Tribunale di Roma, Sez. Civ., 14 novembre 2013, n. 34192 - Videosorveglianza e validazione delle buone prassi


 

Il Giudice
Sciogliendo la riserva che precede

OSSERVA




Con ricorso ex art. 700 cpc n. rg. 34192/2013, la CONFEDERAZIONE ITALIANA  DEL LAVORO (CGIL)  conveniva in giudizio la Commissione Consultiva Permanente per la salute e Sicurezza sul Lavoro, l'INAIL, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche Sociali e il Governo italiano chiedendo al giudice adito di accogliere le seguenti conclusioni: dichiarare la illegittimità e illiceità e comunque l'inefficacia dell'atto di violazione come "buone prassi " dell'utilizzo della videosorveglianza per incrementare il livello di sicurezza sul lavoro adottato su proposta del Dipartimento di Ingegneria meccanica e  industriale dell' Università degli Studi di Brescia in data 29 maggio 2013, con approvazione del verbale della riunione della Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro del 17 aprile 2013;
inibire la diffusione in quanto validata della supposta "buona prassi" sopra descritta e comunque assumere ogni provvedimento utile a scongiurarne il propagarsi in danno alla fede pubblica, ivi compreso il disporne la pubblicazione del provvedimento inibitorio richiesto nel sito internet dell'Amministrazione competente alla validazione.
Con vittoria dì spese.

Esponeva la parte ricorrente che la buona prassi concernente "l'Utilizzo della videosorveglianza per incrementare il livello di Sicurezza sul lavoro" presentata dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale dell'Università degli studi di Brescia, era stata validata in data 29 maggio 2013, con il voto contrario della CGIL in quanto "la normativa già regolamenta appieno la videosorveglianza" e essendo in discussione la "coerenza " con il diritto vigente e la effettiva rispondenza della "buona tecnica" della soluzione prospettata circa "l'Utilizzo della Videosorveglianza".

A   tale riguardo, la parte ricorrete lamentava che la buona prassi si risolveva nel postulare un "Utilizzo della Videosorveglianza" quante più esteso per "far emergere e dare diffusione alle migliori modalità di svolgimento delle attività lavorative";  che , in tal modo, veniva convalidata come buona prassi, il controllo con videosorveglianza permanente, dì ogni e qualunque aspetto della presenza e della attività dei singoli lavoratori in azienda; che la buona prassi non conteneva alcun limite alla tutela della riservatezza o dell'anonimato anche nei confronti dei terzi; che essa era stata diffusa in numerosi siti internet in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.

Tanto premesso in fatto, la parte ricorrente eccepiva la violazione dell'art. 4, comma 1 e 2 l. n. 300/70 in quanto avrebbe dovuto contenere la prescrizione che qualunque esercizio della videosorveglianza non è legittimo se non è preventivamente autorizzato con accordo sindacale o provvedimento della pubblica amministrazione atto a sancirne i limiti di svolgimento; che tale omissione poteva ingenerare negli interessati il falso affidamento che la videosorveglianza dei lavoratori in essa raccomandata non incontrava alcun vincolo legale o formale; che essa non corrispondeva ad alcuna esigenza organizzativa e produttiva e non era specifica.

Parte ricorrente richiamava anche i principi contenuti nel Codice della protezione dei dati personali, all'art. 114, e deduceva che la supposta "buona prassi" come validata e documentata, si configurava come  trattamento dei dati personali illegittimo anche dal punto di vista della conservazione e dell'utilizzo delle video riprese e prefigurava una "tabella catalogazione del materiale multimediale (finalizzata alla catalogazione del materiale multimediale selezionato durante la fase di sperimentazione del sistema di video monitoraggio)"; che le videoriprese "catalogate" dovrebbero essere conservate in modo duraturo e senza un termine dì durata in funzione de "il monitoraggio della performance di sicurezza".

La  ricorrente eccepiva la violazione dell'art. 11 del Codice di protezione in quanto la "conservazione" deve avere un termine qualificato in un "periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi ".

Si costituivano in giudizio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed il difetto di legittimazione passiva del Governo Italiano.

Nel merito contestava la sussistenza per il ricorso alla procedura di urgenza.
Si costituiva  in giudizio l'INAIL eccependo il difetto assoluto di giurisdizione o comunque dei giudice ordinario.
Eccepiva la carenza di legittimazione passiva dell'INAIL.
Quanto al merito, eccepiva la carenza del periculum in mora.
All'esito della discussione dei procuratori delle parti, il giudice si riservava.


L'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione è fondata e va accolta.

Osserva  il  giudice che, come fatto rilevare dalle  parti convenute le "buone prassi" rappresentano delle soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente, adottate volontariamente volte a promuovere la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Una volta acquisita una buona prassi, la Commissione Consultiva permanente ha unicamente il compito di validarla (art. 6, comma 8, lett.d) d. lgs. n. 81/2008).

In sostanza, l'attività svolta dalla suddetta commissione non ha valenza autoritativa e, come tale, non è in  grado di  incidere sui diritti dei lavoratori.
Essa, inoltre, svolge  una  mera funzione di orientamento con la conseguenza che il comportamento adottato poi da ogni singola impresa potrà sempre essere sindacabile dinanzi al giudice che, se accerterà comportamenti da parte di queste difformi dalle disposizioni di legge in materia di sicurezza del lavoro e in violazione dei diritti dei lavoratori, sanzionerà siffatti comportamenti.

Come fatto rilevare dalla difesa dell' INAIL, la validazione assume la medesima valenza di una circolare amministrativa la quale non è sindacabile dinanzi all'autorità giudiziaria, né ordinaria  né amministrativa, rimanendo priva di effetti se contra legem.

Infatti, sia pur con riferimento ad una circolare emanata dall'amministrazione finanziaria in materia fiscale, la Suprema Corte (cfr. Cass. SS.UU. 2 novembre 2007, n. 23031) ha chiarito che  la circolare  non è impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, nè innanzi al giudice tributario, non essendo un atto di esercizio della potestà amministrativa.

Le circolari   amministrative   sono   atti   meramente interni della pubblica amministrazione e, come tali, non possono spiegare effetti nei confronti dei soggetti estranei all'amministrazione e non costituiscono fonte di diritti a favore di terzi nè obblighi a carico dell'amministrazione.

D'altronde, anche la denominazione di "Commissione Consultiva permanente" conferma  tale impostazione, essendo formata non solo da rappresentanti dei vari ministeri ma anche da esperti designati dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.

In ogni caso, come correttamente fatto rilevare dalla difesa dell'Inail quand'anche si volesse ritenere che la validazione espressa dalla Commissione rientri nell'ambito degli atti autoritativi dell'amministrazione, essa dovrebbe essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo essendo correlata a posizioni di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Per tali motivi, va dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione. La natura delle questioni trattate giustifica la cornpensazione delle spese di lite.


P.Q.M.

 

Dichiara il difetto assoluto di giurisdizione e compensa le spese di lite.

Roma 13.11.2013

Depositata il 14.11.2013