. Noi però unitariamente – poiché su questo CGIL, CISL e UIL regionali collaborano moltissimo – abbiamo aperto da circa due anni un confronto con l’INAIL per avere la banca dati. Ma questa non ci viene fornita; noi non siamo a conoscenza della banca dati, perché l’INAIL, volendo garantire l’anonimato e la privacy, non ci fornisce i dati. Questo è un problema che poniamo alla Commissione; si indirizzi una direttiva all’INAIL, affinché ci fornisca la banca dati.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il vostro contributo e vi auguriamo buon lavoro. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane

Intervengono il direttore dell’Unione industriale, dottor Giuseppe Gherzi, accompagnato dal funzionario del medesimo ente, dottor Roberto Rinaldi, il direttore della Confagricoltura Piemonte, dottor Giovanni De Michelis, il responsabile del servizio tecnico dell’Api Torino e Confapi Piemonte, ingegner Gabriele Muzio, il presidente regionale della CNA Piemonte, dottor Francesco Cudia, il funzionario della Legacoop Piemonte, dottor Renzo Brussolo, il responsabile regionale della Casartigiani, dottor Patrizio Tosetto, accompagnato dal funzionario del medesimo ente, dottor Lino Fioratti, il presidente regionale della Coldiretti, Roberto Moncalvo, accompagnato dal direttore del medesimo ente, Diego Furia.

PRESIDENTE
Buongiorno a tutti e grazie per la vostra partecipazione. Stiamo svolgendo degli incontri in tutte le Regioni italiane al fine di avere un rapporto diretto con i soggetti che in qualche modo sono coinvolti dal cosiddetto Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Questa quindi è un’occasione di incontro, di dialogo e di riflessione diretta con le istituzioni e con gli altri soggetti interessati e coinvolti. Vorremmo inoltre cercare di cogliere se uno strumento che abbiamo ritenuto opportuno ed importante nel momento in cui è stato deciso, il coordinamento regionale, stia operando nel senso da tutti auspicato, cioè stia organizzando e regolamentando queste attività e stia pianificando e svolgendo attività di monitoraggio, o se invece ci siano ancora delle situazioni non completamente armonizzate. Vorremmo arrivare a cogliere l’obiettivo della massima riduzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, dando particolare attenzione ad un fenomeno che molto spesso viene ritenuto secondario, ma che non lo è; mi riferisco alle malattie professionali e, soprattutto, all’insorgenza di nuove malattie professionali. Ciò permetterà ad ognuno di noi di intervenire secondo le proprie competenze e responsabilità e di valutare se la normativa attuale è valida, anche se il decreto legislativo n. 81, come voi sapete, ha ancora bisogno di atti secondari per essere definito. Cerchiamo pertanto un confronto per capire come stanno andando le cose.
Quando abbiamo programmato questa missione, non vi erano notizie di due importanti e gravi incidenti; avevamo solamente la notizia del primo infortunio mortale che si è verificato nella struttura dell’inceneritore. La nostra presenza quindi non è mirata a questo. Chiaramente abbiamo anche acquisito delle notizie su questi fatti, ma soprattutto abbiamo acquisito notizie su fatti che ci debbono far tenere alta la guardia, quali ad esempio i 17 morti nei primi tre mesi di quest’anno. Speriamo che questo dato non si ripeta, anche perché non si può fare una statistica sulla base di un singolo mese; ci può essere un mese sfortunato e non è detto che si tratti di una cadenza ripetibile (come tutti noi ci auguriamo). Ma 17 morti in tre mesi rappresentano comunque un numero significativo, atteso che dati ancora ufficiosi e non definitivi del 2011 indicano 60 morti, se non sbaglio. Quindi una riflessione insieme a voi è sicuramente un fatto importante, che ci permetterà di svolgere meglio la nostra attività e di comprendere se ci sono delle necessità che voi riterrete opportuno evidenziarci.

