Cassazione Penale, Sez. 4, 05 settembre 2013, n. 36400 - Lavoro marittimo e sicurezza: infortunio mortale in mare


 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetan - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da: 1) T.G., N. IL (Omissis); avverso la sentenza n. 2347/2010 pronunciata dalla Corte di Appello di Palermo del 5/10/2012; udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. D'Angelo Giovanni, che ha chiesto il rigetto del ricorso.



Fatto


1. T.G. veniva giudicato dal Tribunale di Agrigento responsabile della morte di L.A., in qualità di comandante dell'imbarcazione da pesca "(Omissis)", e condannato alla pena di anni uno di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche, con la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale liquidata in favore delle parti civili, nonchè condannato al risarcimento dei danni in favore delle stesse.
Secondo la ricostruzione del primo giudice, il (Omissis) era in corso un'operazione di pesca del tonno mediante la tecnica c.d. a circuizione, consistente nell'utilizzo di due navi (una maggiore, la madre, nell'occasione l'imbarcazione "(Omissis)" comandata da T. G., ed una minore, la stazza, nell'occasione un battello ausiliario di circa sette metri dotato di motore di 400 hp) per la calata in mare di una rete con la quale, grazie all'appoggio di un mezzo aereo, circondare un branco di tonni e quindi catturarlo.
Nell'ambito di tale operazione il L. si trovava con il collega F. a bordo della nave stazza, ed aveva appena completato l'ultima manovra dell'operazione di circuizione del branco, consistente nel passare il cavo di acciaio e la fune della rete ai marinai della nave madre perchè questi potessero procedere alle operazioni di ritiro della stessa tramite verricello, quando il cavo di acciaio era andato in tensione e si era impigliato nella scatola dei comandi del battello, portando con sè le leve dei comandi, mentre la prua del battello stazza era ancora legata al battello madre. Di conseguenza la barca aveva iniziato a girare su se stessa vorticosamente e il L. era finito in acqua, venendo più volte attinto dalle eliche del motore e riportando lesioni che cagionavano la morte.
All'origine dell'accaduto il Tribunale rinveniva talune condotte omissive colpose del T., quale armatore, comandante dell'(Omissis) e datore di lavoro del L.:
l'omessa predisposizione di un sistema di protezione delle leve dell'area comandi del battello stazza, volto ad escludere l'interferenza di cavi e funi con i comandi medesimi; - l'omessa predisposizione di sistemi di protezione collettiva quali maniglie, cordoli e passamano per la protezione in caso di movimenti bruschi della barca;
l'omesso impiego di sistemi di isolamento dell'elica del battello stazza idonei ad evitare il contatto diretto delle pale con il lavoratore caduto in mare;
più a monte, l'omessa valutazione dei rischi, con l'indicazione delle misure volte ad impedire il verificarsi degli stessi.
Qualora tenute, ad avviso del Tribunale le condotte doverose avrebbero evitato l'evento. Evento giudicato prevedibile, posto che le modalità dell'operazione di pesca comportavano che i cavi fossero soggetti a fluttuazioni difficilmente controllabili e che la cloche ove erano i comandi rimanesse incustodita, mentre le attività dovevano svolgersi con ritmi serrati da parte di lavoratori che dovevano operare in piedi; evento peraltro anche prevenibile, come dimostrato dalle modifiche apportate al battello stazza dopo l'infortunio.
2. Avverso tale decisione proponeva appello l'imputato, incentrando le proprie censure sulla violazione dell'art. 521 c.p.p., rinvenuta nella condanna pronunciata per una pluralità di condotte omissive non corrispondenti a quella descritta nel capo di imputazione, che fa riferimento alla mancanza sul battello ausiliario di un dispositivo di arresto di emergenza dei motori in caso di caduta in mare del marinaio.
