Cassazione Penale, Sez. 4, 09 maggio 2013, n. 20128 - Ipoacusia da rumore e mancata nomina del medico competente. Nesso di causalità

 


 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetan - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
S.L. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2647/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del 12/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2013 la relazione fatta dal cons. dott. MASSAFRA Umberto:
udito il Procuratore Generale in persona del dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Udito per la parte civile l'Avv. Tota Grazia del Foro di Roma, la quale chiede il rigetto del ricorso e deposita nota spese.



Fatto


Con sentenza emessa In data 14 maggio 2010 il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, riconosceva S.L. colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, in relazione all'art. 583 c.p., n. 2, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 4, lett. C), D.P.R. n. 303 del 1956, D.P.R. n. 547 del 1955, art. 33, comma 1, art. 11, comma 7, lett. A) e B) perchè, in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale esercente l'attività di lavorazione e taglio della pietra lavica e datore di lavoro, cagionava a G.G. lesioni personali gravi consistite in "ipoacusia percettiva bilaterale e bronco-pneumopatia cronica" da cui derivava l'indebolimento permanente dell'udito, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare, secondo l'imputazione che ben riassume la vicenda: per non avere tempestivamente provveduto alla nomina del medico competente, nomina effettuata solo in data (Omissis); per non avere sottoposto sino al (Omissis) a visita medica di idoneità ed a successive visite mediche periodiche i prestatori di lavoro addetti alle mansioni di tagliapietre e scalpellino addetto alla sega attentatrice, manovale lapideo, operatore alla sega, esposti ai rischi di vibrazioni, rumore, movimentazione manuale dei carichi e inalazione polveri; per non aver protetto in modo idoneo dagli agenti atmosferici e dal sollevamento di polveri di pietra lavica i posti di lavoro all'aperto ove operano gli scalpellini ed i tagliapietre; con la conseguenza che il G., prestatore di lavoro con mansioni di scalpellino e di tagliapietre, lavorando nelle immediate vicinanze di una moto pala, di un escavatore, di altri operai scalpellini in un ambiente a diffusa rumorosità, si procurava il predetto deficit uditivo; fatto aggravato perchè commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e dall'aver prodotto l'indebolimento permanente di un senso o di un organo (fino al (Omissis), data dell'ultimo peggioramento della malattia, con l'aggravante della recidiva); l'imputato veniva altresì ritenuto responsabile, sempre nella qualità suddetta, delle contravvenzioni di cui al capo A (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, comma 7, lettere A e B sanzionato articolo 389 sub B, in quanto i posti di lavoro all'aperto dove operavano gli scalpellini ed i tagliapietre non erano idoneamente protetti dagli agenti atmosferici e dal sollevamento di polveri di pietra lavica) e di cui al capo E della rubrica (art. 4 comma 4, lett. C del D.P.R. del D.Lgs. n. 626 del 1994, per avere proceduto alla nomina del medico competente solo in data (Omissis), cioè dopo l'inizio delle ispezioni e dopo la specifica richiesta dei documenti inerenti la sorveglianza sanitaria, omissione che aveva determinato la mancata sorveglianza sanitaria e la visita medica di idoneità dei lavoratori esposti indicati, nonchè le successive visite mediche periodiche al fine di stabilire la prosecuzione nelle mansioni esposte ai rischi, ovvero il cambio di mansione per coloro i quali avessero subito danno o sopravvenuta inidoneità alla mansione espletata, in (Omissis) acc. il (Omissis)). Seguiva la condanna dello S., con la continuazione, alla pena di Euro 2.500,00 di multa oltre al rimborso della somma di Euro 74.541,19 in favore della parte civile INAIL e delle spese da questa sostenute. Al contempo veniva dichiarata l'improcedibilità in ordine ai reati contravvenzionali ascritti ai capi B) e C) perchè estinti per prescrizione.

