SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico


Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»


Lunedì 8 ottobre 2012


Audizioni svolte presso la prefettura di Trieste


Presidenza del presidente TOFANI

Audizione del prefetto di Trieste
Audizione degli assessori alla salute e al lavoro della Regione Friuli-Venezia Giulia
Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Trieste
Audizione del direttore regionale dell’INAIL, del direttore regionale del lavoro e del direttore regionale del lavoro ad interim, del presidente dell’autorità portuale e del comandante della capitaneria di porto di Trieste
Audizione del comandante regionale dell’Arma dei carabinieri e del direttore regionale dei vigili del fuoco
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane


Audizione del prefetto di Trieste

Interviene il prefetto di Trieste, dottor Alessandro Giacchetti, accompagnato dal capo di gabinetto, dottor Fabio Millotti, e dal vice capo di gabinetto, dottoressa Beatrice Musolino.

PRESIDENTE
Nel dare l’inizio ai nostri lavori con l’audizione del prefetto di Trieste, dottor Alessandro Giacchetti, desidero ringraziarlo oltre che per la sua presenza soprattutto per il supporto che ci ha offerto dal punto di vista strettamente organizzativo.
La presenza della nostra Commissione qui oggi rientra nell’ambito dell’indagine che stiamo conducendo in tutte le Regioni d’Italia per capire come sul territorio ci si è organizzati e ci si sta organizzando per dare attuazione alla normativa contenuta nel decreto legislativo n. 81 del 2008, considerato anche che questa non è stata ancora completamente delineata nel dettaglio e tenuto conto che la materia di cui noi ci interessiamo rientra nella competenza legislativa concorrente Stato-Regioni.
Il nostro obiettivo è di fare dunque uno screening al riguardo. Se è vero, infatti, che da un punto di vista generale si registra una riduzione degli infortuni e delle morti sul lavoro, il numero rimane comunque sempre molto alto. Vi è peraltro un fenomeno che in qualche modo può anche alterare il dato: mi riferisco alla diminuzione delle ore di lavoro, per cui il dato è da rapportare, non già al numero degli occupati, ma, appunto, al numero delle ore effettivamente lavorate.
Dopo il Friuli-Venezia Giulia ci recheremo in altre due Regioni, Calabria e Liguria, così da completare il nostro lavoro e predisporre una relazione finale sull’attività svolta dalla Commissione, che presenteremo poi all’Aula del Senato per la discussione, possibilmente prima dello scioglimento, in modo da lasciare agli atti parlamentari i dati che abbiamo raccolto e le conclusioni alle quali siamo pervenuti, che rappresentano poi la parte più importante del nostro lavoro.
Non avendo altro da aggiungere, cedo a lei la parola, signor prefetto, ringraziandola sin d’ora per i dati e per le informazioni che vorrà fornirci.

GIACCHETTI
Signor Presidente, onorevoli senatori, rinnovo il mio benvenuto, confermando la più costruttiva disponibilità di questa prefettura per quanto riguarda l’importante lavoro che la Commissione sta portando avanti.
Comincio col dire che dal mio osservatorio registro in Regione una grande attenzione e sensibilità rispetto al tema della sicurezza sul lavoro e credo che ciò sia da ricondurre un po’ anche alla costituzione genetica della popolazione friulana, che in generale è sempre molto attenta al rispetto delle regole, in particolare a quelle riguardanti le tematiche sociali.
Potremmo dire che, nell’ambito dell’evoluzione della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro, un discrimine è stato certamente segnato da un incidente mortale verificatosi nel 2004 proprio qui a Trieste presso uno dei più importanti stabilimenti nazionali per la produzione di pasta (Pasta Zara). Questo incidente, che portò alla morte di un operaio, suscitò un grande scalpore, acuendo la sensibilità dell’opinione pubblica sul tema degli infortuni sul lavoro. La prefettura si rese allora interprete di questi sentimenti e furono organizzate, proprio in questa sede, alcune riunioni con i diversi soggetti chiamati a vario titolo ad occuparsi di queste tematiche. Questi incontri hanno portato quasi naturalmente, il 2 marzo 2005, alla stipula di un protocollo d’intesa per la promozione della sicurezza sul lavoro.
Proprio in base a questo protocollo è stato istituito un tavolo di coordinamento permanente in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, con la partecipazione di tutti coloro che hanno sottoscritto il documento e quindi, oltre alla Regione Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali, le amministrazioni pubbliche che svolgono compiti di vigilanza in materia di lavoro, le associazioni dei datori di lavoro dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio, nonché le principali organizzazioni sindacali, che hanno espresso soddisfazione per il raggiungimento di questa importante tappa nella lotta contro gli incidenti sul lavoro.
Una prima iniziativa che il tavolo di coordinamento ha voluto realizzare è stata la sottoscrizione, il 29 novembre 2005, di un ulteriore protocollo d’intesa per la realizzazione di progetti finalizzati a promuovere campagne di informazione per far crescere la cultura della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Questo protocollo è stato strumentale per l’accesso ai finanziamenti che una concomitante legge regionale – la n. 18 del 2005, recante norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro – ha previsto proprio per questo tipo di interventi, ad ulteriore dimostrazione dell’interesse della Regione su queste tematiche.
In particolare, grazie al protocollo del 29 novembre 2005 è stato possibile realizzare tre progetti di carattere informativo.
In primo luogo, è stato possibile avviare una capillare campagna informativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, rivolta a tutte le categorie indicate da un successivo regolamento regionale, da realizzarsi attraverso il mezzo televisivo, utilizzando spot monotematici, perché si è ritenuto di individuare nel mezzo televisivo quello più tempestivo, oltre che di più forte ed efficace impatto per una campagna di questo tipo.
Un secondo progetto ha riguardato iniziative di carattere informativo, anche queste realizzate attraverso l’utilizzo di materiale audiovisivo, rivolte agli studenti delle scuole secondarie superiori con indirizzo tecnico e professionale.
Il terzo progetto, infine, ha avuto ad oggetto iniziative di carattere informativo da attuarsi a livello di associazioni datoriali di lavoro e di organizzazioni sindacali, anche in questo caso attraverso l’impiego di materiale audiovisivo.
Si è provveduto poi ad istituire una segreteria tecnica su mandato del tavolo permanente, che ha elaborato anche dei progetti di monitoraggio dello stato di realizzazione dei corsi di formazione per le aziende. È interessante notare che questi corsi sono stati rivolti anche alle piccole aziende, quelle con meno di 15 dipendenti che, sia per le dimensioni, sia per la diffusione capillare sul territorio regionale, risultavano le più difficili da controllare da parte degli enti di vigilanza.
Ricordo altresì che nel marzo del 2008 è stato stipulato anche un protocollo d’intesa destinato alle principali stazioni pubbliche appaltanti al fine di coinvolgerle nelle attività di vigilanza sulla conduzione degli appalti nel settore delle costruzioni e, più in generale, sul rispetto delle norme di sicurezza da parte delle ditte esecutrici delle opere.
La prefettura all’inizio del 2009, con la collaborazione delle istituzioni operanti in Provincia, ha realizzato un piccolo volume sul tema degli infortuni sul lavoro: si tratta di un documento di carattere informativo che compendia in maniera organica le competenze di ciascun ente e le forme di sostegno, economico e non, previste per le vittime di incidenti e per i loro familiari. In questo modo si è voluto fornire uno strumento di agevole e facile consultazione, con l’indicazione degli uffici di riferimento e delle procedure da intraprendere per beneficiare delle provvidenze.
Un altro risultato importante, raggiunto sempre grazie alla cooperazione esistente con il tavolo permanente presso la prefettura, è stata la stipula, il 16 aprile 2008, di un protocollo d’intesa per la pianificazione di interventi in materia di sicurezza, questa volta specificamente mirati all’ambito portuale triestino. Il documento è stato il frutto di un lavoro molto intenso, lungo e complesso, considerato che l’attività portuale ha dei risvolti molto specifici, con tutta una serie di normative, anche di carattere tecnico. Per questo si è resa necessaria l’elaborazione del protocollo da parte di un gruppo ristretto, che si è riunito qui in prefettura, coordinato da un dirigente della prefettura, che ha raccolto i contributi dell’autorità portuale, della capitaneria di porto, degli enti di vigilanza, degli imprenditori portuali e delle organizzazioni sindacali.
Il protocollo sulla sicurezza del porto di Trieste si incentra su alcune tematiche che sono essenziali per quanto riguarda lo svolgimento del lavoro nell’ambito portuale. Si tratta specificamente dell’individuazione e dell’elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, dell’individuazione degli RLS di sito e della costituzione di un coordinamento degli enti preposti alla vigilanza del lavoro portuale. Devo dire – almeno questa è la mia impressione – che questo lavoro è stato molto apprezzato dalle parti sindacali che operano in ambito portuale.
Meritevole di sottolineatura, sempre nell’ambito di questo protocollo sulla sicurezza portuale, è anche la previsione della costituzione di un coordinamento degli organi ispettivi che istituzionalizza la buona prassi di collaborazione esistente tra autorità portuale, azienda dei servizi sanitari, direzione provinciale del lavoro, capitaneria di porto ed altri enti in materia di sicurezza sul lavoro. A questo proposito, proprio pochi giorni fa si è riunito qui in prefettura il comitato del gruppo di coordinamento operativo che ha presentato, proprio in questa sala, i risultati molto efficaci raggiunti nel corso dell’ultimo anno sotto il profilo della sicurezza sul lavoro.
Da ultimo, vorrei fare riferimento ad un fatto accaduto lo scorso 12 dicembre, in occasione dell’allestimento del palco che avrebbe ospitato il concerto del cantante Jovanotti. In quell’occasione c’è stato un crollo che ha provocato la morte di un giovane operaio. A seguito di questo tragico incidente in prefettura è stato avviato un approfondimento per definire le linee guida sull’allestimento dei palchi e, quindi, l’azienda per i servizi sanitari è stata invitata a partecipare al primo incontro del gruppo di lavoro nazionale per il montaggio palchi per manifestazioni temporanee, nato nell’ambito dei gruppi edilizia e macchine del coordinamento tecnico interregionale della prevenzione sui luoghi di lavoro. Il prossimo 12 dicembre, a un anno di distanza da quel tragico incidente, si terrà a Trieste un convegno nazionale su queste tematiche organizzato dall’azienda sanitaria triestina. Questo è quello che desideravo porre alla vostra attenzione.

PRESIDENTE
Mi permetto di sottoporre alla sua attenzione – lo faccio anche con i suoi colleghi – il problema degli appalti. Noi siamo nella situazione di non poter cancellare – lo vorremo tanto – la metodologia che procede all’assegnazione delle gare con il massimo ribasso. Invitiamo, quindi, i signori prefetti ad attivarsi non solo dando supporto e sostegno nella predisposizione dei bandi di gara, ma anche tentando di avere stazioni uniche e cercando di evitare quella procedura di assegnazione perché, del resto, con l’Unione europea non possiamo fare nulla. Ci abbiamo provato in tutti i modi, ma non possiamo limitare la libera concorrenza. Questa è un’attenzione che noi gradiremmo.
L’altro aspetto che reputo importante e che stiamo anche constatando nelle varie parti è che si continua ad operare non tenendo conto che quattro anni fa c’è stata una normativa nuova in Italia. Mi riferisco al Testo unico del decreto legislativo n. 81 del 2008. Tutte queste attività che si svolgono sono di competenza della Regione. Ci sembra, invece, che ognuno continui ad andare per proprio conto e questo non è bene. Al di là delle migliori volontà e degli obiettivi che si raggiungono, esiste una specie di iato anche per le prefetture più solerti, che si organizzano con tavoli, perché si dimentica che sono cambiate le norme e i meccanismi di coordinamento. Questo non ci agevola. Se lei legge i numeri degli infortuni e delle morti sul lavoro in questa Regione, le cose non vanno bene per i motivi detti. Nel 2011 abbiamo avuto gli stessi morti del 2010 nonostante una minore presenza di lavoratori, secondo i dati dell’ISTAT, e anche, secondo noi, con un minore numero di ore lavorate. Ciò significa che c’è uno zoccolo duro e che c’è qualcosa che dobbiamo risolvere. In estrema sintesi, noi dobbiamo risolvere i problemi della concorrenza tra Stato e Regioni sul grande argomento della sicurezza sul lavoro. Abbiamo voluto il decreto legislativo n. 81 del 2008 affinché desse quadri di riferimento e fosse anche fonte di scambio di dati e notizie tra Stato centrale e Regioni, però non ci sembra che questo dato sia stato accolto abbastanza – adesso sentiremo i rappresentanti della Regione che ci daranno altri elementi – da un punto di vista del dispiegamento dello Stato sul territorio. Per il tempo che lei rimarrà in carica e fino a quando terminerà il proprio percorso lavorativo capiterà sempre di poter ragionare su queste cose e ogni voce è importante. Dobbiamo superare questo gap perché abbiamo questo problema che non si sconfigge. Sembra che si sia fermato tutto: lei ci ha fatto un’ottima relazione fino al 2008 e qualche accenno al 2009 sull’autorità portuale. Ciò significa che questa cosa non passa.
La ringraziamo e le auguriamo un buon post-lavoro perché la pensione non è una cosa bella. Dobbiamo stare sempre in attività. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione degli assessori alla salute e al lavoro della Regione Friuli-Venezia Giulia

Intervengono l’assessore alla salute, dottor Luca Ciriani, accompagnato dal rappresentante regionale sul coordinamento tecnico interregionale per la prevenzione negli ambienti di lavoro, dottor Paolo Barbina, e dal direttore area prevenzione della direzione centrale salute e protezione sociale, dottoressa Nora Coppola, e l’assessore al lavoro, dottoressa Angela Brandi, accompagnato dal direttore dell’agenzia regionale del lavoro, dottor Domenico Tranquilli.

PRESIDENTE
È ora prevista l’audizione degli assessori alla salute e al lavoro. Per noi questa audizione è molto importante, perché come Commissione abbiamo deciso di incontrare i rappresentanti di tutte le Regioni italiane, anche per le difficoltà che abbiamo avuto nel poterci incontrare in un’unica sede tutti insieme per confrontarci su questo grande tema che da quattro anni coinvolge noi e voi, in modo particolare, per le competenze che avete. Mi riferisco al decreto legislativo n. 81 del 2008. Noi stiamo svolgendo un’indagine, che stiamo finendo, per comprendere come questa normativa, anche in riferimento alle competenze delle Regioni, ha dispiegato i suoi effetti sul territorio e che collegamenti e contatti vi sono tra la Regione per le attività di sua competenza in materia (nella fattispecie il Friuli-Venezia Giulia) e i Ministeri di riferimento della salute e del lavoro. Nelle varie parti d’Italia abbiamo colto che c’è ancora qualcosa da poter fare perché ci sia un maggior dialogo. Abbiamo notato in genere una carenza di dialogo e, in modo particolare, un ruolo marginale del comitato regionale di coordinamento. Questo è il punto centrale per evitare che si continui, nonostante il benemerito lavoro delle varie prefetture che si organizzano con propri tavoli, prescindendo dall’orientamento che la Regione deve dare attraverso il coordinamento e gli organismi che vi fanno riferimento e che devono dispiegarsi sui territori delle Province che sono in Regione. Abbiamo bisogno di capire meglio questo aspetto.

CIRIANI
Noi non registriamo particolari problemi nell’attività che viene delegata alla Regione per la prevenzione e il controllo. Ci pare di aver svolto un buon lavoro in questi anni, come testimoniano le tabelle pubbliche di cui parlerà la mia collega, sulla riduzione del numero degli infortuni sul lavoro. La nostra situazione è abbastanza positiva e anche il comitato regionale di coordinamento lavora dando buoni risultati con un clima di condivisione. Abbiamo anche predisposto una memoria, se servisse, sulle attività svolte in questi anni. Sono cose già note perché pubbliche. Non riscontriamo, quindi, particolari problemi. Il lavoro da fare è molto, ma i dati che abbiamo registrati negli ultimi due anni testimoniano una buona riduzione degli infortuni e un’attività di controllo e di prevenzione di livello molto buono. Abbiamo un numero di addetti in linea con i numeri medi del resto d’Italia, ma un numero di attività di quantità e qualità notevoli. Tutto ciò che abbiamo a disposizione lo abbiamo riassunto e, se fosse necessario, ci sono due funzionari del nostro Assessorato che possono dettagliare i contenuti di quello che abbiamo predisposto per voi. La nostra situazione è positiva. Abbiamo un buon clima e non abbiamo particolari problemi.

PRESIDENTE
Quando è stato costituito il comitato di coordinamento?

CIRIANI
La prima seduta è del 6 aprile 2009 e l’ultima del 29 marzo di questo anno.

PRESIDENTE
Con quale frequenza si riunisce?

CIRIANI
Tre o quattro volte l’anno e ha 34 componenti. Ci sono state dieci sedute dal 2009 ad oggi.

MARAVENTANO
Ogni anno avete inviato la relazione al Ministero?

CIRIANI
Questo anno sì, forse negli anni precedenti no.

PRESIDENTE
Questo gap va colmato perché le relazioni annuali, al di là del tavolo tra Stato e Regioni che si occupa di molte cose e lei lo sa meglio di me, sono l’unico elemento di congiunzione che noi abbiamo. Senza di esse non c’è dialogo tra periferia e centro e in qualche modo stiamo anche studiando come rafforzare questo processo. Le possiamo anche anticipare un’idea; gliela do in modo ufficioso perché non è ancora definita da parte della Commissione, ma si dibatte sull’opportunità di trasformare e rafforzare il Comitato di coordinamento nazionale (che è il luogo in cui si dovrebbero incontrare e svolgere le riflessioni del caso), pure con gli stessi soggetti, in un’agenzia nazionale che si dedica solo ai rapporti con voi. La presidenza è in capo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e noi sappiamo benissimo quanti altri problemi deve affrontare il Ministro e può capitare che non ci sia quella frequenza continua. Non faccio riferimento a nessun Ministro e parlo in generale. Questo è un elemento di sofferenza. Gli incontri che stiamo facendo con voi che rappresentate le varie Regioni sono anche mirati a capire questo. C’è stato un tentativo di rivedere il Titolo V della Costituzione perché confrontandoci con i colleghi di Francia, Germania e Regno Unito, ci siamo resi conto che, anche laddove c’è un sistema federale come in Germania, la normativa è in capo allo Stato. Poi sul territorio si dispiega l’attività organizzativa.
Però era molto complesso rivedere il Titolo V, come del resto predisporre una legge costituzionale, perché si sarebbe potuto dare un’interpretazione non corretta alla vicenda, con riferimento alle attività che di fatto già svolgono le Regioni. Allora, di fronte a questa possibilità, ci si sta orientando per mantenere l’articolo 5 così com’è. I soggetti che partecipano al coordinamento dovrebbero diventare un’agenzia e su questo sembra che anche le Regioni siano d’accordo, perché anche loro sentono la necessità di un’interfaccia più dinamica da parte dello Stato per arrivare ad una visione di insieme più chiara. Questo è un obiettivo della nostra attività.

CIRIANI
Volevo solo riferire che tutti i dati, anche se non comunicati, sono comunque disponibili sul sito internet della Regione.

PRESIDENTE
I dati li potremo prendere anche noi; il discorso è un altro. La relazione evidenzia elementi positivi e di criticità e rappresenta un momento di confronto, tant’è vero che si sta valutando fino a che punto sia giusto che sia in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e non piuttosto al Ministero della salute. In effetti saremmo dell’idea, se costituiremo questa agenzia, di orientarla più verso il Ministero della salute che non sull’altro Ministero, anche perché sul territorio la maggior parte dell’attività si dispiega nei compiti che hanno le Regioni in materia di salute. Insomma il dibattito è aperto, quindi anche una vostra collaborazione, un conforto da parte vostra sarebbe molto utile, non solo nell’audizione odierna ma anche facendoci pervenire una memoria rispetto a quello che stiamo dicendo. Altrimenti non vi sarebbe necessità di un confronto diretto.

BRANDI
Sono l’assessore al lavoro della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ho poche cose da aggiungere, se non il fatto che dai dati INPS emerge chiaramente che nel quadriennio 2007-2011 il Friuli-Venezia Giulia ha registrato una riduzione del numero degli infortuni sul lavoro del 29,6 per cento, quindi superiore sia al Nord-Est che al resto d’Italia, che lo colloca addirittura al di sopra di quanto richiesto dall’Unione europea, che stabiliva di raggiungere il calo del 25 per cento dal 2007 al 2012. Già nel 2011 abbiamo superato questo risultato a dimostrazione dell’attenzione che la Regione Friuli-Venezia Giulia dedica a questo importante tema che noi, come assessorato al lavoro, abbiamo molto presente, tanto che nel volume «Il mercato del lavoro nel Friuli-Venezia Giulia», una nostra pubblicazione annuale, quasi la metà è dedicata al tema della sicurezza e della prevenzione. Vi faremo omaggio di alcune copie. Si tenga conto che oltre 200 delle 500 pagine della pubblicazione sono dedicate a questo argomento.
Ci muoviamo soprattutto sulla base della nostra legge regionale sul lavoro, la legge 9 agosto 2005, n. 18, che prevede espressamente un sistema integrato di sicurezza del lavoro e di miglioramento della qualità della vita. Abbiamo dunque attivato varie collaborazioni nella consapevolezza che da soli gli enti non possono andare da nessuna parte, perché la sicurezza sul lavoro è un tema talmente delicato, complesso e trasversale che abbisogna della collaborazione di più soggetti. Pertanto, sulla base della nostra legge regionale, abbiamo posto in essere collaborazioni sia con le parti sociali, tramite dei protocolli che ci hanno portato anche a creare un catalogo regionale sulla formazione, sia con le altre amministrazioni pubbliche, con le Province e con le amministrazioni comunali, ma anche con i soggetti istituzionali come l’INAIL, attivando anche collaborazioni con associazioni quali l’AMNIL, che è stata essenziale per quanto riguarda le informazioni. Infatti, avviando varie iniziative e progetti già a cominciare dalle scuole, c’è stata la testimonianza dei soci AMNIL che si sono presentati nelle scuole durante le lezioni e hanno testimoniato ai ragazzi cosa succede quando non c’è sufficiente attenzione alla sicurezza. Sono state testimonianze toccanti dal punto di vista umano.
Non pensiamo di aver raggiunto risultati specifici, quanto piuttosto di aver avviato un percorso e previsto delle tappe. Si vuole andare avanti soprattutto con la collaborazione delle parti sociali e delle altre amministrazioni pubbliche.