Inoltre, l'appellante si duoleva della mancata assoluzione per la non commissione del fatto da parte dell'imputato, dovendosi ritenere l'evento dovuto a caso fortuito, o quanto meno per l'assenza di colpevolezza del T., stante l'imprevedibilità del sinistro.
La Corte di Appello rigettava l'impugnazione, confermando integralmente la sentenza impugnata. Il giudice di seconde cure riteneva, quanto al primo motivo, che all'imputato era stato contestato di non aver adottato le misure tecniche per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del battellino ausiliario, anche per quanto concerne l'arresto di emergenza. In tali misure rientrava anche un sistema di protezione delle leve dei comandi rispetto al rischio di interferenza con i cavi, un meccanismo comportante l'immediato spegnimento del motore o l'imbracatura dell'elica per il caso di caduta in mare del lavoratore. Aggiungeva la Corte distrettuale che non risultava leso il diritto di difesa perchè "il fatto addebitato all'imputato, nella sua valutazione complessiva, era dallo stesso conosciuto e il difensore, ... , ha ben potuto esaminare i testi e muovere i rilievi opportuni in relazione alle cause che hanno determinato l'evento letale".
Quanto al secondo motivo, la Corte distrettuale rilevava che le qualità del T. identificano una posizione di garanzia alla quale sono connessi obblighi di prevenzione sia in rapporto alla nave madre che in rapporto al battello ausiliario. L'evento era prevedibile in ragione delle modalità operative, tali da poter causare un groviglio di funi e l'incastro con le leve dei comandi, con effetti sul moto del battello tali da poter sbalzare i lavoratori in mare. Evenienze evitabili mediante l'adozione delle misure richiamate dal primo giudice. Nè assumeva valore - aggiungeva il Collegio di secondo grado - il fatto che per l'imbarcazione principale fosse stata rilasciata certificazione di conformità alle disposizioni della Direttiva europea che istituisce un regime armonizzato per la sicurezza per le navi da pesca di lunghezza uguale o superiore ai ventiquattro metri, perchè tale certificazione non esime il datore di lavoro dalla necessità di adempiere gli obblighi prevenzionistici; e ciò vale anche ove si ritenesse che la certificazione si estenda al battello ausiliario.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il T. a mezzo del proprio difensore di fiducia, avv. Antonio Fiumefreddo.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 40 c.p., art. 43 c.p., comma 3, art. 45 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, nonchè D.Lgs. n. 271 del 1999, artt. 5, 6 e 7.
Il ricorrente svolge unitariamente argomentazioni che attengono ai diversi costrutti della responsabilità per colpa. Da un canto asserisce essere manchevole una trasgressione alle regole cautelari cui hanno fatto riferimento i giudici di merito, avendo il T. osservato la normativa vigente e non ricorrendo alcuna negligenza, imprudenza, imperizia; sul medesimi piano censura il fatto che le condotte antidoverose addebitate al T. siano state individuate non già sulla scorta della normativa che pone gli obblighi dell'armatore, del comandante della nave e del datore di lavoro ma sulla base di "una valutazione discrezionale del giudice, che solo con il senno di poi ha dedotto il possibile evolversi degli eventi".
Dall'altro verso contesta la prevedibilità dell'accaduto (si ascrive di "sfortunati avvenimenti avulsi da qualsiasi previsione" e di caso fortuito) essendo per l'appunto imprevedibile l'impigliarsi del cavo tra i comandi del battello, fattore che ha interrotto la serie causale degli eventi. Infine, asserisce che il T. poteva fare affidamento nell'operato dell'azienda costruttrice in relazione alla rispondenza del battello ai requisiti imposti dalla legge e che quindi sarebbe escluso l'elemento soggettivo del reato.
