Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2013, n. 18196 - Infortunio mortale e comportamento abnorme di un lavoratore


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da: S.E., N. ((Omissis));
avverso l'ordinanza n. 409/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Brescia del 22/2/2012; udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
lette le conclusioni del P.G. Dott. Luigi Riello, che ha chiesto l'annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Venezia.


Fatto


1. Con sentenza del 24.9.2008 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano applicava su richiesta delle parti a S.E. la pena concordata tra le parti, in relazione all'omicidio colposo commesso in qualità di dirigente dell'impresa N.I. srl in danno del lavoratore C.L..
In data 2.3.2010 il Tribunale di Milano assolveva i coimputati G.R. e B.D. perchè il fatto non sussiste, ritenendo che il lavoratore avesse tenuto un comportamento abnorme, di talchè la violazione delle regole cautelari da parte degli imputati non aveva avuto concreto rilievo causale rispetto al decesso del C..
L'istanza di revisione della sentenza di patteggiamento proposta dal S. veniva dichiarata manifestamente infondata dalla Corte di Appello di Brescia, sull'assunto che la revisione presuppone un errore di fatto da emendare e non una discorde valutazione dei medesimi fatti da parte di due diversi organi giudiziari. Nel caso di specie la valutazione operata con la sentenza di assoluzione "non pone in discussione il fatto quale descritto dall'imputazione ma riguarda solamente il collegamento fra questo e gli addebiti di colpa mossi in capo ai coimputati mandati assolti".
2. Ricorre per cassazione il S., che assume trattarsi di inconciliabilità dei fatti e non di valutazione, come d'altro canto ritenuto dalla Corte di Appello di Brescia in relazione all'ulteriore coimputato A..
Deduce altresì l'illegittimità della condanna al pagamento della somma di Euro 700 in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo profili di colpa da parte dell'istante.



Diritto


3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
3.1. Con la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Milano nei confronti dei coimputati G.R. e B. D. è stato accertato che il lavoratore C.L. aveva tenuto un comportamento abnorme, di talchè la violazione delle regole cautelari da parte degli imputati non aveva avuto concreto rilievo causale rispetto al decesso del medesimo.
Il ((Omissis)) il lavoratore C.L. annegava in un pozzo di una vasca a fanghi attivi presso il cantiere edile ((Omissis)), ove stava lavorando alle dipendenze della N.I., subappaltatrice di Iter Cooperativa Ravennate. Al S. e all' A., rispettivamente dirigente e legale rappresentante della N.I., veniva ascritto di non aver affiancato al C. un secondo lavoratore e di aver redatto un carente piano di sicurezza nonchè di aver omesso misure di sicurezza.
Il G. ed il B. venivano chiamati a rispondere del grave fatto nella qualità rispettivamente di direttore di cantiere e di capocantiere della Iter Cooperativa Ravennate.
L'accertamento dibattimentale che veniva condotto dopo che il S. e l' A. avevano optato per la definizione del procedimento a loro carico mediante applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. evidenziava che dopo aver terminato il proprio incarico il C. si era recato in una zona che non era oggetto di lavorazione per ragioni che non è stato possibile ricostruire; il Tribunale riteneva quindi che non fosse possibile stabilire alcun collegamento tra la lavorazione effettuata e la presenza del lavoratore nel pozzo ove questi aveva trovato la morte.
Orbene, appare evidente che il nucleo dell'accertamento che è sfociato nella pronuncia di assoluzione dei coimputati attiene al nesso causale tra le condotte riconducibili ai soggetti a vario titolo gravati di obblighi di sicurezza nei confronti del lavoratore e la morte di quest'ultimo. Il Tribunale di Milano ha escluso la relazione eziologica, tanto da concludere per l'insussistenza del fatto.
Si tratta di un giudizio che non può che investire la posizione dello stesso S., nel senso che dalla pronuncia di assoluzione emerge un fatto diverso da quello posto a base della sentenza di applicazione della pena, consistendo tale diversità nella derivazione del decesso dal comportamento del lavoratore e non da condotte degli imputati.
Sicchè non coglie il vero la pronuncia impugnata quando sostiene che la "pronuncia assolutoria non coinvolge assolutamente la diversa pronuncia emessa a carico dell'odierno istante, i cui profili di colpa non sono stati, nè potevano esserlo, considerati nel procedimento svoltosi nei confronti di soggetti la cui posizione di garanzia è meno ricca di contenuto rispetto a quella dell'odierno istante". La Corte di Appello sembra dimenticare che il giudizio di imputazione del reato colposo di evento non esaurisce i propri elementi strutturali nella condotta colposa, dovendo questa essere provvista di efficienza causale rispetto all'evento prodottosi (a tacere delle altre componenti di natura soggettiva).
In ogni caso, la valutazione svolta dalla Corte di Appello travalica il limite della manifesta infondatezza dell'istanza, posto che quest'ultima impegna ad una approfondita indagine circa la possibilità che la condotta del lavoratore C. assume valenze diverse a seconda dei soggetti titolari di posizione di garanzia.
Questa Corte ha affermato che "per manifesta infondatezza della richiesta di revisione, che ne determina l'inammissibilità, deve intendersi l'evidente inidoneità delle ragioni poste a suo fondamento a consentire una verifica circa l'esito del giudizio:
requisito che è tutto intrinseco alla domanda in sè e per sè considerata, restando riservata alla fase del merito ogni valutazione sull'effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato"(Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Ferorelli e altro, Rv. 248463). La capacità della ricostruzione operata all'esito di istruttoria dibattimentale di incidere sul giudizio riassunto nella sentenza di applicazione della pena, tenuto altresì conto dei particolari limiti di tale giudizio, è questione che non può essere risolta senza aver previamente instaurato il contraddittorio.
Il provvedimento impugnato merita di essere annullato, con rinvio, ai sensi dell'art. 634 c.p.p., comma 2, alla Corte di Appello di Venezia.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata e rinvio per il giudizio di revisione alla Corte di Appello di Venezia. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2013. Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013