PRESIDENTE
Un’ultima richiesta: per quanto riguarda il coordinamento, chiedo scusa se ritorno sempre su questo tema, vi siete già dispiegati a livello provinciale?

BARBINA
Sin dall’inizio, parlo dell’articolo 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (anche quel comitato funzionava), la scelta è stata quella di farlo funzionare a livello regionale e poi, per organizzare l’attività a livello provinciale (la nostra Regione conta un milione e 200.000 abitanti e due Province molto piccole, Trieste e Gorizia), si tiene annualmente una riunione presso le quattro direzioni territoriali del lavoro (come si chiamano oggi), presenti tutti i soggetti che devono partecipare. In quella sede si programma l’attività sul territorio, mentre la discussione generale viene fatta a livello regionale.

PRESIDENTE
In ambito di coordinamento?

BARBINA
Sì, in ambito di coordinamento regionale.
Come diceva l’assessore, sul sito internet sono riportati tutti i lavori, anche quelli approvati dai coordinamenti precedenti (articolo 27 del decreto legislativo n. 626, poi ricreati con il decreto legislativo n. 81). È il terzo coordinamento che funziona per la nostra Regione.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per la partecipazione e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Trieste

Interviene il procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Trieste, dottor Angelo Curto.

PRESIDENTE
Signor procuratore generale, la ringraziamo per essere intervenuto.
La Commissione che ho l’onore di presiedere sta cercando di monitorare, nelle varie Regioni italiane, gli effetti della normativa di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, cercando anche di comprendere, dal punto di vista della gestione della giustizia, in che modo ci si è organizzati (mi riferisco in modo particolare al discorso della specializzazione in tale settore) e quindi quali sono le considerazioni, per quello che le possono riguardare per competenza, che lei può fare su questa materia e sulle sue problematicità oppure su come ci si è organizzati, per permettere a noi di avere degli elementi di chiarezza anche da un punto di vista non secondario riguardo all’amministrazione della giustizia.

CURTO
Ho cercato di raccogliere il materiale presso le procure della Repubblica della Regione in questo breve spazio di tempo e ho acquisito degli elementi. Fra l’altro ho anche della documentazione che a richiesta posso esibire o produrre alla Commissione per migliore conoscenza.
In pratica la materia è regolamentata, quanto a indagini nell’ambito del distretto, da un protocollo stipulato a suo tempo con la Regione e con le ASL locali, che è stato esteso a tutte le procure del distretto. Si tratta di un protocollo investigativo che prevede i vari compiti operativi, le modalità operative nelle indagini in questa materia. L’ha curato il mio predecessore, dottor Deidda, uno specialista in materia, ed è tuttora in vigore e applicato presso tutte le procure della Repubblica.
Le criticità dipendono più che altro dall’insufficienza del personale addetto ai servizi di prevenzione che, per le note difficoltà del Paese, permangono e difficilmente possono essere superate. A parte tali difficoltà, in linea di massima ci si adegua a questo protocollo e le indagini si svolgono abbastanza celermente. Anche l’attività di prevenzione viene svolta con attenzione e con buon controllo del territorio, tant’è vero che, in base ai dati che mi sono stati forniti dalle procure, il numero degli infortuni sul lavoro sarebbe in diminuzione nell’ambito di tutto il territorio.
C’è un’eccezione per quanto riguarda le malattie professionali, in particolare nelle zone di Trieste e Monfalcone, dove vi è un problema di esposizione all’amianto, per cui si ha un notevole numero di casi di malattie professionali per esposizione all’amianto, spesso con esito mortale. Fra l’altro, poiché si tratta di affezioni che prevedono una lunga incubazione, spesso si viene a conoscenza dell’ipotesi di reato a distanza di molto tempo dall’effettiva esposizione del lavoratore al rischio. Quindi, questo crea maggiori difficoltà nello svolgere le indagini, perché bisogna ricostruire sia le attività lavorative svolte nel tempo dalla persona interessata, sia le posizioni apicali all’interno delle aziende che è necessario conoscere per individuare eventuali responsabilità.
A questo scopo sia la procura di Gorizia, di cui fa parte Monfalcone, che quella di Trieste hanno adottato un registro informatico nel quale affluiscono tutti i dati relativi alle malattie professionali. A Gorizia addirittura vengono memorizzate tutte le deposizioni rese sia dai lavoratori che dai dipendenti delle aziende nei vari procedimenti in corso per questa tipologia di reato, che consentono poi di ricostruirle al momento e di applicarle ai casi concreti quando è necessario.
Questi accorgimenti consentono un controllo dell’indagine abbastanza efficace. Certo, poi ci sono poi le carenze: spesso le procure della Repubblica svolgono l’attività investigativa con puntualità e tempestività e si crea l’impasse con il tribunale (specialmente quello di Gorizia, che solo adesso ha completato l’organico), che si è trovato in seria difficoltà nel gestire questo tipo di processi che prevedono un numero elevatissimo di persone offese e di testimoni da ascoltare. Fra l’altro si svolge con il rito monocratico. Il presidente del tribunale di Gorizia addirittura si è assunto l’onere di gestire personalmente una parte di questi processi per alleviare le difficoltà dell’ufficio. Adesso la situazione dell’organico è stata ripianata, quindi si spera che certe difficoltà incontrate nel passato possano essere superate.
Per conoscenza della Commissione ho portato copia del protocollo investigativo redatto a suo tempo in accordo fra la Regione e le procure del distretto.
A proposito delle segnalazioni circa la carenza di personale, ho girato alla Regione una segnalazione in tal senso che mi era stata trasmessa da parte del servizio ASL di Trieste. Mi è stato risposto che anche se c’erano in effetti delle limitazioni, non vi era però la possibilità di intervenire. Consegno la nota che ho inviato alla Regione e la risposta che ho ricevuto dal presidente.

PRESIDENTE
Le chiedo scusa, signor procuratore, ma esistono gruppi specializzati su questo tema?

CURTO
Nelle due procure di Trieste e Gorizia, con un organico di due soli sostituti procuratori, non è possibile evidentemente questo tipo di organizzazione; tuttavia, sia a Trieste che a Gorizia, è presente un gruppo specializzato di magistrati che si occupa specificamente della materia.

PRESIDENTE
Vorrei soffermarmi ora sul tema delle malattie professionali, lasciando da parte per il momento il discorso delle patologie legate all’amianto, che rappresentano un capitolo a sé stante: come lei sa bene, infatti, signor procuratore, sono ormai tanti anni che è proibita la lavorazione e l’uso dell’amianto, anche se le varie malattie ad essa correlate, in modo particolare i tumori, hanno un decorso lunghissimo.
Stando ai dati che ci sono stati forniti dall’INAIL, si registra un aumento delle malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, per cui si è passati dai 550 casi del 2007 – parliamo sempre di istanze – agli 873 nel 2011.

CURTO
Su questo punto non sono in grado di fornire dati precisi, anche perché i numeri che mi sono stati dati dalla procura della Repubblica sono complessivi e non prevedono questa disaggregazione. Per quanto riguarda Trieste, ad esempio, mi è stata segnalata una sostanziale diminuzione degli infortuni sul lavoro, specie di quelli mortali, e un contestuale aumento delle malattie professionali del 232 per cento nel periodo 2003-2011, il che è certamente da correlare alle aumentate conoscenze dei fattori di rischio professionale e così via. Non dispongo però del dato disaggregato, per cui non sono in grado di fare distinzioni puntuali. L’INAIL potrà comunque fornire al riguardo dati più precisi.

PRESIDENTE
Anche con riferimento alla questione degli infortuni mortali, si è passati dai 27 del 2007, ai 20 del 2009 e ai 18 del 2010 e del 2011. Non bisogna però dimenticare che l’ISTAT per questo stesso periodo indica un calo dell’occupazione del 2,2 per cento, per cui verosimilmente ci sono state molte meno ore di lavoro. Il dato va quindi poi scomposto e meglio compreso.

CURTO
Il fenomeno certamente resta preoccupante. In ogni caso, per quanto concerne le iscrizioni delle notizie di reato, mi è stata segnalata una diminuzione nell’ultimo periodo.

PRESIDENTE
Vorrei solo ricordare che qualche tempo fa questa Commissione si permise di inviare una nota a tutte le procure generali, sollecitando una maggiore attenzione alla scena dell’infortunio, soprattutto in quei casi in cui lo stesso si fosse verificato su strada, così da considerarlo infortunio sul lavoro e non infortunio stradale.

CURTO
In genere i servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro si occupano dei casi di infortunio che si verificano nell’ambiente di lavoro. Gli infortuni in itinere non rientrano, invece, in questa categoria e vengono considerati incidenti stradali.

PRESIDENTE
Mi scusi, signor procuratore, ma non sto parlando di infortunio in itinere: parlo dell’infortunio che si verifica durante l’orario di lavoro, nell’esercizio di un’attività lavorativa che prevede l’impiego di mezzi moventi.

CURTO
In questo caso dobbiamo parlare di infortunio sul lavoro a tutti gli effetti.

PRESIDENTE
Forse bisognerebbe sollecitare gli stessi organi accertatori, che intervengono direttamente sulla scena dell’incidente (penso alla polizia, ai carabinieri), a considerare in modo diverso certi tipi di incidenti.

CURTO
Devo dire che in questo senso vi è una costante attenzione da parte della procura della Repubblica. Addirittura, all’interno delle singole procure, vengono creati dei gruppi specializzati di polizia giudiziaria per questo tipo di rilevazioni: lo stesso protocollo, di cui ho consegnato copia alla Commissione, prevede tutta una serie di operazioni al riguardo.

PRESIDENTE
Le faccio un esempio, così da spiegarmi meglio. Come Commissione ci siamo posti in modo significativo il problema dopo essere venuti a conoscenza di un dato scioccante, secondo il quale in undici mesi in Italia sarebbero morti 12 portalettere. A quel punto abbiamo svolto un’indagine da cui è risultato che in effetti l’infortunio del postino veniva considerato infortunio stradale, senza che al momento dei rilievi sul luogo dell’incidente si valutasse – ovviamente non per scelta – se il mezzo usato fosse idoneo o meno.

CURTO
Ma stiamo parlando di un infortunio al di fuori dell’ambiente di lavoro, verificatosi durante il percorso compiuto dal postino.

PRESIDENTE
No, è proprio questo il punto, perché si tratta invece di infortunio nell’ambiente di lavoro.

CURTO
Forse si riferisce al fatto che, nel caso specifico, l’ambiente di lavoro è la strada.

PRESIDENTE
Parliamo dell’incidente verificatosi ad un dipendente postale nel tragitto che percorre per consegnare la posta. Il punto è che bisognava verificare a monte, al momento della partenza, se il mezzo usato era a posto.
Quello che voglio dire è che, se le indagini vengono svolte solo sulle circostanze dell’infortunio, questo assume un significato; diverso è invece se le indagini vengono fatte su tutto il percorso, ad esempio verificando già alla partenza se la moto era idonea.

CURTO
Lei si riferisce alla manutenzione del mezzo.

PRESIDENTE
Non solo. Nel caso di specie, ad esempio, è risultato che i postini – devo dire che le Poste hanno risposto con determinazione alle nostre richieste, e di questo dobbiamo prendere atto – erano dotati di moto di cilindrata 125, con un contenitore davanti, uno dietro e un altro tra le gambe.

CURTO
Mancava quindi l’equilibrio.

PRESIDENTE
Non solo, ma non c’era neppure alcuna differenza tra uomini e donne, considerato che invece tra uomo e donna vi è una differente tenuta dell’equilibrio; non si teneva poi conto neppure della statura della persona, perché i motorini erano tutti identici.
Quando parlo della scena dell’incidente, dunque, non mi riferisco tanto al fatto che si sia rispettato o meno lo stop: ove così fosse, infatti, sarebbe un fatto del tutto secondario che l’incidente si sia verificato o meno durante l’orario di lavoro e scatterebbero meccanismi diversi.
Quello che ho fatto è certamente un esempio eclatante, ma il discorso è proprio questo.

CURTO
Devo dire che, in linea di massima, in occasione di ogni infortunio che si verifica sulla strada vengono fatte verifiche anche sul mezzo.

PRESIDENTE
In realtà i controlli dovrebbero essere fatti anche quando il mezzo parte.

CURTO
Lei si riferisce ai controlli preventivi.

PRESIDENTE
Mi riferisco alla sicurezza.

CURTO
Diciamo che in qualsiasi ipotesi di incidente che si verifica sulla strada uno dei primi accertamenti riguarda proprio l’efficienza del mezzo. È chiaro che questo tipo di verifica comprende anche quello cui lei ha fatto riferimento.

PRESIDENTE
Non si tratta solo di verificare l’efficienza del mezzo, ma di come essa sia rapportata al soggetto.

CURTO
Dunque parliamo dell’adeguatezza del mezzo.

PRESIDENTE
La questione è quindi molto più complessa.
Abbiamo comunque già avviato con alcune procure un discorso di questo tipo, affinché venga meglio definita la scena generale dell’infortunio, senza che ci si limiti magari al singolo segmento.
Secondo i dati forniti dall’INAIL, in Friuli-Venezia Giulia gli incidenti in itinere risultano in diminuzione, in simmetria dunque con il dato generale; in altre Regioni però non è così, per cui c’è tutta una problematica specifica sulla quale noi abbiamo richiamato l’attenzione.
Se possibile, dottor Curto, le chiederei dunque la cortesia di aiutarci a delineare un quadro a questo riguardo, fornendoci eventualmente quei dati di cui ora non disponiamo, così da capire se in certi casi viene verificata già a monte, prima della partenza, l’adeguatezza del mezzo.

CURTO
Sul punto mi curerò di promuovere uno specifico incontro tra i procuratori del distretto, nell’ambito di quel calendario di riunioni che vengono periodicamente organizzate in procura per esaminare le problematiche comuni.

PRESIDENTE
Si tratterebbe per la verità di un approccio diverso, visto che in effetti non si verifica mai l’idoneità del mezzo o l’adeguatezza dello stesso rispetto al servizio svolto, alla persona, e quindi al genere e al peso.
Come ho detto anche prima, siamo rimasti veramente colpiti dal dato relativo al numero di incidenti mortali che hanno coinvolto postini e, di fronte a quella che è apparsa ai nostri occhi come una sorta di «strage», abbiamo voluto approfondire la questione.
La ringraziamo dottor Curto per il suo contributo e le auguriamo buon lavoro. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del direttore regionale dell’INAIL, del direttore regionale del lavoro e del direttore regionale del lavoro ad interim, del presidente dell’autorità portuale e del comandante della capitaneria di porto di Trieste

Intervengono il direttore regionale dell’INAIL, dottoressa Carmela Sidoti, il direttore regionale del lavoro, dottoressa Da Ronch, il direttore regionale del lavoro del Veneto nonché già direttore regionale del lavoro ad interim, dottor Michele Monaco, il presidente dell’autorità portuale di Trieste, dottoressa Marina Monassi, accompagnata dal segretario generale f.f. autorità portuale, dottor Walter Sinigaglia, e dal dirigente presso la direzione della sicurezza, dottor Fabio Rizzi, e il comandante della capitaneria di porto di Trieste, capitano di vascello Goffredo Bon, accompagnato dall’addetto alla sicurezza nella navigazione, tenente di vascello Paolo Margadonna.

PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono ora con l’audizione del direttore regionale dell’INAIL, del direttore regionale del lavoro e del direttore regionale del lavoro ad interim, del presidente dell’autorità portuale e del comandante della capitaneria di porto di Trieste, che ringraziamo per avere accolto il nostro invito.
La nostra presenza oggi qui a Trieste si inserisce nell’ambito dell’indagine che stiamo portando avanti sull’organizzazione che le Regioni si sono date in attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, in modo da capire se esistono o meno criticità, attraverso un confronto diretto con chi, come voi, opera direttamente sul territorio.
Quando c’è stata la riforma introdotta dal Testo unico, abbiamo puntato molto sul comitato regionale di coordinamento che in effetti, anche per la presenza di tutti i soggetti che concorrono comunque alla prevenzione e al contrasto degli infortuni e delle malattie professionali, è la sede in cui vengono definite le diverse iniziative e le strategie, instaurando in qualche modo anche un dialogo con il Governo centrale, attraverso le relazioni annuali, così da mantenere un rapporto costante.
È nostra intenzione cercare di capire meglio qual è l’organizzazione esistente sul territorio, perché ci sembra che sia un po’ questo il punto debole, e non mi riferisco ad una Regione in particolare: vi sono certamente Regioni in cui la situazione da questo punto di vista è più avanzata ed altre in cui non è così, ma ci sembra che, da un punto di vista generale, sia da registrare in questo senso una debolezza, soprattutto per quanto concerne lo scambio di dati e di informazioni.
Quella di cui oggi ci occupiamo è materia che rientra nella legislazione concorrente tra Stato e Regioni e ci sono alcune Regioni – per la verità non sono molte – che hanno già adottato leggi in materia nel rispetto dell’assetto quadro definito dal Testo unico, sia pur seguendo percorsi diversi. Anche da questo punto di vista vorremmo dunque capire meglio che cosa sta accadendo e conoscere le vostre riflessioni al riguardo.
Stiamo cercando di approfondire questi aspetti, così da sottoporre al Parlamento eventuali proposte ed iniziative di cambiamento, ove dovesse emergere una necessità in tal senso.
Vi è poi tutta la problematica delle autorità portuali, di cui invito sin d’ora i rappresentanti presenti a darci un quadro: si tratta in effetti di un mondo a sé stante – che ho tra l’altro il piacere di conoscere personalmente per altri miei impegni – e che forse sarebbe opportuno in qualche modo amalgamare un po’ a tutto il resto, aprendo i cancelli – per così dire – di questo specifico settore.
Cedo dunque la parola ai nostri ospiti.

SIDOTI
All’INAIL, come sappiamo, nel Testo unico è riconosciuta una funzione di facilitatore di percorsi che riguardano la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali; ha una competenza che riguarda la materia della formazione, dell’informazione e della consulenza, ma tutto questo è chiamato ad operare in una logica di sistema e, infatti, partecipa al comitato regionale di coordinamento ex articolo 7 alle cui riunioni è normalmente e puntualmente presente. Nell’ambito del comitato ex articolo 7 normalmente vengono presentate le iniziative in materia di prevenzione, partendo dal presupposto che l’INAIL ha su questo una competenza autonoma e gestisce anche un proprio budget economico che ogni anno viene assegnato a ogni direzione regionale. In base alla mappatura dei rischi presenti sul territorio può avviare delle iniziative di prevenzione facilitando il rapporto in particolare con gli organismi bilaterali. L’INAIL svolge anche un ruolo, che riteniamo importante, nel veicolare la cultura della prevenzione e in questo campo attua interventi abbastanza diffusi nel mondo della scuola con la consapevolezza che gli studenti di oggi saranno gli adulti e i lavoratori del domani.

PRESIDENTE
Noi conosciamo con quanto impegno l’INAIL svolge i suoi compiti, ma noi vorremo chiedere a lei e agli altri non quello che fate. Noi ci stiamo impegnando, per esempio, per un input venuto dall’INAIL per i bandi a sostegno di modifiche tecniche per una maggiore sicurezza nelle macchine su progetti che ha già fatto l’ISPESL, in modo particolare, in agricoltura. Ci stiamo impegnando con l’Unione europea per l’approvazione di un provvedimento di nostra iniziativa che eviti il cumulo di questi contributi relativi alla sicurezza, che altrimenti sfondano la soglia del de minimis. Quali sono, se ci sono, le problematicità? Noi ci auguriamo che non ci siano, però se ci sono vorremmo conoscerle, oltre ad iniziative particolari che si ritenesse utile sottoporre alla nostra attenzione. Per il resto diamo per scontato le attività di istituto che svolgete.

SIDOTI
Per l’anno 2012 abbiamo contribuito nell’ambito del comitato ex articolo 7 con un forte apporto finanziario di 94.000 euro sulla Regione Friuli-Venezia Giulia per un progetto condiviso per la formazione dei lavoratori nel campo della sicurezza. Abbiamo dei protocolli con le università e, in particolare, abbiamo finanziato un dottorato di ricerca bandito dall’Università di Udine sul tema dell’emergenza e della sicurezza nelle attività complesse per circa 51.000 euro. Il lavoro è stato presentato anche in sede internazionale. Proprio per favorire il percorso di conoscenza e la consapevolezza di operare in una logica di sistema con l’Università di Udine abbiamo finanziato un percorso seminariale per la costituzione della comunità dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Ogni anno viene fatto un aggiornamento costante per arricchire sul territorio la competenza di queste figure e, nello stesso tempo, incidere in modo fattivo sul percorso di prevenzione. Le malattie professionali si caratterizzano anche in questa Regione per una prevalenza delle malattie osteo-articolari. Per un’attuazione concreta della corrispondenza tra rischi concreti sul territorio e iniziative, abbiamo finanziato un assegno di ricerca in tema di disturbo muscolo-scheletrici. Questo lavoro è stato fatto con il dipartimento di medicina del lavoro dell’ateneo triestino. La collaborazione è abbastanza diffusa con le parti sociali e i rappresentanti di alcuni organismi bilaterali per la sicurezza sul lavoro nel campo dell’artigianato e della piccola e media impresa. Anche qui sono state raggiunte 52 imprese, per un totale di 428 lavoratori, un impegno economico nel 2012 di circa 60.000 euro. È un’iniziativa che prosegue anche per l’anno 2012 e che è già in programmazione per l’anno 2013, focalizzando l’attenzione sull’attuazione del sistema di gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese che sono quelle più difficili da raggiungere perché meno strutturate. Si vuole, quindi, operare in una logica che è anche sperimentale realizzando un progetto che dovrebbe coinvolgere varie imprese per tradurre questo tipo attività in apposite linee guida per comparti ben determinati (la meccanica e il legno, che in questa Regione hanno particolare rilevanza) da diffondere poi anche ad altre aziende. Con i comitati tecnici nell’edilizia c’è una collaborazione ripetuta negli anni che ha portato nel 2009 alla visita di 16 cantieri coinvolgendo in percorsi formativi 89 lavoratori, 8 cantieri e 45 lavoratori nel 2010 e 10 cantieri e 40 lavoratori nel 2011. Nell’ambito della scuola, l’INAIL con altri soggetti, in particolare con la Regione, ha operato proponendo alle scuole dei percorsi modulari opzionabili. Sulla base della specificità delle scuole – mi riferisco in particolare agli istituti tecnici – sono state interessate nel 2009 20 scuole, raggiungendo 598 studenti; 26 scuole per 781 studenti nel 2010 e 20 scuole per 1.212 studenti nel 2011. Sono tutte iniziative che proseguono. L’ASL 4 con Confindustria e vigili del fuoco nella sola Provincia di Udine ha effettuato un’iniziativa nell’ambito della scuola per percorsi riguardanti l’antincendio, le sostanze psicoattive e il pronto soccorso. Per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro sono state fatte visite nei cantieri coinvolgendo 2.280 ragazzi nel 2010, che si aggiungono a quelli che ho detto prima, e 1.350 nel 2011. Non abbiamo dati del 2012 perché non abbiamo concluso il percorso. Questa è la linea sulla quale si sta muovendo l’istituto nel Friuli-Venezia Giulia con un budget per questo tipo di iniziative che si aggira intorno ai 400.000 euro in una logica di compartecipazione – credo che sia noto al Ministero – in cui l’INAIL mette a disposizione, come gli altri partner, risorse finanziarie, strutture e professionalità in modo da poter operare in maniera congiunta radicando sul territorio la cultura della prevenzione. In particolare, per quanto riguarda la scuola, il progetto del 2013 prevede una consegna ai docenti dei pacchetti formativi che sono stati realizzati in modo che possono entrare a far parte del piano dell’offerta formativa (POF) annuale e in gestione diretta delle scuole, anche perché sappiamo che il Testo unico n. 81 del 2008 prevede che il percorso della cultura della prevenzione entri a fare parte del curriculum formativo delle scuole.