3.2. Con un secondo motivo si propone nuovamente la censura incentrata sulla violazione dell'art. 521 c.p.p. contestando la motivazione con la quale la Corte di Appello ha rigettato il corrispondente motivo di appello. Si assume che la motivazione per la quale "la colpa contestata all'imputato è così ampia da includere anche le condotte assunte dall'imputato nei diversi momenti del sinistro" è frutto dell'adozione di un criterio di assoluta discrezionalità e tradisce una nozione di responsabilità di natura oggettiva. Si richiama la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea nel caso Drassich per sostenere che nella specie risulta violato il diritto dell'imputato a conoscere i fatti materiali ed anche la qualificazione giuridica data ai fatti.
3.3. Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale ancora in relazione alla violazione dell'art. 521 c.p.p., in quanto il ragionamento esibito dalla Corte di Appello al riguardo è incoerente e non esaustivo. Anche in relazione alla non commissione del fatto da parte dell'imputato e all'assenza di colpevolezza, la Corte di Appello "ha confermato ed implicitamente accettato una serie di errori e lacune che, se approfonditi, avrebbero richiesto una pronuncia assolutoria. Ritenendo che le testimonianze poste a base della condanna provengano da soggetti che non hanno assistito al verificarsi degli eventi si lamenta che "l'accusa ... risulta fatta esclusivamente di ipotesi...".


Diritto


4. Il ricorso è infondato, per i motivi di seguito precisati.
4.1. A fronte delle censure mosse dal ricorrente con il primo motivo, invero incline alla sovrapposizione di profili che meritano di essere tenuti distinti sul piano concettuale, è opportuno ricordare che l'imputazione contesta all'imputato di aver omesso di adottare misure tecniche per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del battellino ausiliario e in particolare un arresto d'emergenza dei motori in caso di caduta in mare, oltre a generica imprudenza, imperizia e negligenza.
Si tratta quindi di una contestazione che - come già rilevato dalla Corte di Appello - non fa riferimento unicamente alla mancata adozione di un arresto di emergenza, rimandando a tutto quanto necessario per garantire condizioni di sicurezza dei lavoratori. Che anche nei confronti del T., nelle sue plurime qualità, possa esigersi l'adempimento di tale dovere è indubitabile, sia in ragione delle specifiche prescrizioni rinvenibili direttamente o indirettamente nel D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 298, art. 3, recante norme di "Attuazione della direttiva 93/103/CE relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca", il quale, tra gli altri doveri dell'armatore menziona quello di assicurare che la stessa venga impiegata senza compromettere la sicurezza e la salute dei lavoratori e di assicurare la manutenzione tecnica delle navi, degli impianti e dei dispositivi, in particolare di quelli indicati agli allegati 1^ e 2^ e l'eliminazione dei difetti riscontrati. Tali allegati recano le prescrizioni minime da osservare rispettivamente per le navi da pesca nuove e quelle esistenti; e tra le diverse prescrizioni che pongono vi sono quella di mantenere la nave "in buone condizioni di navigabilità e dotata di attrezzature appropriate alla sua destinazione ed al suo impiego" (1.1.) nonchè quella per la quale "le aree di lavoro devono essere tenute sgombre e, per quanto possibile, protette contro il moto del mare e devono fornire un'adeguata protezione ai lavoratori contro le cadute a bordo o fuori bordo" (12.1.). Ma, ancora, in forza del D.Lgs. n. 298 del 1999, art. 1, comma 2, gli obblighi precauzionali incombenti sul T. sono altresì quelli che il D.Lgs. n. 626 del 1994 riferisce al datore di lavoro.
Non si può quindi dubitare che vi siano precisi ancoraggi testuali alla affermazione di responsabilità del T.. Si può convenire con il ricorrente che le norme cautelari dalle quali si sono tratti gli obblighi che sono stati ritenuti inosservati e quindi le specifiche condotte doverose omesse presentano un certo grado di indeterminatezza, non indicando specificamente cosa il debitore di sicurezza sia tenuto a fare, limitandosi ad affermare l'obiettivo imposto. Non per questo si tratta di obblighi creati ex post dal giudice; questi li rinviene attraverso i canoni della prevedibilità e dell'evitabilità, secondo quanto è comunemente riconosciuto valevole per le ipotesi di colpa generica.
