Cassazione Civile, Sez. Lav.,  28 maggio 2013, n. 13222 - Infermità da causa di servizio e equo indennizzo






REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. TRIA Lucia - Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 25316/2010 proposto da:
C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in  ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo studio dell'avvocato LIZZA EGIDIO, rappresentato e difeso dall'avvocato BOCCHINO LUIGI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS);
- intimate -
avverso la sentenza n. 5589/2009 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI,  depositata il 28/10/2009 r.g.n. 3838/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito l'Avvocato BOCCHINO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Fatto



Con sentenza del 13/10 - 28/10/09 la Corte d'appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Benevento, che aveva accertato la dipendenza da causa di servizio delle malattie denunziate dal dipendente postale C. A., con loro ascrivibilità alla sesta categoria della tabella "A" e con condanna della società Poste Italiane spa al pagamento dell'equo indennizzo, e per l'effetto, accogliendo per quanto di ragione l'appello proposto da quest'ultima, ha confermato solo la dichiarazione di riconducibilità delle patologie artritiche lamentate dal C. alla sesta categoria, tabella "A", non costituente oggetto dell'impugnazione, mentre ha annullato la condanna al pagamento dell'equo indennizzo.

Ha spiegato la Corte partenopea che l'estrema genericità della domanda, attraverso la quale era stato chiesto il riconoscimento di tutti i benefici di legge, non consentiva la condanna della società appellante alla corresponsione dell'equo indennizzo, posto che dal riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia discendono benefici di vario genere, anche pensionistici, per cui nulla autorizzava il primo giudice a ritenere, pena il vizio di ultrapetizione, che fosse stato richiesto proprio l'equo indennizzo.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il C., il quale affida l'impugnazione a due motivi di censura.

Rimane solo intimata la società Poste Italiane s.p.a..

Diritto



1.a. Col primo motivo il ricorrente, denunziando l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 461 del 2001, e degli artt. 112 e 114 c.p.c., contesta sostanzialmente la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la sua domanda fosse indeterminata e che non consentisse di comprendere che la stessa avesse ad oggetto il conseguimento del beneficio dell'equo indennizzo. Tale affermazione è considerata erronea dal ricorrente il quale ritiene, invece, che l'equo indennizzo è l'unico beneficio economico "una tantum" che può essere riconosciuto al dipendente che, per infermità o lesione contratta per causa di servizio, subisca una menomazione permanente della propria integrità psicofisica. Si tratterebbe, secondo il C., di un istituto giuridico distinto dalla causa di servizio ma, comunque, subordinato all'avvenuto riconoscimento della dipendenza dell'infermità da tale causa e si aggiunge che nel ricorso di primo grado si era fatto riferimento solo alle infermità contratte nel corso del rapporto lavorativo e non ad eventuali infortuni sul lavoro o a malattie professionali.

Il motivo è infondato.

Invero, ha ragione la Corte d'appello ad affermare che la genericità della domanda non consentiva di individuare quale beneficio, tra quelli previsti dalla legge, fosse quello sotteso alla domanda dell'ex dipendente postale.

Infatti, la dipendenza da causa da servizio può esplicare i propri effetti a diversi fini, come ad esempio quello amministrativo (spese di cura a carico dell'amministrazione per il dipendente colpito da infermità dovuta a causa di servizio di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 68), quello indennitario (equo indennizzo, altre indennità, come l'assegno rinnovabile per i militari di cui al D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 68), quello previdenziale (pensione privilegiata prevista dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 64) e "per la concessione a qualsiasi titolo di indennità" collegata alla causa di servizio ai sensi del D.P.R. n. 461 del 2001, art. 19, comma 2 cit..

Pertanto il procedimento di riconoscimento della dipendenza dell'infermità o lesione da causa di servizio è prodromico e autonomo rispetto agli altri consequenziali ed eventuali, anche quando l'istanza è finalizzata a situazioni amministrative o all'equo indennizzo o alla pensione privilegiata, posto che il procedimento di riconoscimento precede logicamente e cronologicamente quello relativo al provvedimento domandato.

Nella fattispecie occorre tener presente che già in data 16/2/1988 il ricorrente (dipendente postale fino al 30/6/1998) si era visto riconoscere con Decreto Ministeriale la malattia dell'otite catarrale cronica con ipoacusia mista come patologia dipendente da causa di servizio ascrivibile alla cat. 8^ Tab. A; il medesimo inoltrò in data 17/12/1994 domanda di riconoscimento dell'aggravamento della predetta malattia e della sopravvenienza di nuove patologie di tipo artrosico; in data 3/12/98 ottenne il riconoscimento della causa di servizio ascrivibile alla cat. 7^ tab. A. All'esito del giudizio di cui trattasi si è visto riconoscere la malattia da causa di servizio riconducibile alla cat. 6^ della Tab. A, vale a dire quella annessa alla L. 23 dicembre 1978, n. 915. D'altra parte, che le fasi del procedimento e del riconoscimento della causa di servizio siano autonome tra di loro e che la prima sia propedeutica alla seconda, che a sua volta rappresenta il presupposto per l'adozione del provvedimento concessorio di uno dei benefici che da essa possono derivare, lo si ricava anche dalla lettura dello stesso D.P.R. n. 461 del 2001, concernente il Regolamento relativo alla semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio ai fini della concessione della pensione privilegiata e dell'equo indennizzo, oltre che per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie.

