Cassazione Penale, Sez. 4, 15 maggio 2013, n. 20970 - Operazioni di montaggio del macchinario denominato "piattaforma di lavoro su colonne" e mancanza del necessario addestramento


 

 

"Nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'utilizzo di personale non adeguatamente addestrato, come nel caso di specie, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Deve rilevarsi che la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni."


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
M.P. N. IL (Omissis); avverso la sentenza n. 134/2010 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 09/03/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso; Udito, per la parte civile, l'Avv. Raimondi Nunzio, del Foro di Catanzaro, che deposita conclusioni e nota spese; Udito il difensore Avv. Angelini Marco del Foro di Perugia, che chiede l'accoglimento del ricorso, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Fatto


1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Perugia, con sentenza in data 20.09.2007 affermava la penale responsabilità di M.P., nella sua qualità di titolare della M. Costruzioni, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., per avere cagionato la morte dei lavoratori O.S., L.G. e C. N.. Al prevenuto si contesta di non aver adeguatamente addestrato i predetti lavoratori sul montaggio e l'utilizzazione della piattaforma di lavoro su colonne, denominata ponte autosollevante, di talchè i tre operai, a causa di una errata manovra nel serraggio dei tasselli di ancoraggio e del mancato inserimento dei dadi negli apposti bulloni nel corso delle operazioni di montaggio del predetto macchinario, precipitavano dalla piattaforma ove si trovavano, che si inclinava. Il primo giudice condannava l'imputato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, oltre al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio; assegnava, altresì una provvisionale provvisoriamente esecutiva, in favore dei diversi danneggiati.
2. La Corte di Appello di Perugia, con sentenza in data 9.03.2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena originariamente inflitta, concedeva il beneficio della sospensione condizionale e confermava nel resto.
La Corte territoriale, nel censire i motivi di doglianza, rilevava che nel caso ricorreva una ipotesi di causalità commissiva, per avere il M. affidato ai tre lavoratori l'incarico di montaggio della piattaforma di che trattasi.
In riferimento ai profili di ascrivibilità colposa della condotta, il Collegio osservava che l'imputato era tenuto ad affidare le operazioni di montaggio dei ponteggi a personale esperto e ad assicurare che le operazioni fossero seguite almeno da un preposto dotato delle necessarie competenze. Considerava, inoltre, che risultava prevedibile che l'erroneità di talune manovre di montaggio comportasse la caduta della piattaforma; e che rientrava nel margine di operatività esigibile dal M. l'assunzione di modalità esecutive idonee a scongiurare i predetti rischi in fase di utilizzo e montaggio.
3. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione M.P., a mezzo del difensore.
Con il primo motivo, la parte denuncia l'inosservanza della legge penale o comunque la mancanza di motivazione.
L'esponente osserva che la sentenza impugnata, pur pregevole e che comporta per gran parte il superamento delle lacune che caratterizzavano la decisione del primo giudice, ripropone un ragionamento giuridico contrastante con le norme penali poste a fondamento del nostro sistema. La parte rileva che la Corte di Appello ha affermato che il mancato serraggio dei bulloni, da parte dei lavoratori, non può considerarsi imprevedibile; e che nel caso si versa in ipotesi di causalità commissiva consistente nell'affidamento ai tre operai, da parte del M., dell'incarico di montaggio del ponteggio. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia spostato sul piano della colpevolezza ciò che avrebbe dovuto rimanere nell'ambito causale; e che il giudizio controfattuale sia basato sul semplice presupposto che una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno. Con il secondo motivo il deducente lamenta vizio motivazionale o comunque erronea applicazione della legge.
Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia affermato la penale responsabilità dell'imputato non già sulla base del raggiungimento della prova che M. abbia omesso di adottare le dovute cautele, ma in considerazione di un inversione dell'onere della prova rispetto alla adozione delle misure necessaire a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Con il terzo motivo la parte denuncia carenza motivazionale o comunque mancata applicazione della legge, osservando che nessuno specifico addebito, collegabile causalmente all'incidente, è stato contestato al M.. L'esponente si sofferma sul contenuto delle dichiarazioni rese dall'imputato in sede di interrogatorio e contesta che al prevenuto si possa rimproverare di non aver adottato un sistema di organizzazione aziendale idoneo allo svolgimento delle operazioni di montaggio della piattaforma. Il ricorrente osserva, inoltre, che M. aveva pienamente adempiuto al proprio dovere di vigilanza; ribadisce che gli operai avevano avuto una adeguata formazione rispetto al montaggio ed all'utilizzo della piattaforma, circostanza pure affermata dai testi escussi; e sottolinea che i dipendenti avevano una qualifica che prevede fra le mansioni anche il montaggio dei ponteggi. L'esponente rileva che M. aveva disposto che i propri dipendenti fossero affiancati dal lavoratore C., esperto nel montaggio della piattaforma; considera che a disposizione degli operai vi erano le istruzioni di montaggio; assume che la caduta dalla piattaforma sia avvenuta per una gravissima disattenzione dei lavoratori, posto che l'inserimento delle viti ed il serraggio dei bulloni sono operazioni elementari; e ritiene che la tragica dimenticanza in cui sono incorsi i tre lavoratori costituisca un evento del tutto imprevedibile.