GHERZI
Signor Presidente, sono Giuseppe Gherzi, direttore dell’Unione industriale di Torino. La ringrazio anzitutto per l’opportunità di confronto che ci viene offerta, anche per parlare delle iniziative attuate sul territorio. La nostra è un’associazione importante a Torino. Abbiamo circa 2.500 aziende associate; si tratta quindi di un termometro significativo, con 150.000-200.000 dipendenti delle aziende associate alla nostra Unione industriale. Da sempre e da tempi non sospetti l’Unione industriale è stata molto attiva sui problemi della sicurezza e della prevenzione; siamo forse stati dei precursori tanti anni fa, non solo insieme alle organizzazioni sindacali, che sono gli altri «utenti» del sistema della sicurezza, ma anche attrezzandoci come Unione industriale e preparando dei nostri professionisti e dei nostri funzionari perché seguissero le nostre imprese sul territorio. Credo che siamo gli unici in Italia ad avere un ufficio e un servizio di questa entità, composto da 11 funzionari (oltre ovviamente agli addetti di segreteria) dedicati a tempo pieno ai temi della sicurezza, della prevenzione e dell’ambiente. Essi sono a disposizione per consulenze, ma realizzano anche una presenza negli stabilimenti e nelle unità produttive, per fornire tutto il supporto necessario alle nostre imprese per poter intervenire per tempo ed avere un livello di prevenzione adeguato. Indicativamente parliamo di più di 20.000 ore dedicate esclusivamente alla prevenzione nelle nostre imprese (ho provato a mettere quello che vi sto raccontando per iscritto e vi lascerò sicuramente il documento). Questa attività si è sviluppata negli anni d’intesa con tre soggetti, in particolare con le organizzazioni sindacali, con cui lavoriamo costantemente da molti anni, promuovendo una serie di iniziative, di osservatori e di momenti in cui ci confrontiamo; gli altri due soggetti sono l’INAIL e le Regioni. Con loro abbiamo ottimi rapporti e insieme a loro costruiamo tutti i momenti necessari per intervenire.
Su cosa interveniamo? Su tre o quattro filoni. Da un lato c’è quello che si fa un po’ da tutte le parti, cercando di sensibilizzare e di fondere la cultura della prevenzione con momenti convegnistici. Nel 2011 abbiamo svolto 5-6 convegni importanti, che hanno visto la partecipazione di circa 1.000 rappresentanti delle imprese e, in alcuni casi, anche dei lavoratori. Il punto su cui noi lavoriamo da anni e su cui continuiamo a lavorare è quello di intervenire sui momenti formativi, con grande attenzione nei confronti degli RLS e degli RSPP (responsabili del servizio di prevenzione e protezione); è necessario infatti intervenire a monte per diffondere questa cultura, anche nei suoi aspetti più tecnici. Nel 2011 abbiamo svolto 650 corsi di formazione, che hanno coinvolto 8.500 persone. Coinvolgere in un anno dei numeri così importanti dimostra la sensibilità del nostro sistema su questa materia. Abbiamo organizzato questi corsi insieme all’INAIL e alle organizzazioni sindacali. Nel caso specifico, con l’INAIL abbiamo puntato anche ad intervenire sui soggetti che ancora non sono entrati nel mondo del lavoro, cioè sui giovani studenti, perché noi crediamo che l’attenzione alla sicurezza debba essere portata tra gli studenti e tra coloro che domani si affacceranno nel mondo del lavoro, coinvolgendo anche le tematiche della sicurezza stradale. Come sapete, all’incirca uno su due degli infortuni mortali che rileviamo avviene sulla strada e uno su quattro avviene in itinere. Riteniamo quindi che anche sulla sicurezza stradale debba essere sensibilizzato il maggior numero possibile di persone. D’intesa con l’INAIL abbiamo coinvolto 11 istituti tecnici professionali e 55 classi, che hanno visto 1.000 studenti partecipare in modo attivo, anche attraverso operazioni pratiche, per fare capire soprattutto le regole che anche i giovani devono osservare sia sulla strada sia quando entreranno nel mondo del lavoro.

