Delitto di attentato alla sicurezza degli impianti del gas previsto dall'art. 433 c.p. - Sequestro probatorio di un tratto della condotta del metanodotto di proprietà di una s.p.a. posto in opera da una ditta, sul presupposto della necessità di sequestrate le tubazioni difettose.

Nell'annullare il sequestro, il Tribunale del riesame afferma che non esiste il fumus del delitto di attentato alla sicurezza degli impianti difettando sia l'idoneità degli atti che la concreta verificazione di un pericolo per la pubblica incolumità.

Ricorre il P.M. - La Sez. III accoglie il ricorso e annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata - di qui la riviviscenza del sequestro originariamente disposto. 


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere -
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica di Rovigo;
avverso l'ordinanza 21/9 - 2/10/2007 pronunciata dal Tribunale del riesame di Rovigo;
nel procedimento a carico di:
O.L., amministratore delegato della E.S. S.p.A., e G.M., legale rappresentante della G. S.p.A.;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Dott. GRILLO Carlo M.;
sentite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
sentiti i difensori, avv. CHIARATO U. R. e PEDRAZZI F., che chiedono il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità dello stesso.
La Corte Osserva:



Fatto

In data 13/7/2007 il P.M. di Rovigo, a seguito di denuncia di un ex dipendente della G. s.p.a. e di sommarie indagini svolte, disponeva il sequestro probatorio di un tratto (di oltre 2.400 metri lineari) della condotta (sia fuori terra che interrata) del metanodotto di proprietà della E.S. s.p.a., sito in zona (OMISSIS) e posto in opera dalla ditta G., sul presupposto della "necessità di sequestrare le tubazioni difettose ... in quanto corpo del reato nonchè cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti dovendo operare i rilievi tecnici in ordine ai difetti riferiti", in relazione ai reati, ritenuti in continuazione, di attentato alla sicurezza degli impianti del gas e tentato danneggiamento della condotta del menzionato metanodotto e dell'ambiente circostante (art. 81 cpv c.p., art. 433 c.p., art. 56 c.p., e art. 635 c.p., comma 2).
Il provvedimento veniva eseguito dai Carabinieri del N.O.E. di Venezia il 17/7/2007, ma il giorno successivo lo stesso P.M. adottava autonomo decreto di convalida ex art. 355 c.p.p., comma 2, pur dando atto che il sequestro era stato attuato in piena rispondenza a quanto originariamente disposto.
Di entrambi questi provvedimenti chiedevano il riesame in data 26/7/2007, con due separati atti, la E.S. s.p.a., proprietaria del metanodotto, e la G. s.p.a., esecutrice dei lavori, ed il Tribunale del riesame di Rovigo, con l'ordinanza indicata in premessa, annullava i due provvedimenti impugnati, disponendo il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto sequestrato.
Secondo il Tribunale, a parte il difetto di competenza (funzionale) del P.M. in ordine all'emissione del decreto di convalida 18/7/2007, peraltro meramente ripetitivo del primo provvedimento di sequestro, non è ravvisabile il fumus del delitto di attentato alla sicurezza degli impianti (ex art. 433 c.p.), difettando sia l'idoneità degli atti che la concreta verificazione di un pericolo per la pubblica incolumità; e ciò vale anche per il tentato danneggiamento, che comunque si pone sempre in termini di alternatività con l'altro reato.
Difatti gli atti evidenziati dal P.M., ad avviso del Tribunale, "appaiono in concreto e con valutazione ex ante del tutto inidonei a configurare non solo un concreto pericolo per la pubblica incolumità, ma anche - e ancor prima un attentato alla sicurezza degli impianti ovvero un danneggiamento degli impianti medesimi", in considerazione sia dell'attuale stadio di realizzazione del metanodotto, ancora in costruzione, sia della lunga serie di controlli cui l'opera dovrà essere sottoposta in vista del collaudo finale e della messa in esercizio.