PRESIDENTE
Le iniziative che ci ha raccontato nascono all’interno del coordinamento regionale?

SIDOTI
Vengono portate al tavolo del coordinamento regionale, ma anche nell’ambito dell’INAIL operano un comitato consultivo regionale e provinciale, dove siedono rappresentanti sia della parte datoriale che dei lavoratori.

PRESIDENTE
Si evidenziano duplicazioni di luoghi di incontro che non sono utili perché aumentano il vostro impegno, diluiscono in modo significativo l’azione da portare avanti, quindi il nostro sforzo è volto a diffondere il messaggio che in ogni Regione esiste un luogo specifico deputato a svolgere, coordinare, orientare, approfondire e dirigere le attività che coinvolgono tutti i soggetti che ne fanno parte. Come lei sa, perché l’INAIL e la direzione regionale del lavoro ne fanno parte, per noi rappresenta un punto importante perché altrimenti tutte iniziative che si assumono, per quanto lodevoli, non si riesce a gestirle.

SIDOTI
Sono condivise nell’ambito del comitato ex articolo 7. Le attività deliberate nell’ambito del comitato tengono conto di quanto ogni ente sta facendo.

PRESIDENTE
Bisogna fare il contrario. L’impegno che la Commissione sta cercando di mantenere – non riuscendoci molto bene perché ognuno vuole andare per conto suo e questo certo non aiuta – è di portare sul territorio lo spirito e la filosofia sottese dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tenuto conto delle duplicazioni attualmente esistenti tra i soggetti interessati. Oltre ad un problema di competenze tra Regione ed altri soggetti, c’è poi una difficoltà che attiene all’orientamento, tenuto conto che ogni Regione fa riferimento al proprio assessorato di riferimento, in genere quello relativo alla sanità. Altre strutture, come quella da lei rappresentata o quella che fa capo alla direzione regionale del lavoro, fanno riferimento ad orientamenti diversi, legati ad una politica propria dei vostri istituti, che si coordinano ad un livello centrale, ma che poi si devono confrontare anche con le esigenze e le politiche specifiche del territorio alle quali la norma dà un’importante e significativa azione di orientamento.
Questo coordinamento dovrebbe diventare il crogiuolo della definizione delle attività da dispiegare sulle Province. Il comitato nasce a questo scopo. Tanto per fare un esempio, se io in qualità di comandante del vigili del fuoco le proponessi un’iniziativa da portare avanti in comune, la cosa sarebbe certamente lodevole, ma l’attività andrebbe comunque considerata in un contesto più generale per avere chiaro il quadro delle iniziative e delle attività. Noi ci stiamo sforzando su questo, ma non ci stiamo riuscendo perché ci scontriamo con una materia complessa e concorrente. Ci scontriamo con realtà che sono più o meno sensibili, con Regioni che hanno la potestà e sono in perfetta armonia con il dettato costituzionale di poter avere proprie leggi sul tema, rispettando ovviamente il quadro generale di riferimento. Questo complica notevolmente la situazione. La Commissione, dopo aver dato grande impulso all’applicazione concreta del decreto legislativo n. 81 del 2008, sta ora cercando di monitorare la situazione per capire come si debba procedere e di chiarire il senso del dibattito politico che ha portato prima all’approvazione della legge 3 agosto 2007, n. 123, e poi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Stiamo cercando di spiegare sul territorio lo sforzo che la Commissione ha fatto per arrivare a questo risultato, nonché all’espressione del parere reso dalle Commissioni di merito nell’aprile del 2008, nonostante si fosse a Camere sciolte. Noi abbiamo garantito, al di là delle sensibilità politiche di ognuno, che non cadesse ancora una volta nel nulla il grande sforzo che quella volta ha portato all’approvazione di un Testo unico. Nonostante questo, però , sul territorio la situazione non marcia.

SIDOTI
Sono perfettamente d’accordo sul fatto che sul territorio queste difficoltà sono presenti. Questo avviene perché ognuno di noi ha un’esigenza, nell’ambito della sua amministrazione, di programmazione diversa. Io faccio il mio esempio: a giugno di questo anno ho già predisposto la programmazione per il 2013. Siamo invece disallineati con la Regione sulla programmazione, cosa che ci crea chiaramente qualche difficoltà.
Va ripensata sicuramente l’organizzazione sul territorio, ferma restando ovviamente l’ottima collaborazione, la condivisione, a volte anche con un percorso – come dice lei – inverso, però sicuramente va quanto meno armonizzata la programmazione. Su questo non c’è dubbio.

MONACO
Sono stato il responsabile ad interim della direzione generale del lavoro del Friuli-Venezia Giulia fino al 30 settembre. Ho ricevuto quindi io il vostro cortese invito e sono qui con chi poi ha preso il mio posto dal 1º ottobre. Mi sembrava corretto, avendo vissuto i primi anni di insediamento e di funzionamento del comitato regionale, rispondere io, se la Commissione lo ritiene opportuno.

PRESIDENTE
A noi va benissimo, è la collaborazione che cerchiamo.

MONACO
Faccio un rapidissimo cenno sulla nostra struttura. Su un organico di 135 unità, abbiamo 78 ispettori e 10 componenti dei nuclei dei carabinieri. Il numero per la verità scende a 69 come teste effettive da impegnare sul campo.

PRESIDENTE
Diceva 69 ispettori amministrativi?

MONACO
Abbiamo 7 ispettori tecnici.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, lo dico a lei e anche al direttore che la sostituirà: cerchiamo di favorire la mobilità di passaggio, perché abbiamo una sperequazione tra ispettori tecnici e ispettori amministrativi e non è possibile questa cosa. Questo accade in tutta Italia, non solo qui, è proprio una differenziazione enorme. Dato che vi è possibilità di transito, certo condizionato all’assunzione di competenze, chiedo anche a voi cortesemente di attenzionare. La mobilità non è un fatto obbligatorio ma volontario; però da questo punto di vista andrebbe bene fare un po’ di proseliti.

MONACO
Devo dirle che (anche in questo caso, come dice la collega, non per piaggeria ma per necessità; abbiamo dovuto fare di necessità virtù ) ci siamo un po’ riciclati. Ad esempio, a Gorizia non c’è neanche un ispettore tecnico, definendo per tale non solo chi abbia questa qualifica, che è una qualifica anche contrattuale, Presidente (ma lei conosce bene la storia di tale qualifica), ma abbia anche delle particolari competenze di tipo tecnico. Abbiamo in qualche modo riciclato laureati in giurisprudenza in possibili esperti in materia di vigilanza tecnica.
Lei sa che la fetta di attività che maggiormente ci deve interessare sotto questo profilo è quella della vigilanza nei cantieri edili, perché è l’unica che abbiamo riconosciuto per norma. Sotto questo profilo, Presidente, abbiamo cercato di utilizzare il comitato regionale proprio come punto di coagulo di un dialogo sia di pianificazione che di azione sinergica a respiro un po’ più ampio, perché in realtà ci è sembrata essere quella l’unica sede disponibile per avere un dialogo globale con le aziende sanitarie locali, che come noi sul territorio sono abbastanza divaricate sia come consistenza dell’organico, sia come aspirazione ad un’azione sinergica.
Quindi noi, per tutti e tre gli anni 2010, 2011 e 2012, abbiamo fatto pervenire per tempo una nostra pianificazione di quell’attività che in qualche maniera si poteva fare in congiunta; attività che si poteva fare in congiunta per due ordini di motivi, Presidente: in primo luogo, proprio per coprire alcune nostre deficienze in termini di competenza. Un conto è che la visita sul cantiere si effettui con il geometra, con l’ingegnere, un altro conto che si effettui con il laureato in giurisprudenza. Quindi abbiamo cercato di favorire il più possibile le sinergie operative, anche per evitare le duplicazioni. In Regione francamente dalla parte datoriale non ci sono state rappresentate preoccupanti situazioni appunto di duplicazione di attività.
In secondo luogo, a dire il vero esiste un buon coordinamento di ispettori tecnici in tema di edilizia, che si riunisce periodicamente e al quale partecipiamo attivamente attraverso la presenza di due nostri ispettori tecnici, che insieme ai colleghi delle aziende sanitarie tendono a trovare quelle linee di comportamento omogeneo che talvolta sono un po’ croce e delizia di questa attività concorrente. In certi casi loro sanno che prevale l’approccio vigilante, in altri può prevalere invece l’approccio prevenzionistico.

PRESIDENTE
L’attività concorrente non c’entra con questi due atteggiamenti.

MONACO
No, assolutamente.

PRESIDENTE
È sussidiaria.

MONACO
È possibile che si realizzi.
Un altro aspetto, che è servito strada facendo e che abbiamo riversato nel comitato con fortune alterne, ha riguardato la problematica della vigilanza nei cosiddetti siti confinati, sulla quale francamente ci siamo voluti impegnare in maniera molto forte per le ripercussioni drammatiche che sono ben note alla Commissione. Quella è una materia nella quale obiettivamente non potremmo neanche entrare, ma vi è tutta la problematica degli appalti e dell’assenza quasi totale di qualificazione professionale da parte di molti addetti, quindi non ci sembrava assolutamente né corretto né coerente con la finalità dell’iniziativa rimanerne fuori. Abbiamo cercato di cavalcare ogni possibile percorso per muoverci insieme, con alterne fortune; in alcune realtà provinciali la sinergia è massima, ma è anche una questione di disponibilità di uomini.
Un altro aspetto sul quale abbiamo ricercato, all’interno del comitato, il massimo possibile di condivisione, è quello delle operazioni di allestimento e disallestimento delle impalcature e quant’altro. Proprio Trieste in questo senso ha vissuto un’esperienza molto dolorosa, in occasione dell’allestimento di un palco in cui ha addirittura perso la vita un lavoratore. Anche in quel caso abbiamo cercato di muoverci con il massimo della tempestività, ricercando il massimo della condivisione con tutti. Ripeto, luci e ombre su questi fronti, ma sempre impegnandoci a seguire la situazione con molta determinazione.

PRESIDENTE
I magistrati si sono avvalsi di voi per quell’indagine?

MONACO
No, il magistrato si è avvalso dell’azienda sanitaria locale. Noi abbiamo fatto la nostra parte che ci ha permesso di operare al meglio anche in quella situazione, al di là dei nostri confini di competenza.
Presidente, visto che lei ci ha chiesto di fare da cassa di risonanza, mi permetto di sottolineare che forse anche alcune barriere rispetto alla competenza andrebbero in qualche modo riviste.

PRESIDENTE
Ma è importante anche la programmazione che fa il Ministero. Come diceva prima la dottoressa Sidoti, si sta parlando di programmazioni diverse, realizzate con tempi diversi. A questa forma di coordinamento puntiamo molto ed in quest’ottica cerchiamo di fare chiarezza per capire meglio se qualcosa sia ancora da modificare.

MONACO
Un limite nelle nostre competenze l’abbiamo trovato proprio toccando questi due nervi scoperti. Loro me lo insegnano, i nervi scoperti – siti confinati, attività di allestimento e disallestimento – vanno a toccare proprio quell’ambito della logistica allargata, quindi il trasporto e la pulizia, in cui obiettivamente almeno in questi territori forse si annida il rischio maggiore, perché questi sono territori che tutto sommato hanno una buona propensione alla regolarità, sia contributiva che occupazionale. Dover a tutti i costi ricercare la sinergia perché il soggetto sottoposto all’accertamento ti può «pizzicare» proprio sull’incompetenza diventa particolarmente complicato.

BON
Sono il direttore marittimo della Regione Friuli-Venezia Giulia da poco tempo. Anche se ho assunto l’incarico soltanto da una settimana, conosco comunque la realtà locale in quanto provengo da queste zone. Inoltre, prima di essere trasferito a Roma sono stato per due anni comandante in seconda in questa sede.
La nostra è una competenza purtroppo limitata.

PRESIDENTE
È esclusiva.

BON
Esclusiva per gli ambiti portuali ovviamente, però limitata, perché possiamo procedere all’accertamento della violazione ma non alla contestazione ed irrogazione della sanzione amministrativa. Questo è un grosso limite che dovrebbe essere superato a livello normativo.
La disciplina base di riferimento è contenuta nei due decreti legislativi n. 271 e n. 272 del 1999, che si applicano al lavoro negli ambiti portuali e a bordo delle unità navali battenti bandiera italiana, ma che interessano il lavoratore italiano anche quando si occupa delle operazioni di carico e scarico a bordo di una nave battente bandiera straniera: c’è dunque da valutare anche il caso in cui sulla nave straniera salga un operatore italiano.
Alla normativa quadro di riferimento in materia di sicurezza sul lavoro contenuta nel decreto legislativo n. 81 del 2008, si affianca dunque per il nostro settore la normativa specifica di cui ai due decreti che ho appena richiamato. Proprio in forza di questa normativa specifica noi operiamo negli ambiti portuali; non operiamo, invece, nei bacini di carenaggio di grandi cantieri (Fincantieri, ad esempio), anche se demaniali marittimi. In effetti, pur essendoci bacini che sono aree demaniali marittime – oltre a Trieste, penso a Castellammare di Stabia o a Genova – questi vengono dati però in uso a cantieri privati nella forma della concessione e su queste aree noi non mettiamo becco, neppure sulle navi in allestimento, e questo è un altro problema che va evidenziato.
Per quanto riguarda poi i controlli – si tratta soltanto di attività di accertamento – noi operiamo presso i tre porti commerciali della Regione Friuli-Venezia Giulia, rispettivamente con sette operatori nel porto di Trieste – che fanno parte di un nucleo operativo di intervento portuale – con tre operatori nel porto di Monfalcone e con due operatori nel porto di Porto Nogaro.
Nel porto di Trieste ovviamente c’è l’autorità portuale, essendo un porto a rilevanza internazionale e storica indiscussa. Gli altri due porti hanno invece una valenza, per così dire, ancora non definita perché, se è vero che da un punto di vista commerciale agiscono a livello internazionale, sotto il profilo più strettamente gestionale – specialmente con l’ultima legge varata dalla Regione sulla portualità regionale – possono essere definiti porti a valenza regionale. Sul punto forse bisognerebbe fare chiarezza e spero che la proposta di riforma della legge n. 84 del 1994, approvata dal Senato e ora all’esame della Camera, intervenga una volta per tutte sulla classificazione dei porti, altrimenti non andiamo più avanti da nessuna parte.

PRESIDENTE
Il provvedimento che lei ha richiamato è stato il risultato di un lavoro lungo ed impegnativo, durato quasi quattro anni.

BON
Lo sappiamo bene, perché lo abbiamo seguito con attenzione.
Come dicevo, con il numero di operatori che ho ricordato prima – dunque sette, più tre, più due – effettuiamo i controlli. Ho qui con me una relazione, che consegnerò poi agli atti, in cui sono indicati i dati riferiti ai controlli operati nel corso del 2011, che hanno portato a 30 verbali di accertamento per eventi infortunistici, suddivisi per specialità. Ricordo che il verbale di accertamento viene consegnato alla ASL, che provvede poi alla contestazione e all’irrogazione della sanzione.
Per quanto riguarda specificamente la competenza penale, chiaramente è indiscussa: se c’è un fatto che non costituisce illecito amministrativo, ma che assume invece rilievo penale, in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria noi inoltriamo immediatamente la notizia di reato all’autorità giudiziaria. A questo proposito voglio dire che, se oltre ad effettuare i controlli avessimo anche la possibilità di irrogare la sanzione, sarebbe sicuramente meglio.

PRESIDENTE
La questione ci è nota e come Commissione ci stiamo attivando, anche perché già in altre occasioni abbiamo avuto modo di audire suoi colleghi che hanno evidenziato questa stessa problematica.
Speriamo di poter avere il tempo di fare qualcosa visto che, come lei saprà, la questione dei porti ha avuto un lungo periodo di gestazione, salvo essere poi rilanciata grazie al lavoro portato avanti dal senatore Grillo, presidente dell’8ª Commissione del Senato, di cui io stesso sono membro.
Cercheremo comunque di richiamare nuovamente l’attenzione sul tema della mancanza dell’attività sanzionatoria delle capitanerie di porto, visto che al momento disponete, per così dire, di un’arma un po’ spuntata.

MONASSI
Buongiorno a tutti, sono Marina Monassi, dal 20 gennaio 2011 presidente dell’autorità portuale di Trieste. Mi accompagnano il segretario generale dell’autorità portuale, dottor Walter Sinigaglia, ed il dirigente presso la direzione della sicurezza, dottor Fabio Rizzi, insieme ai quali, con un’alternanza nel tempo nei vari compiti, posso dire di aver visto nascere l’autorità portuale di Trieste. Io stessa in passato sono stata responsabile della sicurezza, compito che ora è svolto dal dottor Rizzi, mentre il dottor Sinigaglia ha sempre svolto ruoli di tipo operativo.
Non voglio tediare ulteriormente la Commissione, perché i colleghi che sono intervenuti hanno già detto tantissimo, ma ci tengo a ricordare che all’inizio ci siamo occupati di dare applicazione al decreto legislativo n. 626 del 1994 e poi alla legge n. 84 del 1994, con la trasformazione dell’ente autonomo in autorità portuale. In particolare, anche attraverso regolamenti interni ed ordinanze, nonché attraverso libri e pubblicazioni, abbiamo cercato di gestire i controlli nei grandi cantieri.
Nel corso del tempo ci siamo trovati purtroppo anche a gestire fenomeni infortunistici pesantissimi, come quelli che hanno coinvolto chi svolgeva a bordo delle navi lavori con le fonti termiche. In particolare, quando abbiamo iniziato a gestire il lavoro portuale, ci siamo trovati di fronte ad infortuni terribili nei terminal contenitori, con il coinvolgimento – per lo più nei giorni festivi – di giovani lavoratori che, come abbiamo avuto modo di rilevare in questi anni, sono quelli maggiormente esposti ai rischi legati alla disattenzione.
Si tratta di un tema molto sentito, rispetto al quale abbiamo tentato di sensibilizzare nel tempo gli operatori del settore, perché tanti anni fa non esisteva una mentalità di questo tipo. Questa azione si è concretizzata nell’aprile del 2008, con il mio predecessore – c’era comunque sempre il dottor Rizzi, a dimostrazione del fatto che non disperdiamo il patrimonio di conoscenze acquisite – in un protocollo che ha anticipato sostanzialmente i contenuti del decreto legislativo n. 81. Abbiamo cercato pertanto di mettere insieme tutta una serie di attività di coordinamento, sia pure nel piccolo: importantissima, per esempio, è l’attività di gestione, condotta quasi porta a porta, tra l’ufficio sulla sicurezza e quello del rappresentante dell’ASL, per cui da un punto di vista strettamente operativo tutte le attività che si stanno ponendo in essere vengono gestite insieme.
Per quanto riguarda specificamente il nostro lavoro, abbiamo tante imprese differenziate: ai terminalisti che gestiscono i terminal più importanti, ad esempio, chiediamo il documento unico di valutazione di rischi interferenti (DUVRI). Abbiamo 33 imprese portuali e 18 servizi portuali, con l’obbligo di emissione del documento unico valutazione rischio (DUVR) e di successiva trasmissione poi all’Azienda per i servizi sanitari 1 «Triestina», oltre a tutta una serie di adempimenti necessari per la gestione del controllo.
Abbiamo inoltre un nucleo ispettivo efficiente, grazie anche alla presenza storica di alcuni dirigenti quadro. Indubbiamente risentiamo della mancanza di un ricambio generazionale, vista l’impossibilità di assumere giovani. La mia generazione doveva essere infatti in uscita, ma purtroppo, a causa del blocco delle assunzioni, si sta determinando un invecchiamento spaventoso del personale interno all’autorità portuale. Siamo per la verità una delle poche aziende che hanno assunto giovani con contratto a tempo determinato, avviando da subito un processo di formazione, perché riteniamo sia importante che vengano trasmesse le conoscenze da parte di chi ha vissuto certe esperienze.
Un altro aspetto che ci tengo comunque a sottolineare è che, al di là delle statistiche che abbiamo fatto internamente, ad oggi manca ancora a livello nazionale una possibilità di confronto tra le varie autorità portuali. All’interno di Assoporti come comitato direttivo ci si sta ponendo il problema, proprio al fine di rendere possibile un confronto al riguardo: ciò rappresenterebbe un sicuro arricchimento da portare poi anche all’interno delle singole aziende.
Quanto ai dati emersi dagli accertamenti compiuti negli ultimi tre anni, non sono buoni, ma non sono neppure così orribili come in passato; spesso sono dovuti alla mancanza di collaborazione con la nave terminalista o le imprese che hanno i cantieri, che in molti casi non sono proprio attente. Molti infortuni sono da ricondurre proprio a questi fatti e ci sono analisi che sono state condotte dai nostri uffici in tal senso e che siamo pronti a mettere a disposizione della Commissione, ove volesse farli propri.