Diritto


4. Il ricorso è destituito di fondamento, per le ragioni di seguito esposte.
4.1 In riferimento al primo motivo di ricorso, occorre soffermarsi sulle valutazioni effettuate dai giudici di primo e secondo grado, in ordine alla sussistenza del nesso di derivazione causale tra la condotta colposa che si ascrive al M. - in relazione all'affidamento ai predetti operai delle operazioni di montaggio della piattaforma di lavoro su colonne, denominata ponte autosollevante - e gli eventi verificatisi.
4.2 Come noto, la Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 10.07.2002, dep. 11.9.2002, Rv. 222138), hanno da tempo fugato le incertezze in ordine alla utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche nell'ambito del ragionamento causale. La Corte regolatrice ha considerato utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico - deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Ed invero, nell'ambito dei ragionamenti esplicativi si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi di contingenze fattuali.
In conformità all'insegnamento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, enunciato il carattere condizionalistico della causalità, osservando che il giudizio di certezza, sulla riferibilità materiale dell'evento alla condotta posta in essere dall'agente, presenta i connotati del paradigma indiziario, si fonda - anche - sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica". La Suprema Corte ha, in particolare, evidenziato che, ai fini dell'imputazione causale dell'evento, il giudice di merito deve formulare giudizi sulla scorta di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi delle contingenze fattuali proprie della fattispecie concreta (cfr. Cass. Sez. 4 sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, Rv. 248943).
Con riferimento all'ambito della scrutinio di legittimità, rientrante nei limiti della cognizione dettati dall'art. 609 c.p.p., si è poi chiarito che alla Corte regolatrice è rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali è giunto il giudice di merito, il quale ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti.
4.3 Orbene, la valutazione effettuata dalla Corte di Appello di Perugia, con riguardo alla riferibilità, in termini di certezza processuale, degli eventi mortali come in concreto verificatisi, alla scelta di adibire i tre lavoratori all'espletamento di una attività particolarmente pericolosa, risulta immune dalle dedotte censure.
Invero, il problema relativo alla imputazione causale degli eventi è stato risolto dai giudici di merito secondo un percorso argomentativo che non presenta le dedotte aporie e che appare logicamente conferente, in chiave induttiva, rispetto alle accertate emergenze fattuali. La Corte di Appello ha sottolineato che nel caso di specie veniva in rilievo una ipotesi di causalità commissiva, atteso che il M. aveva posto in essere una condizione dell'evento, costituta nell'aver adibito alle operazioni di montaggio del macchinario denominato "piattaforma di lavoro su colonne" tre lavoratori che non erano stati addestrati rispetto all'installazione della predetta piattaforma; e che risultava accertato - secondo le conclusioni rassegnate dai consulenti tecnici richiamate nella sentenza di primo grado - che la colonna era crollata perchè gli operai avevano omesso di collegare i tralicci tra di loro con le tre viti ed i relativi bulloni opportunamente serrati. Ciò premesso, il Collegio ha considerato che le operazioni di montaggio necessitavano di particolare attenzione e cura costante, poichè occorreva assicurare il progressivo serraggio di viti e bulloni con i dadi, nel corso di tutta la fase di ascesa del ponte autosollevante; ed ha ritenuto che eliminando mentalmente l'elemento fattuale dato dalla adibizione delle tre vittime alla attività di montaggio, con le riferite modalità, gli eventi mortali non si sarebbero verificati.
4.4 Deve poi osservarsi che la Corte di Appello ha correttamente considerato che nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'utilizzo di personale non adeguatamente addestrato, come nel caso di specie, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Deve rilevarsi che la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale si collocano, pertanto, nell'alveo dell'orientamento espresso ripetutamente dalla Corte regolatrice, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. Questa Suprema Corte ha infatti chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di protettivi che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento.
Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686).
