Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 116: lunedì 26 novembre 2012

Audizioni dei soggetti istituzionali e delle parti sociali della regione Lazio, competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro

Presidenza del presidente TOFANI

Audizione del Prefetto di Roma
Audizione dei rappresentanti della Regione Lazio
Audizione dei rappresentanti della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma
Audizione dei rappresentanti della Direzione regionale dell’INAIL, della Direzione regionale del lavoro e della Direzione regionale dei Vigili del fuoco del Lazio
Audizione dei rappresentanti del Comando per la tutela del lavoro dell’Arma dei Carabinieri
Audizione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali del Lazio
Audizione dei rappresentanti delle organizzazioni datoriali e imprenditoriali del Lazio



Audizioni dei soggetti istituzionali e delle parti sociali della Regione Lazio, competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro

Intervengono il dottor Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma; in rappresentanza della Regione Lazio: il dottor Maurizio Di Giorgio, dirigente dell’area sicurezza nei luoghi di lavoro, il dottor Fulvio D’Orsi, direttore SPRESAL ASL RM C e il dottor Augusto Quercia, direttore SPRESAL ASL di Viterbo; in rappresentanza della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma: il dottor Roberto Cucchiari, procuratore aggiunto; in rappresentanza della Direzione regionale dell’INAIL: il dottor Antonio Napolitano, direttore, la dottoressa Caterina Crupi, vicario del direttore regionale e l’avvocato Salvatore Pellegrino; in rappresentanza della Direzione regionale del lavoro: la dottoressa Emanuela Cigala, direttore; in rappresentanza della Direzione regionale dei Vigili del fuoco: l’ingegner Domenico Riccio, direttore; in rappresentanza del Comando per la tutela del lavoro dell’Arma dei Carabinieri: il colonnello Paolo Giovanni Maria La Forgia, comandante nazionale, accompagnato dal tenente colonnello Aniello Speranza, e dal luogotenente Giovanni Defraia; in rappresentanza delle organizzazioni sindacali del Lazio: per CGIL Roma e Lazio, il dottor Eugenio Stanziale, segretario, e il dottor Daniele Ranieri, funzionario; per CISL Lazio, il dottor Dario Roncon, segretario regionale, e il signor Roberto Pedullà , responsabile sicurezza; per UIL Roma-Lazio, il dottor Giovanni Calcagno, segretario regionale, e l’ingegner Stefano Gaudioso, rappresentante; per UGL costruzioni, il dottor Egidio Sangue, segretario nazionale; in rappresentanza delle organizzazioni datoriali e imprenditoriali del Lazio: per Unindustria-Confindustria Lazio, il dottor Marcello Bertoni, vice direttore generale, e l’ingegner Marco Micheli, delegato sicurezza; per CONFAPI Lazio, il dottor Michele Volpe, direttore delegazione provinciale di Latina, e l’avvocato Michele Aniello, funzionario; per ANCE Lazio, l’ingegner Stefano Petrucci, presidente, e il dottor Stefano Usseglio, direttore; per Confesercenti Lazio, il dottor Antonio Ciavattini, vice direttore, e l’avvocato Annalisa Papa, esperto in diritto della sicurezza sul lavoro; per Confagricoltura Lazio, l’ingegner Paolo Perinelli, presidente; per Coldiretti Lazio, il signor Mauro Zalabra, responsabile provinciale EPACA; per Confartigianato Imprese Lazio, l’ingegner Daniela Scaccia e la dottoressa Ilaria Del Casale, referenti in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali; per CNA Lazio, il dottor Danilo Martorelli, presidente, l’avvocato Giovanni Martorelli, funzionario, e il dottor Giorgio Bollini, responsabile della sicurezza; per Casartigiani Lazio, il dottor Michele De Sossi, ufficio relazioni sindacali; per Confcooperative Lazio, il geometra Pasqualino Rossi, direttore; per AGCI Lazio, il dottor Mauro Morelli, responsabile sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca audizioni dei soggetti istituzionali e delle parti sociali della Regione Lazio, competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Avverto che della seduta odierna sarà redatto e pubblicato il Resoconto stenografico.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.

Audizione del Prefetto di Roma

PRESIDENTE
Verrà svolta per prima l’audizione del Prefetto di Roma, che ringraziamo per la sua presenza.
Signor Prefetto, la Regione Lazio è l’ultima Regione di cui incontriamo le istituzioni con riferimento alla scelta della Commissione di svolgere un’inchiesta in tutta Italia, a distanza di quattro anni dall’entrata in vigore del Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008), per verificare in che modo lo stesso è stato recepito, quali attività vengono svolte, come è stato attivato il coordinamento regionale. Vorremmo capire se ci sono problemi e fare una prima analisi, atteso che mancano ancora una serie di atti amministrativi secondari, alcuni dei quali molto importanti e ciò sicuramente crea delle criticità. Cedo la parola al nostro ospite.

PECORARO
Signor Presidente, la ringrazio per l’invito. Mi trova particolarmente sensibile su questo tema, oltre che come uomo anche perché sono stato capo dipartimento dei Vigili del fuoco. In quella veste ho assistito ad una serie di drammi determinati proprio da situazioni che potevano essere evitate. Mi riferisco, in particolare, alla tragedia della ThyssenKrupp a Torino e ad altre situazioni per le quali promossi una norma, inserita nell’articolo 46 del Testo unico sulla sicurezza, secondo la quale le aziende sono autorizzate a stipulare convenzioni anche con i Vigili del fuoco per migliorare la sicurezza sui luoghi di lavoro non solo al fine della prevenzione incendi, ma anche per garantire migliori condizioni di lavoro per i lavoratori. Lei faceva prima riferimento a provvedimenti di secondo livello che devono essere ancora emanati, aspetto molto importante ai fini della formazione del personale responsabile della sicurezza nelle aziende. Lei ha individuato un punto su cui c’è stata da parte mia e dei miei collaboratori di allora un’attività di promozione di tali disposizioni, che mi auguro possano trovare applicazione nell’interesse dei Vigili del fuoco e della comunità, posto che vi è anche un riscontro di carattere economico.
Al di là di questo, non posso non fare riferimento alla situazione economica della Regione Lazio che dal secondo semestre 2011 ha subìto una brusca contrazione. Mentre la produzione e la domanda si sono ridotte, l’unico settore che ancora tiene è quello del turismo, con un aumento dei turisti ma una contrazione sotto l’aspetto delle spese e del contributo al settore. Questo crea una serie di problematiche che abbiamo potuto verificare attraverso gli appalti, tant’è vero che ci siamo ripromessi, tenuto conto che abbiamo riscontrato grandi problemi soprattutto nel settore edile, di promuovere e di attuare un protocollo di intesa con i sindacati e gli altri soggetti competenti in materia. Il protocollo di intesa – il cui testo vi farò pervenire – è, secondo gli stessi sindacati, molto innovativo, se non altro perché porta a far sì che la prefettura insieme all’INAIL possa organizzarsi per controllare i capitolati e svolgere una serie di attività per assicurare non solo che le condizioni di sicurezza siano rispettate, ma anche per evitare che in questo momento si utilizzi personale senza una competenza professionale o che, comunque, si possa favorire il lavoro nero. Tenga conto che in un momento di crisi è ovvio che la criminalità organizzata possa utilizzare le gare al massimo ribasso per potersi insinuare.
Signor Presidente, in questi mesi del 2012 abbiamo quasi raddoppiato le interdittive nei confronti di imprese romane anche importanti perché abbiamo potuto constatare un collegamento tra queste imprese che hanno sede a Roma con aziende che hanno avuto rapporti con la mafia, la ’ndrangheta e la camorra. Di qui l’attenzione da parte della prefettura nel predisporre, e nel trovare l’adesione di altri Comuni, dei protocolli di legalità. Uno che considero molto importante è quello dell’Autorità portuale di Civitavecchia, dove ci sono numerosi appalti, tenuto conto della possibilità dell’Autorità portuale di avere liquidità per fare gare pubbliche nelle materie che riguardano la sua competenza. Con il Comune di Civitavecchia e con altri Comuni della Provincia di Roma abbiamo stipulato un patto di legalità. Abbiamo, inoltre, promosso insieme alla Provincia di Roma la stazione appaltante in modo tale che i Comuni che volessero essere aiutati negli accertamenti e nelle gare da loro predisposte ricevessero l’aiuto da parte della stessa prefettura. Addirittura per Ostia, tenuto conto che avevamo notizia che per le concessioni balneari vi potessero essere collegamenti con soggetti appartenenti o contigui alla criminalità organizzata, siamo arrivati a far sì che nella commissione per la concessione dei permessi per l’utilizzo delle spiagge ci fosse un componente della prefettura di Roma, attraverso cui fare accertamenti volti ad evitare che concessioni balneari fossero date a soggetti di dubbia moralità. Terminata questa gara dovremmo aver raggiunto il risultato sperato.
Ho fatto questa introduzione perché noi non abbiamo competenza specifica in materia di infortuni sul lavoro, però penso che tra le attività di prevenzione che la prefettura deve svolgere rientra l’attività volta ad evitare che soggetti criminali possano approfittare della situazione di crisi economica nella Regione Lazio e possano inserirsi o sfruttare le gare al massimo ribasso o utilizzare persone non all’altezza. Rispetto a questo tema, per esempio, abbiamo potuto notare che alcune aziende utilizzavano altre società per impiegare personale che comunque non aveva la professionalità necessaria per svolgere l’attività che veniva richiesta.
Proprio per venire incontro alle esigenze dei lavoratori e dei responsabili della sicurezza, abbiamo preso in considerazione un protocollo che è stato sottoscritto dalla prefettura di Latina; è un protocollo molto interessante e innovativo, in cui si parla di formazione itinerante, che consiste nel creare un gruppo di soggetti in grado di fare formazione ai responsabili della sicurezza presso le aziende che ne abbiano bisogno. Ritengo che questo tipo di protocolli potranno essere sottoscritti dalla prefettura di Roma anche con le associazioni di categoria e con le organizzazioni sindacali, sperando che, grazie a questo tipo di attività con le aziende e con i sindacati (che sono sempre presenti in prefettura per una serie di motivi), si riesca ad ottenere se non una sorta di controllo almeno di verifica dell’attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 e di tutti gli ultimi provvedimenti sulla sicurezza. Abbiamo notato, infatti, una mancata conoscenza della normativa di settore.
Questi protocolli, soprattutto quello di Latina, che riguarda, per esempio, i silos e le attività confinate (come vengono in gergo definite), sono stati redatti proprio per evitare che vi siano soggetti che, senza avere una formazione specifica, svolgano attività molto pericolose.
Signor Presidente, per non togliere spazio ai soggetti istituzionali, mi sono messo d’accordo con l’INAIL, che ha una competenza specifica in materia, affinché sia questo Istituto a darvi tutti i dati sul tema. Sono ovviamente disponibile a ogni tipo di contributo che possa venire da questa Commissione, anche per allargare il coordinamento (anche se non spetta specificatamente alla prefettura) e per promuovere una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro.

PRESIDENTE
Signor Prefetto, la ringrazio per le sue riflessioni sul tema della sicurezza e, in modo particolare, sugli appalti. Questa Commissione si è molto interessata del problema, perché proprio attraverso un corretto svolgimento degli appalti, come lei descriveva, noi possiamo ottenere non solo maggiore sicurezza per i lavoratori e maggiore rispetto delle regole e delle norme, ma anche una maggiore garanzia di legalità.
Stiamo cercando di promuovere alcune iniziative in tutta Italia. Considerato che abbiamo avuto un contrasto abbastanza netto con l’Unione europea per quanto riguarda la possibilità di eliminare il riferimento al «massimo ribasso» (stiamo incontrando difficoltà perché ci viene risposto che non si può limitare la libera concorrenza), credo che le prefetture, tra i tanti compiti meritori che assolvono, potrebbero compiere un’opera di sensibilizzazione per unificare le stazioni appaltanti. Sarebbe interessante se ogni Provincia avesse una sola stazione appaltante, con tutti i supporti ai quali anche voi, con i protocolli, avete fatto riferimento. Si tratta di far capire l’opportunità di non attivare la procedura del massimo ribasso: se non riusciamo a risolvere il problema con l’eliminazione di quel riferimento potremmo risolverlo attraverso la non attivazione della procedura. Lei sa che si tratta di una procedura che consente – bisogna dirci le cose come stanno – maggiore facilità nella definizione e nell’indizione della gara e che dà la possibilità di ridurre i costi dell’opera. Spesso, con la riduzione dei costi dell’opera, emergono anche altre possibilità. Fino a poco tempo fa ciò consentiva all’amministrazione di avere un’elasticità sui risparmi dei capitoli posti in gara.
Credo, quindi, che dovremmo, tutti insieme, magari anche con l’associazione dei Comuni e delle Province, svolgere quest’opera di convincimento, perché è un punto strategico e nodale.

PECORARO
Proprio con la Provincia di Roma abbiamo iniziato un progetto sulla stazione appaltante unica, ovviamente in accordo con il Comune di Roma Capitale e gli altri Comuni. Roma Capitale, per il numero di gare che si svolgono sul suo territorio, ha una sua particolarità, tant’è vero che abbiamo in discussione un progetto di protocollo di legalità – che di fatto esiste già, come ho detto – in cui sono inclusi riferimenti all’aspetto della pericolosità, ad esempio per quanto riguarda le concessioni balneari a Ostia. In base a questo protocollo, un componente della prefettura è stato inserito nella commissione; si tratta di una sorta di esperimento, perché non avremmo la competenza per far parte di una commissione che riguarda un Comune, sia pure Roma Capitale. Lo abbiamo fatto proprio perché per Ostia c’è il rischio che persone appartenenti alla criminalità o comunque contigue ad essa cerchino di accaparrarsi le concessioni balneari. Ci siamo, poi, fermati, in attesa della delibera del Parlamento sulle Province. Dobbiamo infatti capire, una volta che il Parlamento avrà definitivamente deciso sulle Province e sui regolamenti di Roma Capitale, come muoverci.
Certamente, signor Presidente, sottolineo che è indispensabile che su Roma Capitale – tenuto conto che qualcuno, appartenente alla criminalità organizzata, ha detto che «c’è posto per tutti» – vi sia un’attività di prevenzione da parte della prefettura e delle forze dell’ordine, per evitare che il mercato romano venga inquinato.
Non c’è controllo del territorio (ma questa non è la Commissione competente in materia), ma, per quanto riguarda gli appalti, considero positivamente questa attività di promozione, affinché sugli appalti vi sia una forte attenzione da parte di tutti. Il problema ovviamente non riguarda soltanto Roma Capitale, tuttavia, tenuto conto che Roma è l’immagine del nostro Paese, è necessario che sugli appalti vi sia un’attenzione particolare; attenzione che è diretta agli esercizi commerciali e al mondo dell’edilizia, dove vi è la tendenza di soggetti appartenenti o contigui alla criminalità organizzata ad inserirsi, ovviamente attraverso i subappalti e le forniture.
Ben venga da parte della vostra Commissione questa attenzione sugli appalti, che ovviamente noi non possiamo che raccogliere con grande e sentita convinzione.

GRAMAZIO
Signor Prefetto, vorrei richiamare alla sua attenzione – ma sicuramente non ce n’è bisogno – quanto avvenuto all’aeroporto di Fiumicino qualche giorno fa. Un operaio è morto per schiacciamento. Credo che su questa situazione si debba avere un occhio vigile, anche per i subappalti che ci sono all’interno dell’azienda Aeroporti di Roma, specialmente in funzione dei futuri allargamenti delle piste e, quindi, degli interventi che dovranno essere fatti e che prevedono lavori per circa dieci anni, lavori lunghissimi e di altissimo premio. Lì potrebbe inserirsi quella situazione che lei poc’anzi denunciava nel suo intervento.
Poi c’è la situazione del porto turistico, dove la magistratura è già intervenuta. Si parla di appalti e subappalti a catena, fino ad arrivare ad una piccola azienda che sembrava dovesse fare i lavori con un risparmio considerevole; leggo dai giornali di 300 milioni di euro e di una spesa che arrivava a soli 100 milioni di euro con i subappalti. Anche in quella situazione si possono intravedere problematiche particolari.
Abbiamo ascoltato, tempo fa, dopo l’incidente occorso ad alcuni operai, le società che sono intervenute per i lavori sulla metropolitana. Anche questa situazione va esaminata, proprio perché si tratta di cantieri tutt’oggi aperti e funzionanti nella città di Roma. Anche lì si parla di appalti e di subappalti a piccole aziende; l’ultimo incidente riguardava infatti una piccola azienda che aveva in subappalto i lavori di scavo della metropolitana. Lei sicuramente ha questa attenzione, conoscendo il tessuto di questa città e di questa Provincia in modo particolare.

PECORARO
Senatore Gramazio, per quanto riguarda Aeroporti di Roma lei saprà che con le gare che si sono svolte ultimamente siamo dovuti intervenire nei confronti di ben due società, in un caso con un’interdittiva e nell’altro caso con un’atipica: l’atipica da parte della prefettura di Messina e l’interdittiva vera e propria da parte della prefettura di Roma. Questo sta a dimostrare che l’attenzione è alta da parte nostra. Ma ciò crea anche tensione, perché ovviamente gli operai hanno fatto affidamento su certe società e ad un certo punto si accorgono che possono perdere il posto di lavoro. Dobbiamo quindi trovare delle soluzioni per il cambio di appalto, per evitare che si perdano posti di lavoro. La vicenda Aeroporti di Roma è andata bene, anche con l’aiuto del presidente Palenzona.

GRAMAZIO
C’è il problema delle pulizie in aeroporto, cui sono collegati lo sciopero e il blocco dell’aeroporto stesso.

PECORARO
Mi riferivo proprio a questo, senatore Gramazio. Siamo dovuti intervenire in occasione di queste due gare e penso che dovremo intervenire anche per altre gare. La società Aeroporti di Roma è privata; anche lì forse dobbiamo trovare un’intesa e delle soluzioni, perché ad essa sia rivolta un’attenzione ancora maggiore. Interveniamo infatti su una società privata.

PRESIDENTE
La ringrazio per la sua collaborazione, signor Prefetto.

Audizione dei rappresentanti della Regione Lazio

PRESIDENTE
È ora prevista l’audizione dei rappresentanti della Regione Lazio.
Abbiamo convocato oggi questa audizione, in conclusione di un tour che abbiamo svolto in tutta Italia, per renderci conto di come, in base alle norme del decreto legislativo n. 81 e successive modificazioni (quello che chiamiamo il «Testo unico»), le Regioni, che hanno un ruolo centrale ed importante ai fini del coordinamento delle attività sul territorio, si stiano muovendo. Vorremmo sapere se vi sono delle richieste e se vi sono delle criticità, per avere uno spaccato dell’applicazione di questa normativa, ormai entrata in vigore da quattro anni pur essendo incompleta in alcune parti. I motivi del nostro incontro non sono pertanto motivi particolari o straordinari, ma riguardano un’inchiesta che si conclude con l’audizione odierna, dopo aver svolto questa attività in tutte le altre Regioni italiane.

DI GIORGIO
Signor Presidente, la ringrazio anzitutto per l’invito e le porto i saluti dell’assessore Zezza, che ha comunicato la sua impossibilità ad essere presente. La ringrazio perché questa è un’occasione, all’interno del lavoro che la Commissione ha svolto negli anni, che permette non solo di dare voce ad una Regione importante come la nostra, ma – come lei ha appena detto – anche di avere un confronto e poter portare delle istanze e delle richieste con le quali ci confrontiamo tutti i giorni e che sicuramente in questa sede non solo sono comprese, ma possono anche ricevere qualche risposta.
Consegno alla Commissione un rapporto sull’attività svolta negli ultimi tre anni in Regione Lazio nell’ambito della promozione della salute e della sicurezza in linea con gli adempimenti di cui al decreto legislativo n. 81. Si tratta di attività a livello regionale e quindi istituzionale: istituzionale: comitato ex articolo 7, ufficio operativo e organismi provinciali. Contiene inoltre ciò che la programmazione regionale ha prodotto non solo come atti (delibere, ecc.), ma anche come impatto che queste attività hanno avuto sull’efficienza dei servizi sul territorio. Consegno inoltre tre allegati che riguardano l’attività specifica sull’amianto, sulla quale, se lei desidera, apriremo una parentesi specifica.
Premetto che negli adempimenti relativi al decreto legislativo n. 81, per quanto riguarda il Lazio, noi ci confrontiamo essenzialmente con due criticità. Penso che la prima sia condivisa anche dal resto d’Italia, mentre l’altra forse è di minore impatto, ma condiziona spesso il lavoro. La prima criticità è rappresentata sicuramente dalla crisi economica; con questo non voglio però mettere le mani avanti dando la colpa esclusivamente alla crisi, anche se è stato l’aspetto con il quale abbiamo dovuto necessariamente fare i conti.
Nel rapporto che consegno agli atti della Commissione si illustra la diminuzione registrata negli anni di personale con qualifica di UPG (ufficiali di polizia giudiziaria), ovvero le figure professionali che costituiscono l’indicatore di riferimento in tutt’Italia per definire l’adeguatezza delle risorse destinate ai servizi; il blocco del turnover e il piano di rientro, cui la Regione Lazio è sottoposta, hanno reso difficile ovviare a questa diminuzione di personale. Peraltro, nella programmazione regionale abbiamo cercato di sostenere il lavoro dei servizi, tanto che rispetto al raggiungimento dei LEA (livelli essenziali di assistenza) negli ultimi anni siamo sempre stati considerati adempienti. Quindi, a fronte di una criticità di risorse che andavano diminuendo, abbiamo cercato di rispondere programmando meglio, spendendo i soldi in maniera più adeguata, anche se questo non ha risolto appieno. Vedremo quest’anno a che punto siamo con l’adempimento dei LEA.
L’altro punto che vorrei sottoporre alla sua attenzione, Presidente, rispetto ad una questione che lei sta portando avanti, è la mancanza di una linea di indirizzo, fatta eccezione per la programmazione nazionale sul piano per l’edilizia e l’agricoltura. Ho fatto prima l’esempio dell’indicatore dei LEA nella Regione Lazio: rispetto alla congruità con l’obiettivo della copertura annuale del 5 per cento delle aziende, a distanza di cinque anni dal Patto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (1º agosto 2007), non si sa se tale indicatore mantenga ad oggi la sua capacità di rappresentazione delle attività (se quanto si fa è troppo, è poco, è adeguato o meno). Quindi, è necessario un indirizzo nazionale che crei una omogeneità. In questo incidono talune difficoltà di coordinamento – per questo i colleghi coordinatori di due degli organismi provinciali sono qui con me oggi – che talvolta si hanno con gli altri enti. Spesso non si riconosce il valore – eppure l’esperienza ce lo insegna – dell’agire insieme: non solo si garantisce una migliore copertura del territorio ma soprattutto si dà certezza all’applicazione della norma che favorisce il lavoro in sicurezza, al di là della normale attività di vigilanza. Quindi, su questi due aspetti noi comunque abbiamo cercato di superare le difficoltà.
Nella relazione vengono altresì rappresentati i dati estrapolati dal prossimo rapporto regionale sugli infortuni e le malattie da lavoro, che vedrà la luce a giorni, redatto dall’Agenzia di sanità pubblica del Lazio, la quale ha il compito, normato da un decreto della Giunta regionale, di osservatorio e riferimento per quanto riguarda la lavorazione dei dati epidemiologici, utilizzando i dati INAIL. Ebbene, considerando un periodo di 12 anni (dal 2000 ad oggi), gli andamenti infortunistici variano di 1.000-2.000 unità in più o in meno, ma ciò su cui stiamo spingendo è l’individuazione di sacche di rischio maggiormente rappresentative, dove difficilmente riusciamo ad arrivare o dove più complessa è l’attuazione, soprattutto a causa della crisi economica, di reali misure di sicurezza.
Per quanto riguarda la programmazione regionale (parlo da tecnico, quindi non ho chiavi di lettura complete e adeguate), ogni anno in Regione Lazio viene finanziato un piano di prevenzione per gli infortuni da malattie da lavoro: fino a due anni fa il budget era di circa 5 milioni di euro, di cui 1,5 milioni veniva utilizzato per la pubblicazione di avvisi pubblici e per finanziamento a parti sociali; lo scorso anno tale budget si è ridotto a 2,5 milioni; il prossimo anno sinceramente non so. Come abbiamo fatto i conti con questo rimaneggiamento di risorse? Attraverso risorse appostate in più anni e non ancora impegnate. Abbiamo dato a tutte le ASL l’obiettivo di fare una programmazione che si spalmasse su tre anni, non limitandosi, come in passato, a programmare su un unico anno con un finanziamento anche cospicuo dedicato solo a quell’anno, ma garantendo a ciascun anno una quota di risorse che servisse ad assicurare comunque quel «di più » rispetto all’attività istituzionale e quell’approfondimento di cui parlavo poc’anzi.
Nel settore edile la vigilanza è svolta su tutti i fronti ma i problemi fondamentali in edilizia sono le cadute dall’alto, il seppellimento...