PRESIDENTE
Se avete dei dati, saremo ben lieti di acquisirli, visto che l’attività portuale rappresenta un po’ «una zona franca», ed uso questo termine in modo improprio per dire che si tratta di una realtà a sé stante, che non si confronta con l’esterno.
Quello dei porti è un problema piuttosto serio, perché vi sono competenze diverse e spesso diventa difficile capire i confini dei differenti ambiti di competenza; ci sono poi le competenze specifiche della capitaneria di porto. Ci stiamo rendendo conto che forse, dal punto di vista della continuità del lavoro, sarebbe opportuno approfondire meglio questo aspetto. Per la verità abbiamo avuto occasione già in altre Regioni di svolgere riflessioni molto simili; del resto credo che, al di là della specificità, vi siano un po’ in tutti i porti gli stessi problemi.
Se possibile, vorrei avere soltanto un ultimo chiarimento: vorrei sapere che tipo di attività svolgete come Assoporti a questo riguardo.

MONASSI
Per il momento si è tenuta una riunione del direttivo dei Presidenti. Oggi c’era un’altra riunione a Genova, nell’ambito di un programma di riunioni itineranti, alla quale io non ho preso parte, non volendo rinunciare a questa audizione: ho comunque assicurato che avrei portato il mio contributo in settimana a Roma.

PRESIDENTE
Se non ci sono obiezioni, ritengo che sarebbe utile per il nostro lavoro audire in Senato anche i rappresentanti di Assoporti, in modo da capire un po’ meglio certi aspetti che vanno comunque approfonditi: forse questo è il momento giusto per farlo, così da precisare anche i rispettivi compiti. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del comandante regionale dell’Arma dei carabinieri e del direttore regionale dei vigili del fuoco

Intervengono il comandante regionale dell’Arma dei carabinieri, generale di brigata Luciano Zubani, accompagnato dai responsabili territoriali dei nucleo dei carabinieri per la tutela del lavoro di Trieste, maresciallo capo Antonio Di Corato, di Udine, maresciallo Vito Costantino, di Gorizia, maresciallo capo Vincenzo Di Lorenzo, di Pordenone, maresciallo Martino Mancini, e il direttore regionale dei vigili del fuoco del Friuli-Venezia Giulia, ingegner Tolomeo Litterio.

PRESIDENTE
È ora prevista l’audizione del comandante regionale dell’Arma dei carabinieri, generale di brigata Luciano Zubani, accompagnato dai responsabili territoriali dei nucleo dei carabinieri per la tutela del lavoro di Trieste, maresciallo capo Antonio Di Corato, di Udine, maresciallo Vito Costantino, di Gorizia, maresciallo capo Vincenzo Di Lorenzo, di Pordenone, maresciallo Martino Mancini, e del direttore regionale dei vigili del fuoco del Friuli-Venezia Giulia, ingegner Tolomeo Litterio.
Stiamo svolgendo questa azione di approfondimento e di conoscenza nelle varie Regioni italiane proprio per cercare di capire un po’ meglio le problematiche legate anche – se vi sono e mi sembra che sia così – al Testo unico e, quindi, alle competenze delle singole realtà istituzionali sul territorio e soprattutto per creare un amalgama maggiore. Noi puntiamo molto sul coordinamento regionale perché è l’unica struttura che possa dare uniformità ed elimini duplicazioni nell’attività di prevenzione e contrasto. Queste occasioni che stiamo ripetendo in tutte le Regioni ci daranno l’opportunità alla fine di avere un quadro che può far sì che il Parlamento possa orientarsi sulle iniziative che vorrà prendere, non so se in questa legislatura perché i tempi sono noti. Noi abbiamo comunque il dovere di lasciare uno spaccato della situazione del contrasto alle malattie e agli infortuni sul lavoro.

ZUBANI
Volevo ricapitolare l’organizzazione operativa dei carabinieri in questa specifica materia. Sono presenti i quattro rappresentanti dell’Arma dislocati presso i quattro ispettorati del lavoro della Regione (Pordenone, Udine, Trieste e Gorizia).

PRESIDENTE
In tutto quanti sono?

ZUBANI
La forza organica è di tre per ogni ispettorato (un maresciallo, un brigadiere e un appuntato); allo stato attuale qualcuno ha una forza effettiva di due. I nuclei operano alle dipendenze funzionali del direttore territoriale del lavoro e l’Arma territoriale dei carabinieri garantisce l’intelligence sul territorio, operando in stretta collaborazione e connessione con i nuclei. L’organizzazione territoriale per quanto riguarda la Regione Friuli-Venezia Giulia è formata da: comando di legione con sede in Udine (che io reggo), da quattro comandi provinciali (Trieste, Udine, Gorizia e Pordenone), 15 comandi di compagnia e 113 comandi di stazione.
È l’intelligence perché dagli stretti legami tra l’ambito territoriale e l’organizzazione degli ispettorati deriva l’attività operativa sul territorio (lascio una brochure che è stata inviata dal loro comando). L’attività operativa può essere così sintetizzata, con riguardo ai primi nove mesi di questo anno: sono state ispezionate 375 aziende e in 125 di esse (33,4 per cento) sono state riscontrate delle irregolarità. I controlli hanno interessato soprattutto il settore edile e sono stati 175 (di cui 66 nell’industria, 62 nel settore alberghiero e nei pubblici esercizi e 26 nel commercio). Sono stati intervistati 1.172 lavoratori, di questi 205 erano stranieri, 1.110 erano regolari, 27 irregolari e 135 quelli in nero. Alla fine di questa brochure ci sono due pagine con tutti i dati statistici relativi all’attività. Per quanto riguarda il recupero di contributi e le sanzioni comminate sono state recuperate evasioni contributive per 146.396 euro. Per quanto riguarda la previdenza sociale in 228 casi, con 231 sanzioni dirette, sono state contestate sanzioni per 401.000 euro. A questo si affianca una vigilanza tecnica per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, la salute e la dignità delle maestranze. Sono state eseguite 71 ispezioni complessive. Di queste 50 si sono concluse con prescrizioni; quattro hanno comportato la sospensione dell’attività, avendo scoperto 22 lavoratori in nero e sono state contestate 50 ammende pari a 30.000 euro circa. Un’altra cosa che vorrei esaltare è che sull’onda di una consolidata tradizione, nel periodo da maggio a fine settembre si è svolta, sempre in stretta collaborazione e cooperazione tra gli ispettori e l’Arma territoriale, una serie di attività per quanto riguarda il settore edilizio, denominate «Mattone sicuro», che hanno portato a questi risultati: sono stati ispezionati 40 cantieri edili; per tre sono state sospese le attività cantieristiche avendo scoperto 12 lavoratori in nero e sono state deferite all’autorità giudiziaria nove persone responsabili di 17 violazioni. Questi sono i dati consolidati perché l’attività è stata sicuramente molto più importante di quello che ancora non è ancora consolidato, in quanto dalle 111 ispezioni è emerso che 48 erano le aziende irregolari, 23 erano i lavoratori regolari, 15 in nero. Ci sono stati cinque provvedimenti di sospensione, un sequestro, 57 violazioni prevenzionistiche e 46 persone deferite all’autorità giudiziaria. Questi dati non sono consolidati.

PRESIDENTE
La ringrazio generale per gli elementi che ci ha dato e che rappresentano un importante impegno. Conosciamo quanto viene svolto dall’Arma dei carabinieri e dal nucleo specifico preposto presso gli uffici provinciali del lavoro, che poi non sono solamente i tre carabinieri che stanno lì perché dietro c’è tutta un’organizzazione territoriale e capillare e, quindi, c’è un controllo del territorio effettivo. Io volevo chiederle: da queste ispezioni sono emerse presenze di malavitosi?

ZUBANI
Non risulta. La problematica connessa alle infiltrazioni di organizzazioni malavitose o che vengono da determinate aree criminali al momento non è stata riscontrata.

MARAVENTANO
L’attività che svolgete fa onore alla vostra posizione, ma volevo sapere se esiste in questa Regione un fenomeno di sfruttamento minorile.

ZUBANI
Non risulta dai dati in mio possesso.

PRESIDENTE
È uno dei temi che stiamo affrontando come approfondimento della Commissione. Cerchiamo di acquisire dati nel momento in cui abbiamo l’occasione di confrontarci perché siamo convinti che il confronto diretto sia il modo migliore per capirsi e colloquiare.

ZUBANI
L’unico fenomeno che ha punti di contatto con la specifica problematica è l’accattonaggio, anche perché qui abbiamo una popolazione rom o sinti abbastanza numerosa, anche se sono sempre meno quelli che vivono nei campi e sempre più quelli che vivono in abitazioni. Però esiste ancora il ricorso all’accattonaggio di minori. È l’unico fenomeno.

LITTERIO
Presidente, questo è il terzo incontro che abbiamo. Ci siamo visti a Bologna e Venezia.

PRESIDENTE
Da quando è qui?

LITTERIO
Due anni. Ci siamo incontrati a Bologna perché c’era stato un evento particolare alla Marconi Gomma e a Venezia per motivi di indagine.
La nostra organizzazione si basa sull’attività di prevenzione degli incendi come attività istituzionale e, nell’ambito delle competenze che ci sono state date dal Testo unico, effettuiamo anche attività di prevenzione infortuni ma sempre legata al fenomeno incendio, sia sotto l’aspetto preventivo che di verifica delle misure di protezione che consentano la salvaguardia della vita umana e la prevenzione dell’infortunio anche quando l’incendio si verifica. Sul campo l’attività è svolta dai comandi provinciali dei vigili del fuoco, mentre la direzione regionale ha un compito di coordinamento e controllo. I comandi provinciali dei vigili del fuoco del Friuli-Venezia Giulia hanno sede nelle quattro Province e svolgono una serie di adempimenti relativi a questi controlli.
I primi riguardano l’esame dei progetti delle attività a rischio di incendio, attività che sono normate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 151 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del settembre dell’anno scorso, quindi abbastanza recente, che ha modificato in parte la normativa precedente e che stabilisce appunto che i titolari delle attività a rischio incendio siano soggetti alla presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività. Questa è la modifica principale. Precedentemente dovevano richiedere l’esame del progetto e poi, a stabilimento realizzato, dovevano chiedere il sopralluogo di prevenzione incendio. La modifica intervenuta prevede che si presenti una segnalazione certificata di inizio attività, dopodiché l’attività può iniziare. Il nostro lavoro è quello di esaminare i progetti delle attività che sono a rischio più elevato e di fare il sopralluogo in questi tipi di attività, mentre per quelle classificate a rischio medio o basso l’esame del progetto o non è previsto per niente e altrettanto il sopralluogo – ma si acquisisce esclusivamente questa segnalazione – oppure si fanno delle verifiche a campione. Questo significa che il nostro lavoro punta maggiormente sulle attività a maggior rischio.
In Regione sono stati svolti (vorrei fornire dei dati semplici soprattutto sulla parte controllo e sopralluogo, quindi sul controllo sul posto), nel primo semestre di quest’anno, 75 sopralluoghi in attività del cosiddetto elenco C, cioè le attività a rischio elevato,...

PRESIDENTE
Quelle obbligatorie.

LITTERIO
...e 81, quindi un pari numero, in quelle a rischio più basso, per le quali il nostro Ministero ci ha imposto una percentuale minima del 5 per cento.

PRESIDENTE
A che percentuale è arrivato?

LITTERIO
Il dato 81 significa che alcune Province fanno quasi il 100 per cento e altre il 10 per cento. Quindi comunque superiamo il 5 per cento.

PRESIDENTE
Come organizzazione territoriale deve riequilibrare il dato.

LITTERIO
È tanto vero quello che lei dice che, infatti, una delle attività che svolgo è proprio quella di tenere delle riunioni periodiche o delle videoconferenze, in modo da spingere laddove c’è da spingere.
Però va aggiunto un altro dato: facciamo un’attività di controllo a campione con campagne mirate annuali su attività specifiche che il Ministero dell’interno ci indica di anno in anno. Per quest’anno il controllo era individuato per i cantieri e le aziende agricole, mentre l’anno scorso – se non erro – per le scuole e le attività commerciali, i supermercati. Ne abbiamo fatti 79, quindi pari più o meno alle altre tipologie. Il numero delle attività da controllare viene sempre stabilito dal Ministero dell’interno in base all’archivio che abbiamo e in questo caso diciamo che si sono ribilanciate un po’ fra le Province, cioè chi ne aveva fatte di meno con il campione della SCIA poi ne ha fatte un po’ di più con quest’altra tipologia di controllo.
Inoltre abbiamo avviato – è una novità di quest’anno – una serie di sopralluoghi con gli enti che fanno parte del comitato regionale di coordinamento e di vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro, il comitato che era già previsto con il decreto legislativo n. 626 ed è operativo anche con il decreto legislativo n. 81.
Il comitato ha recepito una nostra proposta di effettuare sopralluoghi congiunti principalmente fra noi, ASL e direzione del lavoro, per cui a livello provinciale si incontrano dei tavoli operativi e stabiliscono dove e quando andare a fare i sopralluoghi a sorpresa. Noi partecipiamo laddove ci sia un rischio incendio; il tavolo si differenzia a seconda se si vuole andare a cercare un determinato obiettivo che può essere un bar, che a noi non interessa, o altro tipo di attività dove magari siamo più utili.
Infine, a livello regionale, effettuiamo l’attività istruttoria per le aziende a rischio di incidente rilevante. In Regione quelle sotto il nostro controllo (quelle di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334) sono 20, non poche per una Regione abbastanza piccola, mentre sono 15 quelle di cui all’articolo 6, cioè sottoposte al controllo della Regione e a quello dei comitati provinciali per la prevenzione incendi. Fino a quando la Regione non si doterà di una legge per fare effettivamente essa stessa questo tipo di attività, abbiamo temporaneamente (ormai dal 1988) la presidenza del comitato tecnico regionale che effettua queste istruttorie e in questo ambito sono previsti i sopralluoghi presso tutte queste aziende, periodici ma comunque abbastanza frequenti.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda i comitati regionali di coordinamento, di cui anche i vigili del fuoco fanno parte, come si organizzano, come vengono organizzate le riunioni, come si delineano le priorità di azione e di intervento?

LITTERIO
Il comitato ha una sua presidenza e una sua segreteria presso la Regione Friuli-Venezia Giulia. Effettua le convocazioni, mette all’ordine del giorno le proposte che possono pervenire direttamente dalla presidenza o dai singoli componenti. Dopodiché si sviluppa una discussione e, come per esempio nel caso della nostra proposta di effettuare i sopralluoghi congiunti nei cantieri e nelle aziende agricole dove già dovevamo andare, si arriva ad una conclusione che nel caso in esempio fu quella di demandare ai tavoli operativi provinciali l’individuazione dell’attività e del lavoro pratico.

PRESIDENTE
Tra l’altro, i tavoli provinciali sono previsti.

LITTERIO
Sì, è stata demandata a loro la pratica messa in atto della decisione.

PRESIDENTE
Lei vede amalgama in questo coordinamento? Non glielo dico perché sto facendo un’attività investigativa, ma solamente per capire l’armonia.

LITTERIO
Con molta sincerità devo dire che il tavolo si riunisce, che io ricordi, in media due o tre volte l’anno. Nel momento in cui ci si riunisce, effettivamente più che amalgama direi che c’è una forte partecipazione. Ci sono le componenti sindacali che chiaramente spesso e volentieri hanno richieste da fare; ci sono alcuni enti che partecipano di più alla vita perché sono interessati proprio come attività principale della loro missione istituzionale, che presentano spesso studi e statistiche interessanti per capire per esempio dove il fenomeno dell’infortunio sul lavoro o della malattia professionale – il tavolo si interessa molto anche di questi argomenti – è più da mettere sotto controllo.
Allo stato attuale, tranne forse – ripeto – un numero abbastanza esiguo di convocazioni, non vedo assolutamente motivi di problematiche interne. Il tavolo operativo lavora molto, quello sì. Noi partecipiamo anche al tavolo operativo e quello ha senz’altro una frequenza di incontri superiore.

PRESIDENTE
Vi ringrazio della collaborazione e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono il segretario regionale della CGIL Friuli-Venezia Giulia, dottor Franco Belci, il componente segreteria regionale CISL FriuliVenezia Giulia, signor Renato Pizzolitto, il segretario regionale della UIL Friuli-Venezia Giulia, dottor Giacinto Menis, il segretario regionale della UGL Friuli-Venezia Giulia, dottor Matteo Cernigoi, accompagnato dal componente regionale della commissione permanente per la sicurezza nei luoghi di lavoro, signor Euro Silvestri, il segretario regionale della CISAL, avvocato Roberto Crucil, accompagnato dal dirigente CISAL in ambito INAIL, signora Marzia Lugnani.

PRESIDENTE
La Commissione d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro è qui a Trieste in quanto sta svolgendo un’indagine in tutte le Regioni italiane per capire, a quattro anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81, secondo le forze sociali (ma anche gli altri soggetti istituzionali che abbiamo audito e continueremo ad ascoltare), quali siano le problematicità e se sia necessario focalizzare l’attenzione su altri aspetti, per fare un quadro della situazione. Voi in modo particolare, che avete un punto di osservazione molto interessante, spero ci possiate fornire degli elementi in tal senso.

BELCI
È un dato positivo quello dal quale partiamo, nel senso che sulla base degli ultimi dati, che si riferiscono peraltro al 2010, abbiamo registrato un importante calo del numero degli infortuni, il 3,6 per cento rispetto ad una media nazionale che si attesta attorno al 2 per cento. È un dato ovviamente molto incoraggiante, tant’è che mi pare che la nostra sia la seconda Regione assieme al Piemonte ad aver conseguito questo risultato, che va però analizzato al netto del calo degli occupati. Infatti nel 2007-2008 avevamo circa 521.000-522.00 occupati, mentre ad oggi si è determinato un calo di 24.816 occupati, pari quindi al 4,77 per cento. Sostanzialmente bisogna fare una tara di un punto rispetto ai dati sugli infortuni, perché è ovvio che meno persone lavorano, meno infortuni ci sono; minore è l’attività produttiva, meno problemi ci sono.
Credo che in questa Regione qualcosa si sia fatto, ma più nelle sedi istituzionali, fuori dall’ente Regione, che non al suo interno. Come voi certamente saprete, abbiamo un tavolo permanente con la prefettura dal 2005; un tavolo che ha lavorato bene, ha fatto un importante accordo nel 2008 per il porto di Trieste. In seguito ad un incidente gravissimo, c’era stato uno sciopero molto prolungato; si è riusciti a raggiungere un accordo molto articolato. Dobbiamo dare atto a tutto il tavolo, in particolare al prefetto che l’ha coordinato, del risultato conseguito.
L’altro aspetto che volevo evidenziare è che laddove siamo riusciti a fare accordi aziendali il numero di infortuni è calato. Non sempre è facile fare accordi aziendali, anzi prevalentemente è difficile, perché per fare accordi aziendali e cercare di diminuire il numero degli infortuni è inevitabile andare a toccare nervi sensibili per le aziende, le organizzazioni del lavoro e la quota di lavoro straordinario.
Abbiamo due criticità, una prima fisica che attiene proprio al numero degli incidenti e che riguarda Fincantieri, dove abbiamo avuto – se non sbaglio – tre incidenti mortali e uno gravissimo negli ultimi quattro anni; tutti gli incidenti hanno riguardato gli appalti. Noi abbiamo chiesto a Fincantieri, per il momento senza grandi risultati, un controllo molto stringente sulle aziende e sulle modalità di lavoro degli appalti. Era intervenuta anche la Regione. L’ambizione che avevamo era quella di produrre un accordo come quello fatto nel 2008 per il porto perché la strutturazione fisica del cantiere ha alcune analogie, ma per adesso questo risultato non si è ottenuto.

PRESIDENTE
Cosa non avete ottenuto?

BELCI
Volevamo costruire un accordo basato su quello che avevamo realizzato in questa sede per il porto di Trieste, un accordo per la tutela della sicurezza, e non è stato possibile neanche iniziare una discussione su questo tema. Avevamo proposto quel tipo d’impostazione perché il lavoro in un cantiere che sta sul mare presenta delle similitudini con il lavoro che viene esercitato all’interno del porto. Quindi volevamo basarci su quell’impianto per cercare di organizzare meglio la sicurezza all’interno del cantiere, sicurezza che – ripeto – è carente soprattutto per quanto riguarda le ditte degli appalti esterni.

PRESIDENTE
E per quale motivo non si è arrivati a questo?

BELCI
Le dico la mia opinione, ovviamente.

PRESIDENTE
È la sua opinione che chiedo.

BELCI
Innanzitutto perché il management di Fincantieri non ha accettato. Noi chiedevamo degli elementi di controllo per gli operatori delle ditte in appalto nell’accesso al cantiere di modo che fossero identificabili: per esempio se un operatore accedeva ad aree a rischio, dove non aveva la possibilità né il diritto di accedere, che questo fosse segnalabile da parte dei rappresentanti della sicurezza. Questo elemento può sembrare banale, invece è un forte elemento di controllo che non ci è stato concesso.
L’altra questione riguarda la Regione, che è sempre stata molto timida e quindi ha in un certo senso subito il prestigio di un’azienda che costruisce in Regione...

PRESIDENTE
Se ho capito bene, praticamente lei sta dicendo che anche i controlli sulle ditte in appalto sono carenti.