PRESIDENTE
Dottor Gherzi, questi temi sono naturalmente importanti e a noi sono anche noti, soprattutto perché l’INAIL ci dà riferimento e riscontro delle attività che si svolgono. Noi vorremmo qualche considerazione da parte vostra come rappresentanti dell’imprenditoria: in questo momento particolare di crisi che stiamo attraversando, c’è o no la sensazione di un abbassamento del livello di attenzione sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro? Come pensate, in questa fase, di considerare gli investimenti, obbligatori o non obbligatori, per quanto riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro? Sarebbe bene attualizzare e contestualizzare questo nostro dibattito.

GHERZI
Io non credo che, ancorché in un momento di crisi, ci sia stato un abbassamento della guardia, o quantomeno non abbiamo né questa percezione né questa sensazione. D’altra parte, se così fosse avremmo avuto segnalazioni in tal senso presso l’organismo paritetico provinciale di Torino, o presso gli altri organismi paritetici provinciali del Piemonte, o al sindacato, tutti nati proprio per ricevere segnalazioni e dirimere eventuali controversie che dovessero nascere. Già da un anno a questa parte, infatti, abbiamo costituito un organismo paritetico che fosse in grado di recepire i problemi che provengono dal territorio, e allo stato attuale questi problemi non ci vengono segnalati. Si tratta di un organismo preposto quale osservatore privilegiato tra noi e le organizzazioni sindacali sui problemi che nascono nelle imprese, e nessuno più dei rappresentanti dei lavoratori è attento a queste problematiche.

PRESIDENTE
Noi però abbiamo una serie di piccole imprese – che è una peculiarità della nostra organizzazione imprenditoriale – non facilmente individuabili da questo punto di vista. Intanto, nelle imprese più piccole non c’è l’obbligatorietà degli RLS; quindi, vorremmo capire come voi, per esempio, considerate la figura degli RLST, perché anche da questo punto di vista è emerso un disagio da parte del mondo sindacale.
In genere, la grande impresa ha anche problemi dovuti al meccanismo del subappalto, sia orizzontale sia verticale; nella stragrande maggioranza dei casi dove si verificano infortuni, soprattutto mortali, molti di questi sono legati a piccole imprese che lavorano dentro la grande impresa. Quindi, la nostra attenzione, e immagino anche la vostra – il tema riguarda tutti – deve concentrarsi su questo fronte.
Noi abbiamo un problema vero, enorme: intanto, la diminuzione degli infortuni non è quella che si dice. I dati che abbiamo debbono essere corretti dai milioni di ore di cassa integrazione che ci sono state e che sono tuttora in atto, perché altrimenti non diamo dati reali sui quali poter riflettere seriamente. C’è una ripresa degli infortuni mortali, e credo che anche il 2011 più o meno chiuderà con gli stessi numeri rispetto al 2010 (parlo al livello nazionale). Nonostante milioni di ore di lavoro di cassa integrazione, nel 2011 si sono registrati più di 700.000 infortuni; quindi, è vero che sono diminuiti però c’è da considerare questo fenomeno.
Non basta incutere timore; qualcosa non va, non sappiamo cosa ma è necessario accendere qualche riflettore in più ; il mondo dell’impresa – parlo specificamente della realtà imprenditoriale dal momento che mi rivolgo a voi – deve affrontare questa situazione; le piccole imprese, che alla fine diventano i soggetti ultimi nella catena degli appalti, arrivano anche ad avere margini di utili fortemente compressi.

BRUSSOLO
Come lei ha già anticipato, Presidente, il momento in cui si colloca questo incontro non aiuta ad affrontare il tema con la massima serenità, quindi è evidente che le varie parti coinvolte, sia datoriali sia sindacali, vivono il dramma di questo sabato, e purtroppo anche di quello dell’inizio di marzo, con particolare attenzione.
È evidente che c’è stato un calo di ore lavorate, come lei richiamava un attimo fa, cui è seguito un calo di infortunistica. Come Lega delle cooperative associamo sia grandi sia piccole imprese in uno scenario che ha una sua complessità; se è vero infatti che è più facile effettuare sulla carta i controlli nelle grandi imprese, non è però sufficiente affrontare il tema con questo approccio. Spero che le indagini in corso sul crollo delle impalcature per le attività concertistiche a Trieste come in Calabria, o relativamente a queste drammatiche vicende torinesi, ci aiuteranno ad avere maggiori elementi di conoscenza circa i fatti accaduti.