PRESIDENTE
Immaginiamo che svolgiate tutti questi compiti nella maniera adeguata, ma vorremmo capire un po’ meglio l’attività del comitato di coordinamento regionale nella gestione sul territorio; che cosa è accaduto nella Regione Lazio dal 2008 ad oggi?

DI GIORGIO
Ho dedicato una parte della relazione a questa attività.

PRESIDENTE
Lei ha sollevato una questione molto importante, ad avviso della Commissione e anche mio personale, perché in qualche modo ha manifestato una problematicità di coordinamento tra i soggetti regionali e i soggetti che comunque hanno una gestione di carattere piramidale, nazionale. Nel merito, vorremmo avere maggiori dettagli anche per conoscere questa realtà, perché siamo convinti che ciò è motivo di criticità.

DI GIORGIO
L’esperienza della Regione Lazio è configurata in termini di una partecipazione e di un coinvolgimento pieno, a livello di comitato di coordinamento, di tutti gli enti che ne fanno parte in fase di progettualità, di propositività, di accettazione, e quindi di programmazione e di approvazione. Sono stati approvati nel corso degli anni alcuni progetti; soprattutto sono stati istituiti gruppi di lavoro ad hoc per sviluppare determinate problematiche. Una di queste due anni fa ha riguardato la necessità di definire le modalità di vigilanza in edilizia congiuntamente con la Direzione del lavoro, tenendo conto delle chiare suddivisioni che la norma stabilisce rispetto agli ambiti di competenza, e soprattutto cercando di unire la vigilanza amministrativa con la vigilanza tecnica rispetto alla copertura del territorio. Diciamo che a livello regionale, quindi di decisionalità istituzionale, questa attività è stata svolta (i colleghi potranno testimoniarlo), ma quando si va sul territorio, proprio per una questione di piramidalità rispetto all’altra istituzione, molto spesso si ha difficoltà a mettere in asse le due realtà. Voglio dire che le ASL hanno una catena di comando breve, nel senso che si riferiscono all’area regionale, con obiettivi numerici e strategici; le Direzioni del lavoro hanno obiettivi definiti a livello di Direzione generale nazionale e declinano nella loro attività quegli obiettivi di cui devono poi rispondere. Per questo all’inizio accennavo alla necessità di una evoluzione del coordinamento nazionale.
D’altra parte, presidente Tofani, finché non ci sarà una indicazione a livello centrale (ho partecipato a diverse riunioni presso i Ministeri della salute e del lavoro) su una omogeneità quantomeno di approccio, la situazione non cambierà; ancora non si è arrivati a questo. Quindi, se dal punto di vista istituzionale, all’interno del Comitato....

PRESIDENTE
Si riferisce al Comitato nazionale di coordinamento ex articolo 5 del Testo unico?

DI GIORGIO
Sì. Se a livello di comitato regionale, ex articolo 7, programmiamo, definiamo, condividiamo, quando poi andiamo sul territorio abbiamo una difficoltà applicativa proprio perché la catena di comando – ripeto – e la funzionalità sono diverse; quindi, sicuramente ci si confronta tra due autonomie che hanno pieno diritto di essere tali ma che forse andrebbero ricondotte ad una omogeneità.

PRESIDENTE
Come pensa si possa fare?

DI GIORGIO
Una delle sfide che stiamo cercando di portare avanti in Regione riguarda il fatto che, soprattutto al momento attuale, non si può pensare di risolvere i problemi legati alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro separando la parte specificamente legata alla salute (che vede il coinvolgimento di Regioni, ASL ed altri soggetti) dalla parte concernente il lavoro.
Ho sentito parlare prima del problema Aeroporti di Fiumicino: questioni come quelle relative all’irregolarità del lavoro o ai turni di lavoro non possono che essere pensate come parte di una più complessiva attività di vigilanza. Dovrebbe esserci quantomeno uno scambio di informazioni tra enti che vigilano su una determinata attività, se si considera che il lavoro nero costituisce di per sé un fattore di rischio che, al di là della violazione della norma, entra comunque in gioco.
Per rispondere quindi alla sua domanda, signor Presidente, è come se ci fossero due livelli distinti.

PRESIDENTE
E questi livelli, se ho ben capito, non comunicano fra di loro o almeno comunicano solo parzialmente.

DI GIORGIO
Diciamo che sono difficilmente comunicanti.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda, invece, l’attività del comitato di coordinamento regionale, può dirci da quanto tempo è stato istituito?

DI GIORGIO
È stato istituito nel marzo del 2009.

PRESIDENTE
Lei che tipo di competenza ha?

DI GIORGIO
Ho una competenza tecnica: in particolare, è in capo al mio ufficio il coordinamento dell’ufficio operativo.
Se mi è possibile, vorrei segnalare una criticità: mi riferisco al fatto che la partecipazione alle riunioni dell’ufficio operativo non è sempre costante e questo discorso coinvolge alcuni enti diversi da quelli che ho citato prima. Per quanto riguarda, ad esempio, le strutture sanitarie ed il grandissimo sforzo che la Regione sta portando avanti nel condurre un’attività di verifica, abbiamo cercato spesso la collaborazione dei Vigili del fuoco, non tanto perché intervenissero come «truppe cammellate», ma per capire come gestire alcune problematiche, cercando di individuare, insieme alle ASL, delle modalità di approccio che favorissero gli adempimenti previsti dalla normativa. Da questo punto di vista, però , abbiamo incontrato sul territorio tutta una serie di difficoltà. Questo è il motivo per il quale prima distinguevo tra funzionamento istituzionale e declinazione federativa di tanti soggetti.

PRESIDENTE
Sono previste riunioni periodiche?

DI GIORGIO
Sì, anche se c’è da dire che abbiamo sofferto delle due crisi di giunta che ci sono state nella Regione Lazio. Così, mentre nel 2010 ci sono state tre riunioni, quest’anno ci siamo riuniti fino a luglio, dopo di che, per la terza e la quarta riunione, previste per ottobre e dicembre, non è stato possibile procedere.

PRESIDENTE
La ringrazio, dottor Di Giorgio.
Chiedo agli altri ospiti se desiderano prendere la parola per aggiungere qualche particolare al ragionamento molto chiaro che è stato sviluppato dal dottor Di Giorgio – e che personalmente apprezzo – al fine di offrirci uno spaccato ancor più dettagliato.

D’ORSI
Buongiorno, sono Fulvio D’Orsi, direttore dello SPRESAL di una delle cinque ASL di Roma (la ASL Roma C), e mi occupo del coordinamento provinciale per quanto riguarda il Lazio. Faccio questo mestiere da sempre, nel senso che a tale attività ho dedicato tutta la mia vita. Nel corso della mia esperienza ho incontrato varie Commissioni d’inchiesta ed ho avuto anche l’onere e l’onore di svolgere attività di consulenza per la prima Commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro, istituita nel 1989 e presieduta dal senatore Lama.
Vorrei provare a fare sinteticamente un bilancio evidenziando, da una parte, gli aspetti positivi della situazione nella quale ci troviamo ad operare e, dall’altra, le criticità. Tra gli aspetti positivi vi è sicuramente il fatto che nel nostro lavoro siamo molto vicini al territorio, con diverse professionalità all’interno dei vari servizi. Questo modo di operare ci rende facilmente raggiungibili e ci aiuta ad affrontare problemi complessi. Tra le iniziative alle quali ho lavorato e a cui sono più affezionato potrei citare la bonifica dall’amianto dell’area dell’EUR, la bonifica delle vasche di catrame nel Gazometro, nel cuore del quartiere Ostiense di Roma: al di là del fatto di dare risposta a domande specifiche, stiamo parlando di situazioni non facilmente individuabili, anche in termini di rischio per i lavoratori e per la popolazione.
Un tema centrale è rappresentato sicuramente dal lavoro nel settore delle grandi opere: la nostra è una delle ASL interessate dai problemi legati allo scavo della metro C, così come alla realizzazione della Nuvola, il nuovo centro congressi della Capitale. Per quanto ci riguarda, abbiamo puntato ad un’attività che non fosse soltanto di vigilanza, ma anche di facilitazione e promozione della comunicazione tra tutti i soggetti, oltre che di identificazione delle varie fasi. Il 14 dicembre terremo il primo e forse unico convegno che fino ad oggi sia stato fatto in Italia su un’opera di grande richiamo architettonico come la Nuvola, dedicato però a questioni attinenti alla sicurezza, piuttosto che all’urbanistica o all’architettura.
Per quanto riguarda gli aspetti negativi, questi sono ravvisabili essenzialmente in quattro criticità. C’è sicuramente il problema della riduzione delle risorse, per cui chiaramente con meno operatori vengono controllati meno luoghi di lavoro, anche se è vero, comunque, che l’obiettivo per noi fissato nell’ambito dei LEA è del 5 per cento l’anno di aziende controllate, dunque abbastanza limitato. Di sicuro è possibile andare più in profondità, ma la riduzione delle risorse ce lo impedisce, oltre ad acuire le altre criticità tra cui, innanzitutto, il mancato coordinamento tra enti. A questo proposito, sottolineo il fatto che noi che dirigiamo il coordinamento provinciale di Roma non siamo riconosciuti come soggetto di riferimento: convochiamo le riunioni, ma gli altri enti non partecipano. Si riesce a fare un’attività di vigilanza coordinata su alcuni aspetti: ogni ASL di Roma effettua almeno due uscite al mese insieme ai responsabili della vigilanza amministrativa, di INPS, INAIL e Direzione territoriale del lavoro. Non riusciamo però a fare di più : non riusciamo a dare indicazioni, a fare protocolli, a confrontarci sui contenuti. Le due criticità principali che non siamo riusciti a sbloccare minimamente nel coordinamento provinciale riguardano il rapporto con i Vigili del fuoco (che non partecipano anche se convocati specificatamente, sebbene sia di loro competenza la vigilanza sull’emergenza, aspetto su cui dovremmo in qualche modo confrontarci) ed il rapporto con la parte tecnica della Direzione territoriale del lavoro. Questo è un po’ un paradosso, perché con la parte amministrativa, che si occupa di controllare la regolarità del contratto di lavoro, abbiamo un buon rapporto e un buon livello di pianificazione, mentre con la parte tecnica, con cui potremmo cercare di fare, ad esempio, un piano di suddivisione per zone dei cantieri da visionare, non riusciamo ad avere un dialogo di alcun genere, in quanto c’è un atteggiamento di competizione e di non riconoscimento reciproco. Roma è una realtà particolare, dove i vari enti sentono maggiormente il ruolo della Direzione nazionale del lavoro piuttosto che dello SPRESAL, che è poco riconosciuto.
Il terzo elemento critico è quello del coordinamento tra le ASL stesse, che sono otto nella Regione e cinque nel Comune di Roma e che hanno comportamenti difformi; non si riesce ad avere indicazioni univoche e centralizzate sia dal livello nazionale, sia dal livello regionale. Questo sarebbe necessario per dare, in qualche maniera, al mondo delle aziende la certezza del diritto, per cui una determinata norma si interpreta in un certo senso e ad una determinata attività produttiva si applica una certa normativa.

PRESIDENTE
Se capisco bene, lei rileva due problematicità nel coordinamento: con gli altri soggetti coinvolti e tra le aziende sanitarie stesse.

D’ORSI
Esattamente, noi rileviamo criticità tra le aziende sanitarie a tutti i livelli: sia, ad esempio, nei rapporti tra un’azienda sanitaria di Milano e un’azienda sanitaria di Roma, sia tra le cinque aziende sanitarie di Roma, anche se in quest’ultimo caso le differenze sono minori. Esistono tuttavia delle differenze interpretative e questo è un punto molto critico. Spesso ci fermiamo nell’azione sapendo che più di tanto non possiamo chiedere, finché la normativa non è uguale su tutto il territorio: non possiamo prevedere una cosa nel nostro territorio ed una cosa diversa nel territorio di un altro municipio. D’altra parte, ci rendiamo conto che se gli interlocutori sanno che un’ASL funziona in un modo e un’altra ASL in un altro, questo riduce enormemente l’efficacia della nostra azione.
L’ultimo punto critico è quello relativo alla cosiddetta vigilanza domestica. Lo SPRESAL è un organo che vigila sul suo stesso datore di lavoro, cioè sulla ASL, che però non è un ufficio, ma è una delle più grandi aziende della Regione. Nel mio territorio la ASL è l’azienda più grande, con 3.500 dipendenti, con una serie di rischi estremamente complessi, con due ospedali. Questo ci mette in una posizione di debolezza nei confronti dell’attenzione e della vigilanza sull’ente stesso, ma anche di anomalia nella nostra funzione che è poco compresa all’interno dell’azienda. Quella scarsità di risorse di cui dicevo diventa scarsità di attenzione all’interno del sistema aziendale e scarsità di risorse che vengono destinate. L’area su cui si risparmia, se necessario, è l’area della prevenzione e, all’interno della prevenzione, è l’area dello SPRESAL, che in fondo viene considerato un corpo estraneo, che addirittura fa contravvenzioni allo stesso direttore generale, e quindi non si ritiene di destinargli maggiori risorse perché la sua azione sia ancor più efficace.

PRESIDENTE
Quello che ha delineato è un quadro abbastanza chiaro.

QUERCIA
Mi trovo in linea con quanto detto dai colleghi, che hanno descritto molto bene le criticità esistenti, sulle quali tutti concordiamo. Non so se può essere d’interesse, ma l’ASL di Viterbo è un’ASL di periferia rispetto a quella di Roma, quindi quella che vivo forse è una realtà un po’ diversa.

PRESIDENTE
Vive le stesse problematiche di cui ha parlato il suo collega?

QUERCIA
A livello di coordinamento ho gli stessi problemi; quest’anno siamo riusciti per la prima volta, con l’operazione «Mattone sicuro», su cui c’è stata una reazione abbastanza vivace poiché non eravamo stati avvertiti, ad avere nel coordinamento la presenza del direttore della DTL di Viterbo e del responsabile della vigilanza amministrativa, che non erano rappresentati. Li abbiamo invitati e abbiamo fatto, per la prima volta, una serie di interventi congiunti perché c’è una grande difficoltà a mettere insieme le risorse.
Una particolarità di Viterbo è che nell’ambito della Regione Lazio è la Provincia con la maggiore presenza di aziende agricole e di addetti all’agricoltura: siamo stati individuati dal livello generale come ASL di riferimento per il Piano agricoltura. Stiamo facendo uno sforzo, devo dire con grande partecipazione delle otto ASL che partecipano al Piano agricoltura, per omogeneizzare i comportamenti. L’interesse principale è sulla messa in sicurezza del parco macchine, che è obsoleto. I trattori sono pericolosi; per rendere l’idea della situazione, nel primo semestre di quest’anno a Viterbo si sono verificati quattro decessi per ribaltamento del trattore (anche se, per fortuna, nessun morto in edilizia). Questi dati spesso non emergono perché non entrano nella banca dati INAIL in quanto si tratta di coltivatori diretti pensionati o hobbisti, e tuttavia è un costo in termini di vite umane che riguarda la collettività.
Facendo riferimento a quanto ha detto il prefetto, vorrei dare una comunicazione che spero sia d’interesse: da poco tempo, in Provincia di Viterbo, è partito il cantiere dell’Autostrada tirrenica, che è una grande opera; la settimana scorsa abbiamo firmato in prefettura, alla presenza del prefetto di Viterbo, un protocollo per la sicurezza che a nostro avviso è molto significativo, benché molto semplice (si tratta di poche pagine che farò pervenire alla Commissione), con cui la committenza si impegna a selezionare le imprese in base a requisiti di sicurezza. Quindi c’è un forte impegno alla radice, in chi governa il cantiere, e si prevede un sistema premiante per le imprese che rispettano le norme di sicurezza; c’è un impegno ad adottare, per gli incidenti senza infortunio, il modello di analisi «Sbagliando s’impara», che può essere di estremo interesse per modificare quei determinanti che sono alla base degli infortuni; c’è poi un impegno della committenza al coinvolgimento in pieno degli organismi bilaterali per la formazione dei lavoratori e c’è un impegno da parte pubblica a coordinare il 100 per cento degli interventi nel cantiere effettuando almeno il 20 per cento di interventi congiunti fra i vari enti, fra cui ASL e DTL. È una sfida, alla luce delle difficoltà che abbiamo detto prima, ma è una sfida che abbiamo accettato.
Due altri elementi che mi sento di sottoporre alla vostra attenzione riguardano il fatto che nella stessa giornata di giovedì, alla presenza del prefetto, è stato presentato il sistema delle notifiche on-line, che sta ormai funzionando: in Provincia di Viterbo è attivo dall’inizio dell’anno, ma abbiamo voluto sperimentarlo per un periodo prima di fare una inaugurazione ufficiale.
Un altro aspetto che caratterizza la Provincia di Viterbo è la presenza del polo industriale ceramico di Civita Castellana. Si tratta di aziende che hanno una grande dinamicità, legata alla capacità di adattamento produttivo alle richieste del mercato. Questa dinamicità comporta una difficoltà nella standardizzazione dei processi produttivi e nel controllo dei fattori di rischio ed, in particolare, delle polveri contenenti silice. Credo che questo polo sia il serbatoio laziale, ma forse anche nazionale, che continua purtroppo a sfornare nuovi casi di silicosi. Si tratta di una malattia su cui si sa tutto e pertanto dovremmo riuscire a controllarne l’insorgenza. Purtroppo, invece, emergono ancora nuovi casi.
Abbiamo inoltre sviluppato a Viterbo una particolare attenzione nella ricerca delle malattie professionali, collegandola a tutte le attività, al piano edilizio e all’agricoltura. Da tale attività emerge, da un lato, una criticità nel sistema di sorveglianza sanitaria, così come attuato in base alle disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 e, dall’altro, la presenza di numerosissime patologie professionali, in particolare dell’apparato locomotore, che non sono riconosciute. Ritengo che si debba prestare attenzione a questo elemento.
Inoltre, in collaborazione con altri colleghi della Regione, alla luce delle criticità del sistema privato aziendale di prevenzione, organizziamo con una certa continuità ed una certa frequenza degli interventi di formazione congiunta tra i nostri operatori e le figure di prevenzione delle imprese. Ciò significa infatti crescere insieme, adottare lo stesso linguaggio, avere le stesse conoscenze ed acquisire le stesse abilità nella valutazione del rischio o nella ricerca di altri elementi.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il vostro contributo. Vorrei sapere se è possibile avere il testo del protocollo.

DI GIORGIO
Sì, certo.

PRESIDENTE
Lei, dottor Di Giorgio, ha poi fatto riferimento ad una documentazione sull’amianto.

DI GIORGIO
In questa documentazione sono presenti la mappatura e il report del 2011. Vorrei inoltre rilevare che la comunicazione ex articolo 9 nel Lazio è informatizzata già da due anni. Le ditte pertanto non devono più mandare tonnellate di carta, come prima avveniva, ma con un accesso dedicato presso il Centro regionale amianto, che si trova a Civita Castellana, comunicano questi dati. Il rapporto sul registro mesoteliomi del Centro operativo del Lazio è riferito al 2011.

PRESIDENTE
Avete questi registri riferiti ai territori? È un registro centralizzato?

DI GIORGIO
Questo è il registro dei soggetti ai quali è stato riscontrato il mesotelioma, che attraverso gli ospedali e le diagnosi arrivano al Centro regionale; su questi soggetti si approfondisce l’indagine epidemiologica per capire se e quale esposizione lavorativa vi sia stata. Infatti spesso ci troviamo di fronte a casi già diagnosticati per i quali, ad esempio, dal punto di vista assicurativo non è stato fatto nulla.