BELCI
Esatto, è quello il vero nodo, visto che nel caso delle maestranze professionalizzate gli incidenti sono molto più rari: ci sono, ma in numero molto più basso e non così gravi.
Ci sono quindi alcune criticità di carattere generale, tra cui innanzitutto la questione degli appalti, che spesso si porta dietro anche quella del lavoro nero. A questo proposito voglio ricordare che un paio di giorni fa un lavoratore romeno è stato trovato alla stazione di Udine con due dita amputate, probabilmente a seguito di un incidente sul lavoro e presumibilmente abbandonato dal datore di lavoro a causa dell’irregolarità del rapporto.
Gli immigrati coinvolti in infortuni sul lavoro sono il 25 per cento, nel senso che un incidente su quattro riguarda lavoratori stranieri: anche se il dato è difficilmente quantificabile, possiamo dire che il numero di incidenti è inversamente proporzionale alla stabilità del rapporto di lavoro per cui, quanto più il rapporto di lavoro è precario, minore è la formazione e tanto più elevato è il numero di incidenti.
Come lei avrà capito, esiste una situazione di criticità a livello istituzionale, nei rapporti con la Regione. C’è stata poca attenzione, sia nell’organizzazione dei servizi di prevenzione e di controllo sul lavoro, sia nell’individuazione di questo tema come prioritario all’interno del piano sanitario regionale, cosa che ovviamente abbiamo ripetutamente fatto presente.
Un grave segnale della disattenzione che esiste al riguardo è la mancata convocazione del comitato regionale di coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, istituito con il D.P.C.M. del 21 dicembre 2007 e che è previsto si riunisca almeno ogni tre mesi: nel 2011 si è riunito però solo tre volte, mentre nel 2012 una volta sola, nonostante le nostre ripetute sollecitazioni.
Abbiamo un problema di carenza di organico aggravato – mi limito a riferire informazioni che ho avuto dai lavoratori – dalla grande mole di lavoro che grava sulla magistratura, nel senso che ogni operatore svolge in media otto indagini all’anno – la media nazionale è di quattro – per istruire processi che ovviamente non sempre vanno a buon fine. Si tratta dunque di un carico di lavoro cospicuo che si sovrappone e si incrocia con la nostra carenza di dotazione organica, con il risultato che si fanno più controlli che prevenzione.
Infine, mentre si registra una riduzione del numero degli infortuni, dal 2008 vi è invece un costante aumento delle malattie professionali: più specificamente, dal 2008 al 2009 vi è stato un incremento del 4,7 per cento, mentre nel 2011 – dato che abbiamo avuto recentemente – si è registrato un aumento dell’11 per cento rispetto al 2010. Su questo c’è da fare certamente una riflessione. Non mi sento di fare ipotesi, se non ovviamente richiamare l’attenzione sul prolungamento del periodo lavorativo delle persone, nonché sui carichi di lavoro e sugli effetti prodotti da questo punto di vista dalla crisi.
Lascio per ultimo la questione dell’amianto, che caratterizza in maniera anche abbastanza impressionante la nostra Regione. Tenuto conto che da questo punto di vista i nodi vengono al pettine con tanti anni di ritardo, voglio solo ricordare che nel 2011 nella nostra Regione ci sono stati 60 morti legate al mesotelioma.
Sono al riguardo in corso varie indagini della magistratura, si sono svolti processi ed emesse sentenze, ma su questo tema forse ci sarebbe ancora da ragionare. Se è vero che purtroppo non si possono resuscitare i morti, esistono però disegni di legge ancora giacenti in Senato ai quali forse si potrebbe rimettere mano.

PIZZOLITTO
Buon giorno a tutti. Sono Renato Pizzolitto, componente della segreteria regionale CISL del Friuli-Venezia Giulia, a nome della quale voglio ringraziare la Commissione per la possibilità che ci viene offerta di esporre qui oggi alcune questioni.
Il collega che mi ha preceduto ha delineato un quadro complessivo per cui cercherò , per quanto possibile, di evitare inutili ripetizioni.
Comincio col dire che sicuramente nella nostra Regione si è registrato un calo degli infortuni. La causa principale è da individuare sicuramente nella crisi, che ha colpito quei settori in cui storicamente gli infortuni si verificano di più , vale a dire l’edilizia, la meccanica, la cantieristica e la navalmeccanica. Noi registriamo sicuramente in maniera positiva questo calo, ma riteniamo che molto probabilmente, una volta che la crisi avrà finito di produrre i suoi effetti – per le cose che sono state già dette e che non ripeterò – ritorneremo a numeri preoccupanti e a situazioni davvero pericolose.
Riteniamo quindi che la partita debba essere giocata applicando la normativa esistente perché, se andiamo a leggere, le norme ci sono e sono ben congegnate: il vero problema è la traduzione delle stesse in azioni concrete.
Il ragionamento che noi vogliamo sviluppare è quello di creare le condizioni per mettere in campo le azioni necessarie. Da parte nostra, come organizzazioni sindacali, qualche volta abbiamo anche delle «armi spuntate», per cui in molti casi ci rimane solo la stampa per poter esprimere il nostro disagio e far presenti le nostre difficoltà.
C’è sicuramente la questione della regia e del coordinamento di tutte le azioni che dovrebbero porsi in essere sui luoghi di lavoro in forma preventiva, che sono sicuramente da preferire agli interventi di tipo repressivo. Bisognerebbe dunque mettere le strutture nelle condizioni di poter lavorare in maniera ottimale, dotandole di personale qualificato e delle risorse necessarie per il funzionamento, affinché il personale non venga dirottato verso altri compiti, ma abbia la possibilità di svolgere attività di prevenzione che a nostro avviso – lo ripeto – dal punto di vista dell’efficacia dell’azione è sicuramente da preferire.
Per quanto concerne poi la questione delle malattie professionali, anche noi riteniamo che essa meriti una ribalta più visibile. Certamente da questo punto di vista si pongono non poche difficoltà, soprattutto se pensiamo al profilo della diagnosi, perché le malattie professionali si possono manifestare anche a distanza nel tempo. Si registrano comunque incrementi preoccupanti, per cui è evidente che anche a tale riguardo si pone la necessità di un’azione più efficace da parte degli enti che dovrebbe coordinare e gestire gli interventi attraverso le strutture presenti sul territorio.
Tante sono le cause degli infortuni sul lavoro, ma credo che la frammentazione dell’attività lavorativa comporti sicuramente una minore attenzione. È più facile controllare una grande impresa, piuttosto che tutte le imprese che lavorano in appalto: è forse proprio al fenomeno degli appalti, cui si è già fatto riferimento, che è da ricondurre principalmente la difficoltà di trasmettere una cultura della prevenzione.
La questione degli extracomunitari è già stata ricordata, ma credo che sia doveroso richiamare alcuni dati. Il 25 per cento degli infortuni che si verificano in Friuli-Venezia Giulia coinvolge un lavoratore extracomunitario, per cui credo che, anche da questo punto di vista, vi sia bisogno di fare degli investimenti, considerato che, al di là degli aspetti legati alla salute della persona, che è sacra e non si dovrebbe neppure perdere tempo a citare, un infortunio costa comunque tantissimo.
Bisognerebbe dunque intervenire per creare una cultura della prevenzione e dell’attenzione sui luoghi di lavoro. Per questo riteniamo sia necessario garantire a queste persone una formazione di base, l’inserimento sociale, oltre alla formazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ho già anticipato in parte all’inizio del mio intervento le cose che secondo noi andrebbero fatte. Mi riferisco, in particolare, alla previsione di un’unica regia in capo alla Regione; all’incremento degli organici, perché abbiamo norme ben fatte, ma, se non sono applicate, è come non averle; all’uso delle strutture e delle attrezzature per il personale che deve svolgere un lavoro delicato; alla creazione di una rete tra i soggetti abilitati a fare questo tipo di attività, così da non lavorare per camere stagne, rischiando di disperdere il lavoro; alla possibilità di creare, attraverso iniziative pubbliche gestite dalla Regione, la cultura necessaria per riuscire a fronteggiare questo problema, che è davvero grave.
L’altro profilo che ci permettiamo di sottolineare è che nella contrattazione a volte troviamo più sensibilità in un imprenditore privato, che ha come scopo ultimo il lucro – e giustamente, visto che fa degli investimenti e corre dei rischi – piuttosto che nel soggetto pubblico che, per un motivo o per un altro, continua a sbrodolare – passatemi il termine – su alcuni aspetti che sono fondamentali per la vita delle persone e per il lavoro, che è quello che dà dignità.

PRESIDENTE
Da quanto lei ci ha riferito – così come da quello che ci è stato detto anche il rappresentante della CGIL – mi è parso di cogliere la sollecitazione ad un maggiore coinvolgimento delle strutture pubbliche, a cominciare dalla Regione, affinché sia posta in essere una più assidua attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali.

BELCI
Bisognerebbe insistere sulla prevenzione, piuttosto che fare solo interventi repressivi.

PRESIDENTE
Da quello che sta emergendo mi sembra, però , che non si faccia né l’uno, né l’altro.
Consentitemi di fare a questo punto una riflessione perché, sia da parte della CGIL che della CISL, è stata data una lettura particolarmente positiva dei dati sugli infortuni. Io non vedo però tutta questa positività. Certamente si registra una riduzione degli infortuni sul lavoro e questo ci fa ovviamente piacere, ma il problema rimane. Questi numeri sono da porre infatti in relazione con i dati sull’occupazione forniti dall’ISTAT, che sono stati richiamati anche dal rappresentante della CGIL, per cui ci sarebbe stata una riduzione di circa 20.000 posti di lavoro negli ultimi cinque anni; a questo dato va poi affiancato quello relativo alle ore lavorate. Dico questo, non per già creare allarmismo, ma perché bisognerebbe forse fare una valutazione più attenta.
Per quanto riguarda poi le malattie professionali in effetti, sempre dai dati INAIL, si rileva un aumento delle malattie professionali (parlo, in realtà, delle richieste) osteo-articolari e muscolo-tendinee.
Nel 2007 erano 500 e nel 2011 sono diventate 873. Per il resto però (tumori, malattie respiratorie, malattie cutanee e altre) sono tutte in diminuzione. Forse si tratta di capire meglio le cose di cui lei parlava prima, come i carichi di lavoro e la postura, trattandosi di malattie nuove che stanno emergendo di recente. Il discorso che ha fatto sull’amianto non rientra nelle nostre competenze, però recepiamo una serie di problematiche relative all’amianto. Per i tumori si registra, per esempio, una riduzione. Ora però non sappiamo – perché non dispongo di un dato specifico – se il mesotelioma rientri tre i 17 tumori riscontrati. È verosimile che si combini con la sua considerazione, e quindi che la metà di questi tumori nasca proprio dall’amianto. Sono cose delicate e preferisco sempre verificarle perché si possono interpretare male.

MENIS
Vi ringraziamo dell’occasione perché noi abbiamo accompagnato con favore quattro anni fa l’approvazione del Testo unico e, quindi, siamo molto interessati, a quattro anni di distanza, a verificarne lo stato d’attuazione e gli effetti che sono stati conseguiti. Per quanto riguarda l’attuazione di quella legge molti capitoli sono ancora inesperiti: siamo al terzo o quarto rinvio di termini contemplati da quella legge per l’attuazione di alcune normative. Siamo, ad esempio, molto interessati all’attivazione del Sistema informativo nazionale e all’immissione in rete delle esperienze delle ASL, del sistema sanitario, dell’INAIL e del Ministero. Se ognuno lavora per conto proprio, infatti, difficilmente si riuscirà ad ottenere quei risultati sinergici che sono indispensabili. Non sono state ancora attivate le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi nelle piccole aziende. Questo è il focus della nostra attenzione. Il sistema produttivo italiano è, infatti, focalizzato sulle piccole aziende, quelle con meno di 15 dipendenti, in cui si verifica il 92 per cento degli infortuni. Nel contempo non mi risulta neanche si sia realizzato il censimento di tutti gli RLS esistenti, laddove ci sono.

PRESIDENTE
E dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST), in modo particolare.

MENIS
Questa è un’occasione, insieme ad altre che avete vissuto in altre Regioni, per sollecitare questi punti di attenzione. Per quanto riguarda la nostra Regione – lo hanno detto i colleghi – siamo in presenza negli ultimi quattro anni (dal 2006 al 2010) di un crollo. Parliamo di percentuali che si aggirano intorno al 20 per cento in meno di infortuni, però la Regione Friuli-Venezia Giulia rimane ai vertici nazionali per incidenza di infortuni. È tra le primissime Regioni e all’interno della Regione c’è Gorizia che se non è prima in assoluto, è seconda tra le Province italiane. La forte incidenza di infortuni in una Regione come la nostra dipende innanzitutto dalla tipologia delle attività svolte nel settore metallurgico, del legno, del mobilio, della cantieristica e dell’edilizia. L’altra componente che però contribuisce, a nostro parere, a dei valori così elevati e allarmanti è la forte presenza di lavoratori stranieri, che vengono immessi negli appalti senza conoscere la lingua italiana. Questa osservazione sembra banale, ma alla base di molti incidenti c’è questa banalissima, sconcertante, ma gravissima realtà. Per quanto riguarda la nostra Regione, condivido le riserve dei colleghi sull’azione della Regione, anche se quantomeno a livello di formazione alcun interventi definiti focus A e B – da noi hanno assunto una denominazione particolare – sono stati compiuti. Noi abbiamo lamentato in maniera documentata e continuiamo a lamentare carenze d’organico nei servizi di prevenzione. Facendo un cenno al tema dell’amianto, è da anni che ci sentiamo su nostra richiesta promettere dall’ente Regione l’attivazione di un centro di riferimento per le patologie ad esso correlate. È da anni che attendiamo, ma non lo vediamo. Sappiamo, senza entrare nel dettaglio, che abbiamo grossissime incidenze di amianto e i dati peggiori sono quelli che ci attendono nell’avvenire. Cogliamo questa occasione per sollecitare l’istituzione di questo centro.

PRESIDENTE
Lei ha sollevato l’attenzione su Gorizia, ma secondo i dati INAIL relativi agli infortuni in mio possesso a Gorizia dal 2007 al 2011 si registra una tendenza riduttiva del 30 per cento; maggiore è la riduzione a Pordenone (40 per cento); minore è a Trieste (16 per cento) e Udine (28 per cento).

MENIS
Ho parlato del 20-25 per cento, che è un dato reale. Anche se si evidenzia un calo apprezzabile, mi sembrava opportuno sottolineare il fatto. Le do un altro dato, quello delle denunce per 100 addetti: la media italiana è di quattro denunce per 100 addetti; la media della Regione è 5,2 denunce ogni 100; la provincia di Gorizia ne ha 7,6, quasi il doppio rispetto al valore nazionale.

PRESIDENTE
C’è una maggiore sensibilità.

LUGNANI
I colleghi che mi hanno preceduto hanno trattato questioni molto interessanti. Le norme le abbiamo e ad alcune di esse è stata data attuazione, anche se ci sarebbe da fare molto di più . Condivido quanto detto sulla prevenzione. Credo, inoltre, che l’incentivazione delle aziende a spendere soldi per la prevenzione sia l’unico sistema per potere aiutare l’azienda che deve spendere quei pochi soldi che ha per evitare gli infortuni. Il problema dell’alta incidenza di infortuni nelle aziende a Gorizia dipende dal cantiere di Monfalcone con la Fincantieri. Tutte le aziende satellite che lavorano nel cantiere hanno sede legale a Monfalcone e Gorizia. Ecco perché il numero di denunce e di infortuni è molto più alto. Sono infatti soprattutto le ditte satellite ad avere gli infortuni. L’amianto, che non ha un’incidenza così alta, è in una fase ancora di stallo perché la sua curva tenderà ad aumentare tra qualche anno nella nostra Regione. L’attività con l’amianto è stata abbandonata da pochi anni e, quindi, si prevede tra una decina di anni un innalzamento della curva delle persone morte per amianto.

PRESIDENTE
Sono già 20 anni.

LUGNANI
Sì, però non sono stati catalogati e non tutti sono stati denunciati come infortuni sul lavoro.

PRESIDENTE
Su questo vorremmo dialogare.

LUGNANI
Nella Regione ci sono stati circa 2.000 morti per amianto e non secondo i dati delle denunce INAIL, ma extra INAIL. Non tutti all’epoca furono denunciati come morti da lavoro.

PRESIDENTE
Questo è un discorso che non saremmo in grado di affrontare.

LUGNANI
È una spiegazione del numero basso.

PRESIDENTE
Questo dato lo potreste recuperare perché ci saranno sicuramente un istituto epidemiologico della Regione e un registro.

LUGNANI
Abbiamo un registro molto aggiornato.

PRESIDENTE
Questo lo potete verificare. È vero che il picco è dopo 30 o 40 anni perché dipende dall’organismo, ma bisogna sottolineare quello che diceva prima il rappresentante della CGIL Belci. Se nel 2011 ci sono stati 50 quasi di mesotelioma e noi abbiamo globalmente, seconda i dati INAIL, 117 casi di tumori, questo vuol dire che circa la metà sono correlati all’amianto. Potrebbe essere un lavoro da approfondire con le forze sociali per capire meglio questo fenomeno.

LUGNANI
È un fenomeno che grava nella Regione e nelle Province di Trieste e Gorizia non solo sui lavoratori che operavano nei cantieri direttamente, ma anche sulle famiglie. La ricerca di rilievo fatta è partita infatti proprio dagli ambiti familiari, nel senso che alcune mogli morivano da mesotelioma per amianto come il marito. Questo fenomeno è emerso recentemente. C’è grande preoccupazione rispetto a questo trend. È logico che la grande azienda, la Fincantieri, se ne cura fino a un certo punto, e, come diceva il collega prima, si discolpa dicendo che non c’entra perché i lavoratori hanno operato per la ditta «x» e «y». In realtà, hanno operato nel cantiere. Non se ne fanno carico ed eludono il discorso dicendo che sono le ditte satellite che hanno lavorato per loro in subappalto a doversene preoccupare. Ecco perché la Fincantieri esce da questo discorso con un’immagine buona.

PRESIDENTE
Se anche non si è lavorato all’interno della Fincantieri le responsabilità non si riducono. Ci siamo molto impegnati sulla norma del subappalto e non si riduce la responsabilità del primo appaltatore. Non è così, signora.

LUGNANI
L’anno scorso sono stati condannati due dirigenti della Fincantieri. È stata la grande vittoria del Friuli-Venezia Giulia. Però su questo trend bisogna insistere. Questo chiediamo.

PRESIDENTE
Noi possiamo fare tutto. Normativamente loro sono responsabili; non possono sfuggire.

CRUCIL
Noi ci siamo preoccupati di lasciarvi una nota, di cui oggi vi fornisco una chiave di lettura, concordando sulla valutazione complessiva dei dati ovvero sul calo degli infortuni mortali, che va letto con estrema attenzione perché agganciato ad altri.

PRESIDENTE
Nel 2010 abbiamo avuto 18 infortuni mortali e altrettanti nel 2011.

CRUCIL
Secondo i dati dell’INAIL, nel 2006 ci sono stati 30 infortuni mortali, che nel 2010 sono passati a 17.

PRESIDENTE
Secondo la fonte INAIL, nel 2007 erano 27.

CRUCIL
30 nel 2006.

PRESIDENTE
Non ho questo dato perché dispongo solo di quelli relativi agli ultimi cinque anni. Si sono registrati 18 morti nel 2010, 18 nel 2011 e 12 finora nel 2012.

CRUCIL
I dati sono concordi, nel senso che c’è questo calo, però vorremmo richiamare la vostra autorevole attenzione...

PRESIDENTE
Ma pensateci bene a questo calo, perché dall’anno scorso a quest’anno c’è stata una diminuzione di manodopera e ore di lavoro in meno. Valutate bene se severamente è un calo o meno.

CRUCIL
È quello che stiamo dicendo; come CISAL nella nota lo abbiamo evidenziato. È vero che è un dato statistico, però non deve far diminuire l’attenzione che va rivolta invece ad una cultura della responsabilità.
Viceversa, sempre nella nota, forniamo anche noi, in maniera concorde con le confederazioni che ci hanno preceduto, un quadro più complicato delle malattie professionali. Vi abbiamo anche fornito dati disaggregati per genere su tanti parametri, quindi avrete la possibilità di valutarli, ritrovando anche un punto di valutazione utile.
Oggi ci preme sottolineare la forte anomalia della Provincia di Gorizia, che meriterebbe un’analisi del tutto specifica in presenza di un gigante produttivo: la cantieristica. Il 12 per cento dei 35.000 addetti alla cantieristica nazionale lavora a Monfalcone. Il presidente di Confindustria isontina è nientemeno che Bono, l’amministratore delegato di Fincantieri. Quindi la CISAL, in maniera anche ottimistica, deduceva una particolare immediatezza con la quale l’autorevole personaggio di Fincantieri, essendo anche presidente di Confindustria isontina (ricoprendo anche quell’incarico), avrebbe potuto affrontare in maniera più aperta un problema spinosissimo, che è già entrato nelle aule di giustizia locale e che ha avuto una vicissitudine giudiziaria da interpretare in maniera non limpida. Infatti, siccome ci sono stati due episodi di condanna...

PRESIDENTE
Di cosa sta parlando, mi scusi?

CRUCIL
Sto parlando di malattie professionali che si verificano soprattutto nella Provincia isontina e che sono legate al mesotelioma.

PRESIDENTE
Cerchiamo di capirci. Noi abbiamo una legge che da vent’anni proibisce qualsiasi attività connessa alla presenza di amianto. Queste sono storie che io considero drammatiche e anche noi cerchiamo di dare un nostro contributo, ma diventano responsabilità che andranno ascritte a coloro i quali, come continuamente esprime la magistratura nelle proprie sentenze, hanno fatto queste cose. Non capisco cosa possiamo fare noi.

CRUCIL
Presidente, proponevo alla vostra attenzione una disattenzione che c’è stata sul passato e che permane anche nel presente, perché noi vediamo un legame...

PRESIDENTE
No, guardi, deve essere chiaro, perché questa è una Commissione d’inchiesta che ha poteri giudiziari. Nel presente, se lei mi dice questo, significa che stanno lavorando amianto.

CRUCIL
Se posso parlare, se mi consente...

PRESIDENTE
No, mi deve specificare, non le debbo consentire. Quelle che lei dice sono parole che pesano come pietre. Significa che oggi si lavora amianto?

CRUCIL
No, semplicemente sto dicendo, se mi lasciava finire l’esposizione, che questa disattenzione dedicata al passato permane anche nel presente, sotto un altro profilo ovviamente, ma appunto rimane una disattenzione, perché – come già evidenziato anche dalle altre confederazioni – è fortissimo il ricorso al subappalto.

PRESIDENTE
Ma cosa c’entra con l’amianto il subappalto? Il subappalto è un’altra cosa.

CRUCIL
La cultura della sicurezza c’entra perché...

PRESIDENTE
Ma sono cose diverse.

CRUCIL
Noi vediamo una continuità della cultura negativa...

PRESIDENTE
Sono d’accordo con lei, ma mi faccia parlare.
Lei sta confondendo un discorso con un altro. Quello dell’amianto è un discorso; la nuova disattenzione non c’entra nulla con l’amianto, perché siamo tutti convinti che non ci sia amianto, non si operi in presenza di amianto. Riguardo al subappalto, tema ben diverso, siamo completamente d’accordo.

CRUCIL
Noi segnaliamo il fatto...

PRESIDENTE
Non mi parli sopra.
Subappalto significa anche – ed è stato detto in modo molto chiaro e autorevole da altri suoi colleghi – luogo dove si creano rapporti di lavoro in grigio, se non addirittura in nero. Quindi dobbiamo attivarci, per quelle che sono le nostre e le vostre competenze, e contrastare questo fenomeno. Quindi siamo d’accordo su questo.

