Categoria: Cassazione penale
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  • Infortunio sul Lavoro
  • Datore di Lavoro
  • Lavoratore
 
Responsabilità del datore di lavoro per omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore -  Sussiste.
 
La Corte afferma che la decisione appare perfettamente in linea con il principio fondamentale vigente in materia infortunistica, in forza del quale il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa.

"Proprio la posizione di garanzia de qua non attribuisce, in linea di principio, alcun rilievo, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, ai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio.
Ciò perchè l'obbligo di garanzia implica anche, come del resto desumibile anche dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, che al datore di lavoro è imposto finanche di "pretendere" che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza usando i mezzi di protezione messi a loro disposizione".

.."deve ritenersi che, per interrompere il nesso causale, occorra un comportamento del lavoratore che sia "anomalo" ed "imprevedibile" e, come tale, "inevitabile"; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro".
Si deve trattare, in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come "abnorme" cosa che nel caso in esame non sussiste.

"Neppure può avere pregio la doglianza che vorrebbe articolare l'interruzione del nesso causale sul rilievo che altro soggetto (coimputato, che aveva definito la propria posizione con il patteggiamento) si sarebbe assunto di fatto, spontaneamente, la posizione di garanzia, con conseguente "presa in carico" degli obblighi prevenzionali derivanti dal contratto di subappalto.
A tanto voler concedere, l'assunzione di fatto della posizione di garanzia da parte di altro soggetto - come sostenuto nel ricorso - non sarebbe circostanza ex se bastevole per far cessare gli obblighi prevenzionali a carico del prevenuto, potendosi, al più, determinare la compresenza di più soggetti titolari della posizione di garanzia nei confronti del lavoratore"

"Se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto."



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.G. nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 2 marzo 2006 della Corte di Appello di Torino;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;
udito il Procuratore generale nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott. De Sandro Anna Maria, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.