Pertanto, pur se fosse fondata l'ipotesi accusatoria, la condotta finora posta in essere dagli agenti non potrebbe comunque "sfociare" nella commissione dei reati ipotizzati, essendo allo stato un mero "pericolo di pericolo", al di sotto quindi della soglia di rilevanza penale, l'ipotesi che tutta la seria di interventi e controlli ancora da esperire potrebbe non evidenziare eventuali difetti delle tubature.
Ricorre per Cassazione il P.M., chiedendo l'annullamento dell'impugnata ordinanza, con i provvedimenti conseguenti, per due motivi:
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, in particolare degli artt. 253, 355, 54, 321 c.p.p.; artt. 56 e 635 c.p. (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B);
2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti del procedimento indicati nel ricorso (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Nello specifico, denuncia il ricorrente innanzi tutto la violazione delle norme indicate, non comportando la convalida emessa da P.M. eventualmente incompetente l'annullamento degli atti di indagine svolti.
In secondo luogo lamenta l'errore metodologico del Tribunale, che non si è limitato a verificare il fumus dei reati ipotizzati, e cioè la loro astratta configurabilità, ma ha esteso la propria cognizione all'indagine sulla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo degli stessi, verifica riservata alla fase dibattimentale.
Erroneamente poi il giudice del riesame ha considerato il tentativo di danneggiamento alternativo al delitto di cui all'art. 433 c.p., mentre invece, tutelando differenti beni giuridici, a ciascuno dei detti reati deve essere riconosciuta la propria autonomia. Inoltre il Tribunale non ha valutato adeguatamente le risultante degli accertamenti del N.O.E. di Venezia in sede di esecuzione del sequestro, nè le osservazioni del CTU del P.M., ing. G..
Le difese della G. s.p.a. e della E.S. s.p.a.
fanno tempestivamente pervenire distinte memorie ex art. 611 c.p.p., con le quali chiedono in principalità la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione e, subordinatamente, il rigetto di essa.
La prima evidenzia l'infondatezza della doglianza processuale proposta dal ricorrente, giacchè il Tribunale, annullando (per incompetenza funzionale del P.M.) il decreto di convalida 18/7/2007, non aveva annullato gli atti di indagine svolti, anche perchè aveva ritenuto il sequestro probatorio d'iniziativa effettuato dalla p.g., oggetto della convalida, "meramente ripetitivo del primo decreto del 13/7/2007".
Rileva poi l'inammissibilità degli altri motivi di impugnazione, in quanto consistenti sostanzialmente in una critica della valutazione effettuata dal Tribunale in ordine alla sussistenza del fumus delicti, pur non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3, di motivazione completamente carente o solo apparente; anzi la motivazione dei giudici del riesame appare logica, completa ed esauriente nell'escludere la ipotizzabilità dei reati contestati.
Sulla stessa direzione la memoria defensionale presentata dalla E.S. s.p.a., che ribadisce come le censure presentate dal P.M., comunque assolutamente infondate, "ricadono esclusivamente nell'ambito dell'art. 606 c.p.p.", lett. e), per cui devono considerarsi innanzi tutto inammissibili. In ogni caso deve ritenersi corretto il provvedimento del Tribunale, non potendosi ravvisare in questa fase alcun pericolo, astratto o concreto, che consenta di ritenere ipotizzabili i reati contestati.
All'odierna udienza camerale, il P.G. e le difese concludono come sopra riportato.