CRUCIL
Posso anch’io proseguire?

PRESIDENTE
Sì, però deve concludere.

CRUCIL
La conclusione sta nell’evidenziare l’importanza della segnalazione dell’ultimo capoverso, laddove diciamo che, mentre in Provincia di Pordenone si registra anche un’alta percentuale di malattie professionali, però riconosciute ai lavoratori stranieri, circa il 14 per cento, la Provincia di Gorizia è ultima in graduatoria, circa il 7 per cento. Tale dato è influenzato da un contesto governato da forme di subappalto lavorativo, con massiccio impiego di manodopera di provenienza indiana nel cantiere navale di Monfalcone.
Siamo altresì a conoscenza che appunto le denunce sulle malattie professionali nella cantieristica monfalconese vengono trattate non nelle forme procedurali in maniera limpida, ma – tanto per capirci – il lavoratore straniero che ha la disgrazia di incorrere in questa situazione spesso e volentieri lo vediamo ritornarsene a casa nel luogo natio. Noi ci interroghiamo su questo fenomeno sommerso, che influenza molto il dato statistico dell’incidenza delle malattie professionali in Provincia di Gorizia, con questo sottolineando il fatto – come dicevo all’inizio – che la cultura della sicurezza in quell’ambito industriale rimane sottotono, inferiore al livello che auspichiamo.
Il resto è nella nota che abbiamo portato alla vostra attenzione.

CERNIGOI
Sono il segretario regionale della UGL Friuli-Venezia Giulia.
Vi ringrazio per l’opportunità offerta alle parti sociali del Friuli-Venezia Giulia di esporre alcuni argomenti. Ovviamente non ripeterò quanto è già stato detto dai rappresentanti delle altre confederazioni sindacali. Volevo solamente fare una prima riflessione più di politica sindacale relativa al Friuli-Venezia Giulia, poi una più tecnica sul decreto legislativo n. 81, visto che la cosa potrebbe essere interessante per la Commissione in termini di applicazione e di introduzione di alcuni correttivi o suggerimenti.
Prima di tutto anche secondo noi ci vorrebbe maggiore presenza della Regione Friuli-Venezia Giulia in termini di sicurezza per quanto riguarda il lavoro del comitato regionale sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, perché il comitato, che è previsto appunto dal decreto legislativo n. 81, così com’è concepito, non sta dando i frutti sperati. Per fare un paragone, è troppo grande, ci sono troppi interlocutori con legittima dignità d’intervento; servirebbe uno strumento più snello per portare poi all’applicazione concreta le varie problematiche che si rilevano all’interno del Friuli-Venezia Giulia. Quindi ci vorrebbe una rivisitazione del comitato.

PRESIDENTE
Anche su questo aspetto chiariamoci. Nel comitato al quale lei fa riferimento ci sono una serie di soggetti, che poi non sono in numero straordinariamente...

CERNIGOI
Sono circa 25.

PRESIDENTE
Sono 25-30 persone, più o meno. Quindi mi sembra un numero giusto.

CERNIGOI
Secondo noi no.

PRESIDENTE
Sa per quale motivo il numero mi sembra giusto? Perché poi presso ogni comitato regionale di coordinamento si prevede un ufficio operativo. Non possiamo negare la presenza alle forze sociali, alle forze imprenditoriali; poi c’è un ufficio operativo che indirizza.

CERNIGOI
Però bisognerà trovare dei correttivi affinché l’ufficio operativo possa dare concretezza alle attività del comitato.

PRESIDENTE
Questo lo dovreste verificare in loco. Ci sono quattro organizzazioni dei lavoratori: chi c’è in quella sede oltre a CGIL, CISL e UIL?

CERNIGOI
Ci siamo anche noi dell’UGL, all’interno del comitato.

PRESIDENTE
Allora credo che da questo punto di vista lei come membro...

CERNIGOI
Abbiamo già fatto questa segnalazione. Approfittavo dell’occasione per esporre il nostro punto di vista.

PRESIDENTE
Sì, ma se lei mi pone il problema del numero dei partecipanti, mi pone un problema che credo non sia tale. I componenti sono 25 o 30, poi c’è il comitato regionale di coordinamento che ha istituito un ufficio operativo composto da pochissime persone, che si dispiega sul territorio, ossia sulle Province. Quindi se il meccanismo funziona dovrebbe dare dei risultati; poi se non funziona è un altro discorso.

CERNIGOI
Non vado oltre nel sottolineare la carenza di organico, perché è già stata evidenziata dalle altre organizzazioni, riguardo all’organico operativo effettivo in materia di sicurezza.
Per quanto attiene al discorso più operativo, è già stato detto prima che bisognerebbe potenziare la figura dell’RLS territoriale.

PRESIDENTE
Bisognerebbe conoscerle. Noi stiamo facendo una guerra, cari rappresentanti dei lavoratori, perché non forniscono questi dati.

MENIS
L’INAIL dovrebbe averli.

CERNIGOI
Noi abbiamo fornito tutti i dati che ci vengono richiesti.

PRESIDENTE
Vi posso dare contezza che la Commissione si è impegnata addirittura formalizzando la richiesta di far conoscere i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, perché lì dove ci siete voi lo sapete chi sono; dove non ci siete voi, non si sa neanche se ci sono. I rappresentanti territoriali, che vanno in qualche modo organizzati e tutelati, non si sa come voi li dovreste organizzare e tutelare quando non sapete chi sono.
Quindi, da questo punto di vista, siamo d’accordo e abbiamo aperto un confronto – anzi direi un conflitto più che un confronto – per poterli avere, per mettervi nelle condizioni di operare.

CERNIGOI
Da parte nostra, abbiamo comunicato sempre i dati a chi ce li aveva richiesti, anzi siamo andati anche oltre dandoli di nostra spontanea volontà all’INAIL, perché crediamo appunto che la sinergia passi proprio anche tra istituzioni e parti sociali.

PRESIDENTE
Il problema è quando non ci sono i sindacati; forse non sono stato chiaro. Io sono convinto che voi li date; è dove non ci siete voi che non ve li danno. Il problema è al rovescio.

CERNIGOI
Non è obbligatorio iscriversi al sindacato.

PRESIDENTE
Non iscriversi al sindacato, avere il dato. Non è che si vuole l’obbligatorietà dell’iscrizione al sindacato.

CERNIGOI
Andiamo avanti.
Senza ripeterci ovviamente, perché il discorso della prevenzione e della formazione è un tema importantissimo. Far entrare la materia della sicurezza all’interno delle scuole con delle iniziative, come già sta succedendo in Friuli-Venezia Giulia, è lodevole e anche molto importante. Come parti sociali, crediamo che questo tipo d’iniziativa darà sicuramente i suoi frutti in futuro, soprattutto nelle scuole ad ordinamento tecnico, dove la sicurezza comunque riveste un fattore un po’ più pregnante rispetto ad altri tipi di scuola.
Comunque, per quanto riguarda il nostro intervento sul decreto legislativo n. 81, volevamo richiamare la vostra attenzione sull’argomento dello stress da lavoro correlato; ultimamente non se ne parla molto sulla stampa, però è un problema che riguarda comunque il lavoratore e il lavoro in generale.
Senza andare nello specifico, è stato evidenziato anche dai rappresentanti delle altre organizzazioni che a volte il problema è l’applicazione pratica delle norme. Adesso ci aspetta una sfida sul discorso dello stress da lavoro correlato, perché dovrebbe essere operativa anche la valutazione all’interno delle aziende. Questo secondo noi sarà un banco di prova e come parti sociali diamo tutta la nostra disponibilità – lo facciamo sempre anche con la parte datoriale – perché crediamo che un dialogo sia necessario per costruire poi un efficace sistema di valutazione dei rischi.
Quello che vorremmo è che lo stress lavoro-correlato, nonché tutta la problematica relativa alle violenze, alle molestie e ai soprusi che possono verificarsi nei luoghi di lavoro, entrino a far parte integrante della campagna per la prevenzione e per la sicurezza contro gli infortuni sul posto di lavoro. Noi crediamo che il fattore stress rileverà nel prossimo futuro, così come è stato in passato per l’utilizzo dell’amianto nelle lavorazioni e nelle produzioni, su cui esiste oggi una normativa chiara. Siamo convinti che questa sarà una delle prossime problematiche che dovremo affrontare pro futuro all’interno delle aziende, per cui sarà necessaria un’analisi sullo stress lavoro-correlato, così da riuscire a definire anche da questo punto di vista norme chiare e facilmente applicabili.
Non dimentichiamo che abbiamo in Italia una tra le migliori costruzioni legislative al mondo, con un patrimonio di norme che ci viene invidiato da più parti: se compariamo infatti la legislazione che negli anni si è sviluppata in questa materia nel nostro Paese con quella europea o con quella nordamericana, troviamo in Italia elementi di eccellenza. Riteniamo quindi che far rientrare anche lo stress lavoro-correlato nella campagna per la prevenzione e per la sicurezza contro gli infortuni sul posto di lavoro sia, se non proprio una battaglia di civiltà, quantomeno una delle prossime sfide che vedranno scendere in campo parti sociali, istituzioni e datori di lavoro, con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro stesso.
Noi crediamo infatti che, soprattutto in questo momento di grave crisi economica, gli investimenti sulla sicurezza non siano un costo, perché investire sulla sicurezza significa avere meno infortuni e conseguentemente meno ore di lavoro perse e quindi meno problemi anche dal punto di vista sociale.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per il vostro contributo e dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane

Intervengono il vice presidente regionale dell’ANCE, ingegner Adolfo Periotto, accompagnato dal direttore generale, dottor Fabio Millevoi, il direttore regionale della Confindustria, dottor Claudio Hauser, accompagnato dal responsabile area sicurezza e ambiente, ingegner Giovanni Balbo, il presidente regionale della Legacooperative, dottor Enzo Gasparutti, accompagnato dal direttore regionale, Daniele Casotto, il direttore regionale della Coldiretti, Angelo Corsetti, il presidente regionale della Confesercenti, architetto Giuseppe Giovarruscio, il presidente regionale della Confartigianato, dottor Graziano Tilatti, accompagnato dal segretario generale, dottor Gianfranco Trebbi, e dal responsabile ambiente e sicurezza, dottor Fabio Veronese, il segretario regionale della Confapi, Lucia Cristina Piu, il funzionario regionale della Confagricoltura, Umberto Daneluzzi, il direttore dell’Unione regionale economica slovena (URES), Andrei Šik, il presidente regionale della CNA, signor Denis Puntin, il presidente provinciale della Confcooperative, signor Erik Renzi, e il direttore provinciale della CIA, Erik Masten.

PRESIDENTE
È prevista ora l’audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane.
La presenza della nostra Commissione oggi qui a Trieste non è legata fortunatamente a nessun particolare incidente verificatosi in questa Regione, né a specifiche situazioni che si stanno determinando sul territorio friulano, ma all’indagine che stiamo conducendo in tutte le Regioni italiane al fine di verificare lo stato di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008. Posto che il Testo unico ha rappresentato in qualche modo una svolta – pur se non ancora completamente realizzata, come tutti voi sapete –, siamo qui per raccogliere direttamente sul territorio, attraverso un confronto con i soggetti coinvolti, le riflessioni, le criticità, nonché eventuali proposte al riguardo.
Il nostro vuole essere dunque un incontro consultivo. Ci è sembrato corretto, anziché scrivervi ed attendere le vostre risposte – che siamo certi sarebbero state altrettanto esaustive – avere con voi un incontro diretto, con la possibilità di un approfondimento e di un chiarimento, in un momento di vicinanza tra istituzioni nazionali ed istituzioni territoriali.
Siamo dunque interessati a conoscere le vostre riflessioni al riguardo.

PERIOTTO
Buongiorno a tutti, sono l’ingegner Adolfo Periotto, vice presidente regionale dell’ANCE.
Per quanto riguarda la problematica degli infortuni sul lavoro, il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha contribuito indubbiamente ad accelerare un trend positivo, con una costante tendenza alla diminuzione degli infortuni, in particolare nel settore delle costruzioni: registriamo infatti una reale diminuzione del fenomeno, sia in termini assoluti, per quanto concerne il numero totale degli incidenti, sia in termini relativi rispetto al numero delle ore lavorate.
A questo dato bisogna però aggiungere il fatto che nel nostro settore – anche in altri, per la verità, ma nel nostro settore in particolare, se si considera che parliamo prevalentemente di cantieri temporanei e mobili – si registra una forte incidenza di infortuni in itinere, un fenomeno su cui molto si potrebbe fare, ma che esce un po’ fuori dal nostro controllo.
La cosa certa è che il numero degli infortuni mortali – attualmente uno ogni 10.000 addetti – è comunque ancora imponente e su questo c’è ancora moltissimo da lavorare.
Come altri colleghi, credo anch’io che l’effetto principale prodotto dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81, dal punto di vista della prevenzione antinfortunistica, sia stata la maggior attenzione alla formazione e all’informazione dei lavoratori, oltre che alla creazione di una coscienza in ordine ai problemi sulla sicurezza, da promuovere soprattutto nei momenti formativi.
In questo senso l’ANCE ha fatto uno sforzo non indifferente, sia a livello nazionale, con 400.000 lavoratori all’anno formati, sia a livello regionale, con un impegno economico complessivo a livello regionale stimato dai nostri uffici in un milione di euro (solo a Pordenone abbiamo 1.000 ore di corso all’anno). Si tratta di risorse che sono state messe in campo da noi e dal nostro sistema produttivo: la rete delle scuole edili e degli enti paritetici hanno poi tradotto tutto questo in azioni formative.
Ci tengo a dire che sotto questo profilo il nostro settore, che tante volte viene indicato come un anello debole dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, può vantare a mio avviso dei punti di forza rispetto a tutte le altre categorie produttive: mi riferisco, in primo luogo, al sistema delle scuole edili e dei comitati paritetici territoriali, oltre a quello della cassa edile, che incidono direttamente sulla sicurezza e sulla formazione.
L’ANCE sta poi realizzando a livello nazionale delle iniziative importantissime tra cui, ad esempio, l’individuazione di linee guida per l’istituzione del sistema di gestione della sicurezza sul lavoro, che dovrebbe rappresentare un ulteriore passo in avanti per rafforzare l’azione compiuta in questo senso.
Il nostro settore sconta però , purtroppo, una criticità. Se, infatti, il sistema paritetico del settore edile è in questo senso ben organizzato e strutturato molto meglio di quello di altri settori, esso sconta tuttavia la presenza «inquinante» di imprese irregolari e del lavoro nero. Ciò non è da imputare però tanto al sistema organizzato delle imprese, quanto alla struttura del lavoro e alla forte differenza che c’è tra il costo del lavoro dipendente ed il costo del lavoro autonomo. C’è quindi una tendenza centrifuga degli operai a mettersi in proprio, con microimprese che purtroppo sono carenti dal punto di vista strutturale e organizzativo e nelle quali, dunque, è più facile che si annidi il lavoro nero.
Abbiamo poi promosso il sistema della formazione pre-assunzione, che in Friuli-Venezia Giulia funziona molto bene, in base al quale è prevista, appunto prima dell’assunzione, una formazione professionale e sulla sicurezza di 16 ore: stiamo parlando di corsi molto costosi, perché a volte siamo costretti ad organizzarli solo per una o due persone, con frequenza settimanale. Quando infatti un lavoratore vuole entrare nel settore e vuole essere assunto, bisogna garantire subito le 16 ore di formazione e non è possibile aspettare, per cui l’organizzazione di questi corsi può diventare a volte molto gravosa per le scuole edili: stiamo comunque andando avanti efficacemente con questo tipo di iniziativa.
Gli strumenti fondamentali che abbiamo a disposizione per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro sono dunque la formazione, l’azione degli enti paritetici, la lotta al lavoro sommerso ed il sistema di qualificazione. A questo proposito, ricordo che circa un anno fa era stato avviato un iter legislativo per l’introduzione della cosiddetta «patente a punti», così da evitare che potessero operare nel settore soggetti che non erano in grado di qualificarsi come vere e proprie imprese e che non avevano una struttura organizzativa adeguata. La «patente a punti» si presentava, dunque, come uno strumento per la qualificazione dell’impresa, che doveva possedere dei requisiti tecnici, economici e strutturali per poter esercitare l’attività.
Il sistema della «patente a punti» doveva tener conto anche della virtuosità dell’impresa, sottraendole punti in caso di infortuni e penalizzandola dal punto di vista della partecipazione agli appalti.
L’iter legislativo si è però arenato e non è più andato avanti; è comunque uno strumento cui teniamo moltissimo, che speriamo possa essere finalmente introdotto nel nostro ordinamento. Ricordo che a tal fine l’ANCE aveva promosso la redazione di un documento comune, con l’adesione delle varie componenti del mondo delle imprese.
Un’altra iniziativa che come ANCE abbiamo promosso, e che vorrei qui richiamare, è uno studio giuridico che abbiamo condotto in materia di responsabilità sul posto di lavoro, al fine di individuare le figure responsabili della salvaguardia della salute dei lavoratori, definendo bene i limiti e le forme di questa responsabilità. Il riferimento è ovviamente, in primis, al datore di lavoro, con il coinvolgimento poi di tutta la catena organizzativa dell’impresa: preposti, capisquadra e dirigenti.
L’ANCE ha messo in campo moltissime altre iniziative, sia a livello nazionale che locale, anche se purtroppo le imprese edili vengono spesso additate come le «pecore nere» dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. Ritengo che questo sia però un grosso pregiudizio: abbiamo creato infatti strutture, abbiamo messo a disposizione risorse e realizzato tante attività, per cui sono convinto che non ci meritiamo davvero un appellativo di questo tipo.

PRESIDENTE
Lasciamolo pure come pregiudizio.
In ogni caso, ingegner Periotto, resta il problema centrale – che ci dobbiamo e vi dovete porre – delle procedure per l’avvio dell’impresa.

PERIOTTO
La legge in questo senso dovrebbe venirci incontro.

PRESIDENTE
Ma è così. Mi chiedo come un soggetto, che non si è mai interessato di costruzioni, possa andare ad iscriversi alla Camera di commercio e cominciare a fare impresa.

PERIOTTO
Oggi purtroppo è così.

PRESIDENTE
È proprio quello che sto dicendo. Bisogna però porci il problema, perché credo che tutto ciò che lei ha detto sia la conseguenza di una questione più generale, che sta a monte, perché fare impresa nel settore edile richiede necessariamente il possesso di certe conoscenze e competenze.
Come lei ha già detto prima, ci sono persone che si sganciano dalla grande impresa e creano una «impresetta» per prendere il lavoro di subappalto, se non addirittura a cottimo. Credo che insieme dovremmo lavorare su questo meccanismo per dire che per poter far nascere un’impresa di costruzione o un’impresa edile ci vogliono una serie di caratteristiche. Se non ci sarà questo, non ci riusciremo mai. Aiutateci.

HAUSER
Sono il direttore di Confindustria del Friuli-Venezia Giulia e sono insieme al collega Giovanni Balbo, responsabile del servizio per la sicurezza e l’ambiente. Per risparmiare del tempo, abbiamo predisposto un documento che lasciamo agli atti dei vostri lavori. Nel documento, al di là dell’analisi del fenomeno infortunistico i cui dati li conosciamo tutti, faccio una piccola puntualizzazione, se non è stata fatta nel corso della mattinata, così come si fece l’anno scorso in consiglio regionale portando la questione all’attenzione dei consiglieri. 11 casi di morte su 17 sono per incidenti stradali. Questo è un dato che ci deve far riflettere. 5 di questi 11 sono meri infortuni in itinere. È un elemento di riflessione che ci può portare oltre e andare a toccare il problema infrastrutturale di questo Paese. Noi, come Confindustria, abbiamo sempre ritenuto che il problema della sicurezza non debba solo ed esclusivamente passare attraverso le normative, ma diventare patrimonio dell’impresa nella sua interezza, dalla proprietà ai capi intermedi e a tutti i lavoratori. Abbiamo cercato di perseguirla anche con risultati positivi attraverso la valorizzazione di tre forme: la bilateralità, uno stretto rapporto con le organizzazioni dei lavoratori sui luoghi di lavori, ma anche a livello territoriale. Abbiamo seguito una logica tripartita, un’azione anche con gli enti preposti di continuo confronto e scambio di conoscenze e di collaborazione. C’è poi anche stato l’impegno per la formazione di cui ha parlato anche il vice presidente dell’ANCE. Abbiamo voluto approfittare della vostra venuta in Friuli-Venezia Giulia per portare alla vostra attenzione alcune nostre proposte che nascono dell’esperienza sul campo. Su questo consentitemi di concentrarmi di più . Vorrei trattare circa tre punti. Il primo riguarda la certezza del diritto: bisogna dare alle imprese la garanzia di aver correttamente adempiuto ai precetti normativi. Ci troviamo in una situazione in cui – faccio un esempio che trovate esplicitato in maniera più compiuta nel documento – il Testo unico negli allegati è denso di aggettivazioni che possono portare a sanzione penali quando si dice che le difese dei posti di lavoro devono essere adeguate, che la circolazione deve avvenire in modo sicuro, che i locali devono essere opportunamente illuminati, che non vi devono essere correnti d’aria fastidiosa, che non vi sia soleggiamento eccessivo, che vi sia sufficiente luce naturale. Sono tutte aggettivazioni che si prestano a intercettazioni incerte, dalle quali però scaturiscono sanzioni penali. Noi siamo a sollecitare una maggiore chiarezza su queste.

PRESIDENTE
Fate una proposta?

HAUSER
Gliela faremo avere.

PRESIDENTE
Se lei riuscisse a declinare queste aggettivazioni, noi le saremmo grati.

HAUSER
La prima proposta è la più semplice: la depenalizzazione di questi aspetti.

PRESIDENTE
Questo è un altro discorso. Abbiamo confuso il miglio con il grano. Quello che dice è interessante perché questa aggettivazione, come l’ha chiamata, si presta ad un’interpretazione. Se voi avete sul campo elementi per dare contenuto a questa aggettivazione, siamo ben disposti ad accogliere il suggerimento e magari anche a proporlo.