PRESIDENTE
Questo solamente per il mesotelioma. Avete inoltre un registro per i tumori?

DI GIORGIO
Sì, presso l’Osservatorio epidemiologico della Regione Lazio.

PRESIDENTE
Rivolgendomi a coloro che hanno la responsabilità delle ASL, faccio presente che c’è la richiesta di avere questi registri a livello provinciale, perché vi sono alcune aziende sanitarie che non li hanno. Sarebbe perciò importante avere tali dati. È un aspetto che può interessare la competenza di questa Commissione per capire quanto il mesotelioma sia legato all’attività professionale. Il caso del mesotelioma è palese ed eclatante. È però necessario capire anche quali altre tipologie di tumore ci sono sui territori perché spesso l’indagine epidemiologica è importante se viene scomposta. Nel momento in cui essa rimane composta è difficile da comprendere.
Prima il dottor Quercia ha fatto riferimento ad una malattia professionale che si riteneva quasi scomparsa, richiamandoci alla mente che essa invece ancora esiste. Questi elementi possono nascere anche su territori con problematiche diverse o comunque correlate. Vi ricordo poi che anche sul territorio c’è richiesta di questo registro.

DI GIORGIO
Il Centro operativo regionale dallo scorso anno ha attivato il registro per i tumori naso-sinusali (ReNaTUNS), dovuti ad esempio all’esposizione a polveri di legno. Anche in tal caso siamo di fronte ad una patologia emergente, che si comincia a riconoscere.

PRESIDENTE
Sarebbe però necessario programmare queste attività e non farle a spot. Se noi avessimo questo registro dei tumori, dove si specifica la natura della patologia, andremmo a rispondere a tali richieste. Mi sembra che per una Regione importante come il Lazio dotarsi di questa conoscenza potrebbe essere rilevante.
Vorrei infine sapere come nasce la scelta di una ASL romana e di una ASL viterbese per questa audizione.

DI GIORGIO
Nasce perché sono coordinatori degli organismi provinciali di Roma e di Viterbo e quindi volevo che illustrassero l’esperienza dell’attuazione di questo istituto. Inoltre una ASL rappresenta la città di Roma, l’altra una realtà provinciale particolare, che vive difficoltà forse minori, ma comunque diverse rispetto a quelle che si vivono dentro Roma.

PRESIDENTE
Come è la situazione nelle altre Province?

DI GIORGIO
Frosinone, Latina e Rieti non sono troppo in sofferenza in tema di risorse. Il problema con cui devono fare i conti è che queste risorse, in base a degli standard, vanno a confrontarsi innanzitutto con tipologie di aziende completamente diverse; pensiamo, ad esempio, a Latina e Frosinone. Pensiamo alle ASL come la Roma H, con le aziende farmaceutiche. Queste tipologie di rischio a Roma non si trovano. È una differenza che si sconta anche nei numeri. Se andiamo a vedere i dati di vigilanza delle varie ASL, Latina ha 100 aziende in meno rispetto a RM C, seppure abbia adeguate risorse di personale.
Vorrei inoltre rilevare che noi siamo partiti, come tutta Italia, con il programma REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemical substances); la Commissione sicuramente conosce la complessità di approccio che presenta lo sviluppo di questo programma. Noi abbiamo iniziato con la formazione e i colleghi di Latina, che hanno realizzato le attività di vigilanza su una azienda del territorio lo scorso anno (secondo quanto richiesto dal Ministero), hanno impiegato due mesi e mezzo non solo per l’attività di vigilanza in senso stretto, ma perché si sono trovati di fronte ad interlocutori altrettanto validi professionalmente con i quali hanno discusso le varie problematiche. Quindi, vivono una realtà produttiva e occupazionale spesso completamente diversa che richiede programmazione e approccio altrettanto diversi.
Il collega D’Orsi evidenziava la presenza di difformità tra ASL e ASL e questo, in parte, discende dalla sottolineatura che facevo. Per ultimo, abbiamo costituito presso la ASL RM C il centro regionale di riferimento per lo stress lavoro correlato, non solo perché la Regione Lazio è capofila di otto Regioni che lavorano per produrre documenti per la Commissione permanente ex articolo 6 del Testo unico, ma perché questa ha licenziato documenti di indirizzo rivedibili o migliorabili che costituiscono un punto di partenza su cui lavorare. A distanza di tre mesi abbiamo individuato una struttura regionale a costo zero, nel senso che le risorse che utilizzerà, se necessario, saranno quelle derivanti dal decreto legislativo n. 758 del 1994. Forse è una delle materie a livello nazionale che andrebbe meglio chiarita e non perché le norme non siano chiare. Per quanto riguarda l’utilizzo degli introiti derivanti dall’applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, il comma 6 dell’articolo 13 del decreto è chiarissimo. Abbiamo due leggi regionali nel Lazio che indicano i capitoli di bilancio delle ASL cui devono essere imputati questi introiti e con che finalità devono essere utilizzati. Molto spesso qui si assiste ad un pieno agire dell’indipendenza e dell’autonomia gestionale delle varie ASL. Anche su questo punto si è avviato un percorso di regolamentazione omogeneo. Il documento licenziato dal Comitato ex articolo 5 del Testo unico, e che dovrebbe andare alla Conferenza Stato-Regioni, riguarda l’informatizzazione, notifiche on line, banche dati, sanzioni; un’attenzione stiamo ponendo alla descrizione dei costi, diretti o indiretti, generati da infortuni e malattie da lavoro. L’Osservatorio regionale presso l’ASP ha prodotto una stima – presente nell’ultimo rapporto – dei costi diretti conseguenti ad accesso al pronto soccorso per infortuni sul lavoro. Solo nel 2010 si registrano 7,7 milioni di euro di costi diretti, senza considerare i ricoveri e i costi indiretti di giornate di lavoro perse. Un ragionamento sui dati consente non solo di rappresentare la realtà, ma anche di renderci conto di come il miglioramento della salute nei luoghi di lavoro possa ridurre questi costi (meno infortuni e meno malattie) e dove, conseguentemente, possono essere allocati i risparmi corrispondenti per ulteriori azioni di prevenzione Non penso di dire nulla di nuovo.

GRAMAZIO
Con riguardo ai registri, voglio ricordare – i funzionari che sono qui lo sanno perfettamente – che esiste un registro tumori nella ASL di Latina che è uno dei primi registri dei tumori ancora funzionante; le altre ASL non hanno mai dato vita ad un registro tumori.

Audizione dei rappresentanti della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma

PRESIDENTE
Signor procuratore, stiamo svolgendo questa indagine e la concludiamo oggi con il Lazio, dopo esserci recati in tutte le Regioni d’Italia per capire come viene recepita la nuova normativa che riguarda le problematiche relative agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali e chiedere alle procure di riferimento sul territorio come si approcciano a questo tema, che ovviamente è un tema specialistico diverso rispetto ad altri di cui si occupano. Vorremmo sapere come vi siete organizzati, se vi siete strutturati con delle sezioni specialistiche; vorremmo altresì conoscere il vostro punto di vista su questo argomento.

CUCCHIARI
Sono subentrato a una struttura che fu creata dal collega Amendola. Questa struttura era l’ufficio ambiente e prevenzione infortuni sul lavoro. Detto ufficio è passato a me da circa due anni e mezzo. Siamo organizzati con dei magistrati che si occupano degli infortuni sul lavoro, oltre ovviamente ad altre materie. Abbiamo una struttura nostra, della quale fanno parte attualmente quattro ispettori del lavoro che ci sono stati dati nella sezione di polizia giudiziaria dalle varie ASL di Roma. Costoro sono di turno a rotazione insieme al magistrato di turno esterno. Ove accadesse un infortunio mortale o, comunque, grave, il magistrato di turno esterno che viene avvisato dalla polizia giudiziaria manda subito l’ispettore che è di turno con lui. L’ispettore va sul posto e, ovviamente insieme alle altre autorità di polizia giudiziaria intervenute come i Carabinieri o l’ASL territoriale, contribuisce ad accertare i fatti e poi a riferirli al PM titolare del fascicolo. A sua volta il PM continuerà a delegare le indagini necessarie perché molte volte si rende opportuno verificare i responsabili, magari perché c’è una catena di appalti. Questa struttura, sia pure con le tante mancanze che tutti hanno in questo momento, funziona abbastanza bene. Abbiamo un buon rapporto con le singole ASL e abbiamo concluso un protocollo con l’INPS riguardante i contributi; abbiamo anche un buon rapporto con l’INAIL con cui abbiamo fatto un accordo. Gli Istituti sono in grado di fornirci molto materiale se è necessario. Ad esempio, adesso abbiamo delle necessità sull’amianto. Noi comunichiamo all’INAIL tutti gli incidenti perché l’Istituto ha diritto di rivalsa e può costituirsi in giudizio ove vi fosse un processo.
Tornando agli incidenti sul lavoro, ci siamo posti una problematica. Il sistema di cui vi ho parlato riguarda gli incidenti mortali o gravi, però ci sono tanti altri incidenti. Alla persona che si presenta al pronto soccorso perché ha perso una falange viene fatto il referto e se ne torna a casa, però la ASL non viene avvertita. Succede che quell’episodio dopo alcuni mesi riemerge perché l’INAIL ci chiede se abbiamo un procedimento. A questo punto, quando, a distanza di alcuni mesi dal fatto – tre, quattro o cinque – se ne viene a conoscenza è inutile mandare l’ASL sul posto, perché il cantiere o la fabbrica non ci sono più , sono spariti; in genere succede così.
Vorrei segnalare, inoltre, che abbiamo un rapporto ottimo con le ASL, ma sappiamo bene che i vari SPRESAL hanno difficoltà di personale. Questo comporta un mancato controllo sul territorio. L’ASL controlla i cantieri di cui ha notizia e magari trova irregolarità ai fini della prevenzione; ma se vi è un cantiere clandestino nessuno ci va e nessuno lo vede, se non quando, casualmente, qualcuno muore: sono cantieri clandestini.

PRESIDENTE
Dobbiamo chiarire questo aspetto. Se il modo di procedere è questo, è drammatico.

CUCCHIARI
Purtroppo non c’è proprio un controllo sul territorio.

PRESIDENTE
Vi è, innanzitutto, un discorso relativo al coordinamento, che interessa non solo le ASL, ma anche le Regioni (poco fa abbiamo ragionato con i rappresentanti della Regione Lazio). Se il coordinamento funziona – e già da quanto emerso nel corso di questa audizione, mi sembra che non sia così – si può avere un rafforzamento del personale destinato a questo settore.
È vero quello che lei dice: mancano gli ispettori e i soggetti incaricati di controllare e prevenire; ma è anche vero che il personale è parcellizzato. Ci sono molti soggetti che operano in questo campo. Se questi soggetti non capiscono – e mi sembra che finora non lo stiano capendo bene – che devono lavorare in modo sincronico, è chiaro che restano segmenti separati. Lei ha detto che ci sono quattro dipendenti dello SPRESAL dell’ASL che fanno riferimento a questo pool di magistrati.

CUCCHIARI
Sono da noi in procura.

PRESIDENTE
Significa che avete preso delle unità e le tenete in procura da voi? Non so se questo sia opportuno.

CUCCHIARI
È opportuno ai fini degli interventi sul posto. Oltretutto queste persone svolgono un’attività d’indagine in situazioni anche gravi.

PRESIDENTE
Gli interventi sul posto sono svolti dalle persone che fanno quel lavoro. È come se lei avesse a disposizione dei Carabinieri apposta per questi interventi sul posto. Quando accade un evento è la squadra d’indagine (poliziotti o carabinieri) ad intervenire.
Anche questa abitudine, secondo me, deve essere ripensata. Occorre partire dal presupposto che tutti gli ispettori tecnici, secondo le competenze degli uffici degli Ispettorati provinciali del lavoro, oppure degli SPRESAL, hanno le competenze per fornire risposte ad un magistrato che dovesse aprire l’indagine. Mi sembra che ognuno si muova in maniera indipendente e si accomodi i meccanismi come crede, pur se in perfetta buona fede, per migliorare la funzione.

CUCCHIARI
Queste quattro persone non ce le siamo prese così: fanno parte della sezione di polizia giudiziaria. Abbiamo seguito la legge, non le abbiamo prese così. Infatti, ci sono state date in base alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

PRESIDENTE
Avevo avuto una sensazione diversa. Seguono solamente gli infortuni?

CUCCHIARI
No, seguono un po’ tutto. Soprattutto, ogni giorno una di queste persone è di turno insieme al magistrato esterno. Se si verifica un infortunio sul lavoro, grave o mortale, il magistrato di turno esterno manda la persona di turno sul posto, la quale collabora insieme alle altre autorità di polizia.
A suo tempo è stata anche emanata una circolare del procuratore, che chiedeva alle altre polizie giudiziarie (Carabinieri, Polizia, Polizia Municipale), qualora intervenissero per un incidente sul lavoro, di non far toccare niente e aspettare l’intervento o del nostro ispettore o eventualmente di quello della ASL. È bene che intervengano questi ufficiali, che sono specializzati, e verifichino la situazione prima che sia stata modificata.

PRESIDENTE
Questo è normale, non solo negli incidenti sul lavoro, ma anche nei casi di omicidio.

CUCCHIARI
L’importante è evitare che si muovano altri che non sono competenti.

PRESIDENTE
Su questo sollecito una riflessione maggiore. Quello che lei dice è giusto e condivisibile: la scena dell’infortunio deve essere esaminata per quello che è, ma questo vale per qualsiasi altra situazione di carattere drammatico e traumatico, come nel caso della scena di un crimine in generale.

CUCCHIARI
Ma si tratta di specialisti. Se, ad esempio, sulla scena di un infortunio in cantiere dovesse mancare la tavola fermapiedi, è improbabile che i Carabinieri se ne accorgano, perché hanno altre competenze.

PRESIDENTE
Parliamo sempre di soggetti che intervengono su quel tipo di evento. Le persone che sono presso di voi e gli altri ispettori hanno le stesse competenze. Non le sto dicendo che l’intervento sul posto debba essere effettuato da un vigile urbano piuttosto che da un ispettore, perché questi due soggetti hanno competenze di tipo diverso. Da questo punto di vista, si può immaginare una situazione o un evento in un altro settore (ad esempio, un conflitto a fuoco): chiaramente, in quel caso, nel momento in cui viene data la comunicazione che si sta determinando un fatto efferato, parte chi per primo può arrivare. Credo che dovremmo considerare il mondo degli infortuni nella stessa maniera. È la stessa cosa, non cambia nulla.
Due o tre anni fa mi permisi di scrivere una lettera a nome della Commissione indirizzata a tutti i procuratori generali, chiedendo loro la cortesia di diffonderla e di organizzarsi (secondo le loro competenze, senza assolutamente intervenire) per esaminare i casi di incidenti su strada (o dovunque vi sia una mobilità) durante l’orario di lavoro non come infortuni stradali, ma come infortuni sul lavoro. Ciò comporta un approccio completamente diverso. Chiediamo la stessa collaborazione alla magistratura. Sicuramente ci verrà data. Dobbiamo esaminare la questione in questa maniera, altrimenti continuiamo a non considerare correttamente gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali, che sono un problema ancora più serio e complesso, anche se meno immediato e traumatico.

CUCCHIARI
Ora a Roma si sta aprendo lo scenario relativo all’amianto.

PRESIDENTE
Questo scenario si sta aprendo in tutta Italia, perché
sta iniziando la fase di comparsa dei sintomi, dopo la fase di incubazione.

CUCCHIARI
Lo vediamo, ad esempio, per le Ferrovie.

PRESIDENTE
Alla fine il nostro obiettivo è fare in modo che vi sia il massimo della collaborazione tra i soggetti. L’infortunio e la malattia professionale sono, infatti, momenti di collocazione laterale nel quadro generale dell’esistenza della comunità. Quando muore una persona per infortunio sul lavoro si accendono i riflettori, ma dopo un giorno il discorso è chiuso. Magari occorre mettere a frutto l’esperienza, appunto avvalendosi di esperti.
Credo lei sappia che una delle persone, appartenente al mondo della magistratura, con la quale abbiamo molti contatti, è il procuratore Guariniello, che si interessa in modo particolare di queste cose; costui, insieme al procuratore di Firenze, ha richiamato la nostra attenzione sulla necessità che ognuno, per le proprie competenze, si migliori in questo settore per inquadrare il mondo delle malattie professionali.

CUCCHIARI
Anche noi abbiamo contatti con il procuratore Guariniello, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’amianto. Ci poniamo, infatti, un problema. Mentre per quanto riguarda il processo a Casale Monferrato, in Provincia di Torino, i responsabili della fabbrica sotto inchiesta sono stati sempre gli stessi nell’arco di 30 anni (quindi non si è posto il problema dell’individuazione del responsabile), per quanto riguarda le Ferrovie dello Stato, in cui all’epoca, ogni anno, cambiava il legale rappresentante, è risultato molto difficile individuare la persona sotto la cui gestione il lavoratore sarebbe stato esposto agli agenti patogeni e si sarebbe avuto il primo focolaio. Noi ci siamo posti il problema. Poi ci siamo posti un altro problema: ci siamo chiesti se continuare a lavorare in mezzo alle polveri di amianto acceleri la latenza della malattia o sia irrilevante. Se ciò aggrava la malattia, infatti, allora ne rispondono anche i soggetti successivi. La legge sull’amianto è del 1992 e quindi è un po’ tardiva. Facendo una ricerca, ho scoperto che il governo del Reich tedesco, nel 1943, pagava di più gli operai che lavoravano con l’amianto, perché già avevano scoperto una connessione tra l’amianto e alcune malattie.

PRESIDENTE
Nel 1942 tale patologia era già tabellata in Italia; noi, senza Reich, l’avevamo già tabellata dal 1942 come malattia professionale.

CUCCHIARI
Anche oggi, una persona che ha gestito un’azienda prima del 1992 ti può rispondere: «Ma io cosa dovevo fare? Mica era vietata la produzione di amianto». Si pongono quindi dei problemi.
C’è poi un altro aspetto. La legge sull’amianto del 1992 è una legge che non interdice la presenza di amianto nei luoghi privati. Se ho un condominio con dei rivestimenti in amianto non sono obbligato a rimuoverlo, anche se è pericoloso. È evidente che di questi casi ce ne sono molti.

PRESIDENTE
La legge impedisce la lavorazione dell’amianto, ma non il mantenimento dello stesso, che è ancora presente in molte scuole e in molti uffici. Si tratta di un problema serissimo.

CUCCHIARI
Anche perché l’amianto era un materiale che tutto sommato appariva buono e a poco prezzo.

PRESIDENTE
Abbiamo però delle relazioni sui problemi causati dall’amianto che risalgono ai primi del Novecento. Giovedì ho avuto il piacere di partecipare alla seconda Conferenza nazionale sull’amianto, che si è tenuta a Venezia. In quella sede abbiamo ricordato alcuni punti di cui ha parlato anche lei: il problema dell’amianto era noto in Germania, era noto in Italia, era noto dappertutto. Già dai primi del Novecento veniva indicata la pericolosità di questo materiale, che poi si è dimostrato non pericoloso, ma drammatico.

CUCCHIARI
Secondo me ancora non siamo arrivati al picco (Casale Monferrato insegna).
Vorrei aggiungere un’ultima cosa. I processi che riguardano gli infortuni sul lavoro, soprattutto quelli mortali, cerchiamo di mandarli avanti il più celermente possibile, anche ai fini dei risarcimenti dovuti ai superstiti. Mi sembra che questa sia una cosa doverosa. Tali processi camminano molto più velocemente; i colleghi che li trattano sono aiutati anche da questi ispettori, che conoscono molto bene la materia.

PRESIDENTE
La ringrazio, signor procuratore, per il suo contributo ai lavori della Commissione.

Audizione dei rappresentanti della Direzione regionale dell’INAIL, della Direzione regionale del lavoro e della Direzione regionale dei Vigili del fuoco del Lazio

PRESIDENTE
Buongiorno e grazie per la vostra presenza. Questa audizione non è legata a fatti particolari che si sono determinati nella Regione Lazio, ma ad un’indagine che abbiamo svolto in tutte le Regioni d’Italia e che oggi concludiamo proprio con la Regione Lazio, per capire gli effetti e le determinazioni che si sono create a seguito dell’emanazione del cosiddetto Testo unico e delle successive modificazioni. Vorremmo soprattutto verificare un punto che il legislatore ha ritenuto importante e che è volto a mettere insieme i soggetti che si interessano dell’attività di prevenzione e di contrasto degli infortuni e delle malattie professionali; tali soggetti hanno organizzazioni diverse, alcune corte – come venivano definite questa mattina – e alcune lunghe, alcune orizzontali – come preferisco chiamarle io, parlando di quelle regionali – e altre verticali, che sono quelle che in qualche modo voi rappresentate. Questo coordinamento è pertanto il luogo di amalgama e di scelta delle strategie, per evitare sovrapposizioni.
Vorremmo sapere anche qual è il giudizio che vi siete fatti su questa attività, che è un’attività complessa e con mission diverse tra i Ministeri e le Regioni. Tutto ciò può non amalgamare completamente chi si interessa di queste tematiche, con un danno nell’attività di carattere generale di prevenzione e quindi di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Vi chiediamo quindi di fornirci elementi attraverso i quali capire come stanno andando le cose.

NAPOLITANO
Signor Presidente, come da richiesta ho preparato una breve relazione, che lascio agli atti della Commissione. Il problema del coordinamento è un problema molto importante. I diversi attori in campo sono i Vigili del fuoco, la Direzione regionale del lavoro, l’INAIL, la ASL e la Regione. I compiti di vigilanza attiva spesso risentono di questa mancanza di coordinamento che il Testo unico mette in capo alla Regione, anche se devo dire che negli ultimi anni – io vivo questa realtà dal 2005 – ci si è sforzati di lavorare insieme e in sinergia, onde evitare di duplicare gli stessi sforzi nelle stesse aziende (cioè di visitare più volte la stessa azienda), tenuto conto anche della ristrettezza di personale di vigilanza di cui tutti noi soffriamo. Quindi il compito di vigilanza è fondamentale, così come è importante il compito di coordinamento della vigilanza, onde evitare duplicazioni e raddoppio di costi. Per quanto ci riguarda e visto che la nostra vigilanza comprende una particolare attività, cioè la vigilanza assicurativa, noi auspichiamo questo coordinamento. Per quanto riguarda il Lazio, diciamo che l’attività di coordinamento potrebbe essere migliorata.