Diritto

Il ricorso merita accoglimento.
E' opportuno ricordare in premessa, essendo in discussione la sussistenza del fumus dei reati in questione, che trattandosi di sequestro probatorio e non preventivo - il giudice del riesame deve limitarsi al controllo della compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, sebbene comunque con riferimento ad elementi processuali già acquisiti (alla luce della decisione delle Sezioni Unite 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi), ed a valutare se il sequestro sia o meno giustificato ai sensi dell'art. 253 c.p.p., (Cass. Sez. 2^, 9 dicembre 1999, n. 6149, Marini e altro), senza poter verificare in concreto la fondatezza della tesi accusatoria e cioè la questione di merito, concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato oggetto dell'investigazione, ancorchè con valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità del fatto.
Tanto premesso in linea di principi, nel caso in esame si pone il problema della astratta configurabilità di almeno uno dei due reati contestati, non essendo in discussione la qualificazione dell' oggetto del provvedimento come corpus delicti, ossia l'esistenza della relazione di immediatezza tra quanto in sequestro ed i reati ipotizzati.
Ebbene, in sintesi, il Tribunale ha dissequestrato il tratto di metanodotto in questione ritenendo gli atti finora posti in essere dagli indagati - con riferimento al delitto di cui all'art. 433 c.p., - inidonei a determinare un pericolo concreto per la pubblica incolumità, ed egualmente inidonei a ledere l'interesse protetto dalla norma - con riferimento al delitto di tentato danneggiamento - sottolineando peraltro che questo reato "si atteggia rispetto al delitto ex art. 433 c.p., in termini di necessaria alternatività".
Più specificamente, per quanto concerne il reato di attentato alla sicurezza degli impianti, i giudici del riesame, premesso che trattasi di reato di pericolo concreto, ne hanno escluso l'astratta configurabilità ritenendo non concretato, nel caso de quo, alcun pericolo e per la sicurezza dell'impianto e per la pubblica incolumità, in considerazione sia "dell'attuale stadio di realizzazione del metanodotto", ancora incompleto, sia "dell'articolata serie di controlli cui l'intera opera e le sue singole parti saranno soggette prima del collaudo finale e della messa in esercizio".
Tali argomentazioni, però, non appaiono condivisibili.
La seconda, perchè non può farsi dipendere la valutazione circa la sicurezza di un impianto, e quindi escludere finanche il pericolo che sicuro non sia, dalla adeguatezza ed affidabilità di controlli successivi alla sua realizzazione, quantunque condizionanti la messa in esercizio dell'impianto stesso.
La prima, perchè non appare decisiva la circostanza che la posa del metanodotto non è ancora terminata, in quanto il provvedimento di sequestro riguarda solo il tratto dello stesso nel quale - secondo la prospettazione accusatoria -sarebbero stati utilizzati tubi difettosi (fuori terra e interrati) che, una volta ultimata l'opera, sarebbe certamente più difficile individuare ed eventualmente sostituire.
In definitiva, ribaditi i limiti sopra richiamati posti in subiecta materia al sindacato del Tribunale del riesame e di questa Corte di legittimità, ritiene il Collegio, pur concordando sulla natura del reato ("di pericolo concreto"), astrattamente configurabile il delitto di cui all'art. 433 c.p., in quanto l'effettiva utilizzazione di materiale difettato (circostanza che peraltro deve formare oggetto di ulteriori e più specifici accertamenti istruttori, donde l'esigenza di mantenimento del vincolo) realizza già di per sè la condotta pericolosa per la pubblica incolumità, e prima ancora per la sicurezza del metanodotto in questione, a prescindere dunque dal completamento dei lavori, riguardanti ovviamente altri tratti dell'impianto, e dall'espletamento dei successivi controlli di legge.
Neppure appare condivisibile l'assunto dei giudici del riesame in relazione al contestato reato di tentato danneggiamento, ritenuto necessariamente alternativo a quello di cui all'art. 433 c.p., che ne assorbirebbe il disvalore.
Infatti, pur prescindendo dalla diversità dei beni tutelati dalle due norme (nel danneggiamento il patrimonio, nell'altro l'incolumità pubblica), tra i quali non sussiste quel rapporto di omogeneità, richiesto dall' art. 15 c.p., che renda evidente l'inapplicabilità congiunta delle norme concorrenti, si rileva che nel delitto di attentato non è necessaria la produzione di un effettivo danneggiamento (essendo reato di pericolo), per cui, nel caso questo si verificasse, si configurerebbe l'ipotesi del concorso formale di reati anzichè quella dell'assorbimento previsto dall'art. 84 c.p..
Quindi sussistono, ad avviso del Collegio, le condizioni che legittimano il sequestro probatorio, la cui durata - come questa Corte ha recentemente ribadito (Cass. Sez. 3^, 8 agosto 2007, n. 32277, Vitali) - deve essere ovviamente limitata al tempo strettamente necessario per l'espletamento dell'accertamento in vista del quale è stato disposto, trattandosi di misura coercitiva che incide sia sul diritto di proprietà che sulla libertà di iniziativa economica.
All'annullamento dell' ordinanza impugnata consegue la riviviscenza del sequestro originariamente disposto.


P.Q.M.

La Corte:
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2008