HAUSER
Avevo forzato la sua proposta, comunque accogliamo la sua richiesta. Ci dia però il tempo di predisporre un documento e glielo daremo in un secondo momento.
Il secondo punto riguarda il sistema sanzionatorio, il principio della proporzionalità e il rispetto dei principi contenuti nella legge delega. Quando si parla di infrazioni che ledono gli interessi generali dell’ordinamento, ci poniamo una domanda: la mancata predisposizione dell’armadietto chiuso, dell’acqua calda, dei detergenti nelle docce, di mezzi per asciugarsi sono infrazioni che ledono gli interessi generali dell’ordinamento? So già quale sarà la sua sollecitazione. Faremo delle proposte anche su questo.
Altro aspetto che riguarda il Friuli-Venezia Giulia è la stipula di una convenzione tra Regione e direzione regionale INAIL per il trasferimento delle prime cure all’istituto infortunio. È stato già fatto nelle altre Regioni.
Noi l’abbiamo sollecitato già da parecchi anni, abbiamo trovato reciproco interesse sia nella Regione che nell’INAIL, ma difficoltà contingenti ci hanno portato al 2012 senza che nulla sia stato fatto. Siamo a sollecitare questa convenzione. Un ultimo aspetto riguarda le semplificazioni.

PRESIDENTE
Le nostre sono chiacchierate e vanno viste come arricchimento. Alcune semplificazioni dovevano essere inserite nel decreto-legge esaminato la scorsa settimana; non sono state contemplate perché la parola semplificazione è l’aggettivazione delle aggettivazioni e, quindi, non si capisce mai nulla, tanto che il Governo – questo glielo posso dire perché ne sono stato testimone diretto – ha ritenuto opportuno alla fine presentare un disegno di legge e non un decreto. Il tema delle semplificazioni è fortemente sostenuto anche da noi. Il Governo lo sente altrettanto in modo forte, ma bisogna che ci intendiamo su cosa significa semplificazione e, quindi, da questo punto di vista si è preferito fare un disegno di legge, che verrà presentato nei prossimi giorni. Avremo anche il tempo per lavorare. Se vi sono delle proposte, inviatecele perché possono essere oggetto di emendamento, qualora il testo non le dovesse accogliere.

HAUSER
Nel nostro documento ci sono già delle proposte. Siamo a vostra disposizione e ci facciamo carico della sua sollecitazione.

PRESIDENTE
Venendo sul territorio mi sembra giusto che vi forniamo gli elementi che abbiamo, anche perché servono a tutto il tavolo e non solo a noi.

GASPARUTTI
Sono presidente di Legacoop e in questo contesto parlo a nome di altre due organizzazioni (Confcooperative e l’Associazione generale cooperative italiane). È risaputo che le tre organizzazioni da un anno abbondante hanno avviato un processo di unificazione costituendo l’Alleanza delle cooperative italiane e questo aiuta la nostra rappresentanza e il nostro modo di agire a rappresentare un movimento cooperativo molto complesso. All’interno sono rappresentati tutti i settori (dal primario, al secondario e al terziario). La complessità che noi rappresentiamo include tutte le attività fattibili. Questa rappresentatività riguarda anche la dimensione perché possiamo avere piccole, medie e grandi cooperative. La dimensione in tema di sicurezza non è trascurabile e diventa un problema importante. La sicurezza per le nostre cooperative – la predichiamo sempre – deve essere una delle cose fondamentali e principali. Noi cerchiamo di portare avanti soprattutto i sistemi di gestione certificata e le procedure devono essere degli elementi all’interno delle nostre aziende. Quando un’azienda è piccola ha più difficoltà, ma in una grande azienda, dove i rischi tendono ad aumentare, il sistema di certificazione (ISO 9001, 14001 e soprattutto OHSAS 18001, SA8000) rappresenta un elemento fondamentale. In questo senso l’impegno che il movimento cooperativo porta avanti rispetto a questo tema è importante e diventa l’elemento centrale che deve essere anche riconosciuto in termini – mi permetto di sottolineare un aspetto fondamentale – di aggiudicazione delle gare. Se non c’è una filtrazione nell’ambito delle gare di imprese che portano avanti dei sistemi che sono di garanzia per i lavoratori, questo viene vanificato. Una delle cose negative accadute è che anche le offerte nelle gare di appalto assegnate all’offerta economicamente più vantaggiosa sono state vanificate da una legge del Governo ancora precedente, che ha modificato la «formuletta» che cerca di tenere in equilibrio il rapporto qualità e prezzo nelle gare di appalto con l’offerta economicamente più vantaggiosa facendo privilegiare la parte economica. Le gare al massimo ribasso con offerte che superano percentuali abbastanza importanti nelle gestioni non possono che andare a incidere sui temi come la sicurezza. Credo che questo sia uno degli elementi fondamentali da tener presente. Soprattutto adesso che siamo in un periodo di crisi in cui le tensioni aumentano, il fenomeno tende ad aumentare. Si tratta di una cosa ormai visibile e molto accentuata che, secondo me, andrebbe sottolineata. Noi come movimento cooperativo produrremo una memoria che vi faremo avere. Ovviamente questo aspetto che ho rilevato riguarda alcune attività che noi rappresentiamo e che sono relative alle gare di appalto, che vanno dall’edilizia ai servizi. Per le imprese che operano su territori molto ampi queste cose tendono ad aumentare. Rispetto alla sicurezza abbiamo cercato di fare molto. Esiste un ente bilaterale che abbiamo costituito insieme alla CGIL, alla CISL e alla UIL che si chiama Fondo paritetico nazionale interprofessionale per la formazione continua delle cooperative (Fon.Coop). C’è un’autotassazione attraverso la trattenuta dello 0,31 per cento che va ad alimentare un fondo dedicata alla formazione che riguarda prevalentemente ovviamente la sicurezza, ma non solo. È un segnale importante anche per giustificare quello che dicevo all’inizio e cioè che i sistemi di certificazione portano avanti dei progetti di supporto. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 sicuramente aiuta i processi e, quindi, è un provvedimento di riferimento importante. L’accordo quadro tra Stato e Regioni fa fare altrettanto un salto di qualità, però ovviamente tende ad aumentare i costi della sicurezza. Il principio del massimo ribasso per l’assegnazione delle gare non è compatibile con l’aumento dei costi della sicurezza. E questo è un esempio, secondo me, da tenere molto in considerazione.
All’interno dell’accordo quadro Stato-Regioni, per esempio, esiste l’idea – ma è una vecchia proposta – di lanciare il libretto formativo. Quest’ultimo può essere uno strumento importante, però nessuno sa come si attiva, nessuno sa come può essere gestito, perché si tende a fare formazione ripetendo magari cose già dette, in quanto non si conosce la storia formativa del lavoratore. Quindi è un elemento che tende a razionalizzare i costi.
Nell’ambito di alcune nostre realtà importanti, stiamo cercando di dare il via a questo tipo di ragionamento, perché consentirebbe di ereditare dei lavoratori che hanno già avuto una formazione, quindi se la portano in eredità, fatto salvo l’aggiornamento, che comunque ci deve essere dopo i cinque anni previsti dall’accordo quadro. Quindi ci si può concentrare a completare la parte di formazione che manca, quella integrativa, quella legata alla conoscenza dell’impresa.
Ci sono altri elementi che aiutano in tal senso: un elemento legato all’impatto sul mercato, un elemento legato ai costi della formazione, se si considera la formazione come elemento centrale (ovviamente non è solo quella); altro elemento è quello dei sistemi di certificazione, quindi di riconoscimento dei percorsi che le imprese fanno. Questi percorsi non possono che essere riconosciuti anche in sede di gare d’appalto, quando si parla appunto di appalti, oppure in sede di giudizio, quando si è chiamati a rispondere di fatti e dove la problematica diventa talmente complessa che si sa come si parte ma non si sa come si arriva.
Voglio portare un esempio: qui a Trieste uno dei temi importanti legati alla sicurezza riguarda il porto. Le esperienze dentro il porto ci inducono a capire come il rapporto con i lavoratori non sia facile. Anche se le imprese in qualche modo cercano di portare avanti un ragionamento volto al rispetto di tutte le normative e alla formazione, non sempre questo è compatibile con il comportamento dei lavoratori e tutto ciò – lo dico a ragion veduta – contrasta con il contratto di lavoro dei portuali. Quando il contratto parla di una retribuzione su turno, è il lavoratore stesso che ha interesse a terminare prima possibile il lavoro e non il datore di lavoro che ha bisogno di rimanere dentro i tempi; per il datore di lavoro il costo è sempre lo stesso perché paga il turno intero, ma il lavoratore ha interesse a terminare prima possibile perché poi ha altri impegni suoi, tanto la retribuzione gli è garantita, e questo lo rende quasi un lavoratore autonomo. Questo aspetto crea delle difficoltà nella gestione del lavoratore. Ho portato un esempio che è riscontrabile anche nella pratica.
Molte volte bisogna analizzare delle situazioni che arrivano da lontano e che in qualche modo è difficile smontare. Questa situazione la si eredita: quelle sono le regole, si applicano le regole, ma di fatto si va contro un muro di atteggiamenti e di comportamenti.
Come movimento cooperativo, ribadisco che siamo molto sensibili al tema della sicurezza, cerchiamo di portare avanti un ragionamento, fino a non molto tempo fa convincendo anche le nostre associate che la sicurezza è un elemento positivo, di vendita, è un elemento di marketing: la qualità della sicurezza deve essere recepita dal committente, dal cliente.
Al riguardo, negli ultimi tempi come associazione abbiamo fatto delle battaglie assieme ai sindacati a livello ministeriale quando abbiamo firmato i contratti di lavoro (mi riferisco in particolare al multiservizi, uno dei contratti che abbraccia tante attività). In quella sede abbiamo sollecitato la circolare ministeriale sul costo del lavoro, che prevede i costi della sicurezza al suo interno e che quindi in qualche modo rappresenta una garanzia. La circolare sul mercato degli appalti a volte viene riconosciuta, a volte no. Quindi è necessario uno sforzo maggiore nel regolamentare l’attività lavorativa, soprattutto se si parla di assegnazione di lavori, che è quello che sta mettendo in difficoltà l’organizzazione.

PRESIDENTE
Lei ci ha dato un ventaglio di spunti. Ha messo la sicurezza anche lì dove non c’entra, però comunque la sicurezza c’entra dappertutto.
Ha parlato di temi molto importanti; il più importante riguarda gli appalti (non che gli altri temi che lei ha posto non debbano essere attenzionati). Circa il problema degli appalti, come lei sa, purtroppo abbiamo la grave abitudine del massimo ribasso. Abbiamo provato in tutte le maniere a cercare di contenerlo, ridurlo, eliminarlo. Ci siamo scontrati con l’Unione europea, non c’è niente da fare. Come voi sapete, le nostre leggi sono soggette anche alla loro valutazione, quindi si andrebbe a ledere il principio sacrosanto, secondo l’Unione europea, della libertà di mercato e quindi di iniziativa. Ora però potremmo reagire in qualche modo.
Questa mattina, insieme ai colleghi, aprendo l’audizione con il signor prefetto, facevo presente proprio questo, se non sia il caso di fare una campagna di sensibilizzazione per tentare di aggregare le stazioni appaltanti, perché spesso ci sono soggetti che non sono neanche attrezzati. Io sogno – bisogna anche sognare ogni tanto – di avere una stazione appaltante per ogni Provincia, magari in capo alla prefettura o in capo ad altro soggetto. È un problema serissimo in quanto dipende da noi decidere le procedure dell’appalto.
Da questo punto di vista, non si tratta di trovare norme (sì, le norme servono lì dove va chiarito il procedimento), ma si tratta di chiarire una questione molto semplice: cosa ne fanno di queste procedure gli enti che operano appalti. Voi sapete benissimo che il massimo ribasso produce effetti di maggiore comodità e semplicità per la stazione appaltante. Togliendoci i veli, dobbiamo spingerci a far capire che forse un lavoro con il 30 o 40 per cento del massimo ribasso pone delle problematicità: o le pone a monte o le pone a valle. Una progettazione – anche queste ci sono – con il massimo ribasso (ho avuto contezza di progettazioni con massimo ribasso fino al 70 per cento) o è un copia-incolla, oppure non so come fa uno staff di tecnici a realizzarla. Anche noi dovremmo aiutare questa comunità, non cercando sempre la norma, ma cercando anche il percorso più corretto.
Con i colleghi ci facciamo carico delle sue osservazioni che sono importanti, però credo che dovremmo lavorare anche sul territorio; non solo su questo, su tutti i territori.

GASPARUTTI
Ho sollevato prima una questione legata agli appalti perché noi avevamo fatto un grande lavoro. Il sistema della normativa legata al multiservizi, quando è stato firmato l’accordo a livello ministeriale, aveva prodotto delle azioni con ricadute molto positive sui territori, soprattutto la legge che prevede le gare con l’offerta economicamente più vantaggiosa. Anche se queste gare ancora esistono, è stata però modificata la formula che definisce la parte economica, per cui quella formula nuova vanifica la parte progettuale. Uno può fare il progetto più grande e più bello del mondo, ma la formuletta...

PRESIDENTE
Ma alla fine è evitabile, lo dice proprio in sé: l’offerta economicamente più vantaggiosa non può prescindere...

GASPARUTTI
È il rapporto qualità-prezzo.

PRESIDENTE
Poi quello si studia.
Il titolare della stazione appaltante ha tutti gli elementi per approfondire l’offerta economicamente più vantaggiosa; quindi, anche se il discorso non è chiuso, comunque ci deve essere l’offerta economicamente più vantaggiosa; dunque, in quel caso la gestione della stazione appaltante è più complessa, molto più complessa per cui si dovrebbe aprire un discorso lunghissimo. Il fatto è che la stazione appaltante deve avere delle competenze e si deve assumere delle responsabilità (lo dico a voce alta e lo sottolineo) nel momento in cui ritiene che quella e non l’altra sia l’offerta economicamente più vantaggiosa, cosa che non avviene con il massimo ribasso. Anche da un punto di vista civico, credo dovremmo impegnarci tutti, a partire da noi parlamentari.

CORSETTI
Sono il direttore di Coldiretti Friuli-Venezia Giulia. Vi ringrazio per l’opportunità che ci offrite.
Per quanto riguarda il nostro settore, in questi ultimi anni – come sapete – abbiamo registrato un forte calo del numero di infortuni e c’è stato un grande lavoro nella regolarizzazione e nella formazione.
In Friuli ci sono circa 21.000 imprese e circa un milione e 300.000 giornate di lavoro. In questo territorio nei fatti è nato il sistema voucher, la filosofia dei voucher. Anche quest’anno si è penato molto per averli confermati, soprattutto per alcune categorie, a causa di un refuso del decreto sulla questione dei cassaintegrati; abbiamo molto sofferto durante il periodo vendemmiale questo aspetto.
Anch’io consegnerò un documento.
Per quanto riguarda la formazione, abbiamo molti problemi legati alle mortalità soprattutto per il fatto che molto spesso ci si ritrova dei neopatentati che portano macchine agricole molto grandi e molto complesse.

PRESIDENTE
Sta aprendo un discorso su cui da anni stiamo portando avanti una lotta. Non si tratta di neopatentati che portano le macchine agricole, ma di persone non patentate.
Il vero dramma è che abbiamo un parco macchine purtroppo vecchio; soprattutto per quanto riguarda i trattori, alcuni hanno anche sessant’anni, con una media di 25-30 anni. Non abbiamo una norma che stabilisca a che età si può guidare un trattore (parlo sempre del terreno privato, altrimenti sulla strada la normativa è regolata dal codice), né l’età minima né l’età massima. Spesso le morti per ribaltamento con il trattore riguardano persone che fanno questa attività dopolavoristica.
L’ISPESL (oggi come sapete l’INAIL) si è molto impegnato nel progettare una serie di misure per poter ridurre i rischi su queste macchine. L’INAIL ha messo a disposizione dei fondi; molte imprese agricole non li recepiscono perché vanno a cumularsi con il de minimis. Abbiamo presentato una legge sul de minimis per fare in modo che gli stessi non vengano computati.
Ce le diciamo queste cose perché la politica ogni tanto fa qualche cosa!

CORSETTI
Non abbiamo dubbi.

PRESIDENTE
Abbiamo un dialogo continuo. Da più di due anni stiamo discutendo con la Commissione europea, a partire dai nostri funzionari presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana. Tant’è vero che giovedì avremo un collegamento diretto in videoconferenza con Bruxelles per affrontare l’argomento, perché non dico che ce la stanno bloccando, ma è in discussione questa «leggina» in cui si stabilisce che i soldi che vengono erogati per migliorare la sicurezza delle macchine non debbono essere computati al fine di creare il tetto del de minimis. Non c’è niente di strano. Abbiamo ceduto tanta sovranità all’Europa, ma non stiamo facendo nulla di strano; stiamo cercando di dire che i problemi sono serissimi. Giovedì prossimo ci sarà una videoconferenza dalle ore 11 alle 11,30 per dimostrare che non si tratta di aiuti di Stato.
Vi dobbiamo dire le cose che stiamo facendo e pure gli ostacoli che stiamo incontrando.

CORSETTI
Ha fatto un’opportuna precisazione perché credo che come organizzazione sindacale, sia con la commissione dell’INAIL che con voi, abbiamo sempre collaborato a questo fine. Noi abbiamo accompagnato le imprese, per quello che è stato possibile fare, dentro i piani di sviluppo rurale delle singole Regioni, che però molto spesso hanno visto i primi anni soltanto di attività e poi il blocco per un motivo o per l’altro dei bandi, delle opportunità di investimento. Quindi, laddove si è potuto, abbiamo operato.
Resta la questione che qualche collega precedentemente ha citato relativa alla semplificazione, che rimane ancora di più un problema per la stagionalità, che per noi è legata alla maggior parte del lavoro.
Detto questo, ringrazio per la disponibilità la Commissione, con cui peraltro la nostra organizzazione ha collaborato in più occasioni, così come ha fatto del resto con l’INAIL.
Se possibile, vorrei lasciare agli atti un documento di sintesi delle nostre osservazioni.

PRESIDENTE
La ringrazio del suo contributo.
Saluto a questo punto il rappresentante dell’ANCE, dottor Periotto, il quale ci aveva precedentemente comunicato di doversi allontanare a causa di un impegno.
Do la parola all’architetto Giovarruscio.

GIOVARRUSCIO
Buongiorno a tutti. Sono Giuseppe Giovarruscio, presidente regionale della Confesercenti.

TILATTI
Mi scusi, onorevole Presidente, ma in qualità di rappresentante delle piccole imprese vorrei poter rispondere ad un’affermazione fatta poco fa dall’ingegner Periotto. Noi abbiamo ascoltato prima l’ingegnere ed ora è giusto che lui ascolti noi. La Commissione viene da Roma per ascoltare la nostra voce e l’ingegner Periotto, dopo aver lanciato un’accusa, prende e se ne va!

PRESIDENTE
Mi perdoni, dottor Giovarruscio, ma se per lei non è un problema darei la parola al dottor Tilatti, presidente regionale della Confartigianato.

TILATTI
La ringrazio, signor Presidente. Sono Graziano Tilatti e, come lei ha già anticipato, sono il presidente regionale della Confartigianato e parlo qui oggi anche a nome degli artigiani della CNA e dell’Unione regionale economica slovena (URES).
Scusandomi ancora una volta per il mio intervento estemporaneo, voglio ringraziare lei, Presidente, e la Commissione tutta per essere venuti oggi qui a Trieste. Mi fa piacere prendere atto che da parte vostra c’è una conoscenza approfondita delle diverse questioni e problematiche legate alla sicurezza sul lavoro e che state portando avanti con attenzione e con fermezza la vostra indagine proprio per dare una mano al mondo del lavoro.
In risposta all’affermazione che è stata fatta poco fa dall’ingegner Periotto – se ho interpretato male le sue parole, me ne scuso – non credo che si possa dire che le piccole imprese, in particolar modo nel settore delle costruzioni, siano fonti di lavoro nero e di carenza di sicurezza: respingo con fermezza questa affermazione.

PERIOTTO
Per la verità ho parlato di imprese irregolari

PRESIDENTE
Esattamente.

PERIOTTO
La mia impresa del resto è piccolissima ed in media le imprese che aderiscono all’ANCE hanno tra i tre e i quattro dipendenti.

TILATTI
Ci tenevo a fare questa precisazione, anche perché abbiamo fatto un lungo percorso insieme all’ANCE negli enti paritetici.
Probabilmente ho capito male, ma credo che a volte bisogna fare particolare attenzione a quello che si dice, perché le parole assumono sempre un significato e possono avere conseguenze a seconda del contesto in cui le si pronuncia.
Chiarito questo incidente o questa mia errata interpretazione, vorrei ora soffermarmi su alcune questioni.

PRESIDENTE
Mi consenta, dottor Tilatti, ma credo che in verità la sua sia un’errata interpretazione solo in parte.
Non penso che l’ingegner Periotto si riferisse alle piccole imprese, ma piuttosto a quelle irregolari; in ogni caso, nel sistema orizzontale e verticale degli appalti e subappalti si fraziona così tanto che, alla fine, il «cerino» finisce per rimanere spesso in mano alle piccole o piccolissime imprese o a quelle a conduzione familiare, ed è proprio in questo segmento che purtroppo si verifica la maggiore parte degli infortuni in cui in molti casi muoiono lavoratore e datore di lavoro insieme. È capitato in più di una occasione che oltre agli operai è morto lo stesso datore di lavoro.
Ciò significa che il problema della piccola impresa in effetti c’è, anche se non è stato posto dall’ingegner Periotto: lo sto ponendo io. Per questo credo sia opportuno attenzionare di più le piccole imprese e sostenerle proprio per quanto riguarda i problemi legati alla sicurezza sul lavoro, soprattutto se si considera che le grandissime imprese hanno un sistema molto più tutelato e monitorato. Può verificarsi certamente l’infortunio, ma spesso, se andiamo a vedere, chi è morto non era dipendente dell’impresa madre, ma di un’impresa che stava lavorando all’interno di quella grande impresa. Ritorna quindi il discorso che è stato appena fatto dal rappresentante della Confartigianato, cui mi sembra debba essere rivolta da tutti una grande attenzione.