PRESIDENTE
Questo è un dato che sentiamo ripetere. Ascoltando i dirigenti della Regione, che comunque si interessano a questo tema, abbiamo notato che lamentano anch’essi una scarsa collaborazione. In effetti emerge questo dato, relativo alla mancanza di quell’assonanza che in qualche modo il legislatore ha cercato, nel momento in cui ha individuato nel coordinamento un luogo di superamento di determinate problematiche.
Noi siamo giunti alla fase conclusiva di questa lunga indagine. Con il vice presidente Nerozzi abbiamo cercato di capire quanto più possibile anche gli eventuali problemi di natura legislativa. Alla fine il nostro compito è anche questo. Stiamo cercando quindi di comprendere se si tratta di un problema di parziale attenzione da parte delle Regioni, dal momento che il coordinamento rientra tra le loro competenze, o se c’è proprio una complessità dei soggetti che devono essere coordinati, legata al fatto che questi hanno indicazioni ed orientamenti diversi. Ad esempio, quest’anno il Ministero del lavoro può decidere di svolgere prioritariamente delle iniziative in taluni settori perché ritiene, in un’economia generale, più giusto fare questo, mentre altri soggetti, come ad esempio la stessa Regione, possono magari decidere di fare cose diverse. La programmazione dei Ministeri avviene in un certo periodo dell’anno, quindi con certe tempistiche, mentre la programmazione orizzontale avviene con altre tempistiche. Noi come Commissione abbiamo molto approfondito questo tema e stiamo cercando di dare delle risposte, perché vediamo degli anelli sconnessi e notiamo che non vi è responsabilità da parte di nessuno (questo è l’aspetto più importante). Si sono messi insieme dei soggetti che è difficile compenetrare fino in fondo, al di là delle sensibilità di ognuno dei partecipanti o dei responsabili. Su questo punto, così come prima abbiamo avuto modo di parlare con i responsabili delle Regione Lazio e con il direttore regionale dell’INAIL Napolitano, vorremmo sapere se anche voi – mi rivolgo in particolar modo al direttore regionale del lavoro – incontrate queste difficoltà e comunque vorremmo sapere quali sono le vostre valutazioni.

CRUPI
Signor Presidente, innanzitutto mi preme precisare che sono nella Direzione regionale INAIL Lazio dal 1º ottobre.

PRESIDENTE
Auguri e benvenuta.

CRUPI
La ringrazio. Ho fatto questa premessa per dire che sconterò un po’ di inesperienza rispetto a questa Regione. Posso però avvalermi dell’esperienza della Regione Emilia-Romagna anche per fare un confronto.
Credo che oggettivamente la struttura che è stata data dal decreto legislativo n. 81 sia estremamente impegnativa dal punto di vista organizzativo. Se il coordinamento è una funzione complessa per chi svolge le medesime funzioni; mi sembra ancora più difficile per chi ha sì funzioni analoghe, ovvero di vigilanza, ma impostazioni decisamente diverse. Faccio un esempio con riferimento da una parte all’impostazione della sanità regionale, che vuole accompagnare le aziende (quindi, si pone in un’ottica di prevenzione e di aiuto alle aziende stesse), e dall’altra all’impostazione degli ispettori del lavoro, nel nostro caso, che è eminentemente sanzionatoria. Anche là ove funzionano i comitati di coordinamento, ex articolo 7, è difficile compenetrare e far parlare la stessa lingua a queste due istituzioni, che hanno approcci tanto diversi.
Detto ciò , per quanto mi consta, nella Regione Lazio i comitati funzionano con l’eccezione – così mi è stato segnalato – della Provincia di Frosinone, e chiaramente tenendo conto della specificità della città di Roma. Un comitato di coordinamento composto da 46 soggetti, che, in base alla norma, dovrebbe riunirsi ogni tre mesi, e un coordinamento operativo costituito da 20 componenti ci dicono chiaramente della difficoltà di essere veramente operativi sul piano della programmazione della vigilanza e degli interventi sul territorio, ragion per cui possono accadere, com’è accaduto quest’anno, che sorgano malintesi. Faccio specifico riferimento alla campagna promossa dal Ministero del lavoro denominata «Mattone sicuro». Purtroppo a Roma mi hanno riferito di una tensione che si è creata con la Regione, a livello di comitato di coordinamento, perché l’iniziativa assunta dal Ministero in qualche modo è stata vissuta come un sorpasso dell’attività di coordinamento e di programmazione. Questo per dire che l’impianto normativo è tale da generare in alcuni casi oggettive difficoltà, anche a prescindere dalla volontà delle persone, che – sono certa – sono determinate a svolgere al meglio la loro funzione. Tuttavia, nel concreto, diventa veramente difficile pensare di gestire la programmazione degli interventi sul territorio in sedi come Roma in questo ambito così complesso.

RICCIO
Buongiorno a tutti, sono Domenico Riccio, direttore regionale dei Vigili del fuoco per il Lazio.
Condivido pienamente le osservazioni che su questo tema hanno fatto il direttore regionale dell’INAIL e il direttore dell’ufficio regionale del lavoro. È mia opinione che occorrerebbe incrementare l’attività di questi comitati, perché un comitato che si riunisce una volta ogni due o tre mesi, che è formato da componenti che normalmente si occupano in via istituzionale di altre questioni, secondo me potrebbe essere migliorato se a questo istituto diamo una continuità di carattere ordinario.
Il mio funzionario di riferimento, che fa parte del comitato regionale di coordinamento, partecipa alle riunioni ogni qualvolta il comitato viene convocato, ma ordinariamente si occupa di altre questioni, dalla prevenzione incendi all’organizzazione del soccorso. Poiché ritengo, sulla base dell’esperienza che abbiamo come Vigili del fuoco, che la sicurezza sugli ambienti di lavoro e su altri ambienti di vita in generale la danno i controlli sul territorio, occorrerebbe incrementare in via ordinaria, con uffici che funzionino ad hoc più che con comitati che si riuniscono periodicamente, l’attività di coordinamento di questi uffici, con un’azione più incisiva in termini di vigilanza sul territorio.
Quindi, l’organizzazione, secondo quanto previsto dal Testo unico, con il Comitato per il coordinamento nazionale, la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro e i comitati di coordinamento regionali, sicuramente spinge verso un’attività di coordinamento, che però a mio avviso non viene fatta in maniera efficace, o perlomeno in maniera costante, per la tipologia di questi uffici e per la loro stessa organizzazione. Se noi dessimo all’aspetto del coordinamento e della vigilanza una configurazione più stabile e ordinaria, quasi istituzionale, probabilmente potremmo avere un’azione più efficace e quindi un maggiore controllo del territorio. Questo è il mio punto di vista.
Nella mia esperienza di comandante provinciale dei Vigili del fuoco – ruolo che ho ricoperto per oltre vent’anni – e ora di direttore regionale, ho potuto constatare che, al di là delle autorizzazioni che rilasciamo, facciamo sicurezza in maniera più efficace proprio grazie all’attività di vigilanza e di controllo, che per noi nasce con il decreto legislativo n. 626 del 1994, visto che prima i nostri interventi da questo punto di vista erano solo su richiesta. Proprio attraverso questo tipo di attività riusciamo ad individuare situazioni di irregolarità e ad intervenire per modificarle o per tentare di correggerle.

NAPOLITANO
Signor Presidente, ci tengo a precisare che, com’è emerso già in passato e come emerge quotidianamente, insieme ai colleghi delle ASL, siamo quelli più caratterizzati e quelli che potenzialmente corrono meno il rischio di sovrapposizione con altri enti, nonostante la Direzione territoriale del lavoro e la ASL abbiano compiti che per certi versi si sovrappongono.
Da un punto di vista operativo sarebbe dunque certamente utile avere una linea di coordinamento unitaria, che consenta di predisporre uno specifico piano al riguardo: una funzione di questo tipo potrebbe essere svolta, ad esempio, dalla Direzione territoriale del lavoro. Noi che operiamo attivamente – e con noi collaborano molto sia l’INPS sia, su Roma, i colleghi delle ASL – e che poniamo in essere azioni di vigilanza cosiddette congiunte, ci accorgiamo che quando si arriva insieme a determinare un settore di rischio e ad individuare un certo numero di aziende da ispezionare si lavora bene. Quello che manca – come diceva giustamente anche la dottoressa Cigala – è l’indicare all’origine, in base al rischio, un determinato settore di intervento e disporre delle relative capacità organizzative. Il comitato regionale di coordinamento previsto dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 è infatti un organismo pletorico. Ho partecipato personalmente a tutti gli incontri del comitato, cui non segue di solito una fase ulteriore: dopo l’attività di coordinamento manca una programmazione delle attività successive. Questo è un punto di caduta che noi rileviamo.
Volendo far riferimento al dato INAIL, risulta che nei primi nove mesi del 2012 abbiamo ispezionato 1.868 aziende, di cui 1.568 irregolari dal punto di vista della classificazione assicurativa, con 1.532 lavoratori regolarizzati, 360 comunitari e 46 extracomunitari. Quando si arriva a svolgere l’attività di vigilanza, avendo individuato un piano sulla base di un rischio accertato, il sistema funziona. Quello che manca – lo ripeto – è l’attività ab origine, cioè il coordinamento iniziale.

PRESIDENTE
Dottor Napolitano, da tanto tempo stiamo purtroppo dibattendo di questo tema, sul quale abbiamo avuto modo di confrontarci anche in altre circostanze, in coincidenza con alcune iniziative che sono state assunte.
Il legislatore ha ritenuto di individuare proprio nel coordinamento regionale e nelle declinazioni previste per lo stesso la risposta a quelle domande che voi ponete e che sono anche le nostre domande. Quello che bisogna capire, dunque, è se sia stata ben interpretata la volontà del legislatore. Se ci si limita ad una riunione ogni tre mesi senza sapere che cosa succede poi nei tre mesi successivi, diventa difficile portare avanti iniziative coordinate, evitare sovrapposizioni, definire strategie specifiche convenute e coniugare, quindi, le direttive verticali con quelle orizzontali. Nelle legge però questo c’è e, al di là delle riunioni trimestrali, c’è un nucleo di gestione ed un ripiegamento sui territori provinciali.
Vorremmo essere confortati da voi al riguardo, in modo da capire, ad esempio, se ci sono vuoti legislativi: a parte l’articolo 7 del Testo unico, c’è anche la normativa prevista dalla legge n. 123 del 2007. Ci stiamo rendendo conto che, alla fine, esiste una grande confusione: da qui l’esigenza di capire se è la normativa a mancare di qualche particolare e di qualche tassello, che non le consente di partire come dovrebbe, o se stiamo cercando di mettere insieme e miscelare – perdonate la banalità – l’acqua con l’olio. Questo è un grande problema che ci stiamo ponendo, con tutte le conseguenze che esso comporta, anche in relazione all’altra questione centrale, quella del coordinamento nazionale, cui fa riferimento l’articolo 5 del decreto legislativo n. 81. A tal proposito, e per quelle che sono le nostre più dirette competenze, stiamo portando avanti come Commissione un’iniziativa parlamentare proprio per intervenire in questo ambito: non credo che ci riusciremo, visto che siamo ormai alla fine della legislatura, ma sarà comunque importante lasciare agli atti le risultanze di un lavoro che chi verrà dopo di noi potrà valutare, in modo da decidere che cosa fare.
Ci tenevo comunque a dirvi, anche a nome della Commissione, che le problematiche che voi ponete e che ci avete adesso segnalato ci sono note, soprattutto se considerate che quello di oggi è il ventesimo incontro che facciamo su questi temi in tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è di individuare gli strumenti per migliorare i meccanismi e dare le risposte necessarie, in modo tale che non vi sia dispersione di personale, soprattutto se si considera che le risorse umane a disposizione sono già poche. Se queste risorse non vengono dunque coordinate in qualche modo, esse diventano davvero troppo esigue per ciascun segmento.
La dottoressa Cigala ha fatto prima riferimento nello specifico alla Provincia di Frosinone e personalmente ne sono molto addolorato, essendo il territorio dal quale provengo, ma ciò sta a dimostrare che certe cose non si capiscono, nel senso che non c’è una logica, se non quella legata alle scelte degli uomini e delle donne.
Vorrei sapere da lei, dottoressa Cigala, qual è l’interpretazione che dà di tutto questo.

CIGALA
Sicuramente i progetti camminano sulle gambe degli uomini e delle donne. Per quanto mi riguarda, credo che il problema sia estremamente complesso e che vada affrontato per sezioni, nel senso che la tematica della prevenzione degli infortuni e della tutela della salute dei lavoratori ha secondo me tante sfaccettature, per cui bisognerebbe capire qual è lo strumento migliore in relazione ai singoli obiettivi. Se l’obiettivo è quello di evitare sovrapposizioni tra gli interventi di vigilanza, credo che un buon sistema informativo possa risolvere questo problema, con comunicazioni ad intervalli predefiniti, prima o dopo gli interventi.
Altro è invece il problema del tipo di approccio che si ha nell’ambito dell’attività ispettiva. Se si vuole arrivare ad un’omogenea interpretazione degli accessi ispettivi, bisogna creare degli ambiti in cui si realizzi una mediazione tra l’approccio da parte della sanità regionale e quello a livello ministeriale. Diversamente, si potrebbe decidere di sottolineare le differenze e farne una ricchezza, per cui in questo caso la ASL potrebbe intervenire in una fase di prevenzione, accompagnamento e diffusione di un certo tipo di cultura.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, dottoressa Cigala, ma non è questa la mission delle ASL; diciamo che se l’attribuiscono, dal momento che anche le ASL sono chiamate a porre in essere interventi di tipo sanzionatorio.

CIGALA
Senz’altro, sia pure con un approccio più morbido.

PRESIDENTE
Sicuramente dipenderà poi dalla singola ASL e dalle singole Regioni, anche se a noi non risulta che sia così.

NEROZZI
Come ha detto giustamente il Presidente, non ci risulta che sia così.
Dottoressa Cigala, lei ha fatto un’affermazione che condivido e cioè che, pur prevedendosi competenze diverse, è necessario che vi sia un centro unico, che dia gli stessi input. Il Ministero del lavoro nei primi tre anni di questa legislatura non ha fatto ispezioni, perché c’era una circolare del ministro Sacconi – ne avrà sicuramente avuto copia anche lei – in cui si diceva che, vista la particolare congiuntura economica, non bisognava fare ispezioni in gran parte del Paese. Credo sia dunque necessario fare attenzione, perché non è come lei dice, dottoressa Cigala.
Con questo non voglio di certo prendermela con il ministro Sacconi, ma è chiaro che parliamo di un mondo purtroppo molto articolato, non solo sotto il profilo delle competenze – come lei ha sottolineato – ma anche per quanto concerne gli input che arrivano. Questo forse è meno rilevante per i Vigili del fuoco, per i Carabinieri e, in parte, anche per l’INAIL, mentre lo è sicuramente molto per le strutture sanitarie e per il Ministero del lavoro, visto che nel momento in cui vi arriva un ordine voi lo eseguite e la stessa cosa fanno le ASL.
Probabilmente ciò può non coincidere con lo spirito della legge. Il punto quindi non è di essere più o meno morbidi, mi sono un po’ irritato perché in tutto il Sud non ci sono state ispezioni, sono quattro anni che il Ministero del lavoro non fa ispezioni a Taranto, quindi bisogna fare attenzione a dire certe cose. Purtroppo con così tante ASL è un mondo complicato, quindi ci vuole un centro unico che dia un input unico. Da qui nasce l’idea della nostra Commissione di istituire un’agenzia unica, perché in questo modo non va bene per il Ministero del lavoro, chiunque sia il Ministro, non va bene per le Regioni se sono lasciate sole, non va bene per il Ministero della sanità, che ha competenze enormi. Bisogna mettere insieme questi soggetti e che vi sia qualcuno che abbia la possibilità di dare direttive. In questi tre anni avrebbe dovuto farlo il Ministero del lavoro, come prevedeva la legge, ma non è avvenuto. Nessun Ministro del lavoro, del precedente o dell’attuale Governo, ha mai presieduto il Comitato centrale. Con tutto l’affetto verso i funzionari, se l’incarico è politico, ognuno fa quello che gli pare. Anche se si tratta di un soggetto tecnico che però è nominato da un potere politico congiunto (Regioni, Ministero della sanità e Ministero del lavoro) come noi proponiamo, anche se non potrà mai essere un politico avrà una capacità politica d’intervento che fino ad oggi non c’è, perché indicazioni univoche dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008 non ne sono arrivate, perché non potevano arrivare, essendoci una divisione e non un luogo unitario. Le prime azioni unitarie vengono condotte adesso dal Ministero del lavoro e dalla Conferenza Stato-Regioni, ma si tratta di azioni che avrebbero dovuto essere fatte cinque anni fa. Per questo secondo me non c’è chi è più «morbido» e chi lo è meno, perché, a parte i Carabinieri, in Italia sono tutti «morbidi» allo stesso modo. Ci vuole un luogo unico di comando che oggi non c’è e che ci siano tutte le competenze unificate che la Costituzione dà allo Stato e alle Regioni. Abbiamo visto che purtroppo la situazione è molto variegata; lei diceva che dove c’è coordinamento le ispezioni sono coordinate e interessano più aziende, ma dove questo non c’è il Ministero del lavoro, l’ASL e a volte anche l’INAIL ripetono i controlli nella stessa azienda, che è solitamente quella che fa più notizia. Abbiamo verificato che in certi casi tutti e tre gli enti si sono recati nello stesso posto, a volte anche i Vigili del fuoco.
C’è poi un coordinamento maggiore tra l’INAIL e gli altri soggetti, mentre lo scollamento maggiore è tra il Ministero del lavoro e l’ASL, ma c’è una ragione: ci sono input politici spesso diversi, se non opposti e l’unificazione risolverebbe anche questo aspetto. Per questo abbiamo proposto l’istituzione di un’agenzia unica: per avere un organismo che comprenda tutti i soggetti ma con un unico centro di comando. Non voglio sostituirmi ai militari, ma questo è quello che oggi è mancato. Quanto ai buchi, nei nostri sopralluoghi nelle 20 Regioni d’Italia abbiamo potuto constatare che ce n’è per tutti, anche perché il rinnovamento dei quadri (anche se l’INAIL, a dire il vero, lo ha fatto un po’ prima) al Ministero del lavoro lo si sta facendo solo adesso. Nelle ASL pesa il fatto che c’è un’anzianità di servizio molto elevata, quindi anche un problema di stanchezza, ma c’è soprattutto un problema di direzione.

GRAMAZIO
Condivido quanto ha detto il senatore Nerozzi. Si pensava che il problema fosse stato risolto dalle Regioni e ciò non è avvenuto perché le Regioni hanno esercitato sulle ASL un ruolo tutt’altro che pressante. Sappiamo perfettamente che il personale delle Regioni, specialmente quello delle ASL, è un personale che nella maggior parte dei casi è quasi ai limiti del pensionamento e nuovi ispettori non ce ne sono; penso specialmente alle Regioni sottoposte al blocco del turnover, dove alcune ASL hanno una situazione precaria del personale e fra poco non avranno nemmeno più gli ispettori. Questo è il motivo della nostra proposta di un’agenzia di coordinamento unico, di un cervello unico che impedisca che tutti e tre gli enti facciano verifiche su una stessa azienda, mentre altre aziende non vengono controllate affatto.
Penso inoltre a tutti quei cantieri abusivi, di cui parlava prima il procuratore, sui quali si arriva solo se c’è l’incidente. Si fa un controllo preventivo (in questo senso mi rivolgo più che altro ai Vigili del fuoco), si identificano queste situazioni o non si riescono ad identificare? Quando si identificano, quali interventi concreti ci sono: la chiusura o solo la sistemazione del personale – che spetta all’INAIL – che fa il controllo (come prima ci raccontava, dopo l’intervento dell’INAIL si è scoperto dai dati che c’era del personale non in regola che poi è stato regolarizzato)? Se complessivamente la struttura è una struttura non autorizzata, chi è che poi segnala alla procura della Repubblica questo aspetto per poter fare la chiusura immediata, a garanzia dei dipendenti che operano in quella sede in una situazione precaria? Lo abbiamo visto negli incontri che abbiamo avuto con Roma Metropolitane S.r.l., dopo l’incidente mortale occorso ad un operaio in un cantiere della linea C: metà del cantiere era autorizzato e l’altra metà non lo era, perché si era passati a tre subappalti successivi. Credo che queste situazioni si possano risolvere solo con un cervello unico che possa disporre di più personale utilizzabile, perché mi sembra che il discorso che vale per tutti sia sempre quello relativo al personale.

CIGALA
Temo di aver lasciato un ambito di malinteso nella mia precisazione rispetto all’approccio delle ASL. Ho usato l’espressione «morbido» o «teso prevalentemente alla prevenzione per dire che le ASL hanno risorse regionali che consentono loro anche di attivare dei progetti che sono senz’altro da inserire in un ambito di prevenzione. Penso, ad esempio, a progetti tesi a prevenire gli infortuni su strada, diretti agli autotrasportatori della Regione da cui provengo, l’Emilia Romagna, cui purtroppo si limitano le mie esperienze. Con ciò intendo dire che le Regioni hanno fondi dai quali possono attingere per avviare sinergie con le associazioni di categoria e con il sindacato, che sono dirette anche a diffondere una cultura della sicurezza, cosa che noi facciamo perché il decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 assegna anche all’Ufficio regionale del lavoro questa funzione, ma abbiamo una disponibilità di risorse più limitata, perché il numero degli ispettori è esiguo e dobbiamo scegliere se impiegarli nell’attività di prevenzione o nell’attività di vigilanza vera e propria.
Conosco bene la cosiddetta circolare Sacconi, ma non spetta a me diffondere i numeri; sono pubblici e, se riferiti agli anni passati, non lasciano dubbi sull’attività che il nostro Ministero ha svolto. Mi preme però sottolineare che solo nel Lazio, nell’ambito dell’operazione «Mattone sicuro», che si è limitata al settore dell’edilizia, noi abbiamo controllato più di 1.500 aziende e abbiamo deferito all’autorità giudiziaria 498 persone. Questa attività è legata esclusivamente al periodo dal 21 maggio al 30 settembre. Pertanto, compatibilmente alle risorse di cui disponiamo, svolgiamo attività.