PRESIDENTE
Spesso si tratta di lavoratori irregolari coinvolti. Vi sono state ulteriori indagini, sempre nel mondo dello spettacolo, riguardo al montaggio delle strutture, dove si è rilevato un numero significativo di lavoratori in nero: parliamo di manodopera a cinque-sei euro l’ora. La Commissione ha aperto un focus su questo fronte.

BRUSSOLO
È un tema che ci tocca direttamente perché le realtà imprenditoriali associate alle centrali cooperative – per quanto ci riguarda, ma immagino valga per molte associazioni di categoria – hanno meccanismi per noi addirittura di parziale controllo, almeno sulle coerenze del comportamento cooperativistico, ma mediamente hanno da parte dei propri rappresentanti un appello costante al mantenimento delle regole.
Le imprese nostre associate sono direttamente messe in difficoltà da comportamenti scorretti che creano una competizione sleale tra chi rispetta le regole e chi non lo fa. Da questo punto di vista, siamo i primi interessati a far sì che non ci siano scenari e comportamenti scorretti da parte di qualcuno che, pagando meno il lavoro, è momentaneamente più competitivo nel candidarsi e ottenere l’esecuzione dei lavori, che in qualche caso finiscono drammaticamente. Tuttavia, è fondamentale – questo è un appello che mi permetto di fare alla politica – che gli strumenti di controllo siano messi in grado di esercitare appieno i propri ruoli, che sono stati definiti per mesi. Molte nostre associate non chiedono che si aggiungano nuovi controlli ma che quelli esistenti vengano rispettati in maniera puntuale.
Spesso e volentieri costituiamo organismi paritetici o enti bilaterali che hanno l’obiettivo di controllare la regolarità del comportamento sul mercato. Per quanto riguarda la cooperazione, c’è un osservatorio presso la direzione provinciale del lavoro che dovrebbe orientare l’attività ispettiva nei confronti di quei soggetti economici che non rispettano i contratti siglati nazionalmente dalle associazioni comparativamente più rappresentative. Sovente, ci troviamo dinanzi ad una carenza di organico che non riesce ad esercitare completamente i controlli.
Non c’è sete di nuova normativa, ma di un meccanismo che permetta a tutti di competere in maniera corretta; che i controlli valgano per tutti in modo che nessuno possa violare, con conseguenti minori costi umani ma con maggiori costi economici, l’obbligo di legge, o che qualcuno altro evada con vantaggio immediato, non certo per i lavoratori ma solo per il proprietario dell’impresa, con conseguenti danni economici per tutti e con pericolo di vita per i lavoratori coinvolti.
È evidente che per quanto riguarda i fatti in essere, che non sono oggetto dell’incontro odierno, siamo tutti in attesa di capire che cosa sia effettivamente successo, non solo su come si sono svolti i fatti, almeno in base alla ricostruzione riportata sui giornali, ma anche se vi sono responsabilità. Ovviamente, l’auspicio è che qualora vi siano responsabilità, vengano adeguatamente sanzionate.