TILATTI
Raccolgo sicuramente il suo suggerimento, Presidente, anche se devo dire che all’interno delle nostre associazioni abbiamo puntato molto sugli uffici preposti alla formazione e alla prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Lasceremo comunque alla Commissione un documento che abbiamo predisposto al riguardo e che sarà illustrato brevemente qui oggi dal nostro responsabile per la sicurezza, dottor Veronese.
Onorevole Presidente, mi permetta tuttavia una considerazione. Per quanto mi riguarda – e qui concordo con quanto diceva prima il direttore regionale di Confindustria, dottor Hauser – credo che la normativa che è stata definita nel nostro Paese, mutuata forse a livello europeo, ha creato molte difficoltà e molte incomprensioni.
Sono convinto che la prevenzione si faccia anche attraverso la formazione, rispetto alla quale però sono necessarie risorse. Noi stiamo facendo formazione negli enti bilaterali, anche se ritengo che in questi percorsi di formazione, proprio al fine di evitare i costi legati agli eventuali infortuni, lo Stato dovrebbe dare comunque un aiuto, in particolare alle piccole aziende che hanno voglia di lavorare in sicurezza e di elevare il loro target.
Ricordo che negli anni Cinquanta sulla base di tre D.P.R. si stabiliva – in maniera peraltro ancora attuale – come dovevano essere costruite ed utilizzate le macchine. Si prevedeva, tra l’altro, il bellissimo istituto della diffida, per cui gli istituti arrivavano sul cantiere, lo ispezionavano e facevano formazione ai dipendenti, poi eventualmente diffidavano l’impresa e fissavano un termine. Oggi esiste un istituto simile, che viene accompagnato da sanzioni abbastanza pesanti.
Bisognerebbe forse intraprendere però anche un altro percorso, cominciando dagli istituti tecnici che si occupano della preparazione dei ragazzi. È necessario diffondere infatti una diversa cultura del lavoro, facendo capire ai ragazzi che quando si lavora bisogna starci con la testa, perché con il lavoro si realizzano le aspettative per la vita della propria famiglia, per la propria crescita sociale, per cui non si può perdere la vita sul lavoro.
Da un’analisi condotta dal nostro ufficio studi è emerso che, specialmente tra i più giovani, gli infortuni avvengono il giovedì, il venerdì e il lunedì pomeriggio: il venerdì a mezzogiorno si mette infatti già la testa in vacanza e si pensa a quello che si farà nel weekend, mentre il lunedì pomeriggio si paga spesso il calo di tensione dovuto agli eccessi del weekend. Credo che su questo aspetto si debba molto insistere.
Come spiegherà poi il nostro responsabile per la sicurezza, in una situazione di questo tipo diventano importanti i controlli, specialmente quelli volti ad accertare l’assunzione di alcool e di sostanze stupefacenti. Non so se un’impresa debba effettuarli in contemporanea, ma a me è capitato in azienda un operaio che è andato in crisi di astinenza mentre si trovava su un tetto. Si è creata una situazione di tensione; siamo riusciti a recuperarlo, ma poi alla fine, una volta accertato che quell’operaio assumeva sostanze stupefacenti, non c’è stata una struttura che ci ha aiutato ad accompagnarlo in un percorso di recupero.
Anche la scuola dunque – e concludo – dovrebbe attrezzarsi e prevedere dei percorsi di preparazione al lavoro, in cui non ci si limiti soltanto a trasmettere nozioni, ma nei quali si programmi anche l’accesso sui cantieri e nelle fabbriche per vedere davvero come si lavora.

VERONESE
Buongiorno a tutti, sono Fabio Veronese, responsabile dell’ufficio ambiente e sicurezza della Confartigianato.
Signor Presidente, il mio intervento si concentrerà su una serie di osservazioni di carattere tecnico.
Per quanto riguarda innanzitutto il punto di vista delle piccole imprese, credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che gli adempimenti previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 – che di fatto non ha realizzato quella grande opera di razionalizzazione che tutti ci aspettavamo, limitandosi a riunire sotto un unico cappello la normativa degli anni Cinquanta con il decreto legislativo n. 626 del 1994 – sono davvero troppi già per una grande impresa, figuriamoci per le piccole.
Con il contatore del programma «Word» ho verificato che l’espressione «datore di lavoro» nel decreto ricorre ben 596, di norma quasi sempre accompagnata da espressioni quali «deve», «è obbligato», «fa» e così via.

PRESIDENTE
Che cosa vuole trovare scritto in un codice che stabilisce chi deve garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro?

VERONESE
Quello che voglio dire è che già il fatto che l’espressione ricorra così tante volte può dare l’idea di quanto sia difficile osservare tutte le disposizioni previste nel decreto.

PRESIDENTE
Secondo lei, dunque, si tratta di una normativa vessatoria.

VERONESE
Sì, è così, tant’è che nessun datore di lavoro è in grado di condurre in autonomia, ad esempio, la valutazione dei rischi, perché è complicata.
Ci permettiamo allora di fare un ragionamento. Da questo punto di vista le procedure standardizzate, in via di pubblicazione, potrebbero fornire al datore di lavoro un supporto valido e a basso costo, ma dovranno essere definitive e necessariamente organizzate per comparto e non riprodurre in modo generico gli obblighi previsti dal decreto.
L’eccessiva varietà e frammentazione delle disposizioni, che si accompagna spesso a forti difficoltà applicative legate ai continui rimandi alle norme tecniche (pensiamo al rischio elettrico) e alla mancanza di metodologie di valutazione predefinite (basti pensare al rischio chimico), viene vista e letta come vessazione – e torno quindi a quello che dicevo prima – anziché come reale opportunità di miglioramento.
Inoltre, la necessità di dimostrare e tracciare a tutti i costi l’avvenuto adempimento contribuisce a spostare sempre più l’attenzione dalla sostanza alla forma: non ci si chiede più , cioè, qual è il senso di una determinata disposizione o come osservarla al meglio, ma la domanda che ci si fa più spesso è qual è il modo migliore di formalizzarne l’attuazione per evitare sanzioni. Questa purtroppo è la cultura che si sta diffondendo e la logica della certificazione ad ogni costo va necessariamente superata. Lo vediamo, ad esempio, nei cantieri: là dove le catene delle responsabilità sono ormai definite, ci si solleva dalla responsabilità con la carta, chiedendo quindi alle imprese a valle di produrre sempre più documenti, senza verificarne la reale sostanza.
Le norme e le misure di prevenzione e protezione sono ancora troppo spesso pensate su misura della grande industria e, di conseguenza, difficilmente applicabili alle piccole realtà. Questo è un punto su cui battiamo da sempre.
Le procedure tipiche della certificazione di qualità, purtroppo, non trovano spazio nella microimpresa, la quale viene posta in una condizione di sfavore. Si pensi ai modelli di organizzazione e gestione aziendale previsti dall’articolo 30 del decreto legislativo n. 81 ed aventi efficacia esimente della responsabilità amministrativa, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001: le piccole imprese – e parliamo, almeno nella Provincia di Udine, di imprese con una media di 2,6 addetti – non sono in grado di attuare questi sistemi, per cui sono poste in condizione di svantaggio fin dal principio.
C’è, infine, uno sbilanciamento eccessivo di responsabilità nei confronti del datore di lavoro, anche relativamente a questioni che non sono necessariamente sotto il suo controllo. Pensiamo, ad esempio, alla sicurezza delle macchine per cui, se il costruttore ha messo sul mercato macchine non perfettamente a norma, il datore di lavoro assume una parte di responsabilità.
C’è, ancora, il discorso degli accertamenti sanitari necessari per verificare l’assunzione di stupefacenti o di alcool, obbligatori per determinate mansioni: perché questo tipo di verifica deve gravare necessariamente sul datore di lavoro? Innanzitutto sono controlli che non garantiscono l’efficace monitoraggio su tutto l’anno, limitandosi ad un preciso momento storico.
Le imprese di costruzione e di trasporti hanno visto aumentare il costo annuo di circa 80 euro a lavoratore per questi adempimenti in più che potrebbero essere distribuiti dal Servizio sanitario nazionale. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la formazione è la misura preventiva principe e su cui stiamo spingendo tutti da anni, ma perché viene lasciata quasi esclusivamente all’iniziativa privata e il suo costo grava unicamente sul datore di lavoro? Perché una parte dei percorsi formativi, quelli standardizzati e che non dipendono dal tipo di attività o di mansione (come i corsi per addetti antincendio, per il primo soccorso e la formazione generale per i lavoratori), non viene fatta alla scuola dell’obbligo visto che dovrebbe essere patrimonio di tutti? Perché deve essere necessariamente il datore di lavoro a farsi carico di questa formazione considerato l’alto turn over? Il recente accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 intervenuto a regolamentare i percorsi formativi anziché migliorare e facilitare la formazione la sta bloccando. Nelle piccole imprese, a seguito dell’emanazione dell’accordo, non si fa più formazione. I vincoli imposti, i 60 giorni dal momento dell’assunzione, le 16 ore per i lavoratori di base hanno bloccato la formazione perché chi eroga questa formazione non è in grado – il discorso lo abbiamo fatto per l’edilizia – di inseguire la domanda. Non possiamo organizzare un corso al giorno, però non si sa quando si assumerà. Questi termini non riusciamo a rispettarli, se non con un ulteriore costo a carico delle imprese. Non sono stati considerati i lavoratori atipici. Infine, per quanto riguarda i rapporti con l’organo di vigilanza, è necessario dare più attuazione a quello che prevedono gli articolo 9 e 10 del Testo unico. L’azienda sanitaria, in particolare, deve fare più attività di prevenzione; ne viene fatta ancora troppo poca e in alcuni casi vanno superate le sovrapposizioni di competenza nei cantieri temporanei o mobili tra l’azienda sanitaria e la direzione territoriale del lavoro. Non è raro che intervengano entrambi gli organi di vigilanza e sanzionino per cose diverse.
In conclusione, chiediamo una razionalizzazione delle norme, una necessaria semplificazione degli adempimenti, una maggiore condivisione delle responsabilità dei costi in capo al datore di lavoro con la collettività e, in particolare, con il sistema istituzionale – non può gravare tutto sul datore di lavoro – e un maggiore supporto e un ruolo attivo tra le associazioni di categoria nel veicolare la cultura della sicurezza nelle imprese. Deve essere prestato più ascolto alle associazioni fin dalla fase legislativa e più supporto economico a livello istituzionale per favorire la diffusione delle buone prassi anche grazie alla nuova bilateralità.

GIOVARRUSCIO
Il Testo unico credo sia tagliato su misura, nonostante le lamentele, sull’edilizia, sul manifatturiero e sulle attività del settore primario. Il coinvolgimento del terziario è molto più recente. Il Testo unico, connesso con l’accordo quadro Stato-Regioni, va a incidere in maniera più determinata su quel processo di crescita culturale che necessariamente deve essere fatto e svolto sul particolare problema della sicurezza sul posto di lavoro. Nel settore terziario, come da lei sottolineato poco fa, non è un problema così gravoso; tuttavia, ritengo che la sicurezza sia un problema che riguarda tutti. Come è stato ripetutamente detto qui, dovrebbe avere una diffusione di massa e appartenere alla cultura generale di un Paese. Considerato l’appesantimento e l’aggravio che in questo momento particolare sta attraversando il settore terziario e il commercio in particolar modo, i corsi di formazione costano. In questo senso mi riallaccio ai discorsi fatti. Sicuramente c’è un problema di differenziazione per categorie. Ci troviamo a fare dei corsi con una normativa che abbraccia uno spettro molto ampio di casistica. Probabilmente sarà anche compito nostro definire e dare delle indicazioni. La cosa che volevo sottolineare era l’aspetto dei costi di questi corsi di formazione. Non sono particolarmente informato, però i fondi categoriali dedicati alla formazione continua potrebbero aiutare. So che i corsi per la sicurezza non potevano essere abilitati; se potessero essere messi a catalogo, forse le imprese potrebbero averne un beneficio. Dal momento che il datore di lavoro paga una quota per la formazione continua del proprio dipendente, probabilmente l’accoglimento della possibilità di far rientrare i corsi per la sicurezza, visto che l’aggiornamento è continuo e obbligatorio per l’accordo quadro Stato-Regioni, potrebbe alleviare il peso economico.

PIU
Sarò sintetica perché nella mia veste di rappresentante della piccola e media industria provata mi ritrovo nelle considerazioni fatte dai colleghi. Quello che cambia, proprio per il sistema produttivo che rappresentiamo, può essere in funzione del settore produttivo in cui operano e del grado di rischio delle imprese. Come associazione in questi ultimi tempi abbiamo utilizzato ogni risorsa e ci siamo impegnati nell’attività di formazione e di prevenzione in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, proprio in ottemperanza di quanto ci viene dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e più di recente dell’accordo Stato-Regioni che investe la bilateralità di un ruolo fondamentale. Negli ultimi 18 mesi abbiamo realizzato un progetto importante per la divulgazione della cultura della sicurezza nelle imprese con più di 30 addetti, in collaborazione con le parti sociali – qui si osserva la concretizzazione della bilateralità – e soprattutto con l’importante supporto dell’INAIL regionale con interventi formativi strutturati nella misura di due interventi per ogni impresa. Ad oggi abbiamo realizzato 30 interventi con il risultato di accrescere, al di là della consapevolezza dei rischi in azienda sulla base dei dati storici, anche il senso di responsabilità di tutti i datori di lavoratori e i collaboratori. Si è trattato di una formazione che andava a interessare trasversalmente le imprese in tutta la forza lavoro impegnata in azienda, coinvolgendo anche le persone che la norma stessa interpella per seguire questi adempimenti (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e i preposti). Questo tema è importante per le nostre associazioni perché si deve necessariamente passare da lì se si vuole avere delle aspettative di crescita e sviluppo per le nostre imprese. A nostro avviso, la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro è un indice di civiltà per il Paese, di produttività e sviluppo per la collettività perché può tagliare alla radice parte dei costi sociali di un Paese e in questo anche noi come parte datoriale ci stiamo impegnando. Come hanno detto più volte i colleghi, questi risultati possono essere più facilmente perseguibili se le norme sono di immediata comprensione e di facile applicazione, specie anche in ragione delle dimensioni delle aziende, che in grande maggioranza nella nostra realtà produttiva sono rappresentate da piccole e medie imprese, e della loro organizzazione. Allo stesso tempo è necessaria la consapevolezza e il senso di responsabilità sia dei datori di lavoro che dei collaboratori. Il collega Hauser citava le statistiche sulle denunce infortunistiche nella nostra Regione. Se vediamo in effetti, come citava benissimo lui, gli ultimi dati presentati dall’INAIL sul 2010, ci dicono che la Regione Friuli-Venezia Giulia va meglio rispetto al resto dell’Italia. L’indice di incidentalità cala a livello nazionale dell’1,9 per cento e a livello regionale del 3,6 per cento. Le denunce di infortuni sono circa 21.000, quelle mortali sono 17, di cui solo sei avvenuti nei luoghi di lavoro. Il resto è accaduto tutto in itinere. Siamo tutti consapevoli del fatto che si tratta di un risultato importante perché per la prima volta scendiamo al di sotto delle 20 unità, ma questi risultati devono anche essere depurati dall’effetto della crisi economica che stiamo vivendo.

PRESIDENTE
Già nel 2010 siete scesi al di sotto delle 20 unità.

PIU
Un’alta percentuale di infortuni è dovuta a difetti nell’organizzazione aziendale, ma molte volte anche a distrazioni o a comportamenti non corretti che possiamo imputare a chi lavora all’interno dell’azienda. Noi individuiamo delle possibilità di miglioramento che possiamo elencare. A nostro avviso, sarebbe importante uno scambio maggiore di conoscenze in tema di sicurezza tra gli attori stessi; potrebbe essere importante la costituzione di una rete informatica, magari a cura dell’INAIL, che potesse rendere accessibili o consultabili documenti che possono fungere da modelli per trovare soluzioni di gestione aziendale; sarebbero necessari il coinvolgimento di tutti i lavoratori nelle questioni attinenti la sicurezza oltre, come diceva anche il signor Tilatti, ad un’educazione civica più diffusa a partire dai banchi di scuola, specie negli istituti tecnici o di avviamento professionale. Per le nostre imprese ci sono ancora molto spazi su cui è necessario concentrare gli sforzi. È utile razionalizzare e coordinare a livello nazionale e territoriale la vigilanza per evitare duplicazioni e anche intercettazioni divergenti.

PRESIDENTE
Sto ascoltando con grande interesse le vostre considerazioni, però mi sembra che una parte importante della legge n. 123 del 2007 e successive modificazioni non venga messa in risalto. Mi riferisco a quella che contempla il coordinamento regionale, che viene incontro alle cose che sta dicendo lei e cui ha fatto riferimento qualcun altro prima. Con questa legge il legislatore ha cercato di mettere in piedi una costruzione. Sicuramente non sarà perfetta, come tutto in questo mondo e potrà certamente essere migliorata, ma se a questa costruzione non diamo importanza – mi sembra che qualche problema esista in questa Regione sul coordinamento regionale – è chiaro che si complica tutto perché abbiamo organismi territoriali che hanno le più ampie competenze – parlo delle aziende sanitarie – e abbiamo anche organismi nazionali che fanno riferimento al Ministero del lavoro, all’INAIL, ai vigili del fuoco, che seguono indicazioni strategiche a livello nazionale. Se non si trova un luogo dove tutto questo si compendia è chiaro che le cose non vanno bene. Pertanto, i rappresentanti dei datori di lavoro presenti nel coordinamento si devono fare carico di una maggiore attività di coordinamento, che poi si dispiega sul territorio e che permette di evitare i problemi che sono emersi. Penso, ad esempio, ai due soggetti che ripetutamente si presentano.
Il legislatore ha dato uno strumento specifico, che ora però bisogna mettere in funzione. In alcuni interventi si è parlato come se non esistesse una normativa, come se la dovessimo ancora inventare; invece esiste, come anche il coordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia. Ci è stato riferito da alcuni auditi che sarebbe opportuna una maggiore dinamicità di questo coordinamento, una riunione più ravvicinata nel tempo, quindi una strategia che lo stesso si deve dare. Il punto chiave di sintesi tra la normativa nazionale e la gestione territoriale è il coordinamento che opera – in questo sta la difficoltà – attraverso due soggetti, lo Stato e le Regioni, che non sono l’uno sovraordinato all’altro, ma paritetici di fronte alla Costituzione. Questo significa che ci vuole uno sforzo di maturità civica maggiore.
Noi parlamentari non vogliamo scaricare le responsabilità, ma bisogna che tutti ci muoviamo, altrimenti possiamo anche rivedere le norme, ridurle o ampliarle, ma alla fine il risultato non c’è mai. Quindi sul territorio voi avete gli strumenti; in qualche modo dovete tutelarvi.
Sulla semplificazione in atto (vi ho dato anche delle comunicazioni al riguardo), sono state da voi avanzate alcune proposte delle quali, se noi dovessimo ritenerle valide – e sicuramente talune lo saranno –, sarà nostra cura farci carico in termini emendativi. Però dobbiamo lavorare insieme, un testo c’è.
Credo che molte cose vadano fatte insieme con i sindacati e con le forze sociali e che questi comitati regionali debbano partire bene, altrimenti è un problema. Sui costi della formazione, voi sapete benissimo – diciamocela tutta la storia – che la formazione è totalmente in capo alle Regioni. Allora si può fare un’operazione anche per stabilire che delle attività di formazione rientrino tra quelle che sono in capo alle Regioni, ma nell’ambito di quel meccanismo di cui abbiamo parlato prima dove si va a discutere e a trattare. Capisco benissimo che un’impresa non può stabilire un corso di formazione, sia pur accelerato, di poche ore (ma comunque sono ore), per ogni addetto che arriva, perché non arrivano tutti insieme; ne arriva oggi uno, dopo una settimana un altro, in base a quello che serve.
Da questo punto di vista, questa attività di sinergia con la Regione vi può e vi deve aiutare, perché i fondi per l’attività di formazione vi possono rientrare. Avete i fondi che riguardano la bilateralità, che vi pagate, non vi regala nulla nessuno, però vi si possono fare rientrare. Va messo tutto in moto e abbiamo la sensazione che non sia partita molto bene questa macchina. Ve lo vogliamo dire, altrimenti è inutile che veniamo sul territorio a raccontarvi cose che non sentiamo. Però questo significa che non va gettata la macchina, ma che bisogna farla marciare meglio.

DANELUZZI
Mi riallaccio a quanto detto prima dal collega di Coldiretti. Vedo che anche la Commissione è a conoscenza del problema del de minimis e del parco macchine in agricoltura.
Come Confagricoltura chiediamo l’attivazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), come in parte aveva anticipato la mia collega, e la possibilità di dare attuazione anche alla legge 24 dicembre 2007, n. 247, che prevedeva appunto degli incentivi, fino al 20 per cento del contributo INAIL, per le aziende che negli ultimi due anni non avevano avuto alcun contributo. Ci dovrebbe essere in questo caso un passaggio ulteriore in quanto nella normativa mancherebbe il riferimento al collegato che preveda anche l’inserimento delle aziende agricole.

PRESIDENTE
Fateci avere un appunto al riguardo.

ŠIK
Rappresento l’Unione regionale economica slovena.
Aggiungo qualche parola a quello che hanno già detto i colleghi soltanto per portare a vostra conoscenza il fatto che stiamo implementando un progetto di collaborazione transfrontaliera sul programma Italia-Slovenia 2007-2013, progetto Transarmon. Ci siamo accorti di un problema che altrove probabilmente non è neanche sentito ma qui è tutt’altro che marginale: le imprese slovene, ormai in numero anche abbastanza importante, che vengono a lavorare sul territorio nazionale, specialmente nell’area di confine, non conoscono la normativa sulla sicurezza sul lavoro vigente in Italia. Fanno il classico errore di dire che, essendo in Europa, basta fanno un controllo rispetto alla normativa slovena e poi, quando vengono in Italia, combinano disastri.
In pratica, stiamo implementando questo progetto. Da parte italiana ci sono dentro tutte le associazioni datoriali, comprese Confindustria, CNA, Confartigianato, Confcommercio e – cosa più importante – l’UOPSAL di Trieste, cioè l’Unità operativa prevenzione e sicurezza sul lavoro della ASL triestina, in rappresentanza degli organi di controllo regionali. Per la prima volta abbiamo messo attorno ad un tavolo gli organi di controllo sulla sicurezza e sul lavoro italiani e sloveni affinché gestiscano questa situazione, che potenzialmente può creare e ha già creato dei problemi.
Dico questo soltanto come informazione che credo sia importante nel nostro ambito territoriale.

PRESIDENTE
È importante e mi complimento per questa iniziativa. Del resto noi dimentichiamo, non essendo di Trieste, che ci troviamo in una realtà di confine. Giustamente lei ci ha posto un problema che abbiamo colto anche in altre parti d’Italia.
Vi ringraziamo per essere intervenuti. Dichiaro concluse le audizioni odierne.


Fonte: Senato della Repubblica