NAPOLITANO
È un’attività congiunta.
Vorrei rilevare che il rapporto di collaborazione nasce anche rispetto alle funzioni proprie di ogni singolo funzionario. Ad esempio, nell’ultima audizione a cui ho partecipato a Civitavecchia, la DTL si è chiamata fuori in quanto delegata dal magistrato. Spesso i colleghi della DTL hanno un compito penale che impedisce loro di essere parte di un sistema di coordinamento più ampio. Non voglio mettere troppa carne al fuoco, ma probabilmente ogni funzionario, quando deve essere coordinato, assume su di sé un ruolo, che in certi momenti è divaricante. Spesso è impossibile avere attività di coordinamento, soprattutto quando c’è di mezzo il morto.

NEROZZI
Ovviamente intendevo prima dell’evento mortale. Anche se non è compito nostro, abbiamo provato a far emergere un problema di coordinamento della magistratura e di posizioni uguali della magistratura a seconda dei territori. Mi riferisco, ad esempio, alla vicenda dell’amianto o dell’acciaio. Quello che lei ha sollevato è un problema reale. Su questo punto non siamo forse in grado di fare un progetto di legge a futura memoria, come per l’Agenzia nazionale per la salute e la
sicurezza sul lavoro. È, comunque, ovvio che c’è anche un problema di coordinamento della magistratura, che è però più complicato.

NAPOLITANO
O diventiamo, come ispettori, tutti pubblici ufficiali o non lo diventa nessuno.

PRESIDENTE
In estrema sintesi il problema è questo.

NEROZZI
In un caso sono gli uni e in un caso gli altri. Non è sempre la stessa amministrazione. In un caso è la ASL e in un caso il Ministero del lavoro. La questione è variegata. Lei ha assolutamente ragione, ma non credo che riusciremo a dare un’indicazione su questo punto perché, come lei sa, il potere giudiziario è un potere autonomo. Interverremo quindi, per quello che si può , sull’agenzia. Questo punto invece è delicato.

GRAMAZIO
Ricordo che la magistratura ha chiamato a sé ispettori di alcune ASL che sono stati distaccati presso l’ufficio della procura della Repubblica e svolgono attività per la medesima. Io che ho seguito questi distacchi, ho poi notato che quelle ASL sono rimaste prive degli ispettori perché nessuno ha restituito loro quelle unità dal momento che non si possono fare assunzioni. È perciò vero che sono diventate attività giudiziarie e dipendono direttamente dal magistrato, come ci diceva prima il procuratore, ma la ASL di competenza, dalla quale questi funzionari provenivano, è rimasta priva degli ispettori perché costoro dipendono dalla procura della Repubblica e non più dalla ASL, pur se è quest’ultima a pagarli. In questo caso la chiamata è superiore a tutti perché è la magistratura con la sua autonomia e la sua gestione che la fa.
Signor Presidente, in alcune ASL c’è stata anche una controversia su chi doveva pagare gli straordinari per i turni notturni dei funzionari che stavano alle dipendenze del procuratore della Repubblica 24 ore su 24; la ASL competente diceva che più di quello che già dava non poteva dare. È pertanto rimasto un vuoto, su cui sono dovuto intervenire più volte per tentare di dirimere la situazione relativa agli straordinari di funzionari della ASL, comandati presso la procura della Repubblica.

CRUPI
Signor Presidente, vorrei fare soltanto una precisazione metodologica, riportando quello che ci dicono gli ispettori. Queste vigilanze congiunte che vengono fatte con l’Ispettorato della Direzione provinciale del lavoro e gli altri organi, alcune volte non centrano l’obiettivo. Per esempio, durante il periodo estivo sono state fatte vigilanze nei ristoranti, nelle discoteche e in tutti gli stabilimenti dove potevano esserci dei lavoratori non regolarizzati. Ricordo infatti che il lavoratore non regolare incide anche sul discorso della prevenzione perché comunque non è una persona formata al punto da prevenire l’infortunio.
Sarebbe forse necessaria un’azione di coordinamento, stabilendo gli ambiti e i settori, piuttosto che andare tutti insieme. Questa azione potrebbe anche prevedere un sistema di rotazione, con una pianificazione delle ispezioni, anche perché gli ispettori sono pochi da ambo le parti.
È perciò inutile mandare dieci ispettori nel medesimo stabilimento. Sarebbe invece preferibile far acquisire a tutti gli ispettori le competenze primarie che devono avere nell’ambito dei diversi uffici per fare delle ispezioni comunque più diffuse, raggiungendo così quell’obiettivo di cui si sta discutendo.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per il dibattito, che ho trovato molto interessante. Tuttavia, mentre facevate delle riflessioni molto importanti e condivise, stavo rileggendo l’articolo 5 del Testo unico che già prevede queste cose. Il problema è sorto quando dalla teoria si è arrivati all’impatto con la gestione concreta; è questo problema che dobbiamo risolvere. La dottoressa Crupi ha fatto una sintesi di un comma dell’articolo 5 che specifica tutte queste cose che purtroppo, però , non vengono realizzate come lei richiedeva.
La Commissione, alla fine di questo lungo e faticoso percorso, nel corso del quale sono emersi ostacoli e tantissime problematiche, ha convenuto nell’indicare come soluzione la costituzione di un’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro; un luogo dove ci siano una sintesi e una missione certa e dove rappresentanti del Governo e delle Regioni possano stabilire cosa fare effettivamente e avere anche competenze sui coordinamenti provinciali per capire come stanno gestendo la situazione.
Noi stiamo sottoscrivendo adesso – vi diamo la notizia in diretta – un disegno di legge al riguardo che sappiamo non andrà in porto (lo dico per scaramanzia). Questa indagine ci ha portato a rivedere l’assetto istituzionale, sia pure nel rispetto delle competenze costituzionali di una materia duale come è quella su cui ci stiamo impegnando. Sul punto ci sono sensibilità diverse, ma a parte questo la politica deve cercare di puntare ad una soluzione accettabile, che è quella di poter costituire questa Agenzia. Non è un orpello o una sovrastruttura; serve a dare efficacia all’articolo 5, cosa che avrebbe dovuto fare il Ministro del lavoro. Questo è il punto che ricordava il senatore Nerozzi. Ci riusciremo in questa fase? Non lo so, però crediamo che chi verrà dopo potrà partire da una proposta che non nasce da un dibattito teorico-letterario, ma da un’indagine che dura ormai da più di due anni e che abbiamo condotto in tutta Italia. Abbiamo parlato sia con i vostri dirigenti nazionali che con altri vostri colleghi in tutti i territori d’Italia e alla fine emergono sempre gli stessi problemi, con sensibilità diverse perché sono legati alla esperienza di ognuno di loro.
Ringrazio i nostri ospiti per la collaborazione e speriamo di dare un contributo per colmare queste lacune.

Audizione dei rappresentanti del Comando per la tutela del lavoro dell’Arma dei Carabinieri

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per la vostra presenza. Stiamo ormai concludendo con questa audizione un giro ampio che abbiamo fatto in tutte le Regioni d’Italia. Ringraziamo in modo particolare il colonnello La Forgia che svolge un ruolo di coordinamento nazionale per quanto riguarda i nuclei che sono presso tutti gli Ispettorati del lavoro di ogni Provincia. Il colonnello sa quanto me l’importanza che noi attribuiamo all’Arma dei Carabinieri per questa iniziativa di contrasto e prevenzione e ciò è stato anche documentato nelle competenze più ampie che sono state attribuite all’Arma dei Carabinieri e non solo al nucleo, perché sappiamo che un dispiegamento di forze così capillare permette sicuramente di svolgere al meglio questo ruolo.
Lascio quindi la parola al colonnello La Forgia per avere un quadro dell’evoluzione di questi anni e degli accordi che ci sono stati tra Governo e Arma dei Carabinieri, che hanno permesso di costituire questa realtà e di avviare altri protocolli e altre iniziative di maggiore collaborazione.

LA FORGIA
Signor Presidente, membri della Commissione, in questi anni c’è stata un’evoluzione, oltre al riordino del Comando dei Carabinieri per la tutela del lavoro, che è noto alla Commissione, con l’istituzione dei gruppi nel 2010. A livello ministeriale, tra Ministero del lavoro e Ministero della difesa, è stata stipulata una convenzione affinché tra i comandi dei gruppi dei Carabinieri per la tutela del lavoro e le Direzioni provinciali della tutela del lavoro venissero trimestralmente pianificate delle attività. Il Comando Carabinieri rimane un organo di coordinamento che interloquisce con la Direzione generale dell’attività ispettiva e, ormai è risaputo, i nostri nuclei di Ispettorato del lavoro dipendono funzionalmente dai direttori territoriali del lavoro. Ovviamente questo interfacciarci con la Direzione generale dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro ci ha consentito di promuovere in questi anni delle campagne straordinarie, non ultima l’operazione voluta dal Comando generale dell’Arma dei carabinieri d’intesa con la Direzione generale dell’attività ispettiva e denominata «Mattone sicuro», che ha consentito un controllo a livello nazionale di oltre 18.000 aziende tra i mesi di giugno e settembre di quest’anno, al fine di frenare il fenomeno degli infortuni che in edilizia e in agricoltura registrano le punte massime sia di decessi che di infortuni.
Per quanto riguarda il coordinamento, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2007 istituisce il coordinamento per l’attività di prevenzione e vigilanza in ambito regionale, ma non prevede tra i membri del comitato un rappresentante dell’Arma dei Carabinieri. L’istituzione del coordinamento a livello regionale precede l’istituzione dei comandi di gruppo del 2010, ma una direttiva ministeriale indica tra i compiti demandati al comandante del gruppo Carabinieri quello di presenziare alla riunione di coordinamento regionale. C’è quindi questo problema: l’istituzione del comitato di coordinamento non prevede la figura dei Carabinieri, però il decreto ministeriale del 2010 per l’istituzione dei gruppi include tra i compiti del comandante del gruppo quello di presenziare alle riunioni trimestrali previste per il comitato di coordinamento regionale.

PRESIDENTE
In questo modo è stata colmata una lacuna; non è un elemento d’interferenza, colonnello.

LA FORGIA
La mia è una registrazione dello stato dell’arte.
Dai dati relativi alle attività in ambito regionale emerge che abbiamo effettuato 332 ispezioni complessive, 160 prescrizioni, 60 sospensioni di attività, individuato 53 lavoratori in nero e comminato 65 ammende. Questo riguarda l’attività di vigilanza tecnica che va di pari passo con un trend nazionale che ha registrato un grosso aumento. Questi sono i dati riferiti al 30 ottobre del 2010 rispetto all’analogo periodo del 2011. Un dato essenziale rileva una forte aumento dei lavoratori in nero (circa il 20 per cento in più nell’attività di vigilanza sia tecnica che ordinaria). Abbiamo un aumento tendenziale delle persone deferite all’autorità giudiziaria e un aumento dell’attività delegata dall’autorità giudiziaria. Questi sono i dati salienti, ancorché gli accessi effettuati nel 2012 rispetto al 2011 fanno rilevare un aumento tendenziale dell’8 per cento: 18.517 del 2012, contro i 17.123 del 2011.
C’è quindi uno sforzo da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela del lavoro per dare impulso all’attività ispettiva in generale. Ovviamente questo – e non può essere diversamente – d’intesa con le Direzioni regionali del lavoro e con le Direzioni territoriali del lavoro, da cui i nostri nuclei dipendono funzionalmente.

SPERANZA
Signor Presidente, ritengo che l’esposizione del colonnello La Forgia sia esaustiva. Vorrei solo aggiungere, come precisazione, che vi sono 32 militari effettivi a fronte dei 36 previsti in organico nella Regione, sia per quanto riguarda il Nucleo operativo, che dipende direttamente dal gruppo, sia per quanto riguarda i Nuclei Carabinieri Ispettorato del lavoro sul territorio, ossia nelle cinque Province della Regione Lazio.
Dal momento che si è affrontato il tema dell’evoluzione normativa e regolamentare (ossia direttive e convenzioni tra il Ministero del lavoro e l’Arma dei Carabinieri intercorse negli ultimi anni), è importante segnalare la convenzione per la cooperazione tra i comandi provinciali dell’Arma e le strutture periferiche del Ministero del lavoro: essa ha permesso agli ispettori del lavoro, ma anche ai Carabinieri del NIL, di beneficiare dell’attività di intelligence che può essere svolta sul territorio dalle stazioni dei Carabinieri. Essendo l’Arma distribuita capillarmente, le stazioni rappresentano un ottimo segnale sul territorio, un sensore veramente qualificato.
Coloro che ci hanno preceduto, in particolare la dottoressa Cigala, direttore regionale del lavoro, e il dottor Napolitano, direttore regionale dell’INAIL, hanno segnalato che alle riunioni organizzative e di programmazione del comitato regionale non seguono, poi, linee esecutive. La convenzione cui facevo cenno tra il Ministero del lavoro e i comandi provinciali dell’Arma dei Carabinieri, che risale al 2010 (quindi subito dopo l’istituzione dei gruppi) prevede, per esempio, che trimestralmente ci sia una riunione organizzativa, cioè di programmazione, tra i responsabili dell’attività sul territorio (comandante provinciale, comandante del gruppo tutela del lavoro e direttore provinciale del lavoro). A queste riunioni organizzative seguono riunioni tecniche tra coloro che poi sul territorio sono impegnati a far rispettare le norme. Mi rendo conto che sia difficilmente applicabile in questo caso.

PRESIDENTE
Parla del vostro mondo?

SPERANZA
Ovviamente, a livello provinciale.
Per quanto riguarda, invece, l’attività a livello regionale, noi seguiamo con particolare attenzione, anche confrontandoci con gli altri enti territoriali, gli eventuali segnali che possiamo carpire da anomalie o differenziazioni rispetto ai periodi precedenti. Per esempio, sappiamo che rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ad aprile di quest’anno la popolazione di indiani e nordafricani è aumentata del 40 per cento nella Provincia di Latina. L’aumento demografico suggerisce che molte di queste persone siano impiegate nel settore ortofrutticolo in serra, ma probabilmente non con le tutele previste dalla legge, per cui dal punto di vista della sicurezza è probabile che possano essere più facilmente soggette a infortuni e ad altre irregolarità. Abbiamo, inoltre, notato nella Provincia di Roma, ma anche nelle altre Province del Lazio, un fenomeno che fino all’anno scorso non era emerso: l’esistenza di imprese edili con proprietari cinesi e manovalanza cinese. Fino all’anno scorso erano obiettivamente sconosciute. Addirittura, queste imprese prendono commesse da aziende del Nord per fare lavori di ristrutturazione su più cantieri, studi professionali e abitazioni.
Cerchiamo di seguire questi segnali per adattare l’azione di prevenzione e di contrasto in questi settori.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il lavoro che svolgete.

Audizione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali del Lazio

PRESIDENTE
Do il benvenuto ai nostri ospiti. L’obiettivo per il quale oggi vi abbiamo chiesto di essere auditi lo conoscete; la convocazione non riguarda fatti particolari o eccezionali, ma si inserisce nell’ambito di un’inchiesta che stiamo svolgendo in tutta Italia per capire, dopo il decreto legislativo n. 81 del 2008, in che modo si muovono i meccanismi che devono regolare le attività di prevenzione e di contrasto degli infortuni e le politiche di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

RANIERI
Signor Presidente, consegniamo un documento contenente le proposte che ora brevemente illustreremo. Nello stendere il documento siamo partiti dalla considerazione che, nella situazione attuale, per uscire dalla crisi, sicuramente occorre pensare non a tagliare i costi e qualche volta i diritti, ma piuttosto ad alzare la qualità dei prodotti, dei processi produttivi e delle relazioni interne. All’interno del discorso sulla qualità si inserisce sicuramente il problema della salute, della sicurezza e del benessere dei lavoratori. Da questo punto di vista, risulta centrale la questione – già presente nel decreto legislativo n. 626 del 1994 e, a maggior ragione, nel decreto legislativo n. 81 del 2008 – relativa al documento di valutazione dei rischi. Sicuramente sono stati fatti dei passi avanti: molte aziende cominciano a produrre il documento di valutazione dei rischi in modo approfondito e in relazione alla realtà dei loro processi produttivi; sono, tuttavia, ancora molte e moltissime, nel Lazio soprattutto, le micro e le piccole aziende (che rappresentano una realtà molto diffusa) che invece compilano ancora tale documento come fosse un formulario o una dichiarazione dei redditi, come un’incombenza a parte, che in realtà non c’entra nulla con il lavoro e con il processo produttivo.
Affrontando il documento di valutazione dei rischi da questo punto di vista non si adegua l’analisi alla realtà concreta del mondo del lavoro; anzi, spesso lo si scarica da Internet e lo si riempie come fosse un formulario burocratico.
Crediamo che questo aspetto debba essere modificato e pensiamo che ciò debba essere fatto attraverso un sistema di premi e di controlli. Di questo tipo di atteggiamento, ovviamente, risente anche la relazione con l’RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza); quindi va recuperato un rapporto con questa figura, che non è il dipendente dell’azienda che casualmente deve firmare il documento di valutazione dei rischi, ma è un collaboratore a pari livello con gli altri attori aziendali nell’indagare la realtà e i rischi presenti in azienda e nel cercare le soluzioni. In breve, quale potrebbe essere un sistema premiale e di controllo? Anzitutto l’affermazione di una certificazione e di un riconoscimento di qualità, un po’ com’è stata pensata la patente a punti nel settore edilizio, che quindi possa dare alle aziende dei vantaggi quando queste partecipano alle gare di appalto o ai bandi pubblici o possa concedere loro dei vantaggi fiscali o contributivi. Chi dovrebbe certificare questa qualità interna nella gestione della salute e della sicurezza? Secondo noi sia la struttura pubblica, quindi il sistema gestionale delle ASL, sia gli organismi paritetici.
Sulla questione degli organismi paritetici mi soffermo un attimo, perché ovviamente essa ha una straordinaria rilevanza in un settore in cui le aziende sono molto diffuse e piccole nella loro realtà e quindi abbisognano di sostegno e di competenze esterne all’azienda stessa. Inoltre, anche i lavoratori necessitano di una rappresentanza; quindi gli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali) possono costituire una realtà di rappresentanza là dove gli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) non riescono, per vari motivi, a farsi eleggere. Gli organismi paritetici, pertanto, vanno in qualche modo sostenuti, anche a livello regionale, cosa che finora non è avvenuta. In realtà, va anche chiarito cosa si intende per organismi paritetici perché purtroppo nella nostra Regione abbiamo notato che la famosa frase «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» (concernente i componenti degli organismi paritetici) spesso viene aggirata. Ci sono non pochi organismi paritetici che nascono da sigle sindacali estemporanee, con associazioni datoriali che rappresentano una o due aziende e che firmano contratti in settori marginali o addirittura in sottosettori lavorativi; queste poi formano degli organismi paritetici, che si propongono al mercato offrendo formazione e che cercano di farsi strada per ottenere dei sostegni pubblici. Sarebbe quindi auspicabile chiarire meglio cosa si intende con l’espressione «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», a parte le circolari del Ministero del lavoro che già sono uscite.
Circa la questione dei controlli, c’è un problema – che abbiamo sentito anche nell’audizione precedente – che concerne il coordinamento. Nel Lazio c’è anche stato un problema, in questi ultimi tre anni, che riguarda il coordinamento del comitato regionale, il quale si riunisce estemporaneamente, con cadenza non regolare, con numerosi componenti (tant’è vero che spesso le riunioni hanno luogo in sale piuttosto grandi) e con una scarsa considerazione da parte della Regione dell’attività di questo comitato, che quindi non ha formato sottogruppi di lavoro, ma piuttosto a volte assiste a premiazioni e ad eventi che non c’entrano nulla con la sua attività. È venuta meno la funzione del comitato di coordinamento; su questo bisognerà lavorare di più.
La nostra Regione inoltre destina ogni anno a bilancio una serie di finanziamenti importanti per i controlli, che però non arrivano poi in realtà e concretamente agli organi di controllo, in primis ai servizi di prevenzione delle ASL, i quali derogano di anno in anno ai cosiddetti livelli essenziali di assistenza previsti dalla legge oppure raggiungono il 5 per cento (che già è poco, ma che comunque è previsto), cercando di andare in qualche azienda vicina alla sede della ASL, anche a basso rischio, in modo da raggiungere la percentuale fissata. La mancanza di fondi (che poi non arrivano), il mancato rispetto degli organici e il mancato coordinamento fanno sì che di fatto si svolgano pochi controlli e spesso non di alta qualità.
Altra questione, come probabilmente la Commissione già sa, riguarda l’applicazione della normativa relativa al decreto legislativo n. 81 del 2008, che ha necessità di una serie di decreti applicativi e di ulteriori implementazioni, tra cui il famoso SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione) e la standardizzazione delle procedure, che, benché approvata, non è stata poi resa pubblica ed effettivamente operativa.
Una terza questione è la questione degli appalti. Purtroppo nella nostra Regione riscontriamo che quasi tutti gli appalti, anche quelli della pubblica amministrazione, continuano ad essere fatti con la clausola del massimo ribasso piuttosto che con quella dell’offerta maggiormente vantaggiosa e che, se anche i costi dovrebbero essere segnalati e non compressi, in realtà, quando si arriva a ribassi dell’80-85 per cento, è inevitabile che ne risentano anche la salute e la sicurezza.
Un’altra cosa che abbiamo notato è che spesso i DUVRI (documenti unici di valutazione dei rischi da interferenza) non vengono fatti o che vengono fatti anche questi, come avviene per il documento di valutazione dei rischi, in modo formale e soprattutto cartaceo, senza poi nessun riscontro concreto. Forse, da questo punto di vista, dovremmo fare in modo che anche le imprese cosiddette affidatarie siano responsabilizzate maggiormente ad un obbligo di controllo, di verifica e di vigilanza nei confronti delle imprese subappaltatrici. Forse per situazioni complesse – nel Lazio ce ne sono e anche a Roma ne possiamo citare molte; l’ultima che abbiamo visto riguarda la Nuvola di Fuksas – non sarebbe sbagliato pensare addirittura ad una rappresentanza di sito (noi lo stiamo proponendo), quindi ad un insieme di RLS che in quelle realtà piuttosto grandi vengano finalmente rappresentati e coordinati, confrontandosi con il coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
Un’altra esperienza importante nel Lazio è stata quella della centrale Enel di Torrevaldaliga Nord, in cui addirittura è stato creato un collegio di sicurezza. Anche questa è stata una buona prassi, che andrebbe allargata; stiamo cercando di farlo al porto di Civitavecchia, anche qui con grande fatica e sempre con un’impostazione, dal punto di vista delle aziende, mirante più che altro a guadagnare visibilità. Un altro punto riguarda il libretto formativo. Sulla questione della formazione ci sono sostanzialmente due problemi. Benché il libretto formativo sia previsto dalle leggi, in realtà anche nella Regione Lazio se ne fa un uso sperimentale e non normale; quindi si fatica ad avere il modello e la pratica del libretto normativo, che invece è importante, perché permetterebbe alle strutture pubbliche, alla Regione stessa e allo stesso comitato di coordinamento regionale, l’impostazione di programmi formativi, di indirizzo e così via. L’altra questione riguarda i requisiti dei docenti, che sono stati stabiliti dalla Commissione consultiva permanente, ma che stentano anch’essi a diventare effettivi. Si improvvisano pertanto come formatori delle persone che non sono assolutamente all’altezza; se ne vedono poi i risultati quando si va nelle singole realtà lavorative, si parla con i lavoratori e si constata che se sulla carta il certificato attribuisce loro una grande capacità e conoscenza nella realtà non sanno quasi nulla e a volte ignorano addirittura cos’è il documento di valutazione dei rischi. La formazione quindi è un altro punto che sicuramente va tenuto sotto controllo.
Degli ultimi due punti, il primo riguarda le malattie professionali. La Commissione sicuramente sa che, sebbene le malattie professionali non siano in aumento, l’attenzione che si sta portando su questo argomento sta facendo finalmente emergere una situazione (che c’era anche prima) di importante diffusione delle malattie che dipendono dal lavoro. Noi stiamo lavorando sulla questione dei medici di famiglia. La sintomatologia e l’insorgenza della malattia quasi sempre trova i medici di famiglia come primi interlocutori, i quali però , anche se obbligati dalla legge, quasi mai fanno la denuncia. Quindi, credo che un’integrazione, anche favorita dalle strutture pubbliche, tra la figura del medico di famiglia, i servizi di prevenzione delle ASL e gli stessi medici competenti, permetterebbe forse una migliore modalità per affrontare il tema della malattia professionale, nonché per farla emergere.
L’ultimo punto concerne l’integrazione del tema salute e sicurezza nelle politiche di promozione della salute. Sappiamo – ce lo dicono gli organismi internazionali – che molti dei decessi derivanti da cause di lavoro avvengono nell’età piena lavorativa, quindi tra i 20 e i 60 anni, soprattutto nelle fasce più elevate di età, e che questo spesso ha come cause concomitanti non solo l’attività lavorativa in sé stessa ma anche lo stile di vita più in generale (fumo, alcol, sostanze psicotrope). Crediamo che anche su questo fronte sia necessario un lavoro mirato sulle aziende, sui posti di lavoro, e non solo per una questione interna. Pensiamo, come è ovvio, a chi svolge attività di guida di autoveicoli, di autobus pubblici, e che risente sicuramente di una serie di malattie, anche rispetto all’uso di sostanze che possono comportare maggior pericolo rispetto ai rischi tipici del lavoro. In generale una vita più sana fa sì che il lavoratore possa rendere di più e possa essere quindi maggiormente inserito e meglio avviato all’interno del suo posto di lavoro. Quindi, anche in questo caso un’integrazione tra politiche della salute e salute e sicurezza sul lavoro potrebbe essere un’altra spinta che le autorità pubbliche possono aiutare a sviluppare.