Invero, in tale Regolamento è previsto che l'Amministrazione si pronuncia sul solo riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio su conforme parere del Comitato anche nel caso di intempestività della domanda di equo indennizzo ai sensi dell'art. 2, entro venti giorni dalla data di ricezione del parere stesso (D.P.R. n. 461 del 2001, art. 14, comma 1). Lo stesso D.P.R. n. 461 del 2001, art. 14, comma 3, prevede, inoltre, che in caso di concorrente richiesta di equo indennizzo prima della espressione del parere del Comitato, è adottato un unico provvedimento di riconoscimento di dipendenza da causa di servizio e concessione di equo indennizzo, mentre per i procedimenti non concorrenti di equo indennizzo si applicano la procedura ed i termini procedimentali previsti dallo stesso Regolamento.

Dal complesso delle norme del predetto Regolamento si ricava, quindi, che quando si procede d'ufficio, nell'assenza di domande espresse, l'amministrazione può pronunziarsi positivamente o negativamente su tutte le fattispecie connesse al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, ma non in relazione all'equo indennizzo, che presuppone necessariamente l'espressa domanda dell'interessato (D.P.R. n. 461 del 2001, art. 2, commi 3, 4, 5 e 6, art. 7, comma 2, art. 8, comma 2). Infatti, il D.P.R. n. 461 del 2001, art. 2, comma 3, prevede che la presentazione della richiesta di equo indennizzo può essere successiva o contestuale alla domanda di riconoscimento di causa di servizio ovvero può essere prodotta nel corso del procedimento di riconoscimento di causa di servizio, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 7, comma 2, e art. 8, comma 2, aggiungendo che in quest'ultimo caso il procedimento si estende anche alla definizione della richiesta di equo indennizzo. Pertanto, è infondata la tesi del ricorrente secondo il quale dal riferimento esclusivo, nel corpo del ricorso, alle infermità contratte durante il rapporto di lavoro poteva dedursi che l'unico beneficio al quale egli avrebbe potuto accedere era quello dell'equo indennizzo, mentre alla luce di quanto spiegato in precedenza è corretta la decisione della Corte territoriale, la quale ha ritenuto che il tenore estremamente generico della domanda, attraverso la quale era stato chiesto il riconoscimento di tutti i benefici di legge, non consentiva la condanna della società convenuta alla corresponsione dello specifico beneficio dell'equo indennizzo, bensì solo il riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio che non era stato oggetto di impugnazione.

2.a. Col secondo motivo il ricorrente, denunziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., e dell'art. 91 c.p.c., si duole del fatto che la Corte d'appello ha modificato la statuizione delle spese di prime cure pur in mancanza di specifico motivo di impugnazione, oltre che della erroneità della decisione con la quale è stata disposta l'attribuzione delle spese di primo grado, così ridotte, al difensore del procedimento d'appello, soggetto diverso dal difensore del primo giudizio.

In tal modo, aggiunge la difesa del ricorrente, viene ingiustamente posto a carico del procuratore antistatario del giudizio di secondo grado l'obbligo di restituire alla controparte la differenza economica già incamerata in eccesso dal procuratore antistatario del primo giudizio.

Osserva la Corte che la parte iniziale della censura è infondata, posto che il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione.

Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. lav. n. 26985 del 22/12/2009) che "in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d'appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese". (in senso conf. v. anche Cass. Sez. 2 n. 24821 dell'8/10/2008 e Cass. Sez. 3 n. 15483 dell'11/6/2008).

E', invece, fondata la seconda parte della censura, in quanto ha ragione il ricorrente allorquando sostiene che la Corte d'appello ha errato nell'attribuire al nuovo difensore del secondo giudizio le spese di prime cure rideterminate in misura minore per effetto della loro parziale compensazione, in quanto le stesse erano state già riscosse per il loro intero ammontare dal diverso difensore antistatario di primo grado, per cui potevano essere nuovamente attribuite in tal ridotta misura solo a quest'ultimo, di modo che la società postale avrebbe potuto legittimamente agire per il recupero della relativa differenza nei confronti del reale beneficiario della medesima.

Pertanto, il secondo motivo va accolto limitatamente alla parte che concerne l'esatta individuazione del difensore antistatario beneficiario delle spese di primo grado rideterminate dalla Corte territoriale in un importo minore rispetto a quello stabilito dal primo giudice.

Ne consegue che va rigettato il primo motivo del ricorso, mentre va accolto il secondo nei termini sopra espressi, per cui la sentenza impugnata va cassata in relazione al solo motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con l'attribuzione al difensore antistatario avv. Maria Rosaria Preziosi delle spese di primo grado liquidate nella misura stabilita dalla Corte d'appello nella sentenza oggi impugnata.

I ridotti limiti entro i quali viene accolto il ricorso giustificano la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.




P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, attribuisce le spese di primo grado, liquidate nella sentenza impugnata al difensore antistatario di primo grado avv. Maria Rosaria Preziosi. Dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2013