A tal riguardo va detto che la denuncia di una "creazione" giudiziale a posteriori della regola cautelare lambisce un tema di notevole portata teorica e pratica ma non coglie nel segno.
Senza alcuna pretesa di esaurire il tema e neppure solo di abbozzarlo, ma al solo scopo di rendere il più intellegibile possibile la presente decisione, si può ricordare che l'operazione di identificazione della colpa, nel profilo relativo al carattere trasgressivo della condotta di una o più norme cautelari, può condurre al rinvenimento di una disposizione di legge, di regolamento, ad un ordine, ad una disciplina (secondo l'elencazione dell'art. 42 c.p.) oppure ad una regola cautelare non scritta, che viene rinvenuta dal giudice sulla scorta dei parametri della prevedibilità e della evitabilità dell'evento pregiudizievole. Nel campo della colpa generica, che di ciò si tratta, il punto di avvio del procedimento intellettivo è il principio del "neminem laedere", che sovraordinato ad ogni attività umana, conduce ad interrogarsi in ordine alle regole di condotta che, tenuto conto della specifica attività o situazione di cui trattasi, possono valere ad eliminare o ridurre nella misura massima possibile il pericolo per i terzi in esse insito (Sez. 4, n. 15229 del 14/02/2008 - dep. 11/04/2008, P.G. in proc. Fiorinelli, Rv. 239600). Il quesito trova risposta alla luce dei menzionati parametri: l'identificazione del pericolo (che quindi è prevedibile ed) evitabile permette di risalire alle regole prudenziali che valgono a depotenziarlo. I critici della colpa generica enfatizzano il grado di indeterminatezza della quale essa è caratterizzata. Ed in effetti non c'è dubbio che la colpa specifica assicuri un ben maggior tasso di determinatezza al giudizio di responsabilità. Ciò non di meno appare inimmaginabile che vengano positivizzate tutte le regole prudenziali astrattamente convergenti verso una determinata attività pericolosa; troppo evidenti le ragioni di ciò per dover essere ricordate in questa sede. Ma all'atteggiamento di sospetto verso la colpa generica va riconosciuto il merito di segnalare il pericolo che il processo di identificazione della regola violata risulti troppo simile ad un processo creativo, laddove esso non può che essere ricognitivo, pena la violazione dei principi di legalità e di colpevolezza. Per non incorrere in simili violazioni è necessario evitare di muovere a ritroso dalla situazione così come si è verificata chiedendosi cosa avrebbe impedito il suo dipanarsi. In tal modo, insegna attenta dottrina, quella che risulterebbe individuata sarebbe la regola cautelare dell'evento singolare e non una regola astratta, preesistente all'evento ed idonea a prevenire eventi del genere di quello effettivamente occorso.
Il percorso deve piuttosto muovere dalla stilizzazione dell'evento, che va colto nei suoi tratti caratterizzanti (rimanendo al caso in esame, morte per lesioni al capo piuttosto che per annegamento), per poi procedere formulando l'interrogativo se tale evento era prevedibile ex ante, alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle massime di esperienza (da intendersi come generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome da quello, tratte con procedimento induttivo dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, cfr. Sez. 6, n. 1775 del 09/10/2012 - dep. 15/01/2013, Ruoppolo, Rv. 254196).
Calando tali premesse nell'ambito del giudizio di legittimità, ne risulta che la verifica della motivazione impugnata va operata non solo in relazione alla conduzione da parte del giudice di merito di un'indagine che assume quale proprio referente teorico la prevedibilità ex ante (e l'evitabilità), ma altresì a riguardo della coerenza del procedimento logico-giuridico seguito con il principio di diritto assunto, anche in relazione alla esplicitazione delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle massime di esperienza individuate e poste a base di quel giudizio di prevedibilità. Come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità. Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicità, non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purchè la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicità può essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza - cioè su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi - e valorizzi piuttosto una congettura, cioè una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica, od anche una pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque e pur minima plausibilità" (Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007 - dep. 24/04/2007, Cassandra, Rv. 237145).