5. Del pari infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
Con consolidata giurisprudenza, questa Suprema Corte ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alle mansioni da svolgere, in maniera tale da rendere edotti i lavoratori sui rischi inerenti alle attività alle quali vengono addetti (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4063 del 04/10/2007, ep. 28/01/2008) Rv. 238540; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41997 del 16/11/2006, dep. 21/12/2006, Rv. 235679). Si è, inoltre, chiarito che il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici ai quali sono esposti, fornendo informazioni dettagliate e complete sia sulle mansioni da svolgere, sia in riferimento ai rischi connessi a dette mansioni (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41707 del 23/09/2004, dep. 26/10/2004, Rv. 2302579; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 11112 del 29/11/2011, dep. 21/03/2012, Rv. 252729). Si tratta di un orientamento che muove delle disposizioni già contenute nel D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, in riferimento all'obbligo di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici al quali sono esposti; disposizioni poi recepite dal D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22, in riferimento agli obblighi informativi gravanti sul datore di lavoro; e, da ultimo, consacrate, in termini di continuità normativa, nelle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 15, comma 1, lett. n), recante Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
5.1 Orbene, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale, in ordine ai profili di ascrivibilità colposa rinvenibili nella condotta posta in essere dal M., si collocano nell'alveo del richiamato orientamento interpretativo.
La Corte di Appello ha, infatti, del tutto legittimamente considerato che il predetto obbligo formativo ed informativo non risultava assolto, da parte del M., atteso che proprio la dichiarazione proveniente dal medesimo datore evidenziava che la formazione erogata in favore degli operai risultava generica e non adeguata all'utilizzo del ponte autosolievante ed ai rischi connessi all'impiego del macchinario. Ed il Collegio ha pure considerato che gravava sul prevenuto l'obbligo di garantire in ogni modo, nei limiti di quanto era da lui esigibile, in rapporto ai rischi prevedibili, la sicurezza dei lavoratori, ciò che imponeva il ricorso al personale esperto.
6. In tali termini si introduce l'esame del terzo motivo di ricorso.
6.1 L'esponente deduce motivi di doglianza che lambiscono il profilo della inammissibilità. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, invero, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
6.2 Così delineato l'orizzonte dello scrutinio di legittimità, deve osservarsi che la Corte di Appello di Perugia ha sviluppato un conferente percorso argomentativo, privo di fratture logiche od incongruenze rilevabili in questa sede. Il Collegio ha, tra l'altro, evidenziato: che, anche ammettendo che C.N. fosse realmente un esperto del montaggio del ponte autosollevante, restava il fatto che le operazioni di installazione del macchinario, nel caso di specie, erano state affidate ad un gruppo di operai, di cui facevano parte almeno due soggetti privi delle adeguate conoscenze; che le fasi della lavorazione non erano state organizzate in modo da assicurare una precisa ripartizione dei compiti tra i diversi addetti; e che neppure era stato individuato un supervisore che seguisse lo svolgersi delle operazioni, in modo da assicurare l'osservanza delle prescrizioni di montaggio. Oltre a ciò, la Corte distrettuale ha considerato che M. avrebbe dovuto dotarsi del manuale di uso e manutenzione del macchinario, nel quale era indicato lo standard di professionalità richiesto e la specifica necessità che nel corso delle operazioni di erezione della colonna venisse assicurato il puntuale rispetto delle prescrizioni relative alle fasi consecutive del montaggio. E la Corte di Appello ha icasticamente evidenziato che proprio a causa delle rilevate carenze organizzative nell'utilizzo di attrezzature pericolose, si era potuto verificare che il mancato serraggio di tre viti e tre dadi segnasse "il sottile confine tra la vita e la disperazione".
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate come a dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Cu.Ri. in nome proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulle figlie C. M. e C.M., liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2013