PEDULLÀ
Vorrei soltanto ribadire che all’interno del documento che abbiamo elaborato, che rappresenta l’esperienza che da un paio d’anni stiamo portando avanti nel nostro territorio, abbiamo voluto ribadire quale punto centrale dell’attività, soprattutto sviluppata all’interno delle aziende, il discorso della bilateralità e ci siamo richiamati più volte agli organismi paritetici. Questo perché in effetti, alla luce dell’esperienza che abbiamo maturato all’indomani del Testo unico, possiamo dire di avere una macchina che va a due velocità. Nella realtà della grande azienda in effetti la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è diffusa, generalizzata e consolidata. Tuttavia, nell’ambito del territorio laziale, dove oltre il 90 per cento delle aziende, come veniva richiamato dal collega che mi ha preceduto, è al di sotto dei 9 dipendenti, l’attività specifica della sicurezza, quindi la redazione del DVR è delegata dal decreto legislativo n. 81 alla figura degli RLST, ovvero dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali. Vorrei sottolineare ancora una volta questo aspetto perché l’attività degli RLST è comunque prevista attraverso gli organismi paritetici, ragion per cui se noi non ribadiamo con fermezza il principio che devono essere comunque costituiti organismi paritetici, è anzitutto molto difficile svolgere l’attività quotidiana, ma è soprattutto molto difficile che i lavoratori siano effettivamente rappresentati (da qui il problema della sicurezza); occorre quindi sviluppare sul territorio un ragionamento sugli RLST, che sono la stessa figura degli RLS ma sono rappresentanti territoriali. Ciò in virtù delle difficoltà esistenti di sviluppare l’attenzione alla salute e sicurezza all’interno delle piccolissime realtà.

SANGUE
Signor Presidente, come organizzazione sindacale sottoscriviamo il documento che è stato redatto dai colleghi di CGIL, CISL e UIL, in quanto ci ritroviamo nelle posizioni che sono state rappresentate. Vorrei soltanto integrare quanto è già stato delineato nel documento relativamente a due aspetti che riteniamo non del tutto marginali per quanto riguarda la diminuzione del fenomeno degli incidenti sul lavoro, nella fattispecie nella Regione Lazio, ma si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso. Mi soffermo pertanto sugli aspetti concernenti le attività di prevenzione.
Concordo, ad esempio, su quanto detto a proposito del DVR: le aziende tendono ad ottemperare in modo meramente formale a questo compito, tant’è vero che lo ritroviamo spesso anche nelle attività formative – stiamo parlando di attività di prevenzione – e nei piani formativi dove spesso i rischi specifici dell’azienda non vengono assolutamente declinati. Ne conseguono fotocopie, corsi di formazione standard che non danno contezza del fatto che questi corsi debbano essere mirati ad affrontare i rischi specifici delle attività in cui i lavoratori operano all’interno di quell’azienda. Tra l’altro, confermiamo l’assoluta necessità degli organismi paritetici perché, vista la natura del tessuto industriale della Regione, e dovendo assicurare un servizio di informazione e formazione soprattutto a piccole imprese, sicuramente sono lo strumento che ad oggi può garantire ciò , altrimenti il rischio è che le imprese debbano affidarsi ad enti di tipo profit che non soddisfano le necessità di trasparenza e di assistenza ai lavoratori.
Un’ultima questione che sottopongo alla vostra attenzione riguarda alcuni aspetti che venivano sollecitati, per quanto concerne la nostra Regione, relativamente all’accesso ai dati, ovvero la necessità di dare una maggiore efficacia alle attività di informazione e formazione affinché non siano anch’esse adempimenti meramente formali. A tal proposito, posto che i settori a maggiore rischio ci sono noti, è necessario cercare di individuare le tipologie di lavorazione, quindi profilare le attitudini individuali e le situazioni che maggiormente espongono i lavoratori al rischio. In alcuni settori, notoriamente il comparto agricolo e quello dell’edilizia ma non solo, ci troviamo di fronte a processi industriali non controllati, in cui la percezione del rischio, quindi gli atteggiamenti dovuti, sono spesso demandati a dinamiche individuali. A tal fine è necessario dotarsi di uno strumento di analisi dei fenomeni per mirare la formazione in modo specifico, al fine di scongiurare determinate tipologie. Il ventaglio è molto ampio ma i dati dicono che i fenomeni di incidenti sul lavoro, soprattutto quelli mortali, si collocano in alcune classificazioni molto semplici che tutto l’apparato previsto dalla normativa, quand’anche messo in opera in modo sostanzialmente virtuoso, non tende ad escludere. Tra l’altro, come sollecitato da chi mi ha preceduto, è fondamentale anche una maggiore integrazione tra mondo della formazione e mondo dell’educazione, nel senso che nell’atteggiamento dell’individuo, sia esso lavoratore sia datore di lavoro, insiste una componente di natura psicologica importante nell’affrontare la fenomenologia della sicurezza del lavoro; quindi, è necessario anche un coinvolgimento delle strutture educative.
Questo è un tipico aspetto dell’educazione civica per cui, nell’ambito di un intervento di programmazione della prevenzione, sarebbe importante affrontare questa tematica anche nella parte riguardante l’educazione. Al di là delle forme e delle procedure, è infatti assolutamente importante l’atteggiamento individuale di tutti i soggetti coinvolti nel percorso formativo, non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro.
Mi premeva fare questa integrazione rispetto ad un documento che come organizzazione condividiamo. Vi ringrazio per l’attenzione.

PRESIDENTE
Siamo noi a ringraziare tutti voi per le informazioni che ci avete fornito e che saranno certamente oggetto di riflessione nell’ambito della relazione conclusiva che ci apprestiamo a stilare.
Colgo l’occasione per darvi intanto qualche elemento su un tema sul quale come Commissione ci siamo molto adoperati e che, tuttavia, non è stato ancora risolto: mi riferisco alla questione degli RLS e, soprattutto, degli RLST. In particolare, è stato formalmente richiesto di dare pubblicità ai nominativi di questi rappresentanti. Infatti, là dove una presenza sindacale esiste il problema non si pone; quando, invece, le organizzazioni sindacali non sono presenti – non certo per vostro demerito, sia chiaro – non c’è possibilità di sapere se gli RLS ci sono, né chi sono. Per quanto riguarda gli RLST, la questione è ancora più complessa. Ho voluto dirvi questo per sottolineare che condividiamo la necessità di rivolgere attenzione al problema e di chiarire il ruolo che gli RLS e, in particolare, gli RLST devono avere, soprattutto se si considera la specificità della nostra realtà produttiva – da voi correttamente richiamata – che è fatta prevalentemente di piccole, medie e micro imprese. Occorre evitare dunque il rischio di focalizzare l’attenzione sulla grande azienda, tenendo conto, invece, delle piccole imprese, che spesso sono proprio quelle che subiscono i maggiori sacrifici, anche in termini di decessi e di gravi menomazioni dei lavoratori.
A questo proposito, ci tengo a ricordare che nel settore degli appalti – al quale noi abbiamo rivolto in modo particolare la nostra attenzione – attraverso il meccanismo dei subappalti verticali ed orizzontali, alla fine sono proprio le piccole aziende che vengono chiamate a svolgere effettivamente i lavori. Pensiamo, ad esempio, ai grandi cantieri, nei quali operano spesso decine di aziende diverse, dove il colloquio in molti casi è difficile e dove gli infortuni si verificano proprio perché non si conoscono le attività che vengono svolte dalle piccole imprese che operano all’interno del cantiere. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione su questo tema perché, analizzando buona parte degli infortuni sul lavoro, abbiamo riscontrato che nelle piccole imprese, fatte in molti casi da quattro o cinque persone, a rimanere coinvolti in incidenti mortali non sono solo i lavoratori ma gli stessi datori di lavoro.
Noi stiamo lavorando comunque in questa direzione e, soprattutto per quanto riguarda il coordinamento – come ho già detto – ci stiamo sforzando per trovare un anello di congiunzione, tenuto conto che questo coordinamento, così com’è concepito, va migliorato, considerata anche l’esigenza – condividiamo in questo senso le cose che ci avete detto – di un maggiore raccordo tra le competenze regionali e quelle statuali, con l’individuazione di una mission ben definita in capo al coordinamento nazionale. Proprio per questo abbiamo deciso di presentare un disegno di legge per la trasformazione del coordinamento nazionale in un’Agenzia ad hoc, nella quale operino comunque gli stessi soggetti, che sia in grado di seguire queste procedure ed avere un’interlocuzione di tipo non politico – visto che a volte la politica tende a dilatare eccessivamente le cose – ma tecnico, anche nelle relazioni con i comitati regionali di coordinamento.
Occorre dunque garantire una buona gestione a livello centrale, perché è là che confluiscono le diverse tematiche, non sempre convergenti, ma a volte addirittura in contrasto tra di loro, considerato che sulla questione della sicurezza e degli infortuni sul lavoro vi sono politiche regionali che vanno in una certa direzione, mentre ci sono indicazioni da parte dei Ministeri di riferimento e di taluni soggetti, che svolgono comunque attività di prevenzione e di contrasto, che vanno in senso opposto o che comunque procedono senza alcun tipo di armonizzazione.
In sintesi, l’orizzontalità e la verticalità che noi registriamo devono essere uniformate e forse proprio la creazione di un soggetto che punti quantomeno a monitorare e a seguire costantemente la situazione può far superare il problema legato alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni su un tema così importante, che dovrebbe essere affrontato in maniera uniforme da Bolzano fino ad Agrigento. Questa è l’esigenza alla quale noi abbiamo dedicato attenzione, così da poter dare risposte più chiare e risolutrici.
Rinnovo dunque il mio ringraziamento a tutti voi, anche per qualunque elemento ulteriore vogliate far pervenire alla Commissione, in modo tale che questo nostro incontro possa rappresentare l’inizio di una reale collaborazione.

Audizione dei rappresentanti delle organizzazioni datoriali e imprenditoriali del Lazio



PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono ora con l’audizione di rappresentanti delle organizzazioni datoriali e imprenditoriali del Lazio, che a nome della Commissione desidero ringraziare per avere accolto il nostro invito.
Ci tengo a ricordare a tutti gli intervenuti che negli ultimi due anni questa Commissione ha svolto un monitoraggio in tutte le Regioni italiane sulle problematiche legate all’attuazione a livello territoriale del nuovo Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Da questo lavoro, che abbiamo portato avanti recandoci direttamente sul territorio – siamo oggi qui in Senato, perché parliamo della Regione Lazio – è emerso un quadro abbastanza articolato, per noi utile al fine di verificare in qualche modo l’attuazione della normativa. D’altro canto, questo tipo di attività ci ha permesso anche di avere un’interlocuzione diretta con chi sul territorio deve applicare e far rispettare la normativa, con uno scambio di notizie, informazioni ed opinioni, per cui si è creata una vivacità e una dinamica nei rapporti tra territorio e Parlamento, che era uno degli obiettivi che la Commissione si era data.
L’attività di indagine che abbiamo portato avanti ha rappresentato quindi anche un’occasione per avvicinare – per noi positivamente – istituzioni ed operatori, al fine di avviare un dialogo, con possibilità di ulteriori interlocuzioni. Come dicevo poco fa, la nostra procedura informativa non è infatti fine a sé stessa, nel senso che essa non nasce e muore oggi: il nostro auspicio – anche se abbiamo tempi piuttosto stretti, considerato che ci avviamo ormai alla fine della legislatura – è l’avvio, comunque, di un confronto. La procedura informativa odierna, come voi sapete, non è legata fortunatamente ad un episodio specifico, quanto piuttosto all’esigenza di proseguire nel monitoraggio e nell’inchiesta che stiamo portando avanti su tutto il territorio nazionale. È in questo ambito che vorremmo conoscere le vostre riflessioni, che potranno esserci utili nel redigere, a conclusione dei nostri lavori, una relazione che ci auguriamo di votare subito dopo aver collazionato i documenti di quest’ultima audizione, in modo tale da lasciarla agli atti parlamentari, magari insieme anche a qualche iniziativa legislativa in itinere, che pure abbiamo posto in essere, attraverso cui si è cercato di dare risposta a temi che comunque sono di pertinenza di questa Commissione.

MICHELI
Ringrazio la Commissione per questa opportunità di mettere a fattor comune il percorso sviluppato nel corso degli anni dalla nostra associazione, che di fatto nel territorio della Regione Lazio dal 1º gennaio 2011 ha visto nascere un nuovo soggetto che ha unito le Confindustrie dei quattro territori di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo, che oggi insieme a Confindustria Latina costituiscono Confindustria Lazio. Nel tempo abbiamo concentrato il nostro focus sull’analisi dei dati sul fenomeno degli infortuni sul lavoro messi a disposizione dall’INAIL, soprattutto con riferimento ai settori industria, commercio e servizi, con particolare riguardo alla struttura dei nostri associati. Oggi i tre quarti delle aziende associate di Confindustria Lazio sono organizzazioni con meno di 25 dipendenti. Di fatto, soltanto una percentuale molto bassa, poco superiore al 2 per cento, delle aziende associate è rappresentato da organizzazioni che contano oltre 500 dipendenti. Questa premessa è doverosa per poi calare l’applicazione delle previsioni della normativa vigente, con particolare riferimento al decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modifiche ed integrazioni, nel tessuto produttivo.
Da questo punto di vista, nell’analisi della dinamica del fenomeno degli infortuni sul lavoro nella nostra Regione negli ultimi cinque anni (mi sto riferendo al periodo che va dal 2007 al 2011) abbiamo rilevato, facendo un confronto con la stessa dinamica che abbiamo osservato a livello nazionale (dove si è avuto un calo del 21,6 per cento degli infortuni denunciati e del 24,7 per cento degli infortuni indennizzati), un trend meno brillante nella Regione Lazio per questo settore. In altri termini, nel nostro territorio abbiamo registrato un calo poco superiore al 12 per cento per gli infortuni denunciati e poco superiore al 13 per cento per gli infortuni indennizzati. Questo dato lo abbiamo voluto scorporare per individuare dei percorsi e delle linee d’azione nelle varie Province e quindi abbiamo constatato che c’è un’articolazione per cui ci sono delle Province più performanti rispetto alla media nazionale e di conseguenza rispetto a quella regionale e altre meno; quindi si passa, riferendoci ai dati sugli infortuni indennizzati come delta quinquennale, dall’1,9 per cento sulla Provincia di Roma a un –34 per cento sulla Provincia di Frosinone, a un –16 per cento su Rieti ad un –13,50 su Viterbo ad un –26 su Latina. Ovviamente in un concetto di matrice somma-prodotto, pesando il numero degli eventi rispetto al periodo, si arriva alla media di cui ho appena detto.
Visto dal punto di vista della nostra associazione, che deve tendere a fornire degli strumenti di gestione ai nostri associati e delle linee d’azione comune, il nuovo soggetto unindustriale, che ha messo insieme le culture datoriali di quattro Province, sicuramente favorirà questo percorso di osmosi positiva per cui lavoreremo affinché le performance, soprattutto delle quattro Province rappresentate in Unindustria, ma anche nei confronti delle associazioni datoriali di Confindustria Latina, vengano a generare dei dati che tutto sommato statisticamente non si muovono in maniera molto distonica l’uno dall’altro.
In questa analisi abbiamo notato la forte incidenza nel nostro territorio degli eventi connessi con il sistema strada sia in riferimento agli infortuni in itinere, sia agli infortuni in occasione di lavoro; quindi l’incidenza dell’assetto della rete stradale nel nostro territorio è stato sempre rilevante. Con particolare riferimento poi al fenomeno degli infortuni mortali (mi riferisco sempre, come nostro osservatorio, al settore industria, commercio e servizi), oltre il 50 per cento degli infortuni mortali occorsi nel territorio della nostra Regione ha coinvolto il sistema strada sia per eventi in itinere, sia per eventi in occasione di lavoro, per cui questa è una linea d’azione importante.
L’attività che abbiamo condotto, ma soprattutto quella che ci prefiggiamo di condurre come Confindustria-Unindustria è quella ovviamente del miglioramento della cultura della prevenzione sul tema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, prendendo a riferimento il vincolo organizzativo del nostro tessuto associativo, fatto appunto da oltre tre quarti dei nostri associati con una struttura molto ridotta, sotto i 25 addetti, e quindi fornire strumenti tali da migliorare la qualità del principale strumento di prevenzione introdotto e perfezionato dal decreto legislativo n. 81, che è il DVR, facendo in modo che anche per queste strutture organizzative di dimensioni ridotte vengano diffusi dei modelli di gestione della sicurezza che non siano quelli che oggi vengono sviluppati, implementati e mantenuti nelle medie e grandi organizzazioni, che possono dotarsi di strutture in termini di HSE (salute, sicurezza e ambiente), bensì una buona prassi che possa essere gestita dalla micro organizzazione e che diventi essa stessa elemento di prevenzione.
Nelle varie Province le Confindustrie territoriali hanno nel tempo messo in atto una serie di iniziative volte sia a migliorare i rapporti con le organizzazioni sindacali sul tema della sicurezza, sia a mettere a fattor comune le informazioni. Un esempio è il Rapporto ambiente e sicurezza, che ha avuto cinque edizioni in Confindustria Frosinone e che da due anni è stato esportato nella nuova associazione datoriale Unindustria. Stiamo per presentare, la settimana prossima, il secondo Rapporto ambiente e sicurezza a livello Unindustria, ma questa è una best practice su cui vogliamo investire proprio come strumento di sensibilizzazione.
Intendiamo, inoltre, lavorare sulla costruzione di un organismo paritetico che abbia come campo di applicazione tutti i settori merceologici e che sia connesso con la nuova struttura datoriale di Unindustria, quindi un organismo paritetico che, seppur con le articolazioni provinciali, abbia come campo di applicazione Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo. Oggi questa strutturazione ancora non esiste; abbiamo rilevato la costituzione, nel 2010, di un organismo paritetico dell’Unione delle imprese su Roma, è stato costituito un organismo paritetico polivalente in Provincia di Latina, ma ci stiamo dando l’obiettivo di costituire, nel giro di pochi mesi, un organismo paritetico in queste quattro Province (Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo), che sia capace anche di orientare le dinamiche dei percorsi formativi andando a finalizzare al meglio i menù delle formazioni finanziate, superando, là dove esistono, anche vincoli ad inserire le formazioni che vanno al di là di quelle obbligatorie; infatti oggi molte nostre aziende, soprattutto quelle più piccole, che si devono confrontare con i percorsi formativi indicati dall’accordo Stato-Regioni, hanno come assoluta priorità quella di conformarsi sotto il profilo della formazione obbligatoria. È un paradosso avere delle offerte formative su dei menù che vanno al di là della formazione obbligatoria, quando magari si possono avere difficoltà per gestire il menù cogente. Si tratta di un obiettivo doveroso che noi ci siamo posti e su cui lavoreremo insieme alle organizzazioni sindacali per portare a casa quanto prima un organismo paritetico che sia funzionale.
In conclusione, il nuovo soggetto datoriale di Unindustria si pone l’obiettivo di omogeneizzare nel territorio della nostra Regione le best practices esistenti su cui le varie associazioni datoriali e provinciali hanno lavorato nel tempo. Su tali punti lasceremo agli atti della Commissione un documento.