4.2. Orbene, non sembra dubitabile che alla luce delle modalità operative che si sono in parte narrativa riassunte fosse identificabile ex ante un pericolo di interferenza tra i cavi della rete e le leve dei comandi, tale da poter rendere questi inutilizzabili o difficilmente manovrabili perchè incastrati o divelti. E, conseguentemente, che gravasse sul T. l'obbligo di adottare quelle misure tecniche che sarebbero valse ad evitare tale pericolo, quale la protezione delle leve o l'adozione di modalità operative differenti.
La motivazione resa al riguardo dalla Corte di Appello (cfr. pg. 7 s.) va quindi immune da censure elevabili in sede di legittimità.
Nè va ignorato che risultano rinvenuti a carico del To. profili di colpa specifica dal contenuto tutt'altro che indeterminato: l'aver omesso la valutazione dei rischi e quindi aver omesso di individuare ed adottare le misure volte ad impedire il loro verificarsi (pg. 11 primo grado).
5. Parimenti infondato è il secondo motivo. Come si è già ricordato principiando ad occuparsi del primo motivo di ricorso, la contestazione mossa al T. non si esaurisce nell'addebito di aver omesso l'adozione di un arresto di emergenza; questa particolare misura viene indicata come una tra le altre. Coglie quindi il segno la Corte di Appello laddove rileva che al T. è stato imputato di aver omesso l'adozione di misure tecniche per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del battellino e che il riferimento all'arresto di emergenza non è escludente ma solo specificativo di una delle misure.
Va in ogni caso rammentato, in linea di principio, che oltre a quanto costantemente asserito da questa Corte circa le modalità con le quali nell'ambito dei reati colposi si invera la correlazione tra atto contestato e fatto ritenuto in sentenza (cfr. tra le molte Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009 - dep. 05/08/2009, Raso, Rv. 245313, per la quale "nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p."), la regola posta dall'art. 522 c.p.p. viene violata solo se risulta pregiudicato il diritto di difesa ("ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 c.p.p., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione": Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013 - dep. 06/02/2013, Lucera e altri, Rv. 254419).
Il ricorrente non ha dato alcuna indicazione in ordine al pregiudizio inferto al diritto di difesa dalla descrizione dei contenuti della colpa operata dai giudici di merito.
Nè può essere utilmente richiamata a sostegno della censura mossa dall'esponente la sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, a riguardo della quale questa Corte ha già avuto modo di precisare che "l'osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato è chiamato a rispondere, sancito dall'art. 111 Cost., comma 3, e dall'art. 6 CEDU, comma 1 e comma 3, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione" (Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - dep. 17/01/2013, Manara e altro, Rv. 254135; similmente Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012 - dep. 07/01/2013, Ferrari, Rv. 254521).
L'esclusione di una violazione del diritto al contraddittorio è a fortiori esclusa nel caso che occupa, nel quale l'imputato ha svolto le sue difese sul fatto ascrittogli nel corso dell'istruttoria dibattimentale, secondo quanto sopra specificato.
6. Quanto al terzo motivo, esso risulta del tutto aspecifico. Si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione senza tuttavia indicare rispettivamente i termini del rapporto di contraddizione ("In tema di ricorso per cassazione, il vizio di contraddittorietà della motivazione, configurato dalla L. n. 46 del 2006 come motivo autonomo di ricorso e non più come un aspetto del
motivo di illogicità, si sostanzia nell'incompatibilità tra l'informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l'informazione sul medesimo punto esistente negli atti processuali:
Sez. 3, n. 12110 del 21/11/2008 - dep. 19/03/2009, Campanella e altro, Rv. 243247) e il ritenuto punto di crisi dell'iter argomentativo che rende questo viziato da macroscopica violazione delle normali regole della logica giuridica.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
7. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 maggio 2013. Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2013