Con sentenza in data 12.4.2012 la Corte di Appello di Catania confermava la predetta sentenza del Tribunale catanese.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di S.L. deducendo:

1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione agli artt. 590 e 40 c.p., contestando la configurazione nel caso di specie degli estremi del reato rubricato e segnatamente la dimostrazione della sussistenza del nesso di causalità con omessa valutazione di segnalate concause (vizio del fumo ed otite giovanile della persona offesa) nonchè ribadendo l'abnormità della condotta del lavoratore che si era privato delle protezioni fornitegli dal titolare e nonostante i rimproveri di quest'ultimo;

2. il vizio motivazionale in ordine alla disattesa richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale per l'espletamento di una perizia medico-legale.

E' stata depositata una memoria difensiva nell'interesse della costituita parte civile I.N.A.I.L..

 

Diritto



Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche e manifestamente infondate.

E' palese la sostanziale aspecificità delle censure addotte che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, laddove ha fornito puntuale ed esaustiva spiegazione in ordine ad ognuno dei profili delle censure mosse (sussistenza del nesso di causalità, irrilevanza del vizio del fumo quale concausa esclusiva della patologia riscontrata, insufficienza della fornitura degli strumenti protettivi e la confessata omissione di un costante controllo del datore di lavoro circa l'effettivo uso di essi da parte dei lavoratori, non necessità di un supplemento istruttorio). Infatti è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). La manifesta infondatezza delle censure emerge dalla stessa congruità delle argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata che ha, peraltro, richiamato quelle della pronuncia di primo grado: a tale proposito, questa Corte ha costantemente affermato il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e secondo grado con riguardo ai punti in cui la decisione sia del tutto omogenea e conforme.

Orbene, è stato correttamente evidenziato come il comportamento negligente dell'imputato fosse consistito soprattutto nel non aver controllato che gli strumenti di protezione forniti fossero effettivamente utilizzati dai lavoratori, come ammesso sia dal G. sia dallo stesso imputato, e che comunque era rimasto incontestato che non era stata predisposta la protezione del posto di lavoro all'aperto ove operava il lavoratore infortunato.

La decisione gravata appare del tutto corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c.. Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.

Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.

In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'Incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2 (v., tra le tante, Cass. pen. Sez. 4, n. 46820 del 26.10.2011, Rv. 252139).

Correttamente e con congrua motivazione è stato rilevato che l'eventuale predisposizione della vittima alla ipoacusia e o alla broncopatia, per il pregresso, ma meramente asserito, fumo di sigarette o per l'otite giovanile, possono assurgere a causa esclusiva della patologia riscontrata che, al pari di altre, si sviluppa in un arco temporale lungo collocabile durante l'attività lavorativa svolta per decenni dal G..

Del resto, con riguardo alla questione del nesso causale tra ambiente di lavoro insalubre ed affezioni morbose contratte dal lavoratore va rilevato, che, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, il nesso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere affermato non solo allorchè si possa sostenere con certezza che l'adozione di norme precauzionali avrebbe scongiurato il prodursi dell'evento dannoso, ma anche nei casi in cui vi sia la ragionevole certezza che, pur senza escludere in assoluto la possibilità di un diverso meccanismo causale, non vi siano Ipotesi alternative dotate di ragionevole concretezza dell'insorgere dei processi morbosi per concause ovvero cause del tutto indipendenti dall'accettata insalubrità dell'ambiente (Cass. pen. Sez. 4, n. 41939 del 14.7.2006 Rv. 235162). Quanto alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, va ribadito che la rinnovazione è istituto di carattere eccezionale e che, dovendosi ritenere che la stessa fu prospettata ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 1, la Corte avrebbe potuto ammetterla solo qualora avesse ritenuto di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Peraltro è da rammentare che, In tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Cass. pen. sez. 6, 18.12.2006, n. 5782, Rv. 236064): ma nel caso di specie la Corte ha comunque esplicitamente dato conto, con adeguata e logica motivazione, della ritenuta superfluità della prova richiesta, con richiamo alle puntuali dichiarazioni del medico dell'INAIL, dr.ssa F.V., le cui conclusioni non erano state sconfessate da alcuna emergenza dibattimentale.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità. Segue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della parte civile costituita INAIL delle spese sostenute nel presente giudizio e liquidate come in dispositivo.

L'inammissibilità originaria del ricorso preclude la declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati contravvenzionali sub capi B) ed E).


P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, INAIL, liquidate in Euro 2.500,00 oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 26 marzo 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013