FattoDiritto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino confermava la sentenza di primo grado, con la quale, per quanto qui rileva, B.G. era stato ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore A.S., dando però atto della cessazione della materia del contendere in ordine alle statuizioni civilistiche.
L'infortunio era occorso in data 20 agosto 2000 in danno del sopra indicato lavoratore, operaio di 5^ livello alle dipendenze della Euroimpianti s.r.l., che, durante l'esecuzione dei lavori di montaggio di una condotta forzata, convogliante l'acqua che doveva raggiungere le turbine di una centrale idroelettrica, mentre risaliva la rimonta al fine di verificare che l'operazione di recupero del carrellone porta tubi mediante l'argano avvenisse senza intralci, precipitava al suolo dall'alto all'interno di una galleria, ove erano in corso i lavori di posa e saldatura tra loro dei vari tronchi dei tubi di metallo che dovevano formare la condotta, riportando lesioni mortali.
L'ipotesi accusatoria era stata formulata citando due modalità di risalita della galleria da parte dell' A. (arrampicandosi a piedi sulle traversine o facendosi trasportare dal carrellone porta tubi senza essere protetto da alcun sistema di ritenzione).
Sul punto i giudici di appello sottolineavano che ciò che rilevava, ai fini della configurabilità della colpa, era l'ordine impartito al lavoratore di verificare la risalita del carrellone, senza mettergli a disposizione il carrellino, previsto invece dal piano di sicurezza approntato dalle imprese e quel giorno indisponibile perchè era stato disattivato il suo sistema di frenatura.
A carico di B.G., nella qualità di amministratore unico della ditta Euroimpianti, alla quale erano stati affidati in subappalto i suddetti lavori, venivano ravvisati plurimi profili di colpa specifica, in violazione delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 626 del 1994 e dal D.P.R. n. 547 del 1955 e D.P.R. n. 164 del 1956, articolati sulla violazione dell'obbligo di formazione ed informazione sui rischi del proprio personale (D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22), sull'omessa adozione dei sistemi di sicurezza, idonei a prevenire i rischi specifici (art. 35, citato decreto), sull'omessa adozione di idonea cintura di sicurezza, trattandosi di lavoro che esponeva il dipendente ai rischi di caduta dall'alto (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10), sull'omesso approntamento delle cautele necessarie per i lavori che si svolgono nei piani inclinati (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 220).
La sentenza della Corte di merito, aveva operato una scelta tra le due ipotesi alternative nella ricostruzione del fatto, diversa rispetto a quella del primo giudice, avendo ritenuto che l' A., anzichè risalire a piedi la galleria in compagnia del C., avesse da quest'ultimo ricevuto la disposizione di risalire da solo sul carrellone porta tubi al fine di segnalare gli intoppi all'interno della galleria, come dimostrato dal fatto che ad usare la ricetrasmittente, anch'essa rinvenuta al suolo, fosse l' A..
La sentenza escludeva, altresì, la sussistenza di un comportamento abnorme ed esorbitante del lavoratore, dovendosi ritenere che questi si era limitato ad eseguire un ordine del tutto interno ai suoi compiti, dovendosi farsi bastare i carenti mezzi che gli erano stati messi a disposizione.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione B.G., articolando due motivi.
Con il primo motivo lamenta l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alle norme che regolano la posizione di garanzia del datore di lavoro e la sussistenza del nesso eziologico.
Sotto tale ultimo profilo si sostiene l'interruzione del nesso causale, fondata sul comportamento del tutto imprudente ed eccezionale tenuto dal lavoratore e dal responsabile di fatto del cantiere ( C.G., il consulente esterno della Euroimpianti, coimputato, il quale aveva ottenuto l'applicazione pena), i quali, risalendo a piedi la galleria e, per giunta, secondo la versione dei fatti accolta dalla Corte di merito, ponendosi a bordo del carrello stesso al fine di tornare più velocemente al livello della camera valvole, avevano posto in essere un comportamento del tutto sconsiderato.
Dalla stessa ricostruzione del fatto operata dalla Corte di merito, condivisa dalla difesa del ricorrente, doveva ritenersi che spontaneamente il C. si era assunto gli obblighi di protezione e garanzia derivanti dal contratto di subappalto, avendo egli solo l'obbligo di vigilare sugli operai della Euroimpianti.
Si sostiene, altresì, che il B. avrebbe adempiuto al suo compito di fornire il materiale e le attrezzature ordinarie di protezione individuale e che il dibattimento non avrebbe evidenziato al riguardo alcuna segnalazione sulla deficienza di tale materiale, e ciò con particolare riferimento al carrellino portapersone.
La Corte di merito non avrebbe tenuto conto che, in ogni caso, gravava sul lavoratore, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, l'obbligo di riferire immediatamente al datore di lavoro delle eventuali inefficienze del materiale messo a disposizione.
Si sostiene, infine, che i giudici di merito non avevano preso in considerazione che la morte del lavoratore era stata la diretta conseguenza del comportamento avventato posto in essere dallo stesso (entrato da solo in una galleria scivolosa e fattosi trasportare su di un carrello privo di cinture di sicurezza, avendo per giunta una mano impegnata nel tenere una ricetrasmittente).
Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della motivazione sul giudizio di responsabilità del B..
Al riguardo, la Corte di merito avrebbe, innanzitutto, rilevato negativamente l'aver optato per il meno costoso contratto di consulenza a termine con il C., alla cui indiscussa riconosciuta competenza aveva fatto faceva prima.
Il profilo di illogicità più vistoso viene però posto in rilievo, secondo il ricorrente, nella esclusione della eccezionalità della condotta del lavoratore, la cui valutazione era stata fondata anche sulla affermazione indimostrata della carenza dei mezzi e sulla asserita reiterazione nel risalire la rimonta con il carrello porta tubi, anch'essa rimasta sfornita di prova.