CUDIA
Signor Presidente, sono il Presidente regionale della CNA Piemonte nonché un piccolo imprenditore che cercherà di rispondere ai quesiti che lei ha posto.
In Italia rappresentiamo il 95 per cento della forza lavoro di tutte le piccole imprese del territorio italiano; credo siamo anche la forza lavoro più presente sia nell’edilizia sia nell’impiantistica.
Le esperienze nel corso degli anni dimostrano che per le imprese abituate a fare formazione e informazione al proprio personale si sono solamente aggiunti costi. Un tempo, infatti, il garzone, l’operaio, l’apprendista nascevano in azienda, e gli si poteva dare una professionalità. Oggi, con i nuovi metodi e tempi di lavoro, purtroppo l’impresa è diventata un’impresa finanziaria, ragion per cui spiegare ad un operaio albanese, piuttosto che marocchino, algerino o italiano quale tipo di formazione e informazione debbano avere sul lavoro, laddove questi non hanno mai visto un cantiere, diventa molto difficile. A parte gli incidenti verificatisi di recente, è un processo veramente complicato e molto oneroso per le imprese.
Bisognerebbe quindi intervenire su formazione e informazione, perché è difficile pensare che un immigrato, immediatamente dopo il suo arrivo nel nostro Paese, possa affrontare il lavoro e prendere in mano la cazzuola, la pala, il badile, una chiave inglese o un cacciavite, attrezzi che comunque chiamerà con un altro nome, anche se ha avuto modo di conoscerli. Sulla base della nostra esperienza questo processo di formazione e informazione non si può attuare con 100 ore di scuola o di presentazioni, perché io non sono nato con la chiave inglese in mano, ma mi hanno insegnato come usarla, hanno impiegato del tempo per farlo e io ho impiegato quasi cinque anni a capire come si poteva realizzare un processo di lavorazione senza farmi male. Purtroppo oggi questo non avviene più, quindi credo che la nostra mentalità, il nostro modo di lavorare e i nostri costi su formazione e informazione debbano subire qualche cambiamento se vogliamo affrontare globalmente quanto sta accadendo in Italia, che non è più un Paese in cui immigrati del Sud vanno verso il Nord, ma è un mercato globale dove arrivano rumeni dal Nord e algerini dal Sud.
Pertanto, per mettere in piedi una squadra di lavoro che possa operare in un certo modo, a mio avviso bisogna assolutamente apportare qualche cambiamento. L’istruzione e la formazione sono importanti, ma le imprese italiane, per via della soglia di 15 dipendenti, soffrono tutte di nanismo; nessuno, infatti, può crescere e siamo tutti fermi a 15 dipendenti, perché se passiamo a 16, per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non si possono più licenziare gli RLS. Le imprese in Italia vivono di questo nanismo, credo quindi che da questo punto di vista bisognerebbe fare una riflessione approfondita sul sistema Italia nel terzo millennio, affrontando la questione in modo diverso da come abbiamo fatto fino ad oggi, se vogliamo un Paese innovativo, che abbia meno infortuni, ma anche più formazione e più capacità di creare professionalità.

PRESIDENTE
Io la ringrazio, ma credo che le questioni da lei poste e che rientrano nelle competenze di questa Commissione possano trovare una soluzione nelle attività di formazione svolte dalla Regione, con cui quindi anche a questo proposito bisogna creare un rapporto più stretto. Non a caso, all’inizio io vi ho rivolto delle domande sull’attività del comitato regionale di coordinamento, di cui alcune vostre rappresentanze fanno parte, perché è quello il luogo in cui si discutono le tematiche che lei correttamente ci ha riferito per la parte di competenza di questa Commissione. Vi invitiamo quindi a sollecitare questi incontri previsti dalla normativa vigente, che sono fondamentali anche per capire le pianificazioni, il monitoraggio e le strategie in base alle quali muoversi; se poi quest’attività di coordinamento rimane in un cassetto, chiaramente lei si porrà dei problemi, il suo collega altri e così di seguito.