MARTORELLI
Saluto il presidente Tofani e lo ringrazio per l’opportunità che ci ha oggi offerto. Evidenzio il grande e apprezzabile lavoro che sta facendo questa Commissione entrando nel merito delle problematiche e fotografando le situazioni contingenti. Molto spesso infatti ci riempiamo di parole, ma non abbiamo ben chiari quelli che sono i problemi. Cercherò allora di fare un intervento molto breve toccando alcuni punti.
La nostra Costituzione asserisce che la salute è un diritto irrinunciabile e pertanto infortuni e malattie professionali rappresentano, oltre che un problema doloroso per la persona, un problema sociale. Sentiamo molto spesso dire dai medici e da qualsiasi comunità scientifica che prevenire è meglio che curare. La prevenzione degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali deve essere un comune sentire, deve entrare a far parte della cultura d’impresa e della cultura dei lavoratori stessi. Questa cultura molto spesso in passato non c’è stata o è stata assolutamente carente. Questo sentire univoco della comunità nei confronti di un problema che tocca noi tutti va rafforzato con campagne di comunicazione e con interventi concreti.
Vorrei citare uno slogan che ho sentito in passato e che assolutamente condivido: «non si può morire di lavoro». Questo tristemente succede molto spesso e per molte motivazioni. Sono in rappresentanza di CNA Lazio e parlo anche a nome di Casartigiani, visto che le nostre imprese sono artigianali, sono piccole imprese, dette anche microimprese o medie imprese. I nostri titolari sono sempre sul campo di battaglia; partecipiamo al lavoro con la nostra intelligenza e la nostra capacità, a volte anche manuale, e dunque viviamo il cantiere e la bottega. Viviamo in prima persona l’attività e siamo noi stessi soggetti a tutti quei problemi e quei rischi che nascono dal lavoro quando questo non è sicuro.
Auspichiamo anche noi che nel prosieguo delle vicende del nostro Paese queste tematiche vengano affrontate sempre con maggior incisività. Le imprese non possono però essere soffocate da norme e regole molto spesso complicate e contraddittorie che non servono ad aumentare la sicurezza sui posti di lavoro. Molto spesso ci sono interpretazioni assolutamente complicate, sovrapposte e non condivise da enti e da strutture che controllano la sicurezza sul lavoro e il comportamento di imprese e di lavoratori.
La CNA e Casartigiani hanno preparato un documento che consegnerò alla Commissione, in cui sono indicati sei punti molto semplici che servono in parte a fare chiarezza sulle esigenze non solo delle imprese, ma anche dei lavoratori che in esse lavorano.
Per l’enunciazione in maniera sintetica di questi sei punti lascio la parola al collega Bollini che mi accompagna e che ha grande esperienza in questo settore.

BOLLINI
Signor Presidente, il primo punto riguarda il problema della bilateralità, che è molto importante per queste microimprese. Nel Lazio il 98 per cento delle attività sono svolte da imprese artigiane o microimprese al di sotto dei dieci lavoratori. Abbiamo degli organismi paritetici veri che svolgono la loro attività, degli RLST territoriali, ma abbiamo il problema di un’altra serie di organismi non veri. Questo è dovuto anche al fatto che la legge non è stata estremamente chiara nel definire questo tipo di organismi. Pertanto, per chiarezza nei confronti delle imprese, questo è uno dei primi punti da affrontare. Faccio parte del comitato di coordinamento della vigilanza, istituito in base al decreto legislativo n. 81 del 2008, e a livello regionale abbiamo tentato con la Regione Lazio di fare un elenco di questi organismi paritetici veri, ma ancora non siamo riusciti in questo intento.
Per quanto riguarda gli organismi paritetici, un altro punto riguarda la consultazione per la formazione. Anche in tal caso bisogna vi sia chiarezza maggiore sul significato di questo termine. Altrimenti si possono intralciare le attività di formazione o caricare gli organismi paritetici – ricordo che sono presidente di quello del Lazio – di un’attività di vigilanza che non hanno il potere di svolgere; non hanno nemmeno le risorse per verificare le attività formative.
La chiarezza vale in generale per tutte le imprese. Avrete sotto casa le vostre piccole imprese, commerciali, artigianali o quant’altro, e potete capire, conoscendo bene tutte le misure in materia di formazione, gli interventi della Conferenza Stato-Regioni ed i successivi chiarimenti, quanto sia difficile per noi districarci in questa partita. È perciò necessaria una maggiore chiarezza rispetto alle piccole imprese, ai datori di lavoro artigiani e l’istituzione del libretto formativo. Riteniamo che il libretto formativo non sia qualcosa in più , ma serva all’impresa per annotare tutto quanto viene fatto e si deve fare. Si tratta di una misura utile anche per trasmettere ciò che è stato fatto da un’impresa all’altra.
Un altro punto riguarda le procedure standardizzate. Abbiamo una serie di imprese alle quali è stato detto di fare un documento di valutazione del rischio. Il documento, secondo procedure standardizzate, ha già un indice preciso; doveva uscire tre mesi prima della fine dell’anno, ma queste procedure ancora non si vedono. È un problema delle piccole imprese. Ci sono poi tutte quelle a cui non siamo riusciti ad arrivare. Nel Lazio infatti non sono tutti iscritti alle organizzazioni. Anche in questo caso c’è un problema di tempi, che sono fondamentali per le imprese piccole per mettersi in regola. Si rende perciò necessario sollecitare che questi provvedimenti escano o che si faccia una proroga.
Per quanto riguarda il disegno di legge per la semplificazione, noi crediamo che tante cose possano essere semplificate. Abbiamo tutta una serie di adempimenti che non servono; pensate, ad esempio, che nel Lazio si chiede ancora ai tassisti il certificato di sana e robusta costituzione. In altre Regioni, come la Lombardia e la Puglia, questo adempimento è stato abrogato, ma nel Lazio non siamo riusciti ad ottenere una cosa così semplice. Questo è solo un esempio, ma ci sarebbero tante altre cose che alla fine fanno apparire queste attività alle imprese come qualcosa di volutamente inutile o di ripetitivo.
Anche sulle semplificazioni possiamo dare un grande contributo, che possono dare anche tutti i sistemi pubblici, dalle ASL ad altri, informatizzando i vari procedimenti, le richieste o le varie autorizzazioni che vengono concesse.
Per quanto riguarda l’Agenzia nazionale sicurezza sul lavoro non ci esprimiamo; penseranno i nostri rappresentanti nazionali ad avere una posizione più precisa, però a noi serve un’uniformità nell’applicazione della legge. Abbiamo a livello interregionale imprese che lavorano in tutta Italia nel settore del trasporto e delle costruzioni; per cui, non ci devono essere regole diverse. Abbiamo problemi diversi tra ASL e ASL: un cantiere in un’ASL viene controllato in un modo e in maniera diversa in un’altra. Chiediamo un’uniformità del sistema d’applicazione della legislazione. Altra questione riguarda l’applicazione dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 81 di cui non si parla mai. Per l’articolo 20 gli enti di patronato, l’INAIL, l’INPS, le Regioni fanno attività di assistenza e consulenza alle imprese artigiane e alle piccole imprese. Questo dovrebbe essere uno dei primi compiti dell’Agenzia nazionale.
Quanto alle procedure standardizzate, in tutti gli altri Paesi europei sono state declinate per ogni comparto. Gli olandesi hanno 250 procedure standardizzate. L’indice delle procedure è stato trasposto in una specifica per quel tipo di categorie. Questo si doveva fare prima dell’entrata in vigore del Testo unico per semplificare la vita alle imprese e fare le cose più seriamente. Venendo al tema degli incentivi, le imprese sono state molto motivate dai fondi dati dall’INAIL per le ristrutturazioni in sicurezza e dalla riduzione dei premi INAIL, che dovrebbe essere ancora più accentuata per le imprese di piccolissime dimensioni. Questo può essere un buonissimo strumento per aiutare le imprese e spingerle a migliorare in sicurezza.

VOLPE
Ringrazio a nome di Confapi Lazio e nazionale nella persona del dottore Maurizio Casasco e del vice presidente nazionale dottor Vincenzo Elifani, impossibilitati a partecipare oggi per precedenti impegni assunti. Hanno affidato a me il compito di rappresentare il punto di vista delle piccole e medie imprese associate in Confapi e, in particolare, Confapi Lazio. È un’associazione ricostituitasi nel 2008 che fa parte del sistema Confapi, che vanta un numero in crescita di imprese associate. Il sistema è accanto alle aziende italiane sin dalla fine degli anni Quaranta e oggi è una realtà consolidata che rappresenta 120.000 aziende con due milioni di addetti occupati. In tal senso la nostra organizzazione datoriale e regionale, che rappresenta le piccole e medie imprese manifatturiere e dei servizi all’industria, ringrazia questa Commissione per la decisione di avviare un confronto con il sistema delle piccole e medie imprese del Lazio e, in particolar modo, per quanto riguarda i problemi legati all’attuazione delle normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro e in considerazione della programmazione, del coordinamento e del controllo attribuiti alla Regione Lazio.
Con questa audizione intendiamo portare un nostro contributo al dibattito aperto sui temi di rilievo per la salute sui luoghi di lavoro, con particolare riferimento ad alcuni aspetti specifici. In particolare, il punto primario è la pariteticità che identifichiamo come un sistema aperto e bilaterale all’interno del quale i datori di lavoro, i lavoratori e le rappresentanze sono attori principali della gestione della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro. La normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro è ispirata al riconoscimento della bilateralità come effettivo snodo delle problematiche inerenti la gestione sulla sicurezza. Questa filosofia partecipativa si ritrova nella costituzione di questi organismi paritetici tra associazioni datoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori puntando sulla costante formazione e informazione delle figure coinvolte nel sistema di gestione della sicurezza. Seguendo una linea di politica legislativa già avviata con la cosiddetta legge Biagi, il Testo unico sulla sicurezza e la tutela della salute negli ambienti di lavoro riconosce alla bilateralità delicate funzioni a supporto del sistema delle imprese e dei lavoratori. In particolare, l’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2008 assegna agli organismi paritetici il compito significativo di sostenere le imprese nella individuazione di quelle soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ma anche a svolgere e promuovere attività di formazione attraverso i cosiddetti fondi interprofessionali, strumento fondamentale che è attualmente l’elemento più sfruttato. All’articolo 52 è previsto il sostegno e il finanziamento, oltre che delle attività di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza territoriali, anche il finanziamento della formazione per quei datori di lavoro di piccole e medie imprese nonché, in maniera significativa, il sostegno alle attività degli organismi paritetici stessi. Le novità, quindi, del 2009 hanno previsto in capo a tali organismi bilaterali anche compiti di asseverazione dell’adozione di questi modelli organizzativi e di gestione della sicurezza della quale spesso gli organi di vigilanza possono tenere conto ai fini della programmazione delle attività ispettive e, quindi, eventualmente identificare grosse opportunità di contenimento dei costi per i controlli. Questi compiti così importanti e delicati non potevano essere affidati dalla legge alle logiche di mero business che tanto incidono su una scarsa cultura della sicurezza del lavoro in Italia, come siamo costretti a verificare in questo periodo. Per questo il Ministero del lavoro ricorda, anche attraverso la circolare n. 20 del 2011, puntuali definizioni di ente o organismo bilaterale contenuti nel decreto legislativo n. 276 del 2003 e riferite anche nel decreto n. 81. Tali disposizioni segnalano in modo inequivocabile come la legislazione di promozione e sostegno alla bilateralità sia riservata ad organismi costituiti ad iniziativa di una o più associazioni di datori di lavoro e di prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative nell’ambito del sistema contrattuale di riferimento. A questo punto, tra le iniziative intraprese in materia, ci corre l’obbligo di ricordare l’impegno di Confapi Lazio, assunto in ambito sindacale e che ha dato attuazione a specifici accordi interconfederali nazionali con una sottoscrizione insieme alla CGIL, CISL e UIL di Roma e Lazio dell’accordo di costituzione dell’organismo paritetico regionale Confapi Lazio. Tale organismo, nell’ambito del rafforzamento della partecipazione e per una migliore tutela dei datori di lavoro e dei lavoratori del Lazio, si occuperà e si occupa attualmente di un tema delicato e importante come quello della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro cercando di offrire in maniera adeguata le risposte adatte alle imprese e ai lavoratori in materia e cercando di garantire nel contempo lo sviluppo d’intervento per la qualificazione e la formazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei rappresentanti dei lavoratori territoriali e, in particolare, anche di figure dirigenziali dei preposti e dei datori di lavoro in quanto elementi fondamentali per la garanzia di un efficace controllo della gestione della sicurezza in azienda.
Pertanto, in considerazione della realtà produttiva nazionale, e quindi territoriale, e per rafforzare tali strumenti occorre sviluppare e dare concreta attuazione al ruolo della pariteticità, come assegnato dal decreto legislativo n. 81 del 2008, dando attuazione al comma 3 dell’articolo 52, che prevede l’istituzione del «Fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori e al sistema della pariteticità», tramite un decreto – che ci aspettiamo – in cui definire le modalità di funzionamento e di articolazione settoriale e territoriale del Fondo, nonché la gestione del Fondo stesso.
Un ulteriore elemento su cui desideriamo apportare un nostro contributo è la semplificazione per la piccola e media industria, inerente anche la vigilanza. Su questo tema si rende necessario prestare la massima attenzione perché spesso i principi enunciati non trovano poi concreta attuazione. Alcune criticità dell’attività di vigilanza, come anche sottolineato dall’ILA (Associazione degli ispettori del lavoro), spesso sono derivanti dalla duplice competenza tra Stato e Regioni. La recente riforma della legislazione in materia di salute e sicurezza con il Testo unico ha opportunamente riordinato le varie fonti normative, non risolvendo, però , i ritardi nella sua attuazione, spesso causata proprio dalla duplice competenza di questo ambito.
Confapi Lazio rileva, in un’ottica di implementazione di un percorso teso alla semplificazione amministrativa della pubblica amministrazione, la necessità di unificare i vari soggetti preposti all’attività di controllo in un unico, eventuale, organismo ispettivo. Altro elemento importante è il sistema premiale. Implementare un sistema premiale che riesca a stimolare prioritariamente la crescita culturale delle imprese e degli enti è un elemento fondamentale per lo sviluppo della cultura della sicurezza. Un riconoscimento di qualità alle aziende che implementino tali sistemi potrebbe qualificare quelle imprese che riescano a raggiungere determinati livelli di prevenzione o attuino efficaci sistemi gestionali per il controllo della sicurezza. Tale riconoscimento permetterebbe di attribuire un maggior valore all’azienda, mettendola in condizioni di vantaggio nella partecipazione a gare di appalto, bandi pubblici e facendola godere di vantaggi fiscali o contributivi; inoltre, tale meccanismo avvantaggerebbe anche gli organismi paritetici che potrebbero attribuire tale riconoscimento. Si tratta, quindi, di mettere in grado gli organismi paritetici, sulla base di procedure uguali sul territorio nazionale, di certificare la qualità dei livelli prevenzionali e dei sistemi gestionali in atto, come peraltro già previsto dallo stesso articolo 30.
Un altro elemento su cui ci soffermiamo è relativo all’ambito degli appalti. L’amministrazione pubblica spesso indice gare al massimo ribasso e non con la clausola auspicata dell’offerta maggiormente vantaggiosa. Ciò comporta ribassi per le ditte appaltanti e subappaltanti che, sebbene teoricamente non dovrebbero investire la quota destinata alla prevenzione, nei fatti ne contaminano la sostanza in maniera abbastanza importante. Per questo si ritiene che particolare attenzione debba essere riservata al tema delle garanzie in ordine alla salute e alla sicurezza nei luoghi e negli ambienti di lavoro. Le garanzie specifiche in materia di sicurezza sono contenute nella norma che prevede anche il coinvolgimento della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il cui compito è quello di vigilare perché vengano attivati tutti gli istituti di tutela previsti.
L’ultimo punto su cui volevamo contribuire con una nostra riflessione è quello del libretto formativo. Il libretto formativo del cittadino, previsto dalla normativa vigente, rappresenta uno strumento importante per sviluppare politiche attive e passive nel mercato del lavoro. I lavoratori, infatti, attraverso il libretto formativo possono dotarsi di una documentazione certificata delle competenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa e formativa. Grazie a questa raccolta documentale è possibile anche garantire un costante monitoraggio sui livelli di formazione ricevuti e, in funzione dell’orientamento dei programmi formativi, dare maggiore evidenza alle esigenze reali delle imprese. Per fare questo bisogna, tuttavia, dare corso a un’organica e sistematica gestione operativa dello strumento partendo dall’area della salute e sicurezza.
Con l’accordo interconfederale sui rappresentanti dei lavoratori per la salute e sicurezza in ambito lavorativo e sulla pariteticità, sottoscritto da Confapi, CGIL, CISL e UIL il 20 settembre 2011, si è dato vita ad un sistema organico di intervento, prevedendo un organismo paritetico nazionale e organismi paritetici in tutte le Regioni e su scala provinciale. Questi organismi saranno alimentati da un versamento che le imprese che applicano il contratto collettivo nazionale del sistema Confapi sono tenute a corrispondere per sviluppare la formazione e l’informazione dei lavoratori, dei rappresentanti della sicurezza e dei datori di lavoro. Sfruttando questa attività è quindi possibile censire la formazione in materia di sicurezza di questi profili e implementare questi dati con quelli relativi alla formazione acquisita dagli stessi e riportata nel libretto formativo.
Analogo discorso vale per l’apprendistato, che è un elemento importante. Anche per queste figure, in attuazione dell’accordo interconfederale del 9 febbraio 2010, è previsto il monitoraggio delle attività formative e la registrazione di queste nel libretto formativo delle competenze acquisite. In sostanza, sfruttando i diversi strumenti già disponibili è possibile sviluppare in maniera ancora più efficace le politiche attive e concrete sui diversi temi di interesse per i lavoratori e le imprese.
Vi ringrazio per l’attenzione. Al termine consegneremo il documento agli atti della Commissione.

PRESIDENTE
Vi pregherei, se avete documenti da consegnare agli atti, di farne una breve sintesi, altrimenti dovremmo prevedere anche una sessione pomeridiana. Dico questo con tutto il rispetto: il documento sarà letto e valutato, ma al momento della presentazione è meglio farne una breve sintesi. Soprattutto su temi già messi in evidenza, ci si può associare a quanto detto in precedenza.
Stiamo parlando tra addetti ai lavori, quindi diamo per scontato il significato di determinati concetti. La sintesi non pregiudica i contenuti, perché gli aspetti formali sono noti a tutti. Quando si citano articoli e riferimenti normativi sappiamo tutti di cosa parliamo, quindi vi sarei grato se evitaste di specificare di cosa si tratta.

PETRUCCI
Signor Presidente, la ringrazio per l’invito a questa audizione e per il lavoro che questa Commissione sta svolgendo. Cercherò di raccogliere l’invito che ci ha appena formulato e di essere breve.

PRESIDENTE
Questo non significa limitare l’intervento, ma solo tenere presente che stiamo parlando tra addetti ai lavori: concentriamoci sulle proposte.

PETRUCCI
Signor Presidente, poiché parliamo di infortuni sul lavoro (anche mortali), vorrei iniziare sottolineando i dati positivi che emergono dalle analisi dell’INAIL, secondo cui in Italia nel 2011 c’è stata una diminuzione del 17 per cento degli infortuni indennizzati e del 26 per cento degli infortuni mortali. Nella Regione Lazio siamo in linea con i dati nazionali, con una diminuzione del 20 per cento degli infortuni indennizzati e del 35 per cento degli infortuni mortali. Volevo sottolineare questi due dati positivi non solo per dirci delle buone cose, visto che spesso si fa molto allarme, ma anche per sottolineare l’attività che da anni – direi da sempre – l’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) svolge con grande attenzione nel settore della prevenzione e della sicurezza sul lavoro, insieme alle organizzazioni sindacali, e per sottolineare il contributo che abbiamo spesso dato nella formazione dei testi legislativi, sia a livello nazionale che a livello regionale. Ormai da trent’anni abbiamo degli organismi paritetici, che sicuramente lei conoscerà, signor Presidente; mi riferisco in particolare ai CTP (Comitati tecnici paritetici).

PRESIDENTE
Sono molto funzionali.