Su tale ultimo punto si sostiene che l'episodio in esame si poneva come assolutamente eccezionale rispetto alla pratica comune, ed era stato giustificato dalla sopravvenuta esigenza, riferita dal C., di verificare la risalita perchè il cavo dell'argano tendeva a risalire.
Il giudicante non avrebbe, pertanto, tenuto conto del fatto che non era emersa in precedenza la necessità dell'uso di tale mezzo anomalo di risalita, perchè si era all'inizio dei lavori, come dimostrato dal fatto che erano stati posti in essere solo i primi due tubi della condotta.
Il ricorso non è fondato, giacchè la sentenza impugnata non solo è priva dei vizi di diritto prospettati dal ricorrente, ma appare supportata da adeguata e convincente motivazione, sia nella ricostruzione dell'incidente, sia sotto il profilo della individuazione dei profili di colpa addebitabili all'odierno imputato, eziologicamente riconducibili alla verificazione dell'evento mortale.
In particolare, la decisione appare perfettamente in linea con il principio fondamentale vigente in materia infortunistica, in forza del quale il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.
Proprio la posizione di garanzia de qua non attribuisce, in linea di principio, alcun rilievo, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, ai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio.
Ciò perchè l'obbligo di garanzia implica anche, come del resto desumibile anche dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, che al datore di lavoro è imposto finanche di "pretendere" che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza usando i mezzi di protezione messi a loro disposizione (cfr., in termini, Cassazione, Sezione 4^, 6 novembre 2006, Nuzzo).
Il datore di lavoro è, cioè, "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, essendogli imposto (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela, conseguendone, appunto in linea di principio, che la colpa del datore di lavoro, nel caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, non è esclusa da quella del lavoratore.
In tal caso, l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui questi è ex lege onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41 c.p., comma 1).
Così ricostruito l'ambito dei principi vigenti in materia, devono peraltro individuarsi i limiti della responsabilità del datore di lavoro, giacchè diversamente opinando si verterebbe in ipotesi di responsabilità oggettiva.
Or bene, come è del resto noto, viene ad operare, nella subiecta materia, per mitigare l'ambito di operatività della posizione di garanzia, il principio dell'interruzione del nesso causale, esplicitato normativamente dall'art. 41 c.p., comma 2, in forza del quale, facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell'equivalenza delle cause di cui al precedente comma 1, quella sopravvenuta del tutto eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l'hanno preceduta, finisce con l'assurgere a causa esclusiva di verificazione dell'evento.
Sotto questo profilo, è assolutamente pacifico l'assunto in forza del quale per escludere la responsabilità del datore di lavoro "in colpa" e, quindi, per interrompere, ex art. 41 c.p., comma 2, il nesso causale tra la condotta colposa di questi e l'evento pregiudizievole derivatone, non basterebbe un comportamento del lavoratore pur avventato, negligente o disattento, che il lavoratore pone in essere mentre svolge il lavoro affidatogli, trattandosi di comportamento "connesso" all'attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile.
Per converso, deve ritenersi che, per interrompere il nesso causale, occorra un comportamento del lavoratore che sia "anomalo" ed "imprevedibile" e, come tale, "inevitabile"; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro.
Si deve trattare, in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come "abnorme", che, quindi, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (cfr., per tale definizione, Cassazione, Sezione 4^, 26 ottobre 2006, Palmieri).
Or bene, la sentenza di merito appare avere rispettato appieno il richiamato inquadramento di principio, avendo evidenziato - in maniera qui incensurabile - l'insussistenza di alcun comportamento abnorme ed esorbitante del lavoratore, sull'assorbente rilievo che questi si era limitato ad eseguire un ordine del tutto interno ai suoi compiti.
Sotto questo profilo le argomentate considerazioni del ricorrente, a ben vedere, si risolvono in una opinabile diversa ricostruzione delle modalità di comportamento del lavoratore e dei rapporti tra tali modalità e il contenuto dei compiti e delle mansioni lavorative che non possono avere ingresso in sede di legittimità.
Neppure può avere pregio la doglianza che vorrebbe articolare l'interruzione del nesso causale sul rilievo che altro soggetto (coimputato, che aveva definito la propria posizione con il patteggiamento) si sarebbe assunto di fatto, spontaneamente, la posizione di garanzia, con conseguente "presa in carico" degli obblighi prevenzionali derivanti dal contratto di subappalto.
A tanto voler concedere, l'assunzione di fatto della posizione di garanzia da parte di altro soggetto - come sostenuto nel ricorso - non sarebbe circostanza ex se bastevole per far cessare gli obblighi prevenzionali a carico del prevenuto, potendosi, al più, determinare la compresenza di più soggetti titolari della posizione di garanzia nei confronti del lavoratore.
E varrebbe in proposito, pur sempre, il principio, in forza del quale, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto.
Ciò deve ritenersi sia se le posizioni di garanzia siano sullo stesso piano, sia, a maggior ragione, allorchè le posizioni di garanzia non siano di pari grado, giacchè, in tale ultima evenienza, il titolare della posizione di garanzia, il quale vanti un potere gerarchico nei confronti dell'altro titolare investito, a livello diverso, della posizione di garanzia rispetto allo stesso bene, non deve fare quanto è tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato è stato effettivamente garante ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento.
In realtà, la ricostruzione operata dal giudicante risulta pienamente rispettosa dei richiamati principi e, comunque, a ben vedere, neppure legittima in fatto quella assunzione del ruolo di garante in via esclusiva da parte del coimputato su cui è articolata la doglianza, la quale, per l'effetto, non può trovare accoglimento.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2008