Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 ottobre 2013, n. 22865 - Viaggi continui e stress di una docente: Malattia dipendente da causa di servizio e indennizzo a carico del Ministero dell’Istruzione


 

 

 

Presidente Vidiri – Relatore Amoroso

Fatto



1. Con ricorso depositato in data 15.07.2003 la Sig.ra Z.A. conveniva in giudizio in Ministero dell'Istruzione. Università e ricerca, nonché l'Ufficio scolastico regionale per il Lazio richiedendo che fosse accertato che la patologia dalla stessa allegata fosse insorta per causa di servizio e che, in conseguenza di ciò, le fosse riconosciuto il relativo trattamento indennitario previsto per l'insorgenza di malattia dipendente da causa di servizio.
Esponeva, infatti, la ricorrente di aver insegnato materie letterarie in varie scuole ed in varie parti d'Italia e, per questo, di aver dovuto viaggiare con qualsiasi tempo e in qualsiasi stagione dell'anno, avendo alfine riportato patologia uditiva ed osteoarticolare­
Il Ministero dell'Istruzione, università e ricerca si costituiva in giudizio e contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto richiamando quanto affermato in sede amministrativa dal competente Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie che aveva escluso che le infermità lamentate potessero dipendere da fatti di servizio.
Il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro con sentenza n. 20226/05 depositata l’11.11.05 ha rigettato il ricorso proposto ritenendo che non fosse stato assolto l'onere probatorio incombente sulla ricorrente per non aver questa indicata con chiarezza quali e quante siano le sedi di servizio difficilmente raggiungibili o che comunque comportavano notevoli disagi nei tragitti. La disposta ctu medica aveva si ritenuto le infermità a carico dell'apparato osteo-articolare, riscontrate nella ricorrente, contratte in servizio e a causa di servizio, con ascrivibilità alla tabella A ctg. 8' delle tabelle annesse al dpr 384/1981. Ma riteneva il Tribunale di disattendere le conclusioni dell'ausiliare, in quanto non risultava dimostrato, né era stata formulata istanza istruttoria sul punto, quali e quante fossero state le sedi di servizio difficilmente raggiungibili e che comportavano un notevole disagio nei tragitti, senza che la lacuna, al di là di mera inferenza logica, potesse essere colmata dalla consulenza tecnica di ufficio.
2. Nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma proponeva appello la Sig. Z. censurando, in particolare, la scelta del Giudice di primi grado nella parte in cui aveva affermato la mancanza di allegazione e prova delle mansioni espletate e delle modalità morbigene delle stesse, senza tener in debita considerazione quanto era emerso dalla relazione del consulente tecnico d'ufficio.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza dell'8 febbraio 2010 n. 8332, ha accolto l'appello, e, per l'effetto, ha riconosciuto le infermità riscontrate in capo alla ricorrente come contratte in servizio ed a causa di servizio, condannando la p.a. al pagamento dell'indennizzo nonché delle spese processuali.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il MIUR.
Resiste con controricorso la parte intimata che ha anche depositato memoria.


Diritto



1. Il ricorso è articolato in un unico motivo con cui il Ministero ricorrente denuncia la violazione o errata applicazione dell'art. 2697 c.c. in combinato disposto con l'art. 68 d.p.r. n. 3 del 1957. Lamenta che l'originaria ricorrente non ha assolto all'onere probatorio relativamente alle mansioni svolte, avendo essa allegato un quotidiano impiego scolastico a contatto con ragazzi portatori di handicap fisico spostandosi continuamente da un luogo di lavoro ad un altro e coprendo distanze significative. La ricorrente si limitava esclusivamente a chiedere la consulenza tecnica d'ufficio. Sostiene il ministero che l'originaria ricorrente non aveva provato la riconducibilità dell'infermità denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita.
2. Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata afferma che le infermità rilevate dalla consulente d’ufficio (ci sono state due consulenze: una in primo grado e l'altra in grado d'appello: entrambe hanno ritenuto sia l'infermità che il nesso di causaliità) sono state contratte in servizio e a causa di servizio. Si tratta di una tipica valutazione di merito rispetto alla quale il motivo di ricorso si atteggia a mero dissenso nell'apprezzamento delle risultanze di causa.
In proposito questa Corte (Cass. civ., sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353), con riguardo alla domanda di equo indennizzo, ha affermato che grava sul lavoratore l'onere di provare, con precisione, i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'infermità alle modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita, variabili in relazione al luogo di lavoro, ai turni di servizio, all'ambiente lavorativo, non configurando, le mansioni inerenti alle qualifiche, un fatto notorio che non necessita di prova, atteso che esse sono variabili in dipendenza del concreto posto di lavoro, della sua localizzazione geografica, dei turni di servizio, dell'ambiente in generale, essendo assolutamente irrilevante che la controparte non abbia contestato, con la comparsa di costituzione in primo grado, le modalità della prestazione lavorativa allorquando dette modalità non siano state precisate: inoltre, nelle patologie aventi carattere comune ad eziologia c.d. multifattoriale, il nesso di causalità fra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell'esposizione a rischio.
Nella specie la prova è stata ritenuta dalla Corte d'appello in due consulenze tecniche d'ufficio, in primo e secondo grado, entrambe favorevoli all'originaria ricorrente.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50.00 per esborsi oltre euro 3,000.00 (tremila) per compensi d'avvocato ed oltre accessori di legge, da distrarsi.