PETRUCCI
Grazie; questo è un merito che ci viene riconosciuto e ciò mi fa piacere. Dicevo che mi riferisco in particolare ai CTP e alle scuole di formazione edile. Il Testo unico rappresenta secondo me un risultato importante; esso ha attribuito un ruolo ufficiale ed importante ai CTP, nella funzione di sostegno all’attività dell’INAIL e in un’azione propria di controllo. Le nostre imprese utilizzano molto spesso i comitati tecnici paritetici sul territorio nazionale in generale e laziale in particolare, proprio per controllare che tutte le misure di sicurezza siano state recepite e per prevenire di fatto l’attività rispetto all’insorgere di eventuali infortuni.
Ho qui dei dati importanti sull’attività che svolgiamo, che poi lascerò agli atti della Commissione. Credo che sia importante sottolineare tale attività, in primo luogo per quanto riguarda i sopralluoghi. Nel 2011 sono stati svolti 874 sopralluoghi di consulenza gratuita (sono numeri importanti): 20 sopralluoghi per quanto riguarda la metro B1, 32 sopralluoghi per quanto riguarda la metro C, 12 sopralluoghi per quanto riguarda la nuova stazione Tiburtina, eccetera. Analoga attività svolge il nostro CTP per quanto riguarda le visite mediche, che sono fondamentali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Anche su questa attività ho molti dati, che lascerò agli atti della Commissione; ci fa piacere che possiate vedere concretamente in che modo le leggi promulgate in sede parlamentare abbiano efficacia e producano risultati concreti nell’attività di tutti i giorni, al di là delle parole.
Lo stesso discorso riguarda la formazione. Il sistema bilaterale – che credo lei e tutti gli altri conoscano, perché siamo tutti addetti ai lavori – nel 2011 ha svolto 11.845 corsi di formazione nel settore delle costruzioni e dell’edilizia, con circa 400.000 ore formative e con il coinvolgimento di 142.000 allievi. Insomma, queste cose le facciamo sul serio, ci crediamo e siamo impegnati fortemente; quindi ci fa piacere che ci venga riconosciuto questo ruolo.
Credo che, per cercare di andare avanti e per continuare a migliorare, siano state dette delle cose importanti da chi mi ha preceduto. Poiché nel nostro, come in altri settori, sono presenti imprese di varie dimensioni, è sempre opportuno avere chiaro l’obiettivo della concretezza e della sostanza di tutti i documenti (valutazione dei rischi, ecc.), per fare in modo che per la grande impresa e per la piccola impresa si possano adottare delle documentazioni differenziate, che vadano alla sostanza del problema ed evitino di produrre solo carte. È importante che questo punto di vista sia sempre tenuto molto ben presente: trovare gli strumenti giusti anche per la piccola impresa.
L’interpretazione univoca delle normative è un altro elemento importante – è stato detto molto bene prima dal rappresentante della CNA – proprio perché ci troviamo spesso di fronte ad interpretazioni differenti sullo stesso territorio cittadino.
Un ulteriore elemento che vorrei sottolineare riguarda gli incentivi premiali. Abbiamo riscontrato – e credo che l’abbiate riscontrato anche voi – che, quando riusciamo a creare dei sistemi di premialità per le imprese, stiamo aiutando concretamente le imprese e stiamo valorizzando concretamente le imprese che si dotano di sistemi di prevenzione e di sicurezza per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, aiutandoci, attraverso le norme e le leggi, nel lavoro che pure noi tutti i giorni facciamo nel cercare di distinguere le imprese che si comportano bene da quelle che non hanno lo stesso tipo di attenzione. Quindi l’elemento premiale è importante.
Vorrei fare un’ultima considerazione sulla questione della lotta al lavoro nero e al lavoro sommerso. Spesso è lì che si annidano i risultati peggiori e più negativi, sia in termini di infortuni che di infortuni mortali. Da questo punto di vista, credo che un argomento importante per il prossimo futuro – se ne sta parlando molto nel Paese – sia quello di cercare di ridurre il cuneo fiscale, cioè l’onere contributivo sul costo del lavoro, che in edilizia è particolarmente pesante e che fa sì che la forbice fra lavoro regolare e lavoro nero sia molto aperta, spesso purtroppo favorendo il lavoro nero e quindi non ci aiuta a combattere la sicurezza sul lavoro, di cui stiamo parlando quest’oggi.
Abbiamo partecipato attivamente, anche in sede regionale, alla formazione di alcuni testi di legge, che purtroppo ora sono fermi perché la Regione Lazio è dimissionaria. Con l’onorevole Abate, che probabilmente lei conosce, signor Presidente, abbiamo dato un contributo concreto in questo senso, così come lo diamo, attraverso i nostri rappresentanti, negli organismi chiamati all’attuazione dei finanziamenti regionali che vengono erogati in termini di prevenzione e di formazione.

PERINELLI
Signor Presidente, visto che l’indagine svolta da questa Commissione si è estesa a tutta l’Italia, immagino che lei voglia conoscere qualcosa di specifico sull’agricoltura nel Lazio. Io le vorrei rappresentare le difficoltà nel superare gli ostacoli. Il Lazio è fondamentalmente una Regione con un’orografia molto difficile; il 70 per cento del territorio è montano e svantaggiato e ci sono zone di Roma e di Latina che praticamente sono fuori da questo sistema. Soprattutto, c’è un frazionamento notevolissimo della proprietà fondiaria; questo non consente, in alcune situazioni, di rivolgersi al sistema sicurezza con facilità. Perché dico questo? Perché in realtà la situazione è piuttosto difficile. Abbiamo un sistema di parco macchine in agricoltura obsoleto; in più , nel Lazio si sta verificando in maniera fortissima una sequenza di furti clamorosi nelle aziende, che praticamente non incentivano gli agricoltori a rinnovare il parco macchine. Vorrei inoltre sottolineare il fatto che tuttora, nonostante più di 6.000 nuovi insediamenti di giovani, abbiamo mediamente una situazione di conduttori che hanno un’età molto elevata. In particolare il frazionamento delle proprietà fa sì che nel Lazio, specie in talune Province, quali quella di Frosinone e in parte di Rieti, si assista al fenomeno del part-time o, come io sostengo da tanto tempo, del mezzo coltivatore, ovverosia quella persona che normalmente svolge altra attività e che, nel tempo libero, va nei campi, magari utilizzando il trattore una volta ogni tanto.
La difficoltà nel rinnovo del parco macchine è stata accentuata dal non poter accedere alle risorse dei PSR (piani di sviluppo rurale) in quanto la Regione Lazio, a differenza di altre Regioni, ha sviluppato un sistema di filiera tale per cui non si poteva accedere all’acquisto e alla sostituzione con macchine più innovative se non si presentava un progetto completo di ampliamento delle capacità di produzione delle attività agricole. Quindi, questo è stato un limite fortissimo. L’altro limite che abbiamo potuto riscontrare è quello del de minimis per accedere ai contributi dell’INAIL: siamo passati da 15.000 euro a 7.500, e questo limita moltissimo la capacità di accedere ai finanziamenti da parte degli agricoltori.
Sicuramente c’è bisogno di lavorare molto sulla formazione e i nostri imprenditori lo stanno già facendo, ma bisognerebbe evitare per esempio duplicazioni: è assurdo che i nostri operatori prendano un patentino per potere utilizzare i prodotti fitosanitari e il Testo unico li obblighi ad un altro periodo di formazione per l’utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari. Allo stesso modo alcuni nostri soci si lamentano fortemente circa la difficoltà di fare il corso per il trattorista: stiamo parlando di gente che usa i trattori da una vita e che è costretta a frequentare un corso. Queste sono le difficoltà di tipo burocratico, le altre riguardano l’accesso agli incentivi. Il meccanismo premiale adottato dalla legge n. 247 del 2007, che prevede sgravi sui contributi fino al 20 per cento per le aziende virtuose, in realtà non è mai stato applicato, laddove credo sia uno strumento molto utile per far sì che aziende più grandi e strutturate investano molto nella formazione e nella capacità di attenzione alla sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
La ringrazio, ingegner Perinelli. Approfitto per dire a lei e agli altri signori convenuti che il tema del de minimis è motivo di scontro con la Commissione europea. Da tempo abbiamo presentato un disegno di legge proprio per fare in modo che vengano esclusi dal limite comunitario del de minimis, previsto per gli aiuti di Stato, quei contributi dell’INAIL per la sicurezza sul lavoro che servono per migliorare le macchine, perché non vengano considerati nel cumulo che poi produce il tetto, ridotto già alla metà, del de minimis. L’ultima volta che abbiamo interloquito con i rappresentanti a Bruxelles è stato circa un mese fa, in videoconferenza; avevamo avuto la sensazione che la situazione si fosse sbloccata, poi abbiamo ricevuto un documento in cui si ipotizza l’ammissibilità di questo contributo. Ora però vogliamo avere la certezza che questo non diventi cumulabile, ovvero che non faccia tetto con il de minimis, perché in quel caso avremmo fatto un percorso inutile.
In merito alla formazione si tratta di un discorso serio: aiutateci a fare formazione perché abbiamo troppi morti sui trattori. È uno dei settori più deregolamentati del nostro Paese. Lei sa meglio di me, ingegner Perinelli, che nei terreni privati, quindi non pubblici, si può guidare un trattore degli anni Sessanta o uno di ultima generazione senza alcun patentino, e su questo fronte dobbiamo intervenire. Si tratta di macchine che non sono soggette a revisione obbligatoria, e stiamo parlando di 120-140 morti l’anno: dobbiamo contrastare questo fenomeno, forse anche con iniziative impopolari, però non si può permettere all’ottantenne o al dodicenne di guidare impunemente trattori con il rischio che si ribaltino.
L’orografia del Lazio come lei l’ha descritta è quella di quasi tutte le Regioni d’Italia, ad eccezione di qualche pianura del Nord e del Sud. Comunque, pretendiamo la formazione perché serve. Per il resto, speriamo di vincere questo braccio di ferro con la Commissione europea per dimostrare che comprare un carter, per esempio, non significa concorrenza sleale; non vuol dire che quel trattore lavorerà di più rispetto ad un altro. Purtroppo, questi limiti con l’Europa sono reali.

CIAVATTINI
Signor Presidente, anzitutto desidero ringraziarla per l’invito e manifestare l’apprezzamento della nostra organizzazione all’attività della Commissione.
Dal momento che molti aspetti sono stati trattati da chi mi ha preceduto, mi associo a quanto detto, in particolare modo dalla CNA perché i punti enucleati sono gli stessi che ci eravamo annotati.
Stiamo parlando di piccole e medie imprese, soprattutto commerciali, turistiche, dei servizi, quindi con un approccio al tema della sicurezza caratterizzato da un bassissimo rischio.
Per quanto attiene alla necessità di elaborare un DVR, già lo facciamo per le nostre imprese. Abbiamo adottato questo sistema, però è chiaro, come veniva detto dagli amici e colleghi della CNA, che bisognerebbe valutare anche i tempi di pubblicazione delle procedure standardizzate perché potremmo trovarci in una situazione di difficoltà per alcune piccole imprese che non si sono adeguate.

PRESIDENTE
Voi avete toccato un punto molto dolente, quello dei tempi di una serie di atti secondari, che il decreto n. 81 prevede, che non sono stati emanati. In questo senso stiamo sollecitando il Ministero; questo, come il precedente, perché di fatto la nostra Commissione cerca di non farne argomento di contrasto politico, al di là della collocazione di ciascuno dei suoi membri. Quindi, non abbiamo mai fatto sconti a nessun Governo di qualsiasi area. Il problema che stiamo cercando di affrontare concerne soprattutto il fatto che la mano destra deve sapere ciò che fa la sinistra.
È stato richiamato nei vostri interventi che noi abbiamo una legislazione concorrente per quanto riguarda la materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Abbiamo problemi organizzativi e di gestione per quanto concerne i comitati di coordinamento regionali, ma gli stessi problemi, anche se di natura diversa, attengono al coordinamento nazionale. Quindi, abbiamo immaginato la costituzione di un’Agenzia che abbia una missione definita e che in qualche modo intervenga per uniformare e sollecitare lì dove non c’è una omogeneità tra una Regione e l’altra, ma diciamo pure tra un’azienda sanitaria e l’altra. Si tratta di un’esigenza emersa dopo aver visitato tutte le Regioni d’Italia, dove appunto il problema – in alcune parti in maniera evidente, in altre meno, – comunque esiste. Quello che cerchiamo di fare – sarà scritto chiaramente nella relazione finale, ma ve lo anticipo qui, anche in omaggio alla vostra partecipazione a questo incontro – è superare la dualità e la concorrenza Stato-Regioni attraverso l’introduzione di un soggetto unico che assorba in sé i compiti previsti dell’articolo 5 del decreto-legislativo n. 81 del 2008, così da non alterare quegli equilibri costituzionali determinatisi, come sapete, con la riforma del Titolo V della Costituzione e sui quali non è possibile intervenire con legge ordinaria, ma garantendo tuttavia quell’unicum di cui comunque c’è bisogno.
Ci sono provvedimenti già da tempo licenziati all’interno dei tavoli competenti – mi riferisco ai tavoli ministeriali e a quelli Ministero-Regioni – che non sono arrivati però a conclusione. I processi semplificativi sono invece fondamentali, soprattutto per le piccole e medie aziende, dove diventa tutto più complesso: non è possibile morire tra le carte! Dunque, nonostante si riscontri una certa sollecitudine, nonché una certa dinamicità all’interno di questi tavoli, non si arriva però poi al termine dell’iter. Dico questo per confermarvi che siamo perfettamente consapevoli dell’esistenza di questo tipo di problemi. Da parte nostra ci stiamo impegnando in questo senso, nella speranza di ottenere risultati migliori rispetto a quelli che si sono finora registrati.
Condividiamo moltissime delle cose che avete detto, che sono state oggetto da parte nostra anche di pressioni sui Governi che si sono succeduti nel tempo. In quest’ottica dovremmo incontrare nei prossimi giorni anche il ministro Fornero, con la quale ci siamo dati quest’appuntamento per fare il punto della situazione, anche in vista della conclusione della legislatura, che volge ormai al termine. L’obiettivo è proprio quello di accelerare i tempi, in modo tale che si possa arrivare finalmente alla pubblicazione degli atti amministrativi secondari, nei casi in cui siano già stati espressi i necessari pareri, perché non possiamo rimanere appesi. Dico questo, non già per esternare il mio pensiero, ma quello che è l’orientamento dell’intera Commissione.
Mi scuso ancora una volta per l’interruzione, ma mi sembrava doveroso fornirvi questi elementi.

CIAVATTINI
La ringrazio, signor Presidente.
Quello che lei ci ha detto è certamente apprezzabile, oltre al fatto che molti degli aspetti su cui lei si è soffermato (tempi, univocità d’azione) sono proprio quelli che volevamo richiamare all’attenzione di questa Commissione. Anche per questo, dunque, le parole da lei pronunciate, signor Presidente, sono da noi assolutamente condivise.
Mi limiterò a ricordare qui soltanto un aspetto. Con specifico riferimento ai controlli ispettivi, qualcuno ha formulato l’ipotesi di un possibile accorpamento. Non so quale sia la soluzione; quello che è certo è che spesso ci troviamo di fronte ad una materia che anche in questo caso viene trattata mediante interpretazioni applicative molto difformi, con la conseguenza che non parliamo più di un adempimento finalizzato a realizzare un possibile miglioramento, quanto piuttosto di una sfida continua per individuare la soluzione che consenta di accontentare una ASL piuttosto che un’altra. In effetti, quando si passa al piano pratico, la traduzione delle norme si riduce spesso anche a questo.
Apprezziamo sicuramente l’idea della costituzione di un’Agenzia nazionale, che speriamo abbia la forza necessaria. Allo stesso modo, auspichiamo che tutti gli strumenti formativi che sono stati richiamati anche prima – tra cui, in primo luogo, il libretto formativo del cittadino – possano rappresentare la giusta chiave per non appesantire eccessivamente la parte formativa, che è invece importantissima, così da semplificare anche questo aspetto procedurale.

SCACCIA
Rivolgo un sentito ringraziamento alla Commissione per l’invito a prendere parte a questa audizione, che è per noi particolarmente preziosa.
In aggiunta a quanto è stato già detto dai colleghi delle organizzazioni rappresentative del mondo dell’artigianato, a noi dunque più vicine, voglio evidenziare che, rispetto alla richiesta fatta dalla Commissione in merito allo stato di applicazione della normativa, dal 27 ottobre 2011 è stato costituito l’Organismo Paritetico Regionale dell’Artigianato del Lazio (O.P.R.A.), operativo dal febbraio 2012, che discende ovviamente da tutti quegli accordi interconfederali firmati precedentemente e dagli accordi verbali definiti dagli enti bilaterali dell’artigianato.
La nascita di questo organismo paritetico vede anche l’istituzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST), che per il momento sono ancora in numero ridotto, ma la cui consistenza si intende comunque incrementare.

PRESIDENTE
Mi consenta solo una breve interruzione, ingegner Scaccia, per dire che è opportuno favorire l’esistenza degli RLST, perché sono figure importanti. Da qui l’invito a non vederli, dunque, come uno strumento ostativo, quanto piuttosto come un supporto.

SCACCIA
Ha ragione, signor Presidente, gli RLST rappresentano certamente un supporto, anche se la loro presenza si scontra poi con l’operatività, con le necessità o l’organizzazione delle strutture, perché comunque richiedono anche investimenti, tempo ed organizzazione.
C’è comunque tutta la volontà e l’impegno nel favorire la massima diffusione di questi organismi a livello territoriale, al punto che è obiettivo dell’O.P.R.A. vedere costituiti entro breve termine in ogni Provincia gli enti paritetici territoriali, proprio per essere più vicini alle imprese, così da fare un po’ da snodo nell’illustrazione e nell’applicazione corretta della normativa. A tal fine, l’ente bilaterale regionale e l’O.P.R.A. hanno organizzato una serie di iniziative, proprio per incentivare e favorire la conoscenza di questo strumento. Ovviamente accanto a questo rimane in piedi l’organizzazione degli enti bilaterali dell’edilizia tradizionale, alla quale anche noi partecipiamo.
Ciò detto come premessa di carattere generale, consentitemi di fare ora un breve passaggio sui dati relativi agli infortuni che sono stati già richiamati da altri colleghi e di cui vi consegneremo ora una breve elaborazione realizzata dal nostro ufficio. Quello che volevo evidenziare è che, per quanto riguarda la categoria dell’artigianato, si rileva per il Lazio una buona prestazione – se mi posso permettere – con una diminuzione degli infortuni superiore alla media nazionale: con specifico riferimento al settore dell’artigianato, si registra infatti una riduzione del 10 per cento tra il 2010 ed il 2011, mentre nei cinque anni la variazione arriva – sempre per quanto riguarda l’artigianato – addirittura al 25 per cento (25,4 nello specifico). Ci tengo in modo particolare a sottolineare questo dato visto che si parla spesso delle imprese artigiane come quei luoghi in cui maggiormente si annida il pericolo dell’infortunio; in realtà le imprese artigiane – lo dimostrano anche i fatti – sono riuscite a ridurre la loro incidentalità e l’indice infortunistico, nonostante una normativa costruita in realtà per imprese un po’ più grandi, con un target superiore. Ciò ha costretto le imprese artigiane a dover fare investimenti anche superiori in termini di risorse, non avendo l’opportunità e la possibilità di realizzare quelle piccole economie di scala che si possono fare quando le imprese sono più strutturate.
Questo per dire che le imprese artigiane sono comunque sempre attente al tema della sicurezza, anche se purtroppo vi è un atteggiamento generalizzato – che non appartiene quindi soltanto alle imprese del Lazio – per cui non se ne comprende sempre fino in fondo il valore e ci si ferma spesso a quei casi in cui il beneficio è esclusivamente di carattere documentale e all’adempimento non corrisponde un effettivo vantaggio, non riconoscendosi la connessione con un incremento dei livelli di salute e di sicurezza dei lavoratori. Gli imprenditori del Lazio, come tutti gli imprenditori, chiedono semplicità e trasparenza, che è poi il presupposto affinché ci sia un’uniforme interpretazione della norma, che garantisce all’imprenditore non solo la certezza di aver bene assolto agli adempimenti per tutelare la salute dei lavoratori, che sono spesso anche molto vicini per ragioni famigliari, tenuto conto della natura delle nostre imprese, ma anche di non avere il timore del controllo, perché purtroppo mi sono sentita dire spesso dagli imprenditori che benché facciano tutto il possibile quando arriva il controllo qualche irregolarità viene sempre rilevata.
Questo lascia sempre in uno stato di difficoltà e di incertezza, mentre la norma dovrebbe quantomeno aiutare l’imprenditore in questo. È infatti mia opinione, anche se forse un po’ troppo personale, che la sicurezza sia un elemento imprescindibile di qualsiasi ciclo produttivo.

PRESIDENTE
Siamo convinti di questo.

SCACCIA
La norma traduce soltanto dei parametri da sistemare. Questo è quanto noi chiediamo. Facciamo il nostro lavoro nel favorire la formazione, l’informazione e l’applicazione corretta della norma, quello che chiediamo alle istituzioni a livello regionale (i colleghi lo fanno a livello nazionale molto meglio di me in questo momento) è un approccio alla sicurezza che sia sostanziale.

PRESIDENTE
Desidero ringraziarvi per la vostra collaborazione e per questo incontro. Come avrete compreso da quello che si è detto durante l’incontro diretto con voi, ma anche negli altri incontri, il nostro obiettivo è unico e identico, cioè poter fare della sicurezza un valore e non un peso, mettere nelle condizioni migliori gli operatori, come diceva la dottoressa Scaccia nel suo intervento, in modo tale che ci sia la certezza di essere in regola (e qui si aprirebbe un filone enorme, legato anche ai formatori e a chi forma i formatori; su questo stiamo cercando di muoverci e se avrete tempo, anche se non è una lettura leggera, potrete prendere visione delle relazioni intermedie di questa Commissione e probabilmente vi troverete un riscontro anche a molte vostre attese). Questo era il messaggio che desideravo darvi oggi: molte vostre attese e molte considerazioni corrette che fate non sono voci nel deserto, perché c’è chi le recepisce e le amplifica nei luoghi deputati.
Molte volte queste leggi sono come i vagoni di un lungo treno: ad ogni stazione si cerca di metterci qualcosa dentro. Noi svolgiamo un’azione di vigilanza anche per evitare che si complichi ancora di più la vita in questo senso. È un lavoro magari non eclatante, né oggetto d’interesse immediato da parte dei mass-media, ma grazie al quale il convoglio è arrivato come doveva arrivare, non in modo alterato. Questo è l’animus che vive nella Commissione ed è quello che abbiamo, in modo credo rispettoso, portato avanti.
Nell’auspicio quindi di poter continuare a lavorare con voi, restando la Commissione disponibile se doveste cercare una ulteriore interlocuzione, dichiaro concluse le audizioni odierne.


Fonte: Senato della Repubblica