MUZIO
Signor Presidente, vorrei intervenire molto brevemente solo per ricordare dei numeri e rispondere a una sollecitazione. Come associazione delle piccole e medie imprese a livello regionale contiamo circa 4.000 aziende, di cui circa 2.500 nella provincia di Torino, che è quella in cui la nostra rappresentanza è più numerosa. Negli anni, dovendo far fronte alla crisi, la nostra associazione ha conosciuto una certa evoluzione dal punto di vista numerico e organizzativo delle aziende: quando siamo nati eravamo molto più vicini alle aziende con circa dieci dipendenti, mentre ora ci stiamo portando verso quelle con 15-20 dipendenti e ciò ha comportato una modifica del nostro approccio nei confronti delle imprese. Lei prima chiedeva quali sono le conseguenze sulle figure responsabili della sicurezza. Chiaramente in un’azienda con meno di dieci dipendenti non sempre si procede all’individuazione di un RLS; tra l’altro, la nostra organizzazione sta per verificare la fattibilità della figura del RLS territoriale, su cui non siamo contrari a prescindere, ma che necessita di una serie di approfondimenti: si tratta cioè una figura che, nell’esperienza artigiana, è sovraprovinciale, sovracomunale e sovraziendale, quindi deve essere correttamente progettata, formata e proposta alle imprese. Abbiamo fatto statistiche da cui emerge che abbastanza frequentemente le piccole e medie imprese, in un rapporto proattivo anche con la parte sindacale, individuano una figura del RLS correttamente utilizzata come portavoce delle istanze. Non abbiamo registrato un abbassamento dell’attenzione, ma chiaramente tutti conosciamo i numeri della cassa integrazione.
Vorrei inoltre sottoporvi una tendenza concernente i costi. Il settore edile è caratterizzato dalla pratica del subappalto e dell’appalto pubblico; il nostro collegio edile, che conta un centinaio di imprese per ogni singola provincia, lavora per il 30 per cento con appalti pubblici. A questo riguardo è in atto una diatriba sul punto se gli appalti debbano basarsi sul massimo ribasso piuttosto che sull’offerta più economica; ciò ha riflessi anche sulla sicurezza del lavoro poiché, non dovendo e non potendo incidere sulla voce relativa ai costi per la sicurezza, si mettono in crisi tutte le altre voci di costo ed infatti lei stesso parlava di margini veramente esigui.
Chiaramente, in alcuni settori produttivi una formazione troppo teorica, che quindi si svolge prevalentemente in aula piuttosto che con un addestramento, potrebbe essere rischiosa perché effettivamente non si va a spiegare come intervenire su un cantiere, ma a chiarire cos’è il decreto legislativo n. 81 del 2008 e quali figure sono messe in campo; per certi versi tale informazione di carattere generale può essere corretta, ma serve un maggior intervento sul campo. Ci si scandalizza quando noi parti sociali chiediamo di coprire i costi per la sicurezza anche ricorrendo a strumenti di finanziamento (annoso discorso anche con la parte sindacale) per la formazione non limitandoci solo a ciò che è obbligatorio per legge. La nostra esperienza ci dice che se si allargasse lo strumento del finanziamento anche ad alcuni obblighi formativi (ma non solo), forse potremmo tentare di raggiungere un numero maggiore di destinatari. Per quanto concerne i numeri delle domande presentate per i bandi ISI di prossima operatività, le statistiche nazionali INAIL parlano di una domanda accettata su cinque, pertanto forse i quattro «delusi» non potranno investire perché questo ci risulta essere uno dei pochi strumenti di finanziamento oggi attivi a 360 gradi in materia di sicurezza. Forse non a caso rispetto all’anno scorso è stata eliminata la voce relativa alla formazione a favore di un investimento sostanziale in impianti e nella sostituzione di macchinari necessari per l’imprenditore, che però oggi non ha la disponibilità economica che gli possa consentire di fare investimenti anche di questa natura. Per quanto riguarda gli impianti possiamo entrare nel merito di un altro aspetto: il piccolo o medio imprenditore acquista un macchinario nuovo immaginando che sia a norma, ma le statistiche riferiscono che a volte problematiche sono tuttora presenti su macchinari di nuova generazione, quindi anche i costruttori di macchinari non sempre indagano totalmente l’aspetto della sicurezza intrinseca dell’attrezzatura.
Io sono personalmente presente nel comitato regionale di coordinamento istituito in Piemonte; purtroppo, visto che è presieduto dall’assessore in carica alla sanità, abbiamo dovuto sopperire a un cambio di Presidenza. Lei prima parlava di sollecitazioni quasi quotidiane da parte delle parte sociali, ma non siamo più convocati da tempo; è attiva una sottocommissione in materia di formazione che sta cercando di non perdere l’occasione data dal decreto legislativo n. 81 del 2008 sulle cosiddette attività promozionali previste dall’articolo 11, per finanziare ulteriore formazione. In questo modo torno quindi all’interrogativo, che ci stiamo ponendo, se finanziare la formazione del RLS che, come è stato concordato con i sindacati, è una figura fondamentale anche per gli obblighi di base, non solo per l’aggiornamento; quindi quest’apertura concordata con le parti sociali potrebbe essere una soluzione.
Come parte datoriale, vorremmo cercare di bilanciare maggiormente, anche con la Commissione, la condivisione degli obiettivi: troppo spesso a seguito di un infortunio sentiamo dire che gli ispettori sono troppo pochi, pertanto vorremmo lavorare con l’ente ispettivo sulla qualità del controllo, atteso che in edilizia molto frequentemente due enti che hanno competenza si presentano nello stesso cantiere a breve distanza l’uno dall’altro. Ciò significa che non c’è condivisione degli obiettivi e delle ragioni sociali, mentre se si è in pochi bisognerebbe cercare di condividerli. Parlando di prevenzione e di vigilanza, sollecitiamo molto gli uffici operativi, dove ci è stato ripetuto più volte che la parte datoriale non ha competenza o meglio che dal punto normativo formalmente non ha il ruolo di decidere come effettuare la vigilanza. Consideriamo tuttavia molto importante una maggiore condivisione da parte datoriale su dove incidere maggiormente.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per l’ampia esposizione che ci avete offerto. Dopo i contenuti più generali dell’introduzione del dottor Gherzi, siamo passati a trattare i temi che ci riguardano più direttamente.

BRUSSOLO
Visto che siamo ospiti della prefettura di Torino, vorrei riconoscere a tale ente di aver promosso dei tavoli sulla sicurezza cui ho partecipato personalmente e che reputo meritevoli di essere riconosciuti come attività svolte.

PRESIDENTE
Mi associo e anche io plaudo all’iniziativa del signor prefetto. Dobbiamo tuttavia interrogarci su chi coordina queste attività, perché si andrà avanti solo se si crede nel coordinamento regionale, nel suo riverbero su tutto il territorio e se lo si considera il luogo dove impostare le strategie da seguire e capire le disponibilità della Regione sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; inoltre, il fatto che ci fossero iniziative presenti già prima del decreto legislativo n. 81 del 2008 rischia di creare una sovrapposizione. Stamattina ho avuto modo di parlare anche con il prefetto, prendendo atto con soddisfazione del suo impegno, tant’è vero che egli ci ha detto in modo molto corretto che quello della prefettura è un punto di riferimento, nel senso che anche egli ritiene opportuno che tutta questa materia sia gestita da questo unicum, onde evitare il verificarsi di quello che diceva l’audito che ha appena finito di parlare, cioè che, sia pure per la loro competenza concorrente, le ASL e l’ispettorato del lavoro vadano magari nello stesso luogo a distanza ravvicinata. Se ciò accade significa che non si è capito lo spirito e uno dei motivi delle nostre missioni in Italia è trasmettere l’importanza di coordinare le iniziative, di avere piani strategici e di mettere insieme anche le disponibilità che si hanno, perché, come voi sapete bene, i soggetti operanti sono numerosi. Se si crea un coordinamento si possono anche sommare le disponibilità e non creare duplicazioni o contrasti.

DE MICHELIS
Signor Presidente, sono Giovanni De Michelis, direttore di Confagricoltura Piemonte. Vorrei svolgere pochissime considerazioni per rappresentare la situazione del settore agricolo, dove registriamo un andamento degli infortuni relativamente confortante, almeno in termini di trend. È vero che gli addetti nell’ultimo decennio sono diminuiti, ma è anche vero che sono sensibilmente diminuiti gli infortuni, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, il cui numero, a differenza degli autonomi, è rimasto costante, anzi negli ultimi anni ha registrato un leggero incremento (non nel 2011, ma nel 2009 e nel 2010). Non è che si vogliano enfatizzare i risultati positivi, perché questi meritano ovviamente ancora un notevole impegno. Va detto, a proposito di quanto si è accennato da parte di alcuni colleghi in ordine alla formazione e all’informazione, che per quanto riguarda il settore agricolo le politiche di sviluppo rurale attuate a livello regionale dai piani di sviluppo rurale mettono a disposizione ingenti risorse per le azioni di informazione e di formazione. Credo che i risultati tutto sommato positivi cui facevo cenno siano anche frutto di queste azioni. D’altra parte, la stessa Unione europea tende sempre più a subordinare gli interventi finanziari diretti al rispetto di determinati parametri, non solo qualitativi e non solo in termini di sicurezza alimentare, ma anche (soprattutto negli ultimi anni) in termini di sicurezza del lavoro. Confagricoltura Piemonte ha sempre dedicato particolare attenzione a questi aspetti, tant’è vero che, utilizzando le risorse del piano di sviluppo rurale, in questi ultimi due anni ha coinvolto oltre 500 operatori nei corsi di formazione specifici per la sicurezza sulla misura 111, mentre circa altri 250 sono stati coinvolti con l’intervento specifico attuato dal bando regionale di formazione per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro in agricoltura, che era previsto dal piano nazionale di sicurezza in agricoltura. Altre attività vengono svolte sul piano dell’informazione, sempre attraverso la misura 111, che ha consentito di dar vita ad una rete di sportelli capillarmente distribuiti sul territorio, cui si sono rivolti, nel solo anno 2010, 20.000 utenti. C’è stato quindi un notevole l’impegno, anche sul piano della bilateralità, dove si registrano dei risultati significativi. In tutte le Province operano le casse extra legem, gli osservatori e i comitati per la sicurezza. Tenuto conto delle dimensioni medie dell’impresa agricola, non sempre è possibile avere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in ogni azienda; ci sono però i rappresentanti territoriali e i comitati per la sicurezza provvedono esattamente a questo.
Un’osservazione per concludere: il decreto legislativo n. 81 del 2008 sicuramente ha recato innovazioni che tengono conto delle particolari esigenze delle piccole e medie imprese e, tra queste, anche di quelle agricole. Occorre, secondo me, fare qualcosa in più nella direzione della specificità dell’azienda agricola, che non sempre può essere ricondotta all’impresa tout court. In particolare, bisogna tener conto del fatto che in agricoltura sono presenti almeno tre realtà molto diversificate. In primo luogo vi sono le aziende datoriali, che sono comunque una minoranza; in Piemonte, su un totale di 60.000 aziende agricole (in base all’ultimo censimento), le aziende datoriali sono 7.000. Queste ultime da sempre sono soggette alla normativa sulla sicurezza. Il grosso delle imprese agricole è costituito da aziende familiari, con lavoratori autonomi; com’è noto, solo con il decreto legislativo n. 81 queste sono state assoggettate al rispetto delle norme sulle attrezzature di lavoro e sui dispositivi di prevenzione individuale. C’è poi tutto quell’altro settore indistinto di coltivatori non professionali, in cui gli incidenti sono rilevanti e che vengono ricondotti comunque al settore agricolo. Riteniamo che questo sia inaccettabile, perché questi infortuni dovrebbero essere semmai annoverati in altri settori, magari in quello casalingo. Riteniamo quindi che le innovazioni che sono state apportate rispondano alle attese degli imprenditori agricoli; in fase di attuazione completa della normativa occorrerà fare ulteriori passi per tener conto delle specificità dell’agricoltura.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per la presenza, per la partecipazione e per il contributo fornito. Se ci sono elementi che ritenete di interesse di questa Commissione, inviateceli pure. In genere, quando effettuiamo una missione su un territorio, non si tratta di un’attività spot, anche perché abbiamo poco, per gli argomenti che portiamo, per fare spot, ma si intende dare inizio ad una collaborazione. Quindi, se qualcuno di voi dovesse ritenere opportuno inviarci dei documenti, ciò sarà graditissimo da parte nostra.


Fonte: